LEZIONE
“I DIRITTI UMANI”
PROF.SSA ANTONELLA ESPOSITO
Università Telematica Pegaso
I diritti umani
Indice
1
INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
EVOLUZIONE STORICA DEI DIRITTI DELL’UOMO ------------------------------------------------------------- 5
3
L’EVOLUZIONE FILOSOFICA DEI DIRITTI DELL’UOMO ----------------------------------------------------- 9
4
L’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI UMANI ----------------------------------------------------------------------------- 11
5
LE GENERAZIONI DEI DIRITTI UMANI ----------------------------------------------------------------------------- 13
5.1 5.2 5.3 5.4 -
6
LA PRIMA GENERAZIONE: I DIRITTI CIVILI E POLITICI ----------------------------------------------------------LA SECONDA GENERAZIONE: I DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI --------------------------------LA TERZA GENERAZIONE: I DIRITTI DI SOLIDARIETÀ -----------------------------------------------------------LA QUARTA GENERAZIONE: I NUOVI DIRITTI ---------------------------------------------------------------------
14
14
15
16
LO JUS COGENS E I DIRITTI UMANI--------------------------------------------------------------------------------- 17
BIBLIOGRAFIA: -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Introduzione
Non esiste una definizione unitaria ed esaustiva dei diritti umani, anche se è consentito
affermare, sinteticamente, che si sostanziano in quell’insieme di diritti essenziali collegati alla
natura della persona umana, essendo il termine persona riferibile sia all’individuo singolo e
concreto, sia all’umanità in sé, recepita come sintesi delle globali, profonde vocazioni e istanze
dell’essere umano.
La nozione di diritti umani è inoltre strettamente collegata a quella di libertà fondamentali,
giacché la libertà sottende l’esistenza di un diritto così come il diritto si manifesta solo se si
riconosce la libertà.
Una definizione dei diritti fondamentali può aversi specificando la differenza tra essi e i diritti
patrimoniali: nella tradizione giuridica sono entrambi compresi nel genere dei diritti soggettivi, ma
questo è l’unico punto in comune, per il resto i primi sono stabiliti da ogni costituzione nonché dalle
diverse convenzioni sui diritti umani e il loro carattere specifico è l’essere attribuiti a tutti, i secondi
sono diritti singolari attribuiti ad excludendi alios.
Corollario di tale distinzione, nonché altro tratto caratteristico dei diritti fondamentali, è
dunque la loro indisponibilità: essi non possono costituire oggetto di scambio, sono imprescrittibili,
non possono subire limitazioni nel contenuto, non appartengono alla sfera di ciò che è decidibile né
da una maggioranza e neppure da una unanimità.
La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 è senza dubbio il documento che
segna una tappa fondamentale nell’affermazione dei diritti umani. Tuttavia non si può affermare che
i diritti umani siano “nati” nel 1948 e forse non si può stabilire nemmeno con esattezza una data
precisa. La verità è che ciascun diritto proclamato nella Dichiarazione è frutto di un lungo percorso
storico che ne ha portato all’affermazione.
Si pensi al diritto di voto: un tempo non era nemmeno concepito che i cittadini potessero
contribuire alla vita politica del loro Paese, poi questo diritto è stato concesso agli uomini
appartenenti a certe classi sociali, poi a tutti gli uomini e si parlava di suffragio universale, che in
realtà universale non era perché per molti anni ancora le donne furono escluse dall’esercizio di
questo diritto.
Molti diritti, poi, si sono evoluti o addirittura sono nati proprio in seguito alla proclamazione
della Dichiarazione.
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È interessante a questo proposito capire come nel corso delle epoche storiche il concetto e il
contenuto di diritto umano si sia evoluto.
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2 Evoluzione storica dei diritti dell’uomo
I diritti umani non nascono in un preciso momento storico, ma sono il frutto di
un’evoluzione, dovuta alle rivendicazioni di fasce di popolazione che si ritenevano naturalmente
titolari di certi diritti che però non venivano loro riconosciuti da chi gestiva il potere.
