“COMMERCIO INTERNAZIONALE – PRIMA PARTE” PROF. MATTIA LETTIERI Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Indice 1 IL COMMERCIO INTERNAZIONALE ---------------------------------------------------------------------------------- 3 1. LE TEORIE SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE -------------------------------------------------------------- 8 2 LE RAGIONI DEL PROTEZIONISMO --------------------------------------------------------------------------------- 11 3 IL FUNZIONAMENTO DEL MERCATO DEI CAMBI ------------------------------------------------------------- 15 4 I SISTEMI DI CAMBIO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 21 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 23 Università Telematica Pegaso 1 Commercio internazionale – prima parte Il commercio internazionale Fino ad ora abbiamo mantenuto come semplificazione che il sistema economico fosse chiuso, ovvero che non avesse relazioni economiche di alcun tipo con gli altri paesi. Questa ipotesi poteva essere, forse, realistica in epoche passate quando i paesi producevano al loro interno tutto ciò che era necessario alla sopravvivenza delle proprie popolazioni. Oggi non è più così: siamo abituati a guidare auto straniere, mangiare cibi esotici, ad utilizzare elettrodomestici provenienti da altri paesi. Inoltre, molti beni che hanno un marchio italiano possono essere stati prodotti utilizzando, in tutto o in parte, materiali fabbricati all’estero. Con il passare del tempo beni e servizi che sono a disposizione dei consumatori italiani ma che vengono prodotti e forniti da altri paesi è cresciuto notevolmente, ovvero il totale delle nostre importazioni. Questo vale anche per le esportazioni, prodotti italiani venduti all’estero. La maggior parte delle economie, oggi, sono delle economie aperte, ovvero effettuano scambi economici con il resto del mondo. L’intensificarsi delle relazioni economiche internazionali ha contribuito a determinare lo sviluppo dei paesi industrializzati ma ha anche arrecato qualche problema, infatti la forte dipendenza reciproca fra i diversi paesi fa sì che crisi economiche che colpiscono gli Stati Uniti o il Giappone abbiano ripercussioni anche i Italia o in Germania. Il massimo sviluppo degli scambi internazionali e l’elevato grado di interdipendenza si è registrato a partire dal secondo dopoguerra, si tratta, quindi, di un fatto recente nella storia dell’economia. Teorie a favore degli scambi internazionali erano, però, già state avanzate. Infatti, risale all’epoca dei mercantilisti, XVI secolo, l’opinione che le esportazioni rappresentassero un fattore indispensabile di ricchezza e di potenza per un paese poiché permettevano di accumulare oro e metalli preziosi in cambio di merci esportate. Però, i mercantilisti non erano favorevoli ad uno sviluppo generalizzato del commercio internazionale, ma, al contrario, essi ritenevano che i governi dovessero favorire le esportazioni ma Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte nello stesso tempo scoraggiare e limitare le importazioni, poiché, quest’ultime dovendo essere pagate con oro non facevano altro che ridurre le ricchezze di un paese. La formulazione di una teoria vera e propria del commercio internazionale si deve a David Ricardo con la sua teoria dei vantaggi comparati, o teoria dei costi comparati, formulata nel 1817. Il punto centrale della teoria è che ogni paese può trarre vantaggio dal commercio internazionale, poiché gli scambi: Favoriscono la specializzazione produttiva; Permettono una maggiore produzione a livello mondiale; Consentono un miglioramento del tenore di vita delle popolazioni. Perché ciò avvenga non è necessario che un paese goda di un vantaggio assoluto rispetto ad un altro paese nella produzione di un determinato bene, ma è sufficiente che il vantaggio sia comparato, ovvero che il paese sia relativamente più efficiente. Chiariamo meglio questo concetto con un esempio. Consideriamo due paesi, ad esempio, Inghilterra e Portogallo, nella produzione di due diversi beni, ad esempio, vino e tessuto. Ing hilterra Por togallo o Ore di lavoro necessarie per la produzione di un'unità vin totale senza totale con gli tessuto scambi scambi 12 2 1 0 90 10 80 1 1 70 80 50 40 3 3 60 20 Figura n. 82 Per produrre una unità di ciascuno dei beni, i due paesi impiegano un diverso ammontare di lavoro e il costo dei beni è misurato dal lavoro necessario a produrre i beni stessi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Quindi, ad esempio, per produrre una unità di vino e una unità di tessuto, l’Inghilterra impiega complessivamente 210 ore di lavoro mentre in Portogallo ne occorrono 150. Il Portogallo è più efficiente in senso assoluto rispetto all’Inghilterra, poiché impiega quantità di lavoro inferiori in entrambi i casi. Anche se l’Inghilterra è meno efficiente in entrambe le produzioni, la sua inefficienza è minore nella produzione di tessuto poiché la differenza in termini di impiego di lavoro è inferiore nel caso del tessuto, 10 ore di lavoro in più, rispetto alla produzione di vino, dove occorrono 50 unità in più di quelle necessarie in Portogallo. In termini relativi o comparati, si può dire che il vantaggio di produttività del Portogallo è maggiore nel caso della produzione di vino, mentre l’Inghilterra ha un vantaggio relativo nella produzione di tessuto. Ricardo dimostrò