ALIMENTARE Le previsioni al 2016: valore aggiunto, produttività ed

ALIMENTARE
Le previsioni al 2016: valore aggiunto, produttività ed occupazione
L’industria alimentare è piuttosto importante per l’economia italiana; il valore
aggiunto prodotto da questo settore rappresenta difatti l’1.8 per cento del Pil totale,
e quasi il 10 per cento del valore aggiunto prodotto dall’industria in senso stretto
nel suo complesso.
Nel corso degli anni novanta l’attività produttiva è cresciuta a tassi prossimi al 2 per
cento in media all’anno. L’inizio degli anni duemila, invece, è stato segnato da una
dinamica mediamente cedente del valore aggiunto: nel periodo tra il 2001 ed il
2005 il tasso medio annuo di variazione del valore aggiunto del settore è stato
negativo (-1.3 per cento). Nel 2001 il settore registrò difatti un’intensa correzione,
dopo la notevole accelerazione del 2000, tornando sui livelli di fine anni novanta e
nel biennio successivo, inoltre, il settore conobbe una sostanziale stagnazione
dell’attività produttiva. Nel periodo tra il 2004 ed il 2007, invece, si è osservata una
ripresa del settore alimentare.
Sebbene il settore alimentare non sia stato risparmiato dalla crisi, gli esiti sono stati
meno drammatici di quelli osservati in altri settori industriali. D’altra parte la
domanda
di
prodotti
alimentari
tende ad avere
oscillazioni
cicliche meno
pronunciate di quelle osservate in altri settori molto più sensibili (come i produttori
di beni durevoli o strumentali). Peraltro, nel biennio 2010-2011 l’industria
alimentare ha registrato una ripresa (complessivamente di 6.6 punti percentuali)
dell’attività produttiva: sebbene i livelli pre-crisi non siano stati recuperati, la
variazione registrata tra il 2006 ed il 2011 è risultata così solo marginalmente
negativa, con tassi medi annui di variazione del -0.1 per cento.
Sulle prospettive di breve termine del settore pesa la recessione in atto in Italia;
ampliando però lo sguardo oltre il difficile passaggio del biennio 2012-2013, le
previsioni suggeriscono un ritorno dell’attività produttiva lungo un sentiero di lenta
ripresa. In media, però, nel periodo 2012-2016 il valore aggiunto prodotto dal
settore alimentare risulterà ancora cedente, con una riduzione media annua di 0.5
punti percentuali.
Nel primo grafico viene rappresentata la crescita del settore delle industrie
alimentari e delle bevande; come misura dell’attività si utilizza il valore aggiunto a
1
valori concatenati, ovvero espresso in termini reali (depurato cioè dall’inflazione
specifica del settore).1
Valore Aggiunto (*)
Variazioni % annue
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
-2,0
-4,0
-6,0
-8,0
94
97
00
03
06
09
12
15
(*) A prezzi costanti
La produttività del lavoro è un’altra variabile di rilievo al fine di cogliere le tendenze
di ciascun settore dell’economia2.
La produttività del lavoro nel settore alimentare ha avuto una dinamica crescente, a
tassi anche brillanti (seppure con qualche discontinuità nell’andamento) nel corso
degli anni novanta. Con gli anni duemila, invece, si è osservata un’inversione di
tendenza, con un calo marcato della produttività nella prima metà del decennio: il
tasso medio annuo di variazione della produttività del lavoro tra il 2001 ed il 2005 è
stato difatti negativo e pari a -1.1 punti percentuali e il calo sarebbe potuto essere
anche più ampio, se non fosse stato per il rimbalzo osservato nel 2005. Nella
1
Il valore aggiunto è definito, per ogni impresa, come la differenza tra il valore della sua produzione e il
valore dei beni intermedi utilizzati. La somma dei valori aggiunti per le imprese operanti in un
determinato comparto produttivo rappresenta il valore aggiunto settoriale. Mediante la tecnica del
concatenamento, utilizzata nella contabilità nazionale a partire dal 2005, si è introdotta un indicatore
delle variazioni di volume che non tenga conto solo dei valori assunti in due momenti precisi (l’anno
corrente e quello base), ma che sia in grado di incorporare l’andamento complessivo del fenomeno
nell’intervallo di tempo considerato.
2
La produttività del lavoro è misurata dal valore aggiunto per unità di lavoro. Incrementi di produttività
permettono di conseguire determinati livelli produttivi con un minor fabbisogno di lavoro. In altre parole,
la produttività aumenta se l’occupazione cresce a ritmi inferiori a quelli del prodotto.
2
seconda metà del decennio, invece, si è osservata una stabilizzazione della
produttività, anche se i tassi medi annui di variazione nel periodo 2006-2011
restano marginalmente negativi, e pari a -0.1 punti percentuali.
