FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA TRATTAMENTO CHIRURGICO DEI TUMORI STROMALI DEL TRATTO GASTRO-ENTERICO: ONCOLOGICI FATTORI PROGNOSTICI PRE E POST “IMATINIB ERA”. CANDIDATO: POLDI DAVIDE MATRICOLA 598788 RELATORE: PROFESSOR ANDREONI BRUNO CORRELATORE: PROFESSOR CHIAPPA ANTONIO COSTANZO ANNO ACCADEMICO 2005-2006 INTRODUZIONE Quando si parla di tumori stromali gastro-intestinali (GIST) si fa riferimento a una particolare forma di neoplasia che in anni recenti ha destato grande interesse tra i patologi e nella comunità degli oncologi per la possibilità di utilizzo di una terapia target mirata a cui i GIST sono particolarmente sensibili. I GIST presentano un’ incidenza di 1,5/2 casi ogni 100.000: le sedi di insorgenza nel tratto gastrointestinale presentano percentuali che variano dal 50-60% nello stomaco, 30% nell’intestino tenue e 10% complessivamente nel grosso intestino e nel retto. Meno frequente è il riscontro al di fuori del tratto gastrointestinale: peritoneo, retroperitoneo, cavità addominale, omento. I GIST insorgono generalmente dopo i 50 anni, in media a 55 anni, e sono raramente riscontrati nei giovani adulti. Essi rappresentano il 2,2% delle neoplasie gastriche, il 14% delle neoplasie del piccolo intestino e lo 0,1% di quelle del grosso intestino. La sede di insorgenza non è di per sé predittiva del comportamento della neoplasia, anche se quelle gastriche sono più frequentemente a basso rischio di malignità. Istogenesi e meccanismi di alterazione di KIT nei GIST Opinione condivisa dalla maggior parte dei patologi è che i GIST originino dalle cellule interstiziali di Cajal presenti nel tratto gastrointestinale in corrispondenza dei gangli nervosi dei plesso 2 mioenterico di Auerbach a cui si attribuiscono funzioni di cellule pacemaker in grado di coordinare l’attività peristaltica del sistema gastrointestinale. KIT è un recettore tirosin-chinasico codificato dal proto-oncogene situato sul braccio lungo del cromosoma 4 (4q11-q12) ed è costituito da 21 esoni. Questo gene, conosciuto come c-kit, è l’omologo cellulare dell’oncogene v-kit del virus del sarcoma felino di Hardy-Zuckerman. L’espressione di KIT è stata osservata in vari tipi cellulari durante lo sviluppo embrionale e in cellule differenziate è stato osservato particolarmente espresso nelle cellule interstiziali di Cajal. 3 Strutturalmente, KIT è un recettore tirosin-chinasico di tipo III, simile ai recettori del fattore di crescita delle piastrine, il PDGFR: tutti questi recettori possiedono cinque ripetizioni extracellulari immonoglobulinosimili e un dominio tirosin-chinasico separato in due porzioni dall’inserzione di una sequenza di lunghezza variabile a seconda del recettore. Fisiologicamente il recettore viene attivato dallo specifico ligando che è conosciuto come SCF. Questo legame che avviene nella porzione di recettore extracellulare, causa una omodimerizzazione di KIT, ossia rende possibile che due recettori si appaino sulla membrana citoplasmatica della cellula. A questo punto, il recettore è in grado di autofosforilarsi sui residui intracellulari di tirosina e, quindi, di attivarsi come tirosin-chinasi, che trasferisce i gruppi fosfato dell’ATP ai residui tirosinici di proteine bersaglio che a loro volta vengono così attivati. La cascata di traduzione del segnale fino al nucleo coinvolge molte proteine, come le MAP chinasi, le PI3 chinasi, STAT5, RAS e JAK2, AKTmTOR, implicate nella proliferazione e differenziazione cellulare promossa a monte da KIT. In assenza di legame con SCF, il recettore è una proteina transmembrana monomerica enzimaticamente inattiva, ossia non “pronta” stericamente a omodimerizzare e successivamente ad autofosforilarsi. Nel 1998, Hirota e coll. hanno documentato non solo l’aumentata espressione di KIT nei GIST, ma anche la presenza di mutazioni a 4 livello del dominio iuxtamembrana (esone 11) del gene KIT in cinque di sei pazienti (83%) affetti da questi tumori. Questi recettori KIT codificati dal gene mutato hanno attività chinasica costitutiva, cioè risultano fosforilati indipendentemente dalla presenza del ligando SCF. Molto interessantemente, questi KIT mutati se espressi in cellule Ba/F3, sono in grado di conferir loro un fenotipo tumorale, cosa che non sussiste se viene espresso un KIT normale, non mutato. Questi risultati suggeriscono pertanto che l’attivazione oncogenica di KIT riveste sicuramente un ruolo fondamentale nella crescita e nella sopravvivenza dei GIST. La regione iuxtamembrana, codificata dalla porzione di DNA corrispondente all’esone 11, ha la funzione di inibire la dimerizzazione del recettore in assenza dello specifico ligando. E’ in questa regione