Un elemento evocativo della Grecia Antica, ed in particolare di Atene è l’agorà, ossia la
piazza in cui si svolgeva la vita politica e sociale della città, dove i cittadini si confrontavano per
prendere le decisioni più importanti. Tuttavia, gran parte della popolazione ne era esclusa: le
persone che potevano partecipare alla vita politica erano solo i cittadini, erano considerati tali solo
gli uomini adulti e liberi ad esclusione di tutte le altre persone che componevano la popolazione:
bambini, donne e schiavi.
Anche nell’antica Roma, dove come in Atene, essere titolari di diritti dipendeva dall’avere
una certa posizione sociale: non tutta la popolazione era degna di essere inclusa nella categoria di
popolo, ad alcuni soggetti era precluso l’esercizio di qualsiasi diritto, riservati esclusivamente ai
cittadini liberi maschi e pater familiae.
Al contrario, la concezione moderna di diritti umani prevede che qualsiasi soggetto possa
essere titolare di tali diritti a prescindere dalla sua posizione sociale.
Le condizioni essenziali per il feudalesimo, che presupponeva l’esistenza dei servi della
gleba e quindi di soggetti sostanzialmente equiparati ad oggetti, che si potevano vendere o
scambiare, si realizzavano attraverso il potere politico, che presupponeva a sua volta una forte
gerarchizzazione e delle profonde diseguaglianze sociali. Contro tali fondamenti si scontrava il
Cristianesimo, che si fondava sull’idea dell’uguaglianza degli uomini davanti a Dio.
Risale a questo periodo un importante documento: la Magna Charta Libertatum del 12151,
un documento emanato dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra che contiene un elenco di diritti
come, per esempio, il diritto alla proprietà privata, il diritto alla libertà, il diritto a non essere
condannati senza motivo e comunque ad essere giudicati da un organo legittimo.
la Magna Charta Libertatum è il primo documento ad occuparsi sistematicamente dei
diritti della persona, costituisce un unicum rispetto alle altre esperienze storiche, è un’eccezione che
1
Per approfondimenti si veda Grimaldi Angelo, Disegno storico del costituzionalismo moderno, pag. 30 e ss, armando
editore roma, 2007
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conferma la regola, e ciò appare subito evidente solo considerando la tradizione politica e giuridica
secolare della Gran Bretagna, paese caratterizzato da sempre dalla presenza di un parlamento, da un
sistema di check and balance di poteri che non ha mai consentito che se ne instaurasse uno assoluto,
e appunto da questa Carta delle libertà, che rappresenta il primo documento fondamentale per la
concessione dei diritti dei cittadini, tra cui il divieto per il Sovrano di imporre nuove tasse senza il
previo consenso del Parlamento, la garanzia per gli uomini di non essere arrestati, dichiarati
fuorilegge, sottoposti a confisca dei beni senza un regolare giudizio del tribunale.
Inoltre la Carta sancisce che il re si impegni a non intromettersi nelle elezioni delle cariche
religiose e a non impadronirsi dei beni ecclesiastici. I rapporti col sovrano perciò non si regolano
più con atti di forza ma con patti, giurati e sottoscritti, che sottopongono i contraenti a reciproci
obblighi.
Se nel 1200 la Gran Bretagna vanta già questa consapevolezza in fatto di diritti e garanzie,
il resto delle potenze versa in una situazione differente: poche leggi e per giunta totale mancanza di
giudici e Parlamento; rapporti permeati dal principio di reciprocità, un “do ut des” così da stipulare
accordi solo se in vista di vicendevoli vantaggi.
Questa situazione è stata favorita da un positivismo estremo, che porta all’assolutismo di
Stato: positivismo e assolutismo dipendono e derivano l’uno dall’altro.
Si sviluppa dunque intorno al XV secolo in Europa un sistema politico ed istituzionale di
rottura con la sovranità piramidale e frazionata propria del sistema medievale, dove la cura della
proprietà agraria della nobiltà era affidata ai contadini ridotti in schiavitù.
Tale aristocrazia feudale è la classe politicamente ed economicamente dominante, che
rimane al potere anche in seguito ai mutamenti che il passaggio allo Stato assoluto ha determinato.
La classe sociale che emerge implica sì un nuovo modo di gestire l’economia, senza schiavitù e
basata sullo sviluppo degli scambi e della produzione di mercato, ma pur sempre funzionale a
mantenere un predominio e uno sfruttamento nella pratica feudali.