che, in questa situazione entrambi i paesi possono trarre vantaggio dalla specializzazione, in particolare dedicandosi alla produzione del bene di cui godono il più elevato vantaggio comparato. Per cui, per l’Inghilterra è conveniente specializzarsi nella produzione di tessuto che n parte consumerà al suo interno e in parte esporterà in Portogallo, mentre il Portogallo specializzandosi nella produzione di vino può produrre due unità di questo bene con un risparmio di 10 unità di lavoro. L’ammontare complessivo di beni a disposizione dei due paesi è lo stesso, 2 unità di vino e 2 di tessuto, ma attraverso la specializzazione e lo scambio, i due paesi realizzano un risparmio di lavoro pari a 40 unità che potranno essere utilizzate per produrre altre quantità di beni. La teoria dei vantaggi comparati dimostra che è sufficiente che vi sia un vantaggio comparato di produzione indipendente dal vantaggio assoluto. La specializzazione e il libero scambio permettono di migliorare il tenore di vita di ciascun paese e di incrementare la produzione mondiale. Nella realtà il commercio internazionale non si limita allo scambio di due beni tra due paesi , ma è più complesso. Tuttavia i risultati delle teoria ricardiana dei vantaggi comparati possono essere estesi anche a casi più realistici di scambio di più beni fra più paesi. Sarà sempre possibile, per ciascun paese definire una sorta di graduatoria dei vantaggi comparati di cui esso gode rispetto agli altri e sulla base della quale potrà decidere in quale produzione specializzarsi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Se il libero scambio e la concorrenza favoriscono la specializzazione e permettono a ciascun paese di realizzare maggiori benefici grazie ad un so più efficiente delle risorse, allora tutti i paesi dovrebbero cercare di favorire in ogni modo il libero scambio. Tuttavia, nella realtà, questo non sempre accade. Molto spesso i paesi mettono in atto politiche, dette protezionistiche, che non solo non favoriscono il libero scambio, ma svolgono la funzione contraria. Questo non vuol dire che la teoria dei costi comparati non sia valida, ma solo che alcune delle sue assunzioni non sono del tutto realistiche. Una delle ipotesi più discusse è quella relativa alla perfetta mobilità dei fattori all’interno di un paese. Una delle caratteristiche principali dell’economia perfettamente concorrenziale è che i fattori produttivi possono essere facilmente spostati da una produzione all’altra e che non vi possono essere risorse inutilizzate perché in base al modello della domanda e dell’offerta, la loro remunerazione si aggiusta garantendone il pieno impiego. Una ulteriore ipotesi fatta da Riccardo era che non vi fosse alcuna mobilità dei fattori tra i diversi paesi. Se guardiamo alle economie attuali, queste assunzioni potrebbero non essere del tutto valide, in quanto sembra accadere il contrario rispetto a quanto ipotizzato dalla teoria ricardiana. La perfetta mobilità dei fattori all’interno di un paese può non essere sempre facilmente praticabile, soprattutto quando interessa lavori molto specializzati che richiedono qualificazioni professionali di un certo tipo o macchinari ed impianti specifici che non possono essere riadattati facilmente per essere utilizzati in altri tipi di produzione. Nei sistemi economici attuali la mobilità dei fattori, al contrario, è molto frequente. Un altro limite è che la teoria ricardiana del commercio internazionale parte dal presupposto che vi sia una differente produttività del lavoro all’interno dei diversi paesi ma non spiega perché vi sono queste differenze. L’obiezione più importante è: secondo molti autori, il libero scambio, così come formulato dalla teoria dei vantaggi comparati, costringerebbe i paesi più arretrati a restare in una situazione di sottosviluppo e di eterna dipendenza nei confronti dei paesi sviluppati. Infatti, stando all’ipotesi della teoria ricardiana, i paesi già industrializzati avrebbero un vantaggio comparato nei settori industriali che richiedono un elevato grado di specializzazione e di tecnologia mentre i paesi più arretrati manterrebbero un vantaggio comparato in quelli più tradizionali, come l’agricoltura o il settore minerario. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Difficilmente un paese arretrato potrà trovarsi in condizioni di competere con i paesi industrializzati nei settori più innovativi, di conseguenza il commercio internazionale non solo favorirebbe il processo di sviluppo dei paesi più poveri ma li condannerebbe ad una condizione irreversibile di sottosviluppo e di dipendenza nei confronti dei paesi economicamente più sviluppati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte 1. Le teorie sul commercio internazionale Una teoria più recente, che ha cercato di superare alcuni dei limiti della teoria ricardiana, è stata proposta da Heckscher e Ohlin. Secondo questi due economisti, la specializzazione raggiunta dai paesi nella produzione di beni destinati all’esportazione dipende dalla disponibilità relativa di fattori produttivi. Il fattore produttivo più abbondante in un paese avrà anche un prezzo relativamente più basso, quindi è conveniente che il paese si specializzi nella produzione ed esportazione di quei beni che prevedono un maggiore uso di questo bene. Lo stesso paese avrà, quindi, convenienza ad importare quei beni che vengono