“LA COMUNICAZIONE CHE TRASFORMA LE SPECIE PROF

“LA COMUNICAZIONE CHE TRASFORMA
LE SPECIE”
PROF. ALESSANDRO VOLPONE
Università Telematica Pegaso
La comunicazione che trasforma le specie
Indice
1
QUALE COMUNICAZIONE TRASFORMA LE SPECIE? ---------------------------------------------------------- 3
2
TEORIA ORIGINARIA DI DARWIN ------------------------------------------------------------------------------------- 7
3
NEODARWINISMO --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
4
GRANDE SINTESI EVOLUZIONISTICA ------------------------------------------------------------------------------ 11
5
RISVOLTO INFORMAZIONALE DELL’IMPOSTAZIONE SINTETICA ------------------------------------- 16
LETTURE CONSIGLIATE -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Quale comunicazione trasforma le specie?
La comunicazione che trasforma le specie è qui intesa nel senso del continuo flusso
informazionale che i viventi continuamente scambiano nello spazio e nel tempo. Questa proprietà
può essere intesa (a) in senso sincronico, come interazione fra l’organismo e il suo ambiente
biotico e abiotico; oppure (b) in senso diacronico, come trasmissione di caratteristiche genotipiche
e fenotipiche (più o meno vantaggiose, oppure svantaggiose) nel corso delle generazioni.
Comunicazione come interazione
L’interazione comprende ciò che possiamo indicare come l’insieme di tutte le relazioni
ecologiche che ciascun organismo stabilisce. Tra queste vanno compresi quelle con l’ambiente
biotico, cioè i rapporti fra organismo e organismo, che possono risultare di tipo collaborativo o
competitivo. Esempi del primo tipo sono la socialità, oppure il mutuo aiuto fra consimili o fra
individui di specie differenti, come avviene nella savana fra zebre, bufali, gnu e altri erbivori per
darsi man forte contro i predatori, o altro. Esempi del secondo tipo sono la competizione
intraspecifica (fra consimili all’interno di una stessa specie, popolazione o comunità) oppure
interspecifica (fra specie differenti), per l’approvvigionamento di cibo, di acqua, e così via, oppure
riguarda i rapporti preda-predatore. Altro tipo di relazioni sono quelle instaurate con la variegata
compagine dei fattori ambientali abiotici fisici e chimici, oppure atmosferici, come temperatura e
siccità, oppure gelo, umidità, venti e così via, inclusi cataclismi naturali.
Gli esseri viventi, quindi, scambiano continuamente materia, energia e informazioni con
l’ambiente esterno, biotico o abiotico. E per tale ragione, secondo Ilya Prigogine (1917-2003) essi
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sono da considerarsi come dei «sistemi aperti». In termodinamica, i sistemi «isolati» non scambiano
alcunché con l’esterno, quelli «chiusi» solo energia, quelli «aperti» appunto materia ed energia, che
in parte può essere interpretata anche come informazione, se vi sono sistemi di decodificazione di
segnali materiali ed energetici. Prigogine, chimico fisico russo naturalizzato belga, Nobel per la
chimica nel 1977, si è occupato di irreversibilità e sistemi complessi. Per lui i viventi, in quanto
sistemi aperti, si configurano come «strutture dissipative», poiché conservano stazionarie le proprie
condizioni (temperatura corporea, assetto morfo-fisiologico, metabolismo, ecc.) dissipando materia
ed energia intorno a loro, nell’ambiente circostante.
Comunicazione come trasmissione
Gli esseri viventi si perpetuano nel tempo, semplicemente permanendo nel presente,
fintantoché sono ancora in vita, oppure riproducendosi, con varie modalità. In quest’ultimo caso,
essi trasmettono la propria informazione genetica nel corso delle generazioni. All’interno del
materiale ereditario è infatti contenuto il “libretto delle istruzioni” degli organismi, che si trasmette
perpetuandosi nel tempo, nonché nello spazio, finché la linea genealogica non si estingue. A ogni
riproduzione, il materiale ereditario si trasmette in forma tendenzialmente inalterata, visto che il
simile produce il simile, ma non mancano (i) errori di duplicazione e (ii) meccanismi di
ricombinazione.
(i) Gli errori sono perlopiù riparati da sistemi genetici di correzione del DNA, che però non
sono perfetti, perciò qualche errore può restare. (ii) Le ricombinazioni avvengono in maniera più o
meno organizzata, come per esempio attraverso il crossing-over che si ha durante la seconda
divisione meiotica, nel corso della formazione dei gameti (con scambio casuale di tratti di DNA fra
cromosomi omologhi); oppure attraverso il meccanismo della riproduzione a sessi separati, che
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integra elementi provenienti dal padre e dalla madre, per produrre un individuo terzo rispetto a
entrambi. Nell’un caso e nell’altro, non è esagerato affermare che ciascun individuo, dal punto di
vista genetico, è unico e irripetibile.