Si assiste ad una riscoperta della tradizione giuridica romana, che investe tutta l’Europa
occidentale e si rivela strumentale addirittura per entrambe le classi sociali in cui fondamentalmente
è divisa la società; infatti da un punto di vista economico recuperare il diritto classico significa
affermare un suo grande pilastro: la proprietà privata incondizionata, scomparsa nel feudalesimo e
ora fenomeno favorevole allo sviluppo del capitale libero nelle città e nelle campagne.
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Tuttavia questi diritti, che possono assomigliare a quelli contenuti nella Dichiarazione
universale, non venivano riconosciuti a tutti gli individui, ma solo a quelle classi sociali ritenute più
importanti: arcivescovi, vescovi, abati, priori, conti e baroni.
Sempre in Inghilterra, ma nel 1679 viene emanato un documento fondamentale
nell’affermazione dei diritti umani: l’Habeas corpus Act. In pratica si stabiliva che nessuno può
potesse essere arrestato, e quindi privato della sua libertà personale, in modo arbitrario, senza, cioè
delle prove concrete sulla sua colpevolezza. Sulla scia di questo documento nel 1689 viene
approvato anche il così detto Bill of rights (la Carta dei diritti) in cui si affermano, in particolare, la
libertà di di religione, di parola e di stampa2.
Nel corso del 1700 si svilupparono in America e in Francia dei movimenti di pensiero che
sfociarono nell’approvazione di due importanti documenti nella storia dell’evoluzione dei diritti
umani: la Dichiarazione di indipendenza delle colonie americane e la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino in Francia.
Le colonie inglesi in America, a causa dei continui conflitti con il governo inglese, decisero
di proclamare la Dichiarazione di indipendenza, cui era allegata anche una Dichiarazione dei diritti
dell’uomo, che rivendicava in particolare il diritto alla vita e alla libertà, nonché il diritto alla libertà
di parola, di stampa, di religione e di riunione.
Così come in America anche in Francia si sviluppò un movimento per la rivendicazione dei
diritti fondamentali. In questo caso perché il governo, impegnato in una serie di guerre, aveva
investito in questa attività molto denaro, sottraendolo alla popolazione ed andandone quindi ad
incrementare la povertà. Così al termine della Rivoluzione francese nel 1789 viene redatta la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Vennero sanciti diritti fondamentali come
l’uguaglianza, la libertà di stampa, pensiero e religione, la presunzione di innocenza, il diritto alla
proprietà privata.
Grazie a questi due precedenti, a partire dal 1900 prende il via un fenomeno che coinvolge
tutto il mondo occidentale. Quindi nelle costituzioni, cioè nelle leggi fondamentali dei nuovi stati
che via via si vanno formando, si sente la necessità di sancire gli stessi diritti rivendicati nella
2
Il primo emendamento del “Bill of Rights” americano afferma che “tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi
e indipendenti, e possiedono alcuni diritti innati, dei quali, entrando in una società, essi non possono in nessun modo
privare o destituire la posterità: Simili sentimenti ispiratori si possono ritrovare nell’Articolo 2 della Dichiarazione dei
Diritti dell’Uomo e del Cittadino della Rivoluzione Francese del 1789. Tuttavia questi “diritti innati” non erano
applicati a tutti, e sorprendentemente non lo erano nel caso dell’America.
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Dichiarazione di indipendenza americana e nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
francese.
Occorre però sottolineare che ancora non si può parlare del riconoscimento di diritti
universali: le dichiarazioni sopracitate sono legate ai cittadini di determinati Stati (per esempio
l’Inghilterra, la Francia o gli Stati Americani), non si parla ancora di diritti riconosciuti nei
confronti di tutti gli esseri umani e quindi ancora non si può parlare di universalità dei diritti. In
questo senso la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresenta un passo storico: perché
non è la dichiarazione di un solo Stato.
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3 L’evoluzione filosofica dei diritti dell’uomo
Definizione e fondamento dei diritti umani sono sempre stati al centro dell’attenzione di
filosofi, giuristi e pensatori fin dall’epoca classica greca e romana, anche se la loro trattazione inizia
a delinearsi in modo netto nei secoli XVI- XVIII e può ricondursi sostanzialmente a due correnti di
pensiero: il Giusnaturalismo e il Positivismo3.