prodotti con un impiego maggiore del fattore relativamente scarso. Ad esempio, i paesi industrializzati hanno normalmente una disponibilità relativamente maggiore di capitali, reperibili ad un costo relativamente basso, mentre i paesi meno sviluppati hanno, normalmente, maggiore disponibilità di manodopera e una relativa scarsità di capitali. In base alla teoria dei due economisti, i paesi industrializzati avrebbero convenienza a specializzarsi nelle produzioni di beni ad alta tecnologia che richiedono elevati impieghi di capitale e uno scarso uso di manodopera, importando, invece, dai paesi più arretrati quei beni che richiedono un elevato uso di lavoro e necessitano di uno scarso impiego di capitale. Però, anche questa teoria ha dimostrato di non essere sempre confermata nella realtà. In base ai risultati di una ricerca condotta da Wassily Leontief hanno smentito tale teoria. Leontief dimostrò, esaminando i dati relativi al commercio statunitense alla fine degli anni Quaranta, che contrariamente al modello previsto dai due economisti, gli Stati Uniti risultavano essere un paese che esportava beni ed elevato contenuto di lavoro ed importava beni con una elevata quota di capitali, nonostante la loro relativa abbondanza di capitale. La spiegazione di questo paradosso è nota come paradosso di Leontief e dipenderebbe dal fatto che la teoria non distingue tra diverse qualificazioni del lavoro. I prodotti americani esportati contenevano prevalentemente lavoro ad alta qualificazione che richiede necessariamente anche l’uso di capitali adeguati, mentre il lavoro contenuto nei beni importati negli Stati Uniti era meno qualificato. Un’ulteriore critica al precedente modello è che esso non considera il ruolo del progresso tecnico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Le innovazioni tecnologiche permettono di realizzare rendimenti crescenti di scala, o economie di scala, il che significa che è possibile produrre di più impiegando quantità inferiori di input. Quindi, è comprensibile che il progresso tecnico sia un elemento fondamentale nel processo di sviluppo dei paesi, con ripercussioni anche sul commercio internazionale. La relazione esistente tra innovazione industriale ed esportazioni di un paese è spiegata dalla teoria del gap tecnologico, elaborata da Posner agli inizi degli anni Sessanta. Secondo questo teorico i vantaggi comparati che sono alla base del commercio internazionale dipendono dal vantaggio monopolistico di cui temporaneamente possono godere alcuni paesi. La teoria distingue tra i paesi innovatori e i paesi imitatori. Gli innovatori sono i paesi tecnologicamente più avanzati, dispongono di lavoratori altamente qualificati, investono in spese di ricerca e sviluppo e hanno maggiore capacità creativa ed innovativa. I paesi innovatori sono, quindi, quelli che danno vita a nuovi prodotti e a nuovi processi produttivi rispetto ai quali, per un certo periodo di tempo, godono di una posizione di monopolio, ovvero sono gli unici a produrre ed offrire sui mercati questa particolare innovazione. Gli imitatori, con il passare del tempo, possono acquisire queste nuove tecniche produttive e produrre a loro volta il prodotto innovativo per il loro mercato interno e per quello internazionale. Se il paese imitatore può disporre di maggiore manodopera e a basso costo, può accadere che esso produca ed esporti anche nel paese che ha dato origine all’innovazione. Il paese innovatore, può, quindi, trovare conveniente destinare capitale e lavoro, alla creazione di altri nuovi prodotti, acquistando a prezzi più bassi il bene, ormai vecchio, prodotto dal paese imitatore. La teoria del ciclo di vita del prodotto è una estensione della teoria del gap tecnologico. Secondo tale teoria, le produzioni industriali sono caratterizzate dalle seguenti fasi: L’introduzione sul mercato; La fase di sviluppo; La fase di maturazione. La prima fase corrisponde al momento iniziale in cui un nuovo prodotto viene introdotto sul mercato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte In questa fase la scala di produzione è ridotta perché la domanda è limitata e rigida rispetto al prezzo, poiché si tratta di un nuovo prodotto. Inoltre, il processo produttivo richiede un contenuto di lavoro altamente qualificato, necessario a perfezionare e introdurre sul mercato il nuovo prodotto. Nella seconda fase, fase di sviluppo, il prodotto è ormai perfezionato e pronto per produzioni su larga scala. La domanda del bene è cresciuta ed è elastica rispetto al prezzo, e nuove imprese sono interessate alla produzione del prodotto. La fase di maturazione conclude il ciclo di vita del prodotto. La produzione, infatti, è ormai standardizzata in quanto il bene non è soggetto a ulteriori modifiche o innovazioni, vengono utilizzati impianti che consentono produzioni su larga scala, l’impiego di lavoro qualificato è sempre più marginale e la domanda di mercato è sempre più estesa. L’esperienza dimostra che i paesi più ricchi investono più risorse nella ricerca e nell’innovazione e si specializzano nelle nuove produzioni. Questi nuovi prodotti, durante la prima fase del ciclo di vita vengono esportati anche nei paesi meno sviluppati in cui tali processi innovativi non sono attualizzabili per la mancanza di capitale e lavoro altamente qualificato. Occorre precisare che i paesi innovatori non sono necessariamente quelli più grandi, infatti, anche paesi come la Svizzera, l’Olanda o la Svezia sono innovatori in alcuni settori come quello farmaceutico, chimico e delle telecomunicazioni. Quando il processo produttivo diventa più standardizzato, la produzione viene introdotta in un numero maggiore di paesi allo scopo di soddisfare la domanda sia interna sia internazionale. Solo quando il bene è ormai maturo e standardizzato può essere prodotto ed esportato anche da parte dei paesi meno sviluppati, che, in questa fase, diventano concorrenziali in termini di prezzo grazie al basso costo e all’elevata disponibilità di manodopera di cui dispongono. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 23 Università Telematica Pegaso 2 Commercio internazionale – prima parte Le ragioni del protezionismo Se gli scambi internazionali arrecano reciproci vantaggi, ciascun paese dovrebbe avere convenienza a promuovere il commercio internazionale o, perlomeno, a non ostacolarlo. In realtà non è così. Molto spesso i governi di tutto il mondo fanno ricorso a politiche commerciali o adottano vari strumenti con lo scopo di limitare l’importazione di beni da altri paesi ostacolando il libero scambio. Il protezionismo consiste in quell’insieme di politiche commerciali che mirano a limitare le importazioni di prodotti dall’estero con lo scopo di sostenere o proteggere la produzione delle imprese nazionali. Il protezionismo può essere attuato tramite diversi strumenti, ricorrendo a : Dazi o tariffe doganali; Contingenti o quote all’importazione; Altre barriere non tariffarie. I dazi o tariffe doganali sono tributi che vengono pagati sui prodotti importati dall’estero. Ad esempio, se l’Italia applica un dazio doganale del 10% sull’importazione di televisori dal Giappone, ciò vuol dire che un televisore giapponese del costo di 500 euro, in Italia sarà venduto al prezzo di 550 euro. Poiché il dazio fa aumentare il prezzo dei beni importati è ovvio che la sua introduzione contribuisce a ridurre l’importazione dei beni tassati, nel nostro esempio i televisori giapponesi, a vantaggio delle imprese nazionali che producono lo stesso bene. I contingenti o quote all’importazione consistono in restrizioni quantitative dei beni importati. In questo caso, i paesi fissano la quantità massima di un determinato bene che può essere importata. Tali beni possono essere importati solo con il rilascio di una speciale autorizzazione, licenza di importazione, che consente di tenere sotto controllo la quantità effettivamente importata del bene contingentato. Ad esempio, ogni anno l’Italia fissa il numero di motociclette o di automobili provenienti dal Giappone. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Esistono, inoltre, barriere non tariffarie di vario genere che rendono difficile l’ingresso di un bene prodotto dall’estero. Questo accade, ad esempio, quando si introducono norme sanitarie o tecniche molto specifiche inerenti alle caratteristiche dei prodotti importati o si richiedono delle formalità burocratiche molto complesse che scoraggiano l’importazione di prodotti dall’estero. Non ci sono grosse differenze tra questi strumenti, poiché tutti vanno a vantaggio delle imprese nazionali e a svantaggio delle imprese estere e dei consumatori. Confrontiamo gli effetti di un dazio e di un contingente all’importazione. Consideriamo il caso delle motociclette. La curva dell’offerta di importazioni di motociclette dal resto del mondo è orizzontale perché la domanda italiana di questo bene è limitata e non è in grado di incidere sul prezzo mondiale delle motociclette, ad esempio, è pari a 5.000 euro. Nel nostro esempio, l’Italia ha uno svantaggio comparato nella produzione di questo bene. Se non vi fosse la possibilità di scambio con l’estero, domanda e offerta nazionale si eguaglierebbero in corrispondenza di un prezzo pari a 13.000 euro, molto più elevato rispetto a quello mondiale, pari a 5.000 euro. Rispetto a questo prezzo i consumatori italiani sarebbero disposti a domandare complessivamente solo 100 motociclette. Invece, se esiste la possibilità di libero scambio con l’estero, il prezzo del bene in questione scende a livello del prezzo mondiale. I consumatori sanno che a questo prezzo la loro domanda verrà soddisfatta, in parte dalla produzione nazionale e in parte attraverso le importazioni. In questa situazione gli effetti di un dazio sono: supponiamo che l’Italia, per proteggere l’industria nazionale, applichi un dazio molto elevato, ad esempio pari a 3.000 euro, sull’importazione di motociclette. La curva di offerta mondiale si sposta parallelamente verso l’alto in corrispondenza di un prezzo pari a 5.000+ 3.00 = 8.000 euro. Poiché il prezzo è più alto, la domanda dei consumatori diminuisce di 20 unità, passando ad esempio da 150 a 130, mentre l’offerta nazionale aumenta di 20 unità, passando ad esempio da 50 a 70, le importazioni ammontano ora a 60 unità, 130-70. L’introduzione di un dazio, provocando un aumento del prezzo delle motociclette, determina un calo della domanda da parte dei consumatori, un aumento della produzione da parte delle imprese nazionali e una corrispondente diminuzione delle importazioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Gli effetti provocati da un contingente all’importazione di motociclette sarebbero stati qualitativamente simili. Introdurre un contingente vuol dire decidere quale sarà