il linguaggio comunicativo trasversale tra individuo , società

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“IL LINGUAGGIO COMUNICATIVO
TRASVERSALE TRA INDIVIDUO, SOCIETÀ,
AMBIENTE”
PROF. ALESSANDRO VOLPONE
Università Telematica Pegaso
Il linguaggio comunicativo trasversale
tra individuo, società, ambiente
Indice
1
EVOLUZIONE DEGLI ANIMALI SOCIALI E SVILUPPO CULTURALE ------------------------------------- 3
2
PRECEDENTI STORICI INDIRETTI DELLA SOCIOBIOLOGIA ----------------------------------------------- 4
3
EVOLUZIONE DEL DARWINISMO ------------------------------------------------------------------------------------- 6
4
ORIGINI DELLA SOCIOBIOLOGIA ------------------------------------------------------------------------------------ 7
5
ALCUNI ASSUNTI E PRINCIPI DI SOCIOBIOLOGIA ------------------------------------------------------------- 8
6
CONCETTO DI FENOTIPO ESTESO E MEMETICA -------------------------------------------------------------- 13
LETTURE CONSIGLIATE -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Evoluzione degli animali sociali e sviluppo
culturale
Gli animali sociali interagiscono tra consimili, con altri animali e con l’ambiente attraverso
linguaggi e canali comunicativi naturali e culturali, o più spesso misti, intrisi cioè dell’una e
dell’altra componente.
Essi, infatti, tendono a costituire generalmente patrimoni culturali fatti di consuetudini e
modelli comportamentali, regole di reciprocità, linguaggi di comunicazione, stratagemmi condivisi
e così via, che possono essere appresi e che si trasmettono con ciò da una generazione all’altra.
La domanda che gli evoluzionisti si sono posti, a partire almeno da Charles Darwin (18091882), è se anche la componente culturale si possa giustificare sulla base di spiegazioni adattive,
come accade per i caratteri naturali, o per la condizione stessa della socialità.
In altre parole, i diversi elementi che compongono un patrimonio culturale più o meno
sviluppato si possono interpretare come «adattamenti» utili nella lotta per la sopravvivenza?
Il vantaggio di accendere un fuoco per riscaldarsi e proteggersi, o costruire armi per la
caccia, è evidente, mentre in altri casi ciò diventa sfumato, o difficile da rintracciare.
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2 Precedenti storici indiretti della sociobiologia
Nell’Origine dell’uomo (1871), Darwin riconduce comportamenti e altri aspetti della cultura
umana a una possibile loro matrice «naturale», su base evoluzionistica, includendo anche l’origine
del linguaggio, della morale, della scienza, ecc.
La sua riflessione concerne però i fondamenti, cioè le sole radici della cultura umana,
discussa anche in relazione a quella animale, ma non tutto l’ampio e articolato dispiegamento
storico della nostra civiltà.
Egli, infatti, ha più volte ribadito di non ritenere che osservazioni e conclusioni d’ordine
naturalistico possano essere direttamente applicate all’ambito sociale, civile e politico umano.
In un passo della Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico (1868)
leggiamo: «Prima di passare agli uccelli, dovrei menzionare l’uomo, sebbene io non entri volentieri
in questo argomento, giacché è circondato di naturali pregiudizi».
In realtà, l’autore a cui si lega il cosiddetto «darwinismo sociale» è Herbert Spencer (18201903), filosofo positivista contemporaneo di Darwin che svolse studi e riflessioni anche di carattere
scientifico.
Egli radicalizzò l’interpretazione adattiva della cultura e della società umana e, tra l’altro,
intese l’idea di lotta per la vita (struggle for life) non solo come competizione fra specie, o con
l’ambiente, ma anche come competizione fra individui all’interno della società e, più in generale,
fra popoli e nazioni.
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Spencer intese elaborare una teoria generale del progresso umano sulla base di istanze
rintracciabili nell'evoluzione biologica e cosmica, seguito in imprese simili da altri positivisti
dell’epoca.
Gli esiti tragici dei successivi due conflitti mondiali e il relativo declino delle ideologie di
fine Ottocento hanno ridimensionato il darwinismo sociale,nel corso degli anni.
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3 Evoluzione del darwinismo
Nel frattempo, l’evoluzionismo si è modificato: la versione originaria di Darwin è stata
reinterpretata a fine Ottocento, soprattutto ad opera di Alfred R. Wallace (1823-1913) e August
Weismann (1834-1914), e denominata Neodarwinismo.