La concezione positivistica si sviluppa in Francia nella seconda metà del XIX secolo e trae
la sua origine dalla locuzione “diritto positivo”, contrapposta a quella di “diritto naturale” che
invece è propria del giusnaturalismo, dottrina sviluppatasi nell’Europa centrale tra il XVI e il XVIII
secolo4. La tradizione del pensiero giuridico occidentale è sempre stata permeata da questi due
filoni, che sinteticamente trovano spiegazione nella differenza tra ciò che “è” per natura e ciò che “è
posto” invece per convenzione dagli uomini. Secondo l’ottica positivistica, i diritti umani esistenti e
vincolanti sono quelli che un ordinamento giuridico riconosce come tali mediante la loro
positivizzazione, cioè “versandoli” in testi giuridici vincolanti: secondo i positivisti, la
positivizzazione ha una funzione costitutiva e creativa dei diritti umani che assumono quindi valore
fondamentale5.
Secondo l’accezione giusnaturalista i diritti umani come e più di ogni altra norma giuridica
appartengono allo ius naturale e ritrovano il loro fondamento di obbligatorietà non nei testi giuridici
o nella coscienza giuridica collettiva del corpo sociale internazionale in un determinato momento
storico-politico, ma nella natura stessa o nella ragione dell’uomo. Secondo i giusnaturalisti il diritto
naturale avrebbe dappertutto la stessa efficacia, non ha confini, è un insieme di norme conoscibili
dall’uomo perché a lui riferibili ontologicamente; il diritto positivo avrebbe invece efficacia limitata
nelle singole comunità in cui è posto6.
La valutazione di una condotta nel diritto naturale non dipende da nessun soggetto o
autorità, ma esiste indipendentemente da questi, anticipando così la percezione dei diritti di
3
N. Bobbio, Il Positivismo giuridico, ed. Giappichelli, Torino, 1996, p. 13
Si parla di un “giusnaturalismo antico”, fondato sul pensiero del filosofo Aristotele, per il quale naturale è quel giusto
che mantiene ovunque lo stesso effetto e non dipende dal fatto che a uno sembra buono oppure no; nel XIII secolo si
parla del “giusnaturalismo scolastico” il cui esponente è Tommaso d’Aquino, per cui il diritto naturale è un insieme di
principi etici generalissimi; il giusnaturalismo cui ci si sta riferendo è quello cosiddetto moderno, che si sviluppa a
partire da Thomas Hobbes, con cui ha inizio la dottrina laica, del diritto naturale, concepito come chiaro ed evidente di
per sé e valido anche in guerra e perfino se Dio non esistesse. Da http://www.lastoria.org/modules.php
5
Zanghì Claudio, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, pag. 5 e ss,2006, Giappichelli.
6
N. Bobbio, Il Positivismo giuridico, cit., p. 3 ss.
4
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tendenza universalistica; nel diritto positivo la stessa valutazione è invece successiva alla
codificazione delle norme: prima di esse le azioni non hanno valore giuridico.
Per il pensiero giusnaturalistico il diritto naturale sarebbe superiore e antecedente a qualsiasi
diritto posto dall’uomo, non si può ignorare la sua esistenza in quanto è universalmente valido,
fondamento di ogni diritto positivo, presupposto delle norme proprie di qualsiasi sistema di
coesistenza umana storicamente dato. C’è un diritto civile, ma gli uomini restano comunque titolari
di quei diritti naturali anteriori e superiori a qualsiasi espressione giuridica, come il diritto alla vita e
alla proprietà, diritti inalienabili e perciò non modificabili dalle leggi.
Per i positivisti solo il diritto codificato è invece da ricondursi alla sfera del diritto in senso
proprio: a questa categoria il diritto naturale non sarebbe neanche ascrivibile.
Quest’ultima concezione si è poi diffusa, assistendo ad un parziale declino della dottrina
giusnaturalistica, dovuto anche al fatto che nonostante tali diritti siano stati dai giusnaturalisti
ritenuti connaturati all’uomo, il loro riconoscimento non è stato automatico, unanime ed immediato.
L’origine di tale fenomeno è legata alla formazione dello Stato moderno, che accentra in sé tutti i
poteri, in primis quello di creare il diritto sia attraverso la legge sia indirettamente attraverso il
controllo delle norme consuetudinarie.