Interazione e trasmissione comunicativa
Si diceva, dunque, che la comunicazione nelle specie dei viventi può essere intesa come
segue:
– scambio interazionale d’informazioni (spazio)
– trasmissione informazionale (tempo e spazio)
In un caso o nell’altro, è chiaro che l’intero processo evolutivo può essere interpretato come
un processo comunicativo, sincronico e diacronico, di cui l’organismo è protagonista. E così è
accaduto. Il processo, ovviamente, è stato individuato e descritto in maniera differente a seconda
delle epoche e dei contesti storici, sociali e culturali.
Approcci diversi allo studio dell’evoluzione nel corso del tempo
Segue ora una rassegna sintetica delle forme che l’evoluzionismo ha assunto negli ultimi due
secoli, scandita secondo la tripartizione di seguito riportata.
– Teoria originaria di Darwin (seconda metà Ottocento)
– Neodarwinismo (fine Ottocento e inizi Novecento)
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– Teoria sintetica dell’evoluzione per selezione naturale, o Grande sintesi evoluzionistica
(seconda metà Novecento)
La prospettiva informazionale è emersa nella seconda metà del Novecento, sull’onda della
nascita della cibernetica (o teoria dell’informazione su base computazionale e matematica).
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2 Teoria originaria di Darwin
Charles Darwin (1809-1882) elaborò la sua teoria della discendenza con modificazione per
selezione naturale in numerose opere, fra cui soprattutto L’origine delle specie (1859), La
variazione degli animali e delle piante allo stato domestico (1868) e L’origine dell’uomo (1871).
L’idea di una “selezione” o “cernita” esercitata sugli organismi dalla natura sembra che venne a
Darwin pensando al lavoro compiuto da allevatori e coltivatori, che lui conosceva bene, nel
tentativo di migliorare piante e animali a scopo produttivo. Altro spunto gli fu fornito dalla dottrina
di Thomas R. Malthus (1766-1834), esposta nell’opera intitolata Saggio sul principio di
popolazione (1798), secondo cui in natura nascono molti più individui di quanti riescano a
sopravvivere. Di qui l’idea di una “lotta per l’esistenza” (struggle for life), che conduce a una
sopravvivenza differenziale: gli individui meglio adattati sopravvivono e lasciano più discendenti di
altri. Il successo riproduttivo fa sì che le loro caratteristiche diventino prevalenti nel corso delle
generazioni. E con ciò una specie si adatta alle proprie condizioni di vita biotiche e abiotiche.
Una selezione di individui tutti identici non ha senso. Perciò, la diversità (genetica) secondo
Darwin è uno dei due elementi di base del meccanismo evolutivo. La sua teoria prevede, infatti, due
fasi, variazione e selezione: la prima riguarda la genesi della novità evolutiva, la seconda consiste
nella selezione della novità generata.
Fase I: Variazione
Secondo le conoscenze dell’epoca in materia di ereditarietà, Darwin era convinto che
l’apparato riproduttivo fosse particolarmente “plastico” e sensibile a ogni cambiamento
dell’ambiente. La risposta automatica dell’organismo era la produzione fluttuante o casuale di
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variazione (fluctuating variation). La “casualità” implica l’idea che le variazioni emergenti non
hanno in sé un valore adattivo; cioè, esse non compaiono perché sono vantaggiose, né sono utili
all’organismo sin da principio. Il ragionamento va ribaltato: le variazioni che casualmente, appunto,
risultino utili all’organismo si conservano, mentre le altre no. Altre fonti di variazione per Darwin
erano l’incrocio (intra-specifico, cioè fra popolazioni e comunità differenti all’interno della stessa
specie), oppure la riproduzione in sé (specie quella sessuale), che ricombina i caratteri posseduti dai
genitori, nel senso indicato nel paragrafo precedente.
Dunque, essendoci costantemente cause di modificazione, sia in natura che allo stato
domestico, a suo parere la variazione è la norma e non l’uniformità. Secondo Darwin, per esempio,
«persino i semi cresciuti nello stesso baccello non sono sottoposti a condizioni assolutamente
uniformi, giacché estraggono il loro nutrimento da punti differenti».