l’ammontare massimo di importazioni ammesso. In realtà, una differenza tra i due strumenti esiste. Tale differenza consiste nel fatto che i dazi costituiscono una entrata per le casse dello Stato, cosa che non avviene nel caso dei contingenti all’importazione. Se il gettito derivante dalle tariffe doganali venisse utilizzato, ad esempio. Per ridurre altre imposte, allora i consumatori potrebbero essere in parte compensati dalla perdita di benessere arrecata dall’introduzione del dazio. In questo caso, un dazio potrebbe essere relativamente preferibile rispetto all’introduzione di contingenti. La maggior parte degli economisti non è favorevole all’uso di strumenti protezionistici, poiché è stato dimostrato che la perdita di benessere subita dai consumatori è comunque superiore rispetto ai vantaggi che derivano dalla crescita dei profitti da parte dei produttori da un lato e dall’eventuale aumento delle entrate dello Stato dall’altro. Un ulteriore svantaggio è legato al fatto che il protezionismo nei confronti delle imprese nazionali rischia di favorire l’inefficienza, nel senso che molte imprese poco efficienti, che correrebbero il rischio di fallire di fronte alla concorrenza esterna, restano sul mercato solo grazie al fatto che l’introduzione di dazi o di contingenti fa sì che i prezzi interni siano più elevati rispetto a quelli presenti in condizioni di libero scambio. Infine, l’adozione di politiche commerciali protezionistiche da parte di un paese potrebbe provocare ritorsioni da parte degli altri paesi ed estende le conseguenze negative che accompagnano questo tipo di politiche. Le giustificazioni al protezionismo, nonostante provochi tutti gli svantaggi che abbiamo analizzato, sono: Protegge dalla concorrenza straniera le industrie nascenti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo che potrebbero non essere in grado di superare la fase iniziale di avvio dell’attività produttiva. Però se questa è la ragione, allora il ricorso a forme di protezionismo dovrebbe avere una durata limitata al tempo necessario a garantire la crescita iniziale delle imprese e lo sviluppo economico del paese; Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Tutela l’occupazione, soprattutto in periodi di recessione, proteggendo le imprese nazionali con dazi e contingenti all’importazione. La domanda interna aumenta orientandosi in misura maggiore verso la produzione interna ed incentivando la creazione di nuovi posti di lavoro; Rende indipendente un paese nei confronti degli altri paesi stranieri. Questa motivazione è legata a ragioni di sicurezza nazionale e riguarda alcuni settori strategici come l’industria bellica o altri settori importanti per l’indipendenza di un paese, come l’agricoltura, la siderurgia, le telecomunicazioni. Il rischio che si vuole scongiurare è che in presenza di una crisi internazionale o di una guerra, un paese si trovi ad essere completamente dipendente dagli altri. Queste ragioni, in parte condivisibili, sono state fortemente criticate perché possono dar luogo a situazioni di inefficienza, soprattutto quando nascondono altre motivazioni reali. Ad esempio, è stato sottolineato che l’attuazione di pratiche protezionistiche da parte di un paese comporta il rischio di ritorsioni da parte dei paesi colpiti da questi provvedimenti con il risultato di moltiplicare le conseguenze negative provocate dagli ostacoli al libero scambio. La protezione dell’industria nascente viene spinta al di là del tempo strettamente necessario per favorire la crescita delle imprese, con il rischio di rendere inefficienti le imprese e di ritardare il loro processo di crescita. Infine, riguardo la tutela dell’occupazione, è stato sottolineato come sia possibile ottenere risultati analoghi attraverso opportune politiche economiche, monetarie o fiscali, che aumentino la domanda e l’occupazione. Il rischio è che molto spesso dietro queste, apparenti giustificazioni, si nascondano prevalentemente gli interessi di pressione, imprese od organizzazioni dei lavoratori, che temono la concorrenza internazionale e cercano di salvaguardare le proprie posizioni. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 23 Università Telematica Pegaso 3 Commercio internazionale – prima parte Il funzionamento del mercato dei cambi Gli scambi commerciali avvengono tra agenti all’interno di uno stesso paese, mentre gli scambi internazionali tra agenti che appartengono a paesi diversi e risultano complicati dal fatto che ciascun paese ha una propria moneta. Quindi, ad esempio, il produttore italiano di automobili quando vende le sue auto ad un rivenditore americano vuole essere pagato in euro. Allo stesso modo, il negoziante italiano che vuole acquistare impianti hi-fi dal Giappone deve essere in grado di effettuare la sua transazione in yen, questo vuol dire acquistare yen in cambio di uro e usarli per pagare la merce al fornitore giapponese. Oltre all’esportazione e all’importazione di beni e servizi, tra i paesi si creano anche movimenti di capitali, ovvero flussi di attività finanziarie in entrata e in uscita da un paese, che si verificano ogni qual volta i privati cittadini o lo Stato concedono od ottengono prestiti da cittadini o governi di altri paesi. Queste attività finanziarie possono riguardare l’acquisto o la vendita di azioni, obbligazioni e titoli di Stato, ma anche altre forme di investimento