Dopo la nascita della genetica, nella prima metà del Novecento, v’è stato un ulteriore
aggiornamento, che ha condotto alla cosiddetta Teoria sintetica dell’evoluzione per selezione
naturale (Princeton, 1949), detta anche «Grande sintesi evoluzionistica», ancora oggi considerata
come acquired view.
Capisaldi:
(1) l’impostazione genetica
(2) la popolazione naturale come unità evolutiva.
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4 Origini della sociobiologia
L’odierna sociobiologia nasce qualche decennio fa, sul finire degli anni Settanta del secolo
scorso, come tentativo di revisione e ampliamento della sintesi di Princeton.
Non a caso, il libro del suo principale fondatore, l’entomologo statunitense Edward O.
Wilson (1929―), s’intitola Sociobiology: The New Synthesis, pubblicato nel 1975.
L’idea di base è che gli evoluzionisti sintetici non abbiano tenuto nella giusta considerazione
gli aspetti comportamentali e sociali nella evoluzione degli organismi viventi. Di qui il bisogno di
una «nuova sintesi», maggiormente inclusiva.
L’aspetto della socialità, in particolare, secondo Wilson è uno dei importanti adattamenti
comparso fra gli esseri viventi (The Social Conquest of Earth, 2012); e, al pari di ogni altro
carattere (strutture, processi o comportamenti), merita tutta l’attenzione degli studiosi.
Wilson è studioso di formiche e altri insetti sociali. Fra i suoi primi lavori si ricorda The
Insect Societies, del 1971; fra i più recenti: The Superorganism: The Beauty, Elegance, and
Strangeness of Insect Societies, del 2009, scritto in collaborazione con Bert Hölldobler.
In esso, ciascuna comunità di insetti costituita da formicai, alveari e simili è intesa come un
unico superorganismo, uniforme dal punto di vista genetico e unitario sotto l’aspetto ecologico
interazionale ed evolutivo.
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5 Alcuni assunti e principi di sociobiologia
Centrale nell'indagine sociobiologica è l’attenzione da prestarsi al rapporto genotipofenotipo al fine di individuare corrispondenze fra geni (o gruppi di geni) e comportamento.
I sociobiologi ci ricordano che il comportamento sociale è pur sempre un fenotipo, cioè una
manifestazione del genotipo; ed perciò è legato alla interazione fra genoma e ambiente (biotico e
abiotico).
Nei modelli comportamentali più complessi l’interazione è di tipo perlopiù epigenetico, cioè
i geni sono responsabili della formazione dei caratteri degli organismi, ma più spesso si tratta di una
norma di reazione all’ambiente: uno stesso gene può produrre fenotipi in parte differenti in ambienti
diversi.
I sociobiologi sostengono che l‘azione della selezione naturale che si esercita sul
comportamento, in quanto manifestazione fenotipica, si ripercuote sul corrispondente genotipo.
Si ha con ciò una selezione differenziale di comportamenti e quelli maggiormente adattivi si
diffondono perché i loro relativi geni (o gruppi di geni) prendono il sopravvento su altri,
incrementando la percentuale di individui meglio adattati alla propria nicchia ecologica.
La selezione differenziale di comportamenti (sociali e culturali), nonché il relativo
lussureggiamento di individui geneticamente più adatti a porli in essere, conduce a una retroazione
positiva fra geni, mente e cultura che può essere intesa come una forma di coevoluzione.
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Nell’opera Genes, Mind and Culture: The coevolutionary process (1981), Wilson e Charles
J. Lumsden pongono questo circolo virtuoso alla base di società complesse come quelle degli insetti
(negli Imenotteri) e di società globali come quella dell’uomo (nei Mammiferi).
Per differenziare le società altamente strutturate presenti negli Imenotteri e nei Mammiferi, i
sociobiologi adoperano il termine «eusocialità», mentre «socialità» è quella presente anche in altri
gruppi di viventi, che non producono comunità complesse.
Nel caso dell’uomo, il meccanismo detto gene-culture coevolution ha condotto
probabilmente allo sviluppo dei caratteri principali della specie sapiens: sviluppo del cervello
(encefalizzazione), mano prensile (pollice opponibile), linguaggio articolato (laringe basso e corde
vocali).
La spiegazione sociobiologica della cultura umana (e animale) inverte in qualche senso la
tradizionale tendenza a considerare l’uomo come essere «ignudo e indifeso», secondo un’immagine
presente già, per esempio, nel mito greco di Prometeo ed Epimeteo, narrato da Protagora
nell’omonimo dialogo di Platone, oppure nella cultura giudaico-cristiana. (Cfr. E. O. Wilson,
Promethean Fire: Reflections on the Origin of Mind, 1983.)