Dunque, secondo la dottrina positivista, un diritto naturale svincolato o addirittura superiore
non è concepibile, se non altro perché le leggi naturali sono per l’uomo da rispettare solo nella sua
coscienza: di fronte a se stesso e, se credente, di fronte a Dio.
Al di là delle teorie finora elencate, è necessario ricordare che le norme sui diritti umani
fissano diritti ed obblighi esclusivamente tra i soggetti internazionali (Stati) unici termini del
rapporto giuridico sotteso alla norma. L’individuo (sia esso un pirata, un terrorista, uno schiavo, un
cittadino i cui diritti e libertà fondamentali sono violati ecc.) è sempre e solo l’oggetto, il
destinatario materiale della tutela giuridica che, a suo vantaggio a sanzione di un comportamento si
instaura e vige tra i soggetti internazionali. È sempre e solo lo Stato ad essere titolare dei diritti e
degli obblighi in materia di diritti umani, mai l’individuo è tutelato non uti singuli ma quale
membro di una collettività (donne fanciulli minoranze lavoratori ecc.) o quando dell’individuo sono
promossi e garantiti i suoi diritti sociali, economici e culturali (e non quelli civili e politici).
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4 L’universalità dei diritti umani
La caratteristica dell’universalità appartiene al concetto stesso di “diritti umani”. Se i diritti
umani non fossero pensati come universali, non avrebbe alcun senso qualificare come “umani”
diritti che sono “particolari”, cioè propri di un popolo o di una classe di individui. Non resterebbe,
allora, che smascherare di volta in volta quest’operazione ideologica di egemonia culturale per
liberarsi della falsa universalità e, con ciò stesso, congedarsi dal concetto di “diritti umani”.
Prima di esaminare il concetto di universalità, bisogna prendere coscienza del sostantivo a
cui qui si applica. I diritti di cui si parla sono diritti positivi, anche se il grado di positivizzazione
può essere di varia intensità. I diritti umani nascono come tali solo quando cominciano ad essere
riconosciuti in senso giuridico. Prima di allora, vi sono istanze etiche, giuste pretese morali, diritti
naturali e persino moral rights, ma non in senso proprio e compiuto “diritti umani”. Affinché
esistano i diritti umani, occorrono anche fatti o, meglio, atti di riconoscimento. Ebbene, proprio di
questi diritti positivi si afferma che sono universali: “i diritti dell’uomo nascono come diritti
naturali universali, si svolgono come diritti positivi particolari per poi trovare la loro piena
attuazione come diritti positivi universali”7. L’universalità è presente in essi così come una
giustificazione morale è presente in un’azione, che è per definizione sempre particolare. Ed allora si
potrebbe arrivare alla conclusione che i diritti umani siano quei diritti forniti di una giustificazione
assiologica universale, comunque essa venga intesa.
Nel linguaggio del diritto internazionale i diritti umani sono esplicitamente designati come
“universali” ed esplicitamente così strutturati, come si evince tra l’altro dall’espressione «all human
beings» dell’art.1 della Dichiarazione universale del 1948, alla cui luce bisogna interpretare i
successivi “everyone”.
È vero, tuttavia, che la dimensione universalistica si attenua progressivamente man mano
che i diritti umani si vanno specificando. Questo è già evidente nei due Patti internazionali, in cui il
soggetto di riferimento non è più “tutti gli esseri umani”, cioè l’umanità, ma i popoli come realtà
culturali: “all peoples have the right of self-determination”. C’è, dunque, uno slittamento
dell’universalità nella generalità ed appare l’antitesi tra individuo e gruppo.
Necessario risulta ricordare la distinzione tra universalità e assolutezza. Sul piano normativo
l’assolutezza è sinonimo d’inderogabilità, cioè di una validità che non tollera eccezioni. Una norma
7
N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990, p. 24.
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inderogabile, una volta fissato il tipo di comportamento contemplato e identificatolo come illecito, è
valida e applicabile ad ogni scelta del genere, quali che siano le ulteriori circostanze. Anche se
eccezioni o limitazioni sono “logicamente” possibili, sono “normativamente” escluse. Una norma
assoluta esclude in via di principio che esse siano prese in considerazione. Ma ciò non significa che
queste norme inderogabili siano necessariamente universali. Potrebbero essere valide solo
all’interno di un sistema culturale o giuridico e non valere per altri sistemi. Insomma, inderogabilità
e universalità sono due cose diverse.