reale, come l’acquisto o la vendita di terreni, case ecc. Per semplicità, noi parleremo di capitali o di attività finanziarie in generale, intendendo però tutto l’insieme di questi investimenti. Affinché nel mondo ci sia un regolare funzionamento degli scambi è indispensabile che vi sia un sistema finanziario internazionale che permetta alle monete dei diversi paesi di circolare. Questo, però, non è sufficiente. Per valutare, ad esempio, quanti euro dovrà cedere il negoziante italiano in cambio degli yen, necessari ad acquistare gli impianti hi-fi, occorre sapere il prezzo in euro di uno yen. Questo prezzo è definito tasso di cambio, viene fissato in un apposito mercato chiamato mercato dei cambi. Però, ciascuna moneta straniera ha un diverso tasso di cambio rispetto all’euro e questo cambia quotidianamente. Quando il tasso di cambio è determinato dall’incontro tra domanda e offerta esso può cambiare con estrema frequenza, registrando variazioni talvolta di lieve entità ma altre volte più rilevanti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 15 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte La ragione di queste variazioni è dovuta al fatto che il tasso di cambio non è altro che un prezzo e, come tutti i prezzi, è soggetto a variazioni in relazione alle forze esercitate dalla domanda e dall’offerta. Se in un dato momento la domanda di una certa moneta estera è superiore rispetto all’offerta, il prezzo di questa moneta sale. Se, viceversa, l’offerta è superiore alla domanda il prezzo scende. Nel punto in cui domanda ed offerta si incontrano viene fissato il prezzo di equilibrio o tasso di cambio. Il luogo in cui avvengono queste transazioni internazionali fra domanda e offerta delle diverse monete, e in cui si fissano i loro prezzi, è il mercato dei cambi. Tra questi, i più famosi sono quelli di New York, Londra e Tokyo dove vengono scambiate grosse quantità di valute. Accanto agli operatori esteri che domandano e offrono valuta sul mercato dei cambi per effettuare le transazioni commerciali e finanziarie, opera anche la categoria degli speculatori, che agiscono sui mercati internazionali con il solo scopo di trarre profitto dalle variazioni dei cambi. Ad esempio, se lo speculatore prevede che in futuro vi sarà un aumento del dollaro, acquista attività finanziarie in dollari quando il loro prezzo è basso, riservandosi di rivenderle ad un prezzo più elevato quando il valore del dollaro salirà. Naturalmente questa attività può permettere enormi guadagni ma comporta anche grandi rischi per gli speculatori, soprattutto quando le loro previsioni si rivelano sbagliate. Proviamo, ora, a capire come si determina il tasso di cambio, ad esempio del dollaro rispetto all’euro. Consideriamo, quindi, il mercato dei cambi, ricorrendo al consueto schema di domanda e offerta. La domanda di dollari è determinata da tutti coloro che in Italia intendono acquistare bene, servizi o attività finanziarie dagli Stati Uniti, per semplicità consideriamo solo gli scambi bilaterali tra i due paesi, anche se, in realtà, gli italiani potrebbero richiedere dollari per acquistare, ad esempio, petrolio dai paesi arabi. Per cui, dietro la curva di domanda di dollari vi sono le importazioni italiane di prodotti statunitensi. Per la legge di domanda tanto più basso è il prezzo del dollaro tanto maggiore sarà la quantità domandata di questa valuta. Ciò dipende dal fatto che i prodotti statunitensi diventano relativamente più convenienti e quindi gli italiani saranno disposti ad acquistare quantità di beni e servizi maggiori dagli Stati Uniti. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 16 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Dietro all’offerta di dollari vi sono gli acquisti di beni, servizi e attività patrimoniali di origine italiana da parte degli operatori economici e dei cittadini statunitensi, ovvero le esportazioni del nostro paese. La curva di offerta di valuta estera ha l’inclinazione crescente perché se aumenta il valore del dollaro, rispetto all’euro, i beni e i servizi italiani risultano più convenienti e gli Stati Uniti saranno disposti ad acquistare quantità maggiori, aumentando pertanto la loro offerta di dollari. Nel punto di equilibrio fra domanda e offerta si viene a fissare il tasso di equilibrio del cambio. In modo del tutto simile a quanto accadeva nel caso di domanda e offerta di un generico bene, se gli italiani aumentano le loro importazioni dagli Stati Uniti la curva di domanda di dollari si sposta verso destra. Se l’offerta non cambia, il nuovo equilibrio si fissa in corrispondenza di un prezzo più elevato. Quando il prezzo di una moneta aumenta rispetto ad un’altra si parla di apprezzamento della prima moneta rispetto alla seconda. Viceversa, si ha un deprezzamento quando il prezzo di una moneta diminuisce rispetto all’altra. Nel linguaggio comune non si parla di apprezzamento e deprezzamento ma si usano i termini di rivalutazione e svalutazione. Gli effetti che descrivono sono del tutto simili: Per rivalutazione si intende un rialzo del valore della moneta; La svalutazione indica la perdita di valore della moneta. Però, nel linguaggio economico queste definizioni si riferiscono a due situazioni diverse: Apprezzamento/deprezzamento fa riferimento a variazioni del tasso di cambio dovute a modificazioni spontanee della domanda e dell’offerta di una