Considerata l’originalità dell’approccio di Dawkins, a titolo esplicativo di seguito si riporta
qualche passo tratto dalla introduzione italiana al su primo libro, intitolato Il gene egoista (1976),
firmata da Alberto Oliverio.
«La traduzione del libro di Richard Dawkins introduce il pubblico italiano, per lo meno
quello non addetto ai lavori, ai temi della sociobiologia, temi che sono stati oggetto di discussioni e
polemiche soprattutto "egli ambienti scientifici americani. La sociobiologia vuole essere una
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scienza, o meglio lilla teoria scientifica, che si propone di spiegare l'esistenza delle società animali
– ma soprattutto di quelle umane - sulla base di comportamenti “adattativi”: con questo termine i
seguaci delle tesi neodarwiniste intendono tutti quei comportamenti che assicurano a quegli
individui che li praticano una diffusione preferenziale dei loro geni in rapporto ai gelli di cui sono
portatori altri individui. In sostanza, sostengono i sociobiologi - e Dawkins è tra loro, quando
scrive che “Noi siamo macchine per la sopravvivenza, veicoli automatici ciecamente programmati
per preservare quelle molecole egoiste conosciute come geni”.
Questa “verità” riempie di stupore Dawkins che ancora non si è abituato ad essa, cosi
come non mancherà di stupire molti lettori, trascinati da una prosa accattivante, ricca di
suggestioni scientifiche, di accostamenti arditi tra verità, mezze verità e pure e semplici
fantasticherie. Ed è in questo abile e spregiudicato passaggio tra verità scientifiche, estrapolazioni
sul filo del rasoio e teorie cosmologiche che si sono basati alcuni successi e fortune della
sociobiologia.
Un'analisi degli scritti del più recente fondatore del socialdarwinismo e “padre” della
sociobiologia, E. O. Wilson, indica quale è stata l'escalation di queste teorie: nel 1971 Wilson
pubblicava un libro, Le società degli insetti, basato essenzialmente su di una serie di studi
sperimentali di entomologia e seguito nel 1975 da un'opera quasi monumentale - Sociobiologia. La
nuova sintesi - in cui alcuni dati scientifici venivano arrangiati in maniera spregiudicata per dare
luogo ad una «nuova sintesi» sui comportamenti sociali di tutti gli esseri viventi. Recentemente
Wilson ha compiuto un vero e proprio salto di qualità pubblicando un libro su La natura umana
(1978) in cui viene formulata chiaramente quella che è la sua concezione dell'uomo e della storia
umana, dell'aggressività, della sessualità, dell'altruismo e della religione. Si tratta di una
sistematizzazione pressoché planetaria, attraverso cui Wilson dà una nuova collocazione a dottrine
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politiche e morali, psicanalisi e marxismo, umanisti e sociologi in quanto le nuove scienze umane
vanno riformulate in termini sociobiologici: è d'altronde quanto va sostenendo Robert Trivers
quando indica come “presto o tardi le scienze politiche, il diritto, l'economia, la psicologia, la
psichiatria e l'antropologia saranno senza eccezioni delle branche della sociobiologia”. Da cosa
discende questo potere sociobiologico? Essenzialmente dal potere inarrestabile della selezione
naturale, Un potere che però presenta una differenza fondamentale rispetto alla concezione
classica di Darwin: gli individui infatti non vi svolgono ruolo alcuno, la selezione non opera sui
“fenotipi”, in quanto in quanto gli individui non servono che ad assicurare la riproduzione dei
geni. Sono i geni quindi ad essere protagonisti, ad essere animati da una prepotente volontà di
perpetuarsi e riprodursi e a servirsi di qualsiasi comportamento o struttura sociale che possa
essere di aiuto nella loro diffusione. Le teorie di Wilson e la loro divulgazione proposta da Dawkins
sono alquanto fragili nei loro presupposti scientifici: basterà ricordare che la selezione naturale
non agisce direttamente sui geni, ma su degli individui o fenotipi; che ogni singolo gene non ha un
valore selettivo indipendente, non assicura il successo di un dato individuo in un dato ambiente;
che la selezione opera su individui che sono l'espressione dell'opera di geni diversi in un dato
ambiente. I sociobiologi invece postulano l'esistenza di alcuni comportamenti che sarebbero
l'espressione di singoli geni responsabili di diverse “etichette” comportamentali. Esistono i geni
del conformismo, così come quelli dell'omosessualità, della cattiveria come dell’altruismo. E quello