Fase II: Selezione
Le variazioni generate nella fase della genesi della novità evolutiva sono discriminate
attraverso una selezione differenziale di individui nel corso della lotta per l’esistenza, che produce
l’effetto di favorire alcune caratteristiche da essi possedute. Gli organismi meglio adattati
sopravvivono (con minore difficoltà) e trasmettono le loro caratteristiche ai discendenti; e, se non
intervengono controtendenze selettive, le loro peculiari caratteristiche acquistano lentamente il
predominio numerico. Perciò, Darwin parla di una “discendenza con modificazione” (descent with
modification), la quale porta nel corso del tempo a una evoluzione delle specie.
L’evoluzione è lenta e graduale, a suo parere, poiché anche la più lieve differenza può
condurre a grandi differenze. Nell’Origine delle specie, leggiamo: «Il potere della selezione dipende
in modo assoluto dalla variabilità degli esseri organici. Senza variabilità non si produce effetto
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alcuno; tuttavia, per ottenere un effetto, bastano lievi differenze individuali, che probabilmente sono
le sole efficaci nella produzione di nuove specie».
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3 Neodarwinismo
Il neodarwinismo nasce con studiosi della prima generazione di darwinisti, fra cui in
particolare Alfred Russell Wallace (1823-1913), co-autore della teoria dell’evoluzione per selezione
naturale, e soprattutto con August Weismann (1834-1914), zoologo tedesco che opera una netta
distinzione fra plasma somatico e plasma germinale: l’uno è caduco, mentre l’altro si trasmette nel
corso delle generazioni.
Wallace, naturalista inglese e viaggiatore, ha il merito di aver concepito più o meno
contemporaneamente a Darwin, ma in modo del tutto indipendente, una teoria molto simile, nella
quale, però, il ruolo della selezione naturale è più preminente. Egli supponeva che le variazioni si
generassero negli organismi spontaneamente e autonomamente. Ciò ridimensionava il ruolo
dell’ambiente, sminuendone la relativa importanza ed esaltava quello della selezione.
Weismann, tedesco, era un biologo di laboratorio (embriologo e zoologo) che compì
esperimenti sulla ereditarietà degli organismi. Anche lui finì per convincersi che le variazioni si
generassero spontaneamente nei viventi, negando ogni ruolo all’ambiente.
Le modifiche apportate da questi e altri studiosi alla teoria dell’evoluzione per selezione
naturale, nel 1893 spinsero George J. Romanes (1848-1894), uno degli ultimi discepoli di Darwin, a
sottolineare la differenza rispetto alla teoria originaria mediante il conio del termine
“neodarwinismo”, definito come “un darwinismo senza l'influenza dell'ambiente".
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4 Grande sintesi evoluzionistica
La nascita della genetica, nel 1900, portò con sé l’idea che le nuove specie potessero nascere
mediante l’incrocio, o attraverso la ricombinazione o la mutazione spontanea dei patrimoni
ereditari. Questo genere di processi sembrava essere più veloce ed efficace rispetto alla lenta
selezione di piccole variazioni casuali; perciò, il darwinismo cadde in crisi. Sia la genetica
mendeliana sia quella cromosomica sembravano sconfessare la discendenza con modificazione
sostenuta da Darwin. Prevalsero, quindi, nuovi orientamenti evoluzionistici, come la teoria
mutazionista (Mutationstheorie) di Hugo de Vries (1848-1935), botanico olandese, uno dei
riscopritori delle leggi di Mendel (insieme ai botanici tedeschi Carl Correns e Erich von
Tschermak), secondo il quale improvvise macro-mutazioni avrebbero generato nel corso del tempo
nuove specie, portando a una evoluzione per salti, cioè senza anelli di congiunzione.
Nel frattempo, venne sviluppandosi la genetica di popolazioni, cioè l’applicazione dei
principi della genetica (mendeliana e morganiana) alle popolazioni naturali. Questa nuova
determinazione della scienza della ereditarietà dimostrò sul campo, non senza una certa sorpresa,
l’efficacia del meccanismo evolutivo darwiniano. Nelle frequenze alleliche relative al pool genico
delle popolazioni naturali vennero descritti diversi cambiamenti legati a forze selettive. Quello più
noto è il caso della falena Biston betularia, diffusa nelle campagne inglesi. Ebbene, nelle zone
maggiormente industrializzate fu possibile provare che le varianti melaniche della specie (cioè
quelle più scure) prendevano il sopravvento, probabilmente a causa dell’inquinamento, che portava
all’annerimento dei tronchi degli alberi sui quali questi insetti si rifugiano durante il giorno. Le
varianti chiare, dunque, venivano più facilmente individuate e uccise dai predatori, mentre quelle
scure, probabilmente, lussureggiavano, a causa di questa pressione selettiva.