valuta; La svalutazione e la rivalutazione sono il risultato di un intervallo specifico da parte dell’autorità monetaria allo scopo di correggere il tasso di cambio. Il sistema internazionale rappresenta l’insieme di norme di disposizioni e di istituzioni che permettono di regolare gli scambi tra diversi paesi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 17 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte All’interno di questo sistema è importante il modo in cui è regolato il mercato dei cambi. Nel corso del tempo sono stati sperimentati tre diversi meccanismi di funzionamento di questo mercato: Cambi flessibili; Cambi fissi; Cambi amministrati. In regime di cambi flessibili il tasso di cambio viene fissato dall’incontro fra domanda e offerta. Sul mercato dei cambi operano gli importatori di beni e servizi, da un lato, che domandano l’ammontare di valuta estera necessaria ad effettuare i loro acquisti, invece, dall’altro operano gli esportatori che offrono valuta estera in cambio di beni e servizi. In queste circostanze il tasso di cambio è soggetto a frequenti oscillazioni in base alle condizioni di domanda e di offerta e questo rende incerte e variabili le condizioni di scambio tra gli operatori. Ad esempio, il produttore che si impegna a fornire a distanza di un mese ad un cliente estero una certa quantità di beni di sua produzione, o l’investitore che intende investire il proprio denaro in un paese straniero, non possono sapere con certezza quale sarà il prezzo effettivo a cui avverrà la transazione e potrebbero trarre un vantaggio oppure subire una perdita a seconda di come verrà a fissarsi il tasso di cambio. Un sistema opposto è invece quello dei cambi fissi. In questo caso, ogni paese fissa un dato tasso di cambio della propria moneta rispetto a tutte le altre e le banche centrali acquistano e vendono qualunque ammontare di una certa valuta in cambio di un valore prefissato di moneta nazionale. Quando un intervento ufficiale da parte delle banche centrali determina una diminuzione del valore della valuta nazionale rispetto ad una valuta estera si parla di svalutazione, mentre nel caso di aumento del valore si parla di rivalutazione. Abbiamo detto che i termini svalutazione/rivalutazione e apprezzamento /deprezzamento indicano variazioni del tasso di cambio del tutto simili sul piano pratico e che la differenza consiste solo nel fatto che, nel primo caso, esse sono la conseguenza di un intervento ufficiale da parte delle autorità monetarie mentre nel secondo caso sono il risultato delle forze di domanda e offerta. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 18 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Un regime a cambi fissi assicura la massima certezza agli operatori, i quali non devono preoccuparsi del fatto che i tassi di cambio possano improvvisamente variare rendendo meno conveniente, ad esempio, i loro scambi commerciali o i loro investimenti. Il sistema a cambi fissi, in questo senso, favorisce gli scambi commerciali e le attività finanziarie. Però, esso può comportare problemi rilevanti per le autorità monetarie dei paesi, le quali devono disporre di cospicue riserve in valuta straniera per far fronte agli squilibri tra domanda e offerta, con il rischio ulteriore di dar fondo ad ogni riserva nel caso in cui questi squilibri siano rilevanti o perdurino nel tempo. Un altro limite è rappresentato dal fatto che il sistema a cambi fissi può influenzare bene solo se i prezzi interni dei fattori e dei beni sono vicini a quelli internazionali. In una posizione intermedia tra un regime di cambi perfettamente fissi e uno di cambi perfettamente flessibili, si colloca il sistema dei tassi di cambio amministrati. In questo caso, i valori di scambio delle diverse monete vengono definiti dal mercato, ma vi sono anche interventi da parte delle autorità monetarie e di governo per influenzare e tenere sotto controllo l’andamento del tasso di cambio. Si può trattare di interventi poco frequenti e di entità non troppo rilevante, se lo scopo è quello di limitare le fluttuazioni di breve periodo, ma vi possono essere anche interventi più consistenti quando l’obiettivo è quello di mantenere il tasso di cambio al di sopra o al di sotto del suo valore di equilibrio. Supponiamo, ad esempio, che le autorità monetarie europee ritengano che l’euro sia sottovalutato. Per cercare di aumentare il valore, ad esempio rispetto al dollaro, la banca centrale potrebbe intervenire sul mercato dei cambi acquistando una certa quantità di euro pagandola in dollari americani. Questa maggiore domanda di euro determina un aumento, ovvero un apprezzamento, del valore dell’euro stesso. in caso di sopravvalutazione, sarebbe stato necessario offrire sui mercati internazionali un certo ammontare di euro. L’acquisto o la vendita di euro, inevitabilmente, modifica anche la liquidità di un paese, ovvero l’offerta interna di moneta, condizionando anche l’andamento del tasso di interesse. Per evitare che vi siano ripercussioni sull’offerta di moneta a seguito degli interventi sui mercati da parte delle Banche Centrali, si può compensare questa operazione con un’altra operazione sul mercato interno di eguale ammontare, in modo che l’offerta di moneta rimanga invariata. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 19 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte In questo caso si parla di interventi sterilizzati. Nel caso in cui ciò non avvenga, interventi non sterilizzati, la variazione dell’offerta di moneta è esattamente pari all’ammontare dell’intervento sul mercato dei cambi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 20 di 23 Università Telematica Pegaso 4 Commercio internazionale – prima parte I sistemi di cambio Dal punto di vista storico, il primo sistema a cambi fissi è rappresentato dal sistema aureo, o gold standard, che entrò in vigore dopo il 1870 e venne mantenuto fino al 1941. In base a questo sistema, ciascun paese fissava il valore della propria moneta in termini di oro. Ad esempio, la sterlina pesava circa 1/a d’oncia d’oro mentre il dollaro statunitense aveva un peso in oro di circa 1/20 d’oncia, 1 oncia è pari a 28,35 grammi, poiché il peso della sterlina era superiore di cinque volte rispetto a quello del dollaro, il cambio era di 5 dollari contro 1 sterlina. In questo modo, i cambi erano perfettamente stabili ed erano determinati dal contenuto in oro di ciascuna moneta. Effettuare scambi internazionali non era molto diverso dal vendere o acquistare merci sul mercato interno poiché tutte le merci venivano pagate in oro, inoltre chiunque poteva fondere e coniare le monete. Negli anni Venti questo sistema venne messo a dura prova dagli eventi storici e dalla difficoltà di mantenere la parità con l’oro. Negli anni compresi fra il 1918 e il 1939, anno in cui scoppiò la Seconda guerra Mondiale, si alternarono periodi in cui i tassi di cambio venivano lasciati liberi di fluttuare, ad altri in cui veniva ripristinato il sistema a cambi fissi. In questi anni tale sistema venne sostituito da gold Exchange standard, in base al quale il diritto di coniazione e di fusione dell’oro era riconosciuto solo alle banche centrali e non più ai privati. Inoltre, la maggior parte delle monete non era più convertita direttamente in oro ma in altre valute estere. A partire dagli anni Venti le uniche monete che potevano essere convertite in oro erano il dollaro e la sterlina, e le banche centrali di tutto il mondo detenevano queste monete come valute di riserva. Il valore di ciascuna moneta era fissato rispetto all’oro, nel caso di squilibri rispetto alla parità ufficiale, le banche centrali intervenivano utilizzando le loro riserve valutarie in dollari e sterline. Se gli squilibri erano gravi e duraturi la moneta veniva svalutata, ovvero veniva rivisto e modificato il cambio ufficiale. Un ulteriore tentativo di mantenere fissi i tassi di cambio fra le valute dei diversi paesi venne fatto nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 21 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte Questi accordi non si limitavano a regolare il mercato dei cambi ma prevedevano un più ampio programma di cooperazione internazionale, attraverso la creazione di appositi organismi che dovevano cercare di favorire gli scambi internazionali, garantendo contemporaneamente la stabilità monetaria. L’unica moneta che mantenne la conversione in oro fu il dollaro, scelta che dipese dal fatto che in quegli anni gli Stati Uniti, oltre ad essere la maggiore potenza mondiale, erano la nazione che deteneva la maggior parte delle riserve auree mondiali. Con gli accordi di Bretton Woods si sperava di sfruttare i vantaggi di entrambi i regimi di cambio, ovvero mantenere la stabilità del sistema a cambi fissi, favorendo il commercio internazionale e nello stesso tempo beneficiare della possibilità di aggiustamento del sistema a cambi flessibili. Il sistema funzionò per oltre venti anni, ma alla fine degli anni Sessanta i paesi che partecipavano all’accordo cominciarono a presentare livelli di inflazione molto diversi, determinando una profonda sfiducia nel dollaro e molte banche centrali cercarono di convertire i dollari in loro possesso in oro. Di fronte a questa situazione nel 1971 il Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, dichiarò l’inconvertibilità del dollaro in oro, decretando ufficialmente la fine del sistema a cambi fissi. Da allora l’economia mondiale segue un sistema di cambi ibrido. L’attuale sistema monetario si propone di bilanciare e contrastare i vantaggi e gli svantaggi di entrambi i sistemi. Le sue caratteristiche principali sono: I cambi non sono più ancorati all’oro ma vengono determinati dall’interazione tra domanda e offerta; Un ruolo centrale nel sistema finanziario internazionale è svolto da: dollaro, euro e yen. Si tratta di tre monete forti, relativamente stabili rispetto ad altre valute, facendo in modo che la maggior parte delle transazioni mondiali si svolga in queste tre monete; Alcuni paesi si sono accordati fra loro per stabilizzare il tasso di cambio delle loro monete, lasciando che esse fluttuino liberamente nei confronti delle valute degli altri paesi; Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 22 di 23 Università Telematica Pegaso Commercio internazionale – prima parte I paesi piccoli, poco sviluppati e con quote di commercio internazionale molto ridotto, non riescono ad utilizzare la loro moneta nazionale come mezzo di scambio poiché si tratta di monete scarsamente affidabili, per cui sono costretti ad effettuare i loro scambi con valute straniere sostenendo prestiti da parte di appositi organismi internazionali come la Banca Mondiale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 23 di 23