Certamente, gli assoluti morali, intesi come princìpi primi o valori dominanti e
imprescindibili, si pongono anche come universali, non già in quanto sono indipendenti dalle
circostanze mutevoli, ma in quanto pretendono di valere per tutti8.
Come si è visto, ciò che caratterizza come “assoluto” un concetto o una norma è la sua
invariabilità o immutabilità. “Universale” non significa “assoluto”, ma significa “comune”, è ciò
che accomuna cose ben diverse fra loro. Se non vi fosse alcuna comunanza, non potrebbe esserci
comunicazione né alcuna relazione fra individui, culture o concezioni differenti fra loro.
L’universalità permette la relazione, mentre l’assolutezza la rende impossibile. Per questo si
concorda con chi sostiene che l’approccio universalistico non solo favorisce il dialogo
interculturale, ma è anche “il solo che lo renda possibile”. Se ora ci chiediamo cosa ci sia di comune
nei diritti umani, è presto detto: l’umano. Si assume che ci sia una diffusa coscienza transculturale
di ciò che conviene alla dignità dell’uomo e di ciò che ne costituisce una palese violazione. La
Dichiarazione universale dei diritti deve essere considerata come il tentativo di codificare, nella
forma di diritti, i princìpi fondamentali richiesti dal rispetto della dignità umana.
8
Viola Francesco, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in Botturi e Totaro (a cura di), Universalismo
ed etica pubblica, pag. 162 e ss.Vita e Pensiero, Milano, 2006 .
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5 Le generazioni dei diritti umani
Dal breve accenno alla storia dei diritti umani appare chiaro come il contenuto di questi
diritti si sia evoluto nel tempo e si può intuire che questa evoluzione sia destinata a continuare. I
diritti umani non sono quindi delle categorie e dei concetti statici, ma mutano col mutare delle
condizioni storiche e politiche e dipendono direttamente dalle rivendicazioni di particolari fasce di
popolazione.
Il processo di evoluzione della nozione di human rights ha prodotto una significativa
espansione dei “cataloghi” dei diritti umani sia di fonte normativa che di origine giurisprudenziale.
Con riferimento alla prima è sufficiente ricordare i nuovi confini della bioetica e
l’ineludibilità del dibattito giuridico intorno a tematiche strettamente inerenti alla persona umana e
alla tutela della sua dignità e della sua libertà9. Con riguardo alla seconda si pensi allo sviluppo di
un sistema pretorio di tutela dei diritti fondamentali nell’unione europea attraverso l’esercizio, da
parte della Corte di giustizia dell’unione europea di una funzione di supplenza normativa prima
dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht10.
L’ispirazione personalista e comunitaria delle costituzioni contemporanee aggiunge alla
titolarità di diritti da parte della persona umana quelli delle comunità intermedie tra il singolo e lo
stato che quest’ultimo non può non riconoscere. Infatti dopo le grandi dichiarazioni dei diritti della
fine del XVIII secolo contrassegnate da uno spiccato individualismo, la valorizzazione degli
interessi collettivi crea ulteriori categorie di diritti, non più fondate sul rapporto biunivoco Statoindividuo ma, invece, costruite sulla realizzazione di un nuovo contratto sociale incentrato su di una
democrazia pluralista e ricognitiva dei vari tipi di pluralismo.
A questo proposito gli studiosi che si occupano di diritti umani hanno individuato delle vere
e proprie generazioni di diritti umani, divise a seconda del contesto storico in cui si sono sviluppate.
Occorre tuttavia precisare che si tratta appunto di una prospettiva di carattere storico: non si vuole
affermare che alcuni diritti siano più importanti di altri cercando di stabilire una scala di
importanza.
9
Si veda Lucrezi e Mancuso (a cura di) –diritto e vita Catanzaro 2010 cfr.M.R. saulle , Bioetica minori disabili in
lezioni pag. 343- 417 in lezioni di organizzazione internazione, Napoli 2003.
10
In esso si verifica la codificazione attraverso la art. F1 del rispetto dei diritti umani come fondamento dell’unione
europea.