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Oltre che dalla genetica, altre conferme al darwinismo giunsero nelle prime decadi del XX
secolo da altre discipline biologiche, tra cui la sistematica botanica e zoologica, la biogeografia, la
paleontologia e così via. Pertanto, si pensò a una sorta di “sintesi” di conoscenze e scoperte che
emergevano nei settori d’indagine. Nacque così la cosiddetta “teoria sintetica dell’evoluzione per
selezione naturale”, o più semplicemente “sintesi evoluzionistica”. L’espressione (evolutionary
synthesis) risale a un libro del noto biologo inglese Julian S. Huxley, intitolato Evolution: the
Modern Synthesis, del 1942. Questa “sintesi” consistette quindi in un vasto accordo raggiunto,
intorno alla metà del ‘900, fra cultori di discipline biologiche diverse, in materia di evoluzione dei
viventi.
Nella storiografia scientifica si suole ritenere che l’elaborazione della teoria sintetica
dell’evoluzione ebbe quattro componenti principali, le quali definirono anche quattro fasi temporali
distinte.
 La prima pose le premesse in campo naturalistico per la comprensione dei meccanismi della
speciazione: la distribuzione geografica delle specie sul pianeta, per esempio, sembrava
confermare una comune origine filetica dei vari gruppi tassonomici, corrispondente, fra
l’altro, alle dinamiche della deriva dei continenti.
 La seconda prese avvio alla fine degli anni Venti e consistette nella nascita della genetica di
popolazione, di cui prima s’è detto.
 La terza fase fu quella della costruzione teorica della teoria sintetica, che coprì gli anni
Trenta e Quaranta. Questi decenni furono costellati di ricerche e pubblicazioni in vari settori
delle scienze della vita aventi come obiettivo quello di integrare i risultati della genetica con
l’evoluzionismo darwiniano, innestando su nuove basi la teoria dell’evoluzione per
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selezione naturale – concepita questa volta come the genetical theory of evolution by natural
selection.
La quarta vide la diffusione e il consolidamento della teoria, a partire da un famoso
congresso tenutosi a Princeton (NJ), nel 1947, dal titolo: “Genetics, Paleontology and Evolution”.
Esso sancì un’ampia intesa, sin dall’argomento dell’incontro, che mette appunto a confronto la
ricerca biologica di micro-livello, laboratoriale e sperimentale con quella riguardante il macrolivello, o il versante ambientale e di storia naturale.
Il comune consenso si fondò su alcuni principi di base, tra cui i seguenti.
A. Prevalse innanzitutto un ideale quantitativo, osservativo e sperimentale, a cavallo fra caso
(mutazione) e determinismo (selezione). In pratica, venne ripresa la vecchia idea di casualità
fluttuante darwiniana, ma, anziché attribuire un ruolo all’ambiente, si procedette – come nel
neodarwinismo – all’individuazione di fattori interni di variazione casuale, che furono
rintracciati nelle mutazioni a livello di geni e cromosomi. Alla fine, quindi, sono state
ripristinate le due fasi della variazione fluttuante e della selezione: la sopravvivenza del più
adatto e il successo riproduttivo differenziale stabiliscono in via deterministica il destino
della novità evolutiva sorta casualmente.
B. Aspetto condiviso nella teoria sintetica fu quello di gradualità dell’evoluzione: mutazioni e
ricombinazioni individuali di piccola entità possono essere favorite o sfavorite dalla
selezione naturale; altrettanto, nei passaggi filetici è possibile riscontrare forme di
transizione, sebbene non si tratti sempre di anelli di congiunzione o di stadi intermedi. Il
cambiamento graduale, secondo i biologi sintetici, era particolarmente visibile soprattutto
nelle successioni di specie di una medesima linea filetica: alquanto nota è divenuta ad
esempio nell’evoluzione del cavallo la ricostruzione di forme fossili successive nelle quali la
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zampa vede anchilosarsi la condizione delle dita del piede in tre blocchi ispessiti, in due e
poi in un unico zoccolo indurito. Altre successioni note sono quella relativa ai palchi
dell’alce, o quella relativa alla gobba del dromedario, e così via.
