Anche questo anno al Meeting Annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) sono stati presentati e discussi diversi nuovi lavori sui Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST). Di questi, quelli che hanno suscitato più interesse sono quelli relativi alla terapia adiuvante con imatinib, all’impiego di ulteriori terapie dopo fallimento di imatinib e sunitinib e nuovi dati di biologia molecolare relativi soprattutto ai GIST WT per mutazioni di KIT e PDGFRA. E’ senza dubbio, però, il lavoro di Joensuu sulla terapia adiuvante dal titolo “12 mesi verso 36 di imatinib (IM) come trattamento adiuvante del GIST operabile ad alto rischio di recidiva: risultati finali di uno studio randomizzato (SSGXVIII/AIO)” lo studio piu’ importante tanto che è stato presentato nella sessione plenaria del congresso. Era già noto infatti che la terapia con imatinib 400 mg/die per 12 mesi in pazienti operati di GIST superiore a 3 cm riduceva il rischio di recidiva di malattia. L’obiettivo di questo nuovo studio europeo era quello di confrontare il beneficio ottenibile da 12 mesi di terapia verso 36 mesi (3 anni) in termini di riduzione del rischio di recidiva e di sopravvivenza. Lo studio ha arruolato 400 pazienti operati per GIST ad alto rischio di recidiva (classificazione sec. Fletcher: diametro >10 cm, o conta mitotica >10/50HPF o diametro >5 cm e conta mitotica >5/50HPF o rottura spontanea/chirurgica del tumore). I risultati presentati hanno dimostrato che una terapia con imatinib per 3 anni è superiore a 1 anno nel ridurre il rischio di recidiva e nell’aumentare la sopravvivenza. La tolleranza al trattamento è stata buona per entrambi i gruppi di pazienti anche se vi è stata una interruzione del farmaco in percentuale superiore nel gruppo dei 3 anni rispetto a quello di 1 anno. I dettagli sulle motivazioni dell’interruzione non sono stati ancora riportati. Questo studio suggerisce che un trattamento prolungato con imatinib sia auspicabile in pazienti con alto rischio di recidiva. Tante domande rimangono ancora aperte come: qual è il ruolo dell’analisi mutazionale, quale il ruolo della sede del GIST visto che in genere nella pratica clinica si usa la classificazione di rischio di Miettinen che tiene in considerazione anche della sede oltre che alle dimensioni e conta mitotica, etc….. Alla luce di questi dati quindi, i pazienti che hanno interrotto la terapia adiuvante per un tempo non superiore a 8 mesi circa o poco piu’ potrebbero discutere con il loro oncologo di fiducia la opportunità o meno di riprendere o prolungare il trattamento considerando, tuttavia, che ogni decisione è personalizzata in base a diverse caratteristiche del GIST, ovvero reale rischio di recidiva, reale beneficio della terapia, e del paziente stesso. Altri studi interessanti sono stati sicuramente quelli relativi alla efficacia di altri inibitori delle tirosin chinasi come sorafenib o regorafenib in pazienti con GIST resistente ad imatinib e sunitinib. Lo studio di Kindler ha riportato che sorafenib 800 mg/die ha ottenuto un buon controllo della malattia nel 68% di 38 pazienti arruolati. Anche lo studio di Ryu ha confermato una discreta efficacia di sorafenib in questa categoria di pazienti. Invece lo studio di George ha riportato che regorafenib al dosaggio di 160 mg/die per 21 giorni seguiti da 7 giorni di pausa ha ottenuto anche esso un buon controllo di malattia in 19 di 22 pazienti dopo 4 cicli di terapia. Il controllo della malattia da parte di regorafenib è stata documentato anche con TC/PET (Van Den Abbeele A.D.). I risultati riportati ovviamente richiedono ancora conferme perché sono relativi a piccoli gruppi di pazienti. Ad oggi, è in corso una sperimentazione clinica con regorafenib in alcuni centri italiani. Per quanto riguarda sorafenib invece ci sono ancora delle problematiche amministrative per cui il farmaco non è proprio ancora disponibile per l’indicazione GIST. In questo meeting altri aspetti importanti nella terapia dei GIST sono stati discussi e/o confermati, ovvero: che la interruzione di imatinib in pazienti in risposta non è consigliata anche se la ripresa del farmaco riesce comunque ad ottenere un buon controllo della malattia (Le Cesne A.; Pink D.), che l’efficacia di imatinib è stata confermata anche dopo 9 anni di terapia (von Mehren M.), che la mutazione dell’esone 11, il volume del tumore e le condizioni cliniche del paziente sono i principali fattori di predittività di risposta ad imatinib (Blesius A.; Bertucci F.), che i livelli plasmatici di imatinib possono modificarsi nel tempo e questo potrebbe correlare in genere con l’efficacia del farmaco (Eechoute K.; Molimard M.), che dati precoci e non conclusivi sono sati riportati con la terapia con dasatinib (Trent J.C.), lo sviluppo iniziale di una nuova molecola farmacologica per i GIST con mutazione di esone 18 di PDFRA (D842V) che notoriamente sono resistenti ad imatinib (Heinrich M.C.), ed altro ancora…. Infine sono da segnalare gli studi sulle nuove mutazioni che sono state identificate nei GIST WT, come la molecola chiamata SDHA, succinato deidrogenasi sub unità A, che però necessitano di essere confermati su numeri più ampi e di cui il significato clinico ad oggi ancora non è noto (Pantaleo M.A., Indio V.). Tutto quanto sopra e tante altri nuovi aspetti aprono comunque sempre nuovi scenari e nuove prospettive di cura per i pazienti con GIST.