dell'altruismo è un tema caro alla sociobiologia in quanto è un apparente “non senso
evoluzionistico”: se il fine dei geni è quello di perpetuarsi e vincere, come spiegare dei
comportamenti altruistici attraverso cui l'individuo mette a repentaglio la propria vita? Ciò è
abbastanza ovvio, sostengono Wilson, Trivers - che ha scritto la prefazione originale al libro di
Dawkins - e Dawkins stesso: per raggiungere l'immortalità noi (i nostri geni) ci sacrifichiamo (si
sacrificano) in favore di coloro i quali condividono il nostro patrimonio genetico. E gli esempi di
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questo comportamento altruistico si riferiscono a scoiattoli o a tacchini selvatici ma anche
all'uomo, indicando che più gli individui sono legati da vincoli di consanguineità, più si sacrificano
in base a dei “coefficienti di altruismo” che, se verosimili in alcuni insetti sociali, sono perlomeno
stravaganti nella nostra specie che è evoluta dal tribalismo ad una società ben più larga e
complessa. È possibile che noi siamo più altruistici nei confronti dei nostri cugini primi che non nei
confronti dei nostri cugini secondi? E come spiegare il comportamento altruistico tra i partners di
una coppia, chiaramente non apparentati? E che dire dell'infanticidio (che esiste ancora in diverse
culture ed è esistito in altre ere) o del parricidio: sono forse malattie genetiche? Indipendentemente
dalle teorie genetiche formulate dalla sociobiologia il difetto maggiore è quello di assimilare insetti
o anche piccoli mammiferi ad una specie, quella umana, che ha un sistema nervoso radicalmente
diverso, basato su di una corteccia cerebrale che assicura meccanismi di adattamento plastici,
legati alla trasmissione culturale, prevalentemente svincolati dai loro determinanti “istintivi”. È
forse questa la generalizzazione più grave di Dawkins e di altri autori, quella di prescindere da una
serie di scoperte e di dati delle neuroscienze, della neurofisiologia e della psicobiologia che è oggi
impossibile ignorare».
(A. Oliverio, Introduzione a Il gene egoista,cit., pp. IX-X).
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6 Concetto di fenotipo esteso e Memetica
Ulteriori contributi sono giunti dall’etologo e saggista inglese Richard Dawkins (1941−),
noto nell’evoluzionismo per la sua teoria del gene egoista (The Selfish Gene, 1976) e, nello
specifico della sociobiologia, per aver introdotto tra l’altro le seguenti nozioni:
(1) fenotipo esteso
(2) mneme o meme.
Fenotipo esteso
Dawkins sottolinea che è arbitrario limitarsi a identificare come «fenotipo» la sola
manifestazione esteriore di geni associata ai caratteri anatomici, fisiologici e comportamentali degli
organismi, perché dovrebbero essere tali anche i loro prodotti.
Per es., i geni che determinano nei castori la funzionalità dei denti ed il loro istinto di
costruire dighe non hanno come manifestazione esteriore solo questi due aspetti, ma, in qualche
senso, ma anche cose come la diga costruita, il lago che si forma, ecc.
Anche questi elementi sono determinati dai medesimi geni e hanno ricadute benefiche sulla
loro probabilità di riuscire a replicarsi nella successiva generazione.
Altro esempio: i formicai delle termiti africane sono particolarmente complessi e articolati.
Emergono dal terreno in più piani e appaiono a volte con una struttura a menhir. La loro costruzione
è dovuta “all’ingegno” delle formiche, ma questo risiede a sua volta nei geni, che lo rendono
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possibile, in qualche senso e misura. Dunque, perché non dire che anche tali concrezioni sono frutto
di essi, cioè del genotipo, chiamando questo genere di prodotti “fenotipo esteso”?
Conclusione: per Dawkins, la linea di demarcazione tra azione «diretta e indiretta» dei geni
è sottile e spesso arbitraria; quindi, sarebbe opportuno in questi casi parlare di «fenotipo esteso».
Mnemi o memi
Dawkins ha introdotto il termine «mneme o meme», in analogia con quello di «gene», per
indicare ogni unità-base dell'evoluzione culturale umana, fornita di senso compiuto, che ricada nel
meccanismo di replicazione, mutazione e selezione.
Questi pacchetti d’informazione si trasmettono in ambito culturale e competono fra loro per
la sopravvivenza. Compito della memetica è indagare i modelli evoluzionistici che spiegano la loro
diffusione o estinzione nel corso del tempo.
Seguono passi dell’opera Il gene egoista nei quali la memetica è presentata nelle parole
dello stesso Dawkins.