C. Altro punto da segnalare è l’attenzione prestata dai biologi della sintesi alla popolazione
naturale: essa fu considerata come l’unità evolutiva fondamentale: gli individui sono il
bersaglio della selezione, ma specie incipienti sono le popolazioni. In altri termini, ciò che
evolve nei diversi areali di distribuzione delle specie viventi non è l’intera specie, ma le
popolazioni che occupano i singoli areali, le quali possono isolarsi dal punto di vista
riproduttivo e “speciare”, cioè divenire nuove specie. Di primaria importanza, dunque,
divenne la distribuzione delle frequenze dei geni all’interno dei pool genici delle
popolazioni naturali, perché la loro variazione diviene o può divenire il segno tangibile di un
inizio di cambiamento evolutivo, nel caso si riesca al contempo a dimostrare l’esistenza di
pressioni selettive in atto.
Quest’ultimo aspetto determinò un differente assetto epistemologico della «nuova» teoria
dell’evoluzione per selezione naturale, in quanto la genetica venne ad assumere una certa posizione
di preminenza rispetto ad altre discipline. Si è ritenuto, quindi, di poter collocare alla base della
teoria sintetica dell’evoluzione dei viventi un principio analogo alla prima legge di Newton della
meccanica – che è del tipo: se niente accade, allora tutto resta com’è. Si tratta del cosiddetto
“principio di Hardy-Weinberg”, definibile come segue:
la composizione del pool genico delle popolazioni naturali rimane invariata da una
generazione all’altra se non intervengono fattori capaci di spostare al suo interno le frequenze
relative dei geni.
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La selezione naturale è solo uno di questi fattori, quantunque il più importante. Altri fattori
possono essere, per esempio, il cosiddetto “flusso genico estraneo”, quando una popolazione
sconfina nell’areale di un’altra popolazione della medesima specie e qui si stabilisce: i due rispettivi
pool genici si fondono alterando alcune precedenti frequenze alleliche, mediante la riproduzione
incrociata di individui appartenenti all’una e all’altra popolazione. Inoltre, modificazioni delle
frequenze geniche possono avvenire in maniera del tutto casuale, mediante la cosiddetta “deriva
genetica” (genetical drift), che, però, in quanto fenomeno statistico, si suppone possa divenire
significativa perlopiù in piccole popolazioni isolate dal punto di vista dell’areale geografico.
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5 Risvolto informazionale dell’impostazione
sintetica
Va da sé che con la nuova impostazione – nella quale il pool genico è preminente, anziché
l’individuo, come in Darwin – più di uno studioso della teoria sintetica abbia pensato ad analogie
con la cibernetica, o teoria dell’informazione. I flussi genici che si alterano, per questo o quel
fattore di cui sopra, possono essere paragonati a treni di informazione che attraversano la struttura e
la fisiologia della popolazioni naturali, nonché i loro comportamenti. Eccone un riscontro nelle
parole degli stessi protagonisti.
Theodosius Dobzhansky (1900-1975), per esempio, genetista e uno dei principali fautori
della sintesi moderna, ha scritto:
«La selezione naturale costituisce un collegamento tra il pool genico e l’ambiente. Può
essere paragonata a un servomeccanismo in un sistema cibernetico formato dalla specie e dal suo
ambiente. Metaforicamente, si può dire che l’informazione sugli stati dell’ambiente è trasmessa e
immagazzinata nell’insieme del pool genico e in particolari geni»
(T. Dobzhansky Chance & Creativity in Evolution, 1974).
Qualche anno dopo, a queste affermazioni fanno eco quelle di Richard C. Lewontin (19001975), genetista harvardiano, discepolo di Dobzhansky:
«Quando in una popolazione cambia la frequenza dei tipi per opera della selezione
naturale, tale cambiamento può essere considerato, metaforicamente, come l’accumulazione di
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informazione sull’ambiente della struttura della popolazione. Mentre la selezione crea ordine nel
pool genico, la mutazione è un processo casuale che introduce rumore»
(R. Lewontin, Evolution, 1979).
Lewontin prosegue:
«Il rumore della mutazione, tuttavia, è ancora più importante [dell’ordine], perché
provvede la variazione necessaria per immagazzinare nuova informazione sull’ambiente che
cambia. In questo modo mutazione e selezione, che sono forze contraddittorie in un modo statico,
diventano aspetto dello stesso processo di adattamento in un modo dinamico»
(Ibidem).
Nella seconda metà del Novecento, dunque, vi sono state varie utilizzazioni di modelli
informazionali nello studio dell’organizzazione biologica e, come si vede, l’evoluzionismo non ha
fatto eccezione.
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Letture consigliate
 Darwin C., L’origine delle specie (1859), a cura di G. Pancaldi, Il Mulino, Bologna
2009
 Futuyma D. J., Biologia evoluzionistica, Zanichelli, Bologna 1985
 Mayr E., Un lungo ragionamento, Bollati Boringhieri, Torino 1994
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