Foglio di informazione professionale N.136 29 novembre 2004 I disturbi del comportamento dei pazienti con demenza La demenza è caratterizzata da perdita progressiva delle funzioni intellettuali superiori, della memoria e della funzione cognitiva, accompagnata da disintegrazione della personalità, modificazioni del comportamento e compromissione delle attività quotidiane. Il morbo di Alzheimer rappresenta la forma più comune di demenza (60% dei casi), seguito dalla demenza vascolare (25%), secondaria a ripetuti episodi ischemici cerebrovascolari. Il 7% circa della popolazione italiana fra i 65 e gli 84 anni è affetto da demenza. La prevalenza della malattia raddoppia ogni 5 anni dopo i 65 anni e arriva a coinvolgere fino ad un terzo delle persone con 80 anni o più. La maggioranza di questi pazienti presenta sintomi psicologici e modificazioni del comportamento (es. aggressività, apatia, depressione, agitazione psicomotoria, psicosi, insonnia, vagabondaggio) che sono i principali fattori di rischio di istituzionalizzazione, di utilizzo di servizi e di sovraccarico emotivo per chi assiste il malato. La frequenza e il tipo dei sintomi variano nel tempo e da persona a persona; talora possono essere manifestazioni esteriori di un disturbo concomitante (infezione urinaria, fecaloma, cefalea, dolore reumatico) o conseguenza di trattamenti o stimoli ambientali. Di per sé le alterazioni del ritmo sonno/veglia non richiedono trattamento, ma possono diventare incompatibili con la vita degli altri membri della famiglia o con l’organizzazione di una struttura residenziale. Anche il vagabondaggio non è un disturbo da trattare se il paziente ha a disposizione spazi nei quali muoversi con sicurezza. Le fasi di agitazione o nervosismo del paziente con demenza possono esprimere reattività nei confronti di un ambiente sfavorevole, delle proprie difficoltà di comunicazione, delle altrui difficoltà di ascolto o l’espressione di un disagio. Un ambiente troppo rumoroso, troppo caldo, un indumento scomodo, la presenza di persone non gradite, la sensazione di non riuscire a trovare oggetti o di non controllare le situazioni, possono giustificare certe reazioni emotive. Ciò vale, a maggior ragione, per un sintomo non comunicabile o non recepito. Trattamento Il primo approccio ai disturbi comportamentali parte dalla storia del paziente, dalle sue abitudini, dalle sue potenzialità e malattie, per analizzare il comportamento e interpretarne le anomalie. Le persone che lo assistono, l’ambiente e le attività vengono valutate come possibili cause di disagio e di amplificazione dei sintomi, ma anche come un ausilio utile a compensare e sostenere le sue limitazioni. Negli studi clinici sono stati valutati numerosi tentativi terapeutici indirizzati a ridurre l’agitazione e l’aggressività, a sostenere la memoria, l’orientamento, la comunicazione e l’interazione del paziente con l’ambiente, a partire dagli interventi psicologici e comportamentali, le attività occupazionali (es. la musicoterapia), la stimolazione sensoriale (es. la fototerapia) e l’aromaterapia. La maggior part e dei dati relativi a questi interventi proviene da studi di piccole dimensioni, con limiti di impostazione, che non hanno fornito prove convincenti di un possibile beneficio. La decisione se iniziare o meno un trattamento farmacologico si basa in genere sulle condizioni fisiche e mentali, nonché sul livello di sofferenza della persona demente, sulla gravità e durata dei disturbi, sul rischio di danno per il paziente o per chi si occupa di lui nell’una o nell’altra ipotesi, sull’esistenza di eventuali altre malattie o terapie farmacologiche in corso, sulle necessità e preferenze individuali (se è possibile determinarle) e, talora, sull’abilità del personale di assistenza nel fronteggiare tali disturbi. Antipsicotici. Gli studi condotti sugli antipsicotici tradizionali [es. clorpromazina (Largactil), aloperidolo (es. Haldol, Serenase)] spesso non hanno incluso un gruppo trattato con placebo o hanno avuto dimensioni così piccole da non essere in grado di rilevare differenze significative tra i gruppi messi a confronto. Inoltre, le differenze tra gli studi nei tipi di demenza inclusi, nella selezione dei pazienti e nella definizione stessa di comportamento “difficile” rendono problematica l’interpretazione dei dati. Infine, molti studi hanno adottato misure di esito troppo generiche per poter valutare adeguatamente particolari comportamenti. In una metanalisi della Cochrane, effettuata su 5 studi (856 pazienti), l’aloperidolo non ha avuto alcun effetto sull’agitazione, sulla funzione cognitiva, sulle attività quotidiane e sul comportamento, ma è sembrato ridurre l’aggressività. La sicurezza sul lungo termine degli antipsicotici negli anziani, soprattutto con altre patologie coesistenti, è in gran parte sconosciuta. Tra gli effetti indesiderati, i più fastidiosi sono i sintomi FARMINTESA – Via Mecenate, 90 – 20138 Milano – Tel. 02 58018289 extrapiramidali come il parkinsonismo (compreso il tremore), l’acatisia (irrequietezza motoria) e la discinesia tardiva (movimenti involontari della lingua, della faccia e della mandibola) dose-dipendente, che possono risultare irreversibili nonostante la sospensione del farmaco e non regredire con alcun trattamento. L’uso profilattico di anticolinergici (es. triesifenidile, Artane) non solo non previene la comparsa dei sintomi parkinsoniani o discinetici, ma può