«Finora non ho parlato molto dell'uomo in specifico, sebbene non lo abbia nemmeno
escluso deliberatamente. Il motivo per cui ho usato il termine “macchina per la sopravvivenza” è,
in parte, perché con il termine “animale” sarebbero state escluse le piante e, nella testa di
qualcuno, anche l'uomo. Gli argomenti che ho avanzato si potrebbero applicare prima facie a
qualunque essere sia passato attraverso un processo evolutivo; se dobbiamo fare eccezione per
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qualche specie, devono esserci buone ragioni, molto specifiche. C'è qualche buon motivo per
supporre che la nostra specie sia unica? lo credo che la risposta sia sì.
Ciò che di insolito c'è nell'uomo può essere riassunto quasi tutto in una parola sola:
“cultura”. Uso questo termine senza dargli alcun significato snobistico, ma come può usarlo uno
scienziato. La trasmissione culturale è analoga a quella genetica in quanto può dare origine a una
forma di evoluzione, nonostante sia sostanzialmente conservativa. Geoffrey Chaucer no potrebbe
tenere conversazione con un inglese di oggi, nonostante uno sia legato all'altro da una catena
ininterrotta di circa venti generazioni di inglesi ognuno dei quali potrebbe parlare a chi gli è
immediatamente vicino lungo questa catena, proprio come un figlio può parlare con suo padre. Il
linguaggi sembra “evolvere” per via non genetica e con una rapidità che supera di vari ordini di
grandezza quella dell'evoluzione genetica.
La trasmissione culturale non è un fenomeno proprio soltanto dell'uomo. Il migliore
esempio di cui sono a conoscenza in campo non umano è stato dato recentemente da P. F. Jenkins e
si riferisce al canto di un uccello, chiamato storno a schiena d'asino (Creadon carunculatus), che
vive nelle isole al largo della Nuova Zelanda. Sull'isola ove Jenkins condusse la sua ricerca
esisteva un repertorio complessivo di circa nove diversi canti e ogni maschio ne cantava solo uno,
o per lo meno pochi. I maschi potrebbero essere classificati in gruppi dialettali; ad esempio, otto
maschi, che costituivano un gruppo in cui tutti i territori erano confinanti, cantavano una canzone
particolare chiamata CC, mentre gli altri gruppi dialettali cantavano canzoni differenti. Talvolta i
membri di un gruppo avevano in comune più di una canzone. Confrontando i canti dei padri con
quelli dei figli, Jenkins dimostrò che i vari moduli del canto non erano stati ereditati per via
genetica. Ogni giovane maschio aveva molte probabilità di adottare per imitazione le canzoni dei
suoi vicini territoriali, analogamente a quanto avviene per i linguaggi umani.
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Durante quasi tutto il tempo in cui Jenkins si trattenne sull'isola, c'era un numero fisso di
canzoni, una specie di “pool di canti” da cui ogni giovane maschio traeva il suo piccolo repertorio.
Di quando in quando Jenkins ebbe però il privilegio di assistere “all'invenzione” di una nuova
canzone, il che avveniva per un errore compiuto nell'imitazione di una vecchia. Egli scrive: “È
stato dimostrato che la forma di una nuova canzone si origina in vari modi: per il cambiamento di
tonalità di una nota, per eliminazione o ripetizione di note e per combinazione di brani di altre
canzoni già esistenti. La comparsa della nuova forma era un evento improvviso e il prodotto si
manteneva piuttosto stabile per un certo numero di anni. Inoltre, in molti casi la variante era
accuratamente trasmessa nella sua nuova forma ai giovani principianti, per cui si sviluppava un
gruppo coerente, ben distinguibile, di cantori delle stesse canzoni”. Jenkins fa riferimento
all'origine di nuove canzoni come a “mutazioni culturali”.
Quindi il canto dello storno “a schiena d'asino” evolve davvero per via non genetica.
Esistono altri esempi di evoluzione culturale negli uccelli e nelle scimmie, ma si tratta solo di
interessanti stranezze. È la nostra specie a dimostrare realmente che cosa può fare l'evoluzione
culturale».
(R. Dawkins, cit., pp. 162-163).
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Letture consigliate
 Dawkins R., Il gene egoista (1976), Zanichelli, Bologna 1979.
 Dawkins R., Il fenotipo esteso (1982), Zanichelli, Bologna 1986
 Hölldobler B. e Wilson E. O., Il superorganismo. Bellezza, eleganza e stranezza
delle società degli insetti, Adelphi, Milano 2011
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