Tale risultato è però l’esito di fluttuazioni opposte non trascurabili. In particolare,
durante il biennio 2008-2009, durante la crisi, si è osservato il fenomeno del labour
hoarding: la produttività del settore è crollata, di quasi 6 punti percentuali in totale,
consentendo così di limitare i tagli nella domanda di lavoro. Si sono difatti ridotte le
ore lavorate, anche aumentando il ricorso allo strumento della Cassa Integrazione
Guadagni, consentendo così il mantenimento della manodopera esistente (dati i
costi connessi al reclutamento e alla formazione di nuovi occupati). Il fenomeno del
labour hoarding, che si è però interrotto nel 2010, quando la produttività ha
recuperato le perdite ed è tornata sui livelli pre crisi: la crescita della produttività è
stata
nettamente
superiore
a
quella,
pur
positiva,
dell’attività
produttiva,
traducendosi così in un’espulsione di manodopera.
Al fine di recuperare in produttività e, conseguentemente, in competitività (date le
crescenti pressioni competitive alle quali il settore è soggetto, sia sui mercati esteri
che su quello interno) si ipotizza che nei prossimi anni l’industria alimentare
sperimenti un processo di ristrutturazione. Lo scenario di previsione per il medio
termine sconta pertanto una fase di ripresa della produttività.
Produttività del lavoro
Livello, 1992=1
1,20
1,15
1,10
1,05
1,00
0,95
0,90
92
96
00
04
08
12
16
3
Nel terzo grafico si confronta l’andamento dell’occupazione con quello degli
equivalenti a tempo pieno, ovvero le unità di lavoro3.
Gli anni novanta hanno coinciso con una fase di ristrutturazione del settore
alimentare, interessato da forti perdite di posti di lavoro; tra il 1996 ed il 2000 le
unità di lavoro si sono ridotte ad un tasso medio pari a -0.6 per cento all’anno. Tale
ristrutturazione ha peraltro permesso di recuperare in produttività. Con il nuovo
decennio si è osservata un’inversione di tendenza: la domanda di lavoro ha infatti
ricominciato a crescere dal 2002 e ha continuato ad espandersi per tutto il periodo
fino al 2008, con la sola eccezione della contrazione registrata nel 2005.
Nel biennio 2009-2010, invece, per effetto della crisi, la domanda di lavoro si è
complessivamente ridotta del 5.5 per cento. Nel medio termine si prospetta
un’ulteriore riduzione della domanda di lavoro nel settore per effetto della
ristrutturazione dell’industria alimentare.
La dinamica dell’occupazione nel corso degli ultimi vent’anni è risultata sempre
superiore a quella delle unità di lavoro, per effetto della crescente diffusione del
part time. Nel periodo tra il 2000 e il 2008 nel settore si sono creati oltre 23 mila
posti di lavoro. A causa però della caduta osservata nel biennio 2009-2010, sono
stati persi quasi 21 mila posti di lavoro rispetto al massimo toccato nel 2008,
riportando il settore sulle dimensioni occupazionali di inizio anni duemila.
A causa della recessione che sta colpendo anche l’industria alimentare, e data
l’ipotesi di ristrutturazione nel settore, si ritiene che anche nel medio periodo
l’occupazione continuerà a ridursi. Secondo le previsioni di medio termine, nel 2016
gli occupati nell’industria alimentare si saranno ridotti di altri 22 mila lavoratori
rispetto a quanto registrato nel 2011, scendendo ad un livello di 446 mila.
3
L’unità di lavoro rappresenta la quantità di lavoro prestata da un occupato a tempo pieno, oppure la
quantità di lavoro equivalente prestata da lavoratori a tempo parziale o che svolgono un doppio lavoro,
al netto della Cassa Integrazione. Le unità di lavoro sono dunque utilizzate come unità di misura del
volume di lavoro impiegato nella produzione dei beni e servizi; con tale misura si tiene conto delle
variazioni dell’orario di lavoro.
4
Occupati totali - Unità di lavoro
Livello, migliaia
Unità di lavoro
Occupati totali
500
480
460
440
420
400
380
360
92
94 96 98 00 02 04 06 08 10 12 14 16
L’andamento degli aggregati professionali al 2016
La tabella che segue distribuisce la previsione dell’occupazione al 2016 per i Grandi
Gruppi professionali della Classificazione delle Professioni ISTAT CP 2011.
L'occupazione al 2011 e le previsioni al 2016
GRANDI GRUPPI PROFESSIONALI***
Legis latori, imprenditori e alta dirigenza
Numero occupati
Variazione
2011*
2011-2016**
2016**
17.412
16.600
-812
9.536
9.091
-445
Profess ioni tecniche
53.631
51.129
-2.502
Profess ioni es ecutive nel lavoro d'ufficio
32.524
31.007
-1.517
Profess ioni qualificate nelle attivita’ comm erciali e nei servizi
44.918
42.823
-2.095
Artigiani, operai specializzati e agricoltori
154.404
147.202
-7.202
Conduttori di impianti, operai di macchinari fis si e mobili e conducenti di
veicoli
Profess ioni non qualificate
118.533
113.004
-5.529
36.842
35.124
-1.718
Totale occupazione
467.800
445.980
-21.820
Profess ioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione
*Dati riproporzionati sui valori di Contab ilità Nazionale
**Previsioni ISFOL-IRS basate su proiezioni metodo dei coefficienti fissi
***Si riportano i grandi gruppi professionali rlevanti per il settore
Fonte: elaborazioni ISFOL-IRS su microdati Istat Forze di Lavoro e previsioni ISFOL-REF
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