che si trova infatti un dominio proteico chiamato di “autoinibizione” che in assenza di SCF mantiene il recettore in uno stato conformazionale non adatto a legare ATP. Mutazioni in questa regione impediscono questa funzione, cambiano la conformazione del recettore che diventa “prono” al legame con ATP, permettendo attivazione del recettore anche in assenza del proprio ligando. Alterazioni nell’esone 11 sono molto frequenti tanto che questo esone è considerato il maggior hot spot di alterazioni del gene KIT. Altra regione che può essere alterata in questi tumori, anche se meno frequentemente, è la porzione extracellulare codificata dall’esone 9 e 5 responsabile della omodimerizzazione del recettore. Lux e coll. hanno descritto per primi una mutazione a livello di questo dominio di KIT in 6 GIST che presentavano un esone 11 wild type, cioè senza mutazioni. Si trattava della duplicazione dei codoni 501-502 (alanina-tirosina). Su 127 GIST maligni analizzati in un lavoro di Heinrich e coll. del 2003, 23 (18,1%) presentavano mutazioni dell’esone 9. Solo una mutazione (duplicazioni codoni 506-508) era differente dalla duplicazione 501-502 descritta in precedenza. Il 95% dei GIST che presentano mutazioni di questo esone sono intestinali. Il meccanismo di azione delle mutazioni dell’esone 9 non è stato ancora determinato, anche se si suppone che alterazioni strutturali in questa regione provochino una dimerizzazione aspecifica senza che il ligando sia presente. Ulteriori studi modellistica proteica potrebbero essere di aiuto nel capire questo fenomeno. Altre regioni che sono state trovate alterate nei GIST sono le porzioni di proteina codificate dall’esone 13 e 17, che costituiscono il dominio chinasico del recettore, la tasca ove alloggia l’ATP che deve così cedere il suo gruppo fosfato al recettore fosforilandolo e rendendolo attivo. In particolare le mutazioni l’activation loop del recettore (esone 17) sono molto rare nel GIST. Rubin e coll. hanno evidenziato due sostituzioni di singolo amminoacido (N822K e N822H), ciascuna in un solo paziente. Su 322 tumori esaminati da Heinrich e coll in un lavoro del 2003, solo 2 (0,6%) presentavano la mutazione N822K. La sostituzione D802Y è stata riportata in alcuni GIST familiari, ma non è 6 mai stata osservata in forme sporadiche degli stessi tumori. Mutazioni in questi due esoni determinano attivazione costitutiva del dominio chinasico, ma il meccanismo attraverso cui ciò avviene non è ancora noto. A seconda della porzione di recettore che è alterata, si possono quindi suddividere le varie mutazioni in regolatorie (esoni 11 e 9) in quanto alterano regioni con siti di regolazione della forma/struttura del recettore, e mutazioni enzimatiche (esoni 13 e 17) in quanto il, dominio chinasico, sito ove avviene la reazione di fosforilazione, viene ad essere perturbata. Ed è in questi termini che risulta chiara come la diversa risposta ad un farmaco, che compete con ATP proprio nel sito catalitico del recettore, sia relata a questi diversi tipi di mutazioni. È noto che i GIST rispondono clinicamente ed anche patologicamente ad una molecola chiamata Imatinib, conosciuta anche come STI571. Questo composto è un inibitore di alcune tirosin-chinasi, tra le quali le chinasi intracellulari ABL e la proteina di fusione BCR-ABL presente nella CML ed i recettori con attività tirosin-chinasica KIT e PDGFR. Imatinib è nato da varie modificazioni chimiche di un composto della classe delle 2-fenilaminopirimidine che presentava debole attività inibitoria delle serin/treosin e tirosin-chinasi. Questo composto è stato utilizzato per la sintesi di una sostanza che potesse avere una forte funzione inibitoria specifica per le tirosinchinasi. 7 La perdita del potere inibitorio verso le serin/treonin chinasi è stata ottenuta con sostituzione a livello della posizione 6 dell’anello anilinofenilico, mentre l’introduzione di un gruppo metilico in questa posizione ha potenziato l’attività inibitoria tirosin-chinasica della molecola. L’inibizione del recettore PDGF è stata ulteriormente aumentata con l’introduzione di un gruppo benzamidico sull’anello fenilico. Infine, l’introduzione di N-metilpiperazina come catena laterale polare ha migliorato la solubilità del principio attivo e la sua biodisponibilità per somministrazione orale. Il risultato di queste varie modificazioni ha dato origine a STI571-imatinib, un antagonista competitivo dell’ATP che, legandosi con alta affinità ai suoi domini di legame, blocca il trasferimento di gruppi fosfato dall’ATP stesso ai residui tirosinici sulle proteine substrato, impedendo in questo modo la trasduzione del segnale. Quindi nella terapia molecolare “mirata” (targeted therapy) viene impiegato un farmaco in grado selettivamente di bloccare un punto della deregolazione pathway patogenetico. Più il farmaco si adatta perfettamente all’alterazione che provoca la deregolazione, più efficace sarà la risposta clinica. E i GIST perfettamente ricalcano questo modello. Imatinib compete molto bene con ATP nel legare il dominio chinasico di un recettore KIT attivato da mutazioni dell’esone 11 meno bene con mutazioni nell’esone 9, e risulta praticamente inefficace se KIT risulta attivato da mutazioni nell’esone 13 o 17 (che 8 costituiscono il dominio chinasico) in quanto, proprio perché mutato viene a mancare l’ambiente adatto affinché Imatinib si possa legare. Risulta quindi fondamentale capire quale sia il meccanismo di attivazione del recettore al fine di poter disegnare al meglio la terapia partendo dalla scelta della molecola che più efficacemente è in grado di bloccare quella determinata mutazione. Recentemente è stato dimostrato che nei GIST un altro recettore tirosin-.chinasico può essere alterato: il PDGFRA. È stato osservato che le mutazioni attivanti sono mutuamente esclusive, ossia se muta KIT non muta PDGFRA. È infatti, l’analisi del DNA genomico di GIST col KIT wild type ha permesso di identificare una serie di mutazioni a livello del dominio iuxta-membrana (esone 12) e dell’activation loop (esone 18) del gene codificante per PDGFRA. Clonate e transfettate in linee cellulari le isoforme mutate risultano essere costitutivamente fosforilate anche in assenza di PDGF-AA (ligando di PDGFRA): questo dato confermerebbe l’ipotesi dell’attivazione oncogenica. Generalmente la morfologia dei GIST con mutazioni in PDGFRA è epitelioide e molti di questi tumori non esprimono KIT o sono debolmente positivi per la colorazione immunoistochimica specifica. In compenso, i profili di trasduzione del segnale sono indistinguibili da quelli attivati da GIST mutati in KIT: questo dato suggerisce che PDGFRA potrebbe essere un oncogene alternativo a KIT e anche una 9 loro eterodimerizzazione potrebbe essere possibile. Anche PDGFRA attivato da mutazione nell’esone 12 è responsivo a Imatinib, mentre non lo è se attivato da mutazioni nell’esone 18. Ultimamente sono stati descritti casi di GIST che dopo un’iniziale risposta al farmaco sviluppano resistenza ad Imatinib. L’analisi molecolare di questi tumori ha dimostrato come causa di resistenza secondaria al farmaco la presenza di mutazioni aggiuntive a carico del gene KIT che vanno a distruggere la perfetta adattabilità di Imatinib nel dominio chinasico. Queste mutazioni in altre parole cambiano la conformazione del recettore che non è più in grado di essere legato da Imatinib mentre continua ad essere legato da ATP, attivando perciò pathway patologico responsabile della crescita e proliferazione neoplastica. È stato però dimostrato come molecole analoghe a Imatinib siano in grado di funzionare e di bloccare la fosforilazione di questi recettori resistenti. Criteri nella diagnosi di GIST La maggioranza dei GIST mostra non equivoca, diffusa, forte positività citoplasmatica con l’anticorpo CD117 (c-KIT). La maggioranza dei GIST presenta positività al KIT nel 90% delle cellule tumorali, una piccola minoranza presenta colorazione focale ristretta a <20% delle cellule tumorali. Se il significato di tale ridotta 10 positività ai fini terapeutici non è chiaro, può sussistere nel campionamento di piccoli frammenti bioptici il problema di reperti falsi negativi. La distribuzione e l’intensità della immunoreazione per KIT non è correlata al pattern istologico, alla sede di insorgenza della neoplasia, al potenziale di malignità tumorale o alle caratteristiche della stessa, primitiva o metastatica. Il criterio di immunoreattività con CD117 non è l’unico elemento utile nel formulare la diagnosi istopatologica di GIST: infatti è stato sottolineato come i tumori che non presentano i caratteri morfologici dei GIST anche in presenza di reattività con c-KIT non debbano essere denominati GIST, e altresì che i rari tumori (dal 5 al 10% secondo le casistiche) che hanno caratteri morfologici ed ultrastrutturali di GIST ma che per una ragione o per l’altra non si colorino con c-KIT dovrebbero essere nondimeno definiti GIST. In questi casi l’approfondimento con analisi molecolare delle mutazioni di KIT dovrà essere associato all’analisi della mutazione della tirosinchinasi PDGR-ά presente in circa un terzo dei casi di KIT wild type. Sono riportati in letteratura casi di GIST immunofenotipicamente KIT positivi pur in assenza di mutazioni di KIT o di PDGFR-ά in pazienti portatori di specifiche alterazioni genetiche come al MF-1 e la triade di Carney