aggravare il deficit cognitivo o precipitare il delirio. Alla scarsità di dati convincenti che non giustifica l’impiego allargato degli antipsicotici nel trattamento dei disturbi del comportamento dei pazienti con demenza, oggi si sono aggiunti motivi di preoccupazione. Nel mese di aprile, infatti, le autorità regolatorie di vari paesi (compreso il nostro), hanno emanato una nota di allerta per i medici su nuovi rischi legati all’uso di alcuni antipsicotici atipici sui quali si è concentrata la prescrizione. In particolare, le informazioni di sicurezza sull’olanzapina (Zyprexa) provengono da un’analisi retrospettiva di 5 studi controllati, della durata di 6-12 settimane, condotti su 1.662 pazienti anziani con demenza. Questi studi, oltre a non dimostrare l’efficacia dell’olanzapina nel trattamento delle psicosi e dei disturbi comportamentali, hanno rilevato una mortalità 2 volte superiore rispetto al placebo. La più alta incidenza di decessi non è risultata associata alla dose di olanzapina o alla durata del trattamento. Negli stessi studi clinici, gli eventi avversi cerebrovascolari (ictus e TIA), alcuni dei quali fatali, hanno avuto una incidenza 3 volte superiore rispetto al placebo. Per ciò che riguarda il risperidone (Belivon, Risperdal), un riesame di 4 studi controllati, realizzati su un totale di 1.779 pazienti con demenza, per la durata di 8-12 settimane, ha evidenziato un aumento di eventi cerebrovascolari, la metà dei quali gravi, di oltre 3 volte rispetto al placebo. A tutt’oggi non vi sono evidenze specifiche a carico della quetiapina (Seroquel), ma non si può escludere che il farmaco (meno studiato degli altri) presenti gli stessi problemi. Pur riconoscendo i limiti delle analisi retrospettive, i risultati sono tali da imporre molta cautela sull’impiego in generale degli antipsicotici, di nuova e di vecchia generazione. Se, infatti, la particolare attenzione cui sono stati sottoposti gli atipici ha prodotto queste nuove conoscenze, non si sa se gli antipsicotici tradizionali siano esenti dal rischio di eventi cerebrovascolari e, in assenza di informazioni specifiche al riguardo, non esistono ragioni per ritenerli più sicuri. Antidepressivi. Il 40-50% circa dei pazienti con demenza presenta sintomi depressivi. Gli antidepressivi possono essere di aiuto nel migliorare la depressione, elevare il tono dell’umore e diminuire l’apatia. I vari principi attivi hanno una efficacia sovrapponibile, ma un diverso profilo di tollerabilità. In generale, gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) provocano meno effetti indesiderati anticolinergici e cardiovascolari rispetto ai vecchi triciclici. Gli SSRI vanno impiegati con cautela negli anziani trattati con farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento (es. FANS e aspirina a basse dosi). Ansiolitici e ipnotici. Ansia e insonnia sono di comune riscontro nella demenza. Le benzodiazepine vengono usate per controllare sintomi marcati e persistenti, ma determinano sedazione e aumentano il rischio di caduta e di delirio. Non sono adatte a un uso protratto e vanno utilizzate per il più breve tempo possibile. Il ruolo degli anticonvulsivanti nel controllo dei disturbi del comportamento è poco chiaro. In un piccolo studio, la carbamazepina (Tegretol) ha migliorato l’agitazione e l’aggressività dei pazienti; in un altro, l’acido valproico (Depakin) non ha avuto alcun effetto sull’agitazione. La perdita di neuroni colinergici, e la conseguente riduzione dei livelli di acetilcolina sono le anomalie patologiche più rilevanti riscontrate nel cervello dei pazienti con morbo di Alzheimer. Gli inibitori della colinesterasi donepezil (Aricept, Memac), rivastigmina (Exelon, Prometax) e galantamina (Reminyl ) riducono la metabolizzazione dell’acetilcolina nel SNC e favoriscono la trasmissione colinergica. In alcuni pazienti con malattia da lieve a moderata, questi farmaci rallentano il progressivo declino della funzione cognitiva e della funzionalità complessiva rispetto al placebo, ma la significatività statistica di questi modesti miglioramenti non coincide con quella clinica; l’efficacia non si traduce in un effettivo miglioramento della qualità di vita, in benefici per il paziente e per chi lo assiste, e non è accompagnata da una modificazione positiva dei disturbi comportamentali e psicologici. I tre farmaci causano effetti indesiderati gastrointestinali di tipo colinergico, dose-dipendenti (es. nausea, vomito, anoressia, diarrea). Sono, inoltre, segnalati disturbi della conduzione atrio-ventricolare e, col donepezil, allucinazioni, agitazione e aggressività. A cura del dr. Mauro Miselli L’articolo del numero precedente è stato curato dalla dott.ssa Daniela Zanfi Bibliografia - Giunco F. La demenza, in Medicina Generale a cura di Caimi V. e Tombesi M. UTET 2003, pag. 740-51. - Drugs for disruptive features in dementia. DTB 2003; 41:1-4. - Summary of clinical trial data on cerebrovascular adverse effects in randomized clinical trials of risperidone conducted in patients with dementia. Medicines and Healthcare products Regulatory Agency.9 March 2004. - The European Agency for the Evaluation of Medines Products. EMEA Public Statement on the safety of olanzapine. London, 9 march 2004. - Lonergan E et al. Haloperidol for agitation in dementia. In The Cochrane Library, Issue 4, 2002. Oxford: Update Software. FARMINTESA – Via Mecenate, 90 – 20138 Milano – Tel. 02 58018289