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La rivendicazione di certi diritti è una conseguenza dei rapporti di potere tra uomini, ma
anche, e soprattutto in tempi recenti, del ruolo del progresso tecnico: si pensi in particolare al
problema dell’inquinamento o a quello della pedofilia in internet.
Ecco quindi che la società civile rivendica dei nuovi diritti per rispondere alle minacce che
possono provenire per esempio dalla tecnologia dell’informazione o dalla bioetica. Si tratta di
fenomeni relativamente recenti. Ecco perché sono state individuate le generazioni di diritti umani:
delle categorie che permettano di schematizzare l’evoluzione nel tempo dei diritti umani.
I nuovi diritti via via affermatisi sono caratterizzati dal fatto di essere sempre più specifici
(ossia definiti nei più piccoli particolari) e di natura sempre più collettiva (ossia non più indirizzati
al singolo ma all’intera comunità mondiale nel suo complesso).
Sono individuate quattro generazioni di diritti umani.
5.1 -LA PRIMA GENERAZIONE: i diritti civili e politici
La prima generazione dei diritti umani viene fatta risalire al 1789, quindi alla fine della
Rivoluzione francese con l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Sono diritti che nascono dalla rivendicazione di una serie di libertà fondamentali che erano
precluse ad ampi strati della popolazione. Si tratta in particolare del diritto alla vita e all’integrità
fisica, e poi di tutti quei diritti legati alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di
associazione, il diritto alla partecipazione politica, all’elettorato attivo e passivo.
Con questi diritti si rivendicano una serie di libertà, in particolare legate agli aspetti di
partecipazione politica, è per questo motivo che si parla di diritti a matrice liberale.
5.2 -
LA SECONDA GENERAZIONE: i diritti economici, sociali e culturali
Questa seconda generazione ha origine con la Dichiarazione universale del 1948 e
comprende diritti di natura economica, sociale e culturale (come per esempio il diritto
all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute ecc.).
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I diritti umani
L’esercizio effettivo di questi diritti dovrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni
di vita del cittadino. In questo senso si parla di diritti di matrice socialista, contrapponendoli a quelli
di matrice liberale della prima generazione.
Infatti i diritti di prima generazione sono importantissimi, ma è anche vero che è necessario
prima di tutto garantire delle condizioni minime di sopravvivenza uguali per tutti, che facciano da
base comune per l’effettivo esercizio delle libertà fondamentali.
5.3 -
LA TERZA GENERAZIONE: i diritti di solidarietà
Questi diritti sono di tipo collettivo: significa che i destinatari non sono i singoli individui,
ma i popoli. Ecco quindi che si parla di diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo
sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale.
Sono anche diritti di tipo solidaristico: vuol dire che ogni popolo ha delle responsabilità nei
confronti degli altri popoli, in particolare nei confronti di quelli che si trovano in situazioni di
difficoltà. Si pensi ad esempio al problema dello sviluppo: molti Paesi si trovano in condizioni di
povertà perché non sono in grado di fornire cibo a tutti gli abitanti o perché sono colpiti da malattie
che non sono in grado di curare a cause della mancanza di denaro per acquistare le medicine. Ora,
di fronte a queste situazioni scatta, o dovrebbe scattare, il dovere di solidarietà dei Paesi più ricchi,
per due motivi. Primo perché esistono delle responsabilità storiche (si pensi a come certe parti del
mondo sono state sfruttate durante l’epoca coloniale), secondo perché spesso queste diseguaglianze
sono la conseguenza di meccanismi di commercio praticati a livello mondiale senza considerare che
alcuni Paesi del mondo possano subire delle gravi conseguenza.
Ecco quindi che si è sentita la necessità di tutelare anche i popoli, intesi come gruppi di
individui, cui vanno riconosciuti dei diritti collettivi in modo tale da creare le condizioni affinché si
possano poi effettivamente realizzare i diritti individuali.
Fanno parte dei diritti di terza generazione anche quelli che tutelano categorie di individui,
ritenute particolarmente deboli ed esposte a pericoli di violazioni dei loro diritti: si tratta in
particolare dei diritti dell’infanzia e dei diritti della donna.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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5.4 -
I diritti umani
LA QUARTA GENERAZIONE: i nuovi diritti
Esiste infine una quarta generazione di diritti, che tuttavia non è ancora stata elaborata con
precisione essendo un fenomeno molto recente: i diritti di quarta generazione sono quelli relativi al
campo delle manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di comunicazione.
La nascita di questi nuovi diritti è una conseguenza della scoperta di nuove tecnologie: in
questo senso la rivendicazione di nuovi diritti deriva dalla minaccia causata dalle nuove tecnologie.
Si pensi ai danni che possono causare alla salute i cibi geneticamente modificati, oppure ai pericoli
in cui possono incorrere specialmente i bambini utilizzando internet.
Essendo una nuova categoria occorrerà un po’ di tempo perché questi diritti vengano
formulati con precisione ed introdotti in documenti ufficiali.
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I diritti umani
6 Lo jus cogens e i diritti umani
In dottrina si discute circa la necessità di individuare una gerarchia tra i diritti umani. Il
problema nasce dal fatto che non tutti i diritti ricevono lo stesso riconoscimento. Non v’è dubbio
che esistono dei diritti fondamentali dell’uomo, enunciati nel preambolo dello statuto delle nazioni
unite cui è garantito una maggiore tutela rispetto ad altri.
La materia dei diritti umani è una materia in cui si sono formate delle norme
consuetudinarie, dei principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Unite. A differenza delle
Convenzioni, le quali contengono cataloghi assai dettagliati il diritto consuetudinario si limita alla
protezione di un nucleo fondamentale ed irrinunciabile di diritti umani.
La Convenzione di Vienna non indica quali norme internazionali siano imperative, dà,
piuttosto, una nozione di norma cogente: la norma cogente è quella che non può essere derogata. La
ricostruzione dello jus cogens è così lasciata all’interprete, che dovrà stabilire se una norma trova
riscontro negli elementi della diurnista e dell’opinio juris ac necessitatis, e se la più gran parte degli
Stati considera detta norma come superiore alle comuni fonti internazionali in quanto ispirata a
valori fondamentali e universali.
La nozione di jus cogens ha così carattere storico, potendo mutare da un’epoca all’altra
soprattutto nel senso del suo ampliamento. Dall’esame della dottrina e della giurisprudenza interna
ed internazionale si può ricavare che allo jus cogens appartengono il nucleo essenziale dei diritti
umani, il principio di autodeterminazione dei popoli, il divieto all’uso della forza fuori dei casi di
legittima difesa11.
Le norme internazionali di jus cogens attualmente esistenti a tutela dei diritti fondamentali
dell’uomo sono quelle che vietano la commissione delle cd. gross violantions, ossia delle violazioni
gravi e generalizzate di tali diritti, categoria su cui si è soliti portare quelle pratiche di governo
particolarmente disumane ed efferate come l’apartheid, la distruzione totale o parziale di un gruppo
etnico, razziale o religioso (genocidio), la tortura, i trattamenti disumani e degradanti, le espulsioni
collettive e il forzato abbandono del proprio ambiente di vita (cd. pulizia etnica), la sparizioni di
prigionieri politici…
11
Alla lista va sicuramente aggiunto l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite che sancisce l’inderogabilità degli
obblighi scaturenti dalla Carta e dalle decisioni vincolanti degli organi dell’Onu
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I diritti umani
Il riconoscimento di un corpus di diritti umani fondamentali il cui rispetto è imposto da
norme di carattere cogente ha portato alla nascita di un nuovo, importate, settore del diritto
internazionale, il diritto penale internazionale che definisce le gross violations come veri e propri
crimini internazionali, o core crimes, ormai perseguibili anche a livello internazionale.
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I diritti umani
Bibliografia:
• Bobbio, Il Positivismo giuridico, Giappichelli, 1996.
• Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, 1990.
• Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Editoriale scientifica,2010.
• Grimaldi Angelo, Disegno storico del costituzionalismo moderno, Armando editore, 2007.
• Patrono Mario, a cura di, Studiando i diritti: il costituzionalismo sul palcoscenico del mondo
dalla Magna charta ai confini del nostro tempo:lezioni, Giappichelli, 2009.
• Viola Francesco, L’universalità dei diritti umani: un’analisi concettuale, in Botturi e Totaro
(a cura di), Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, 2006 .
• Zanghì Claudio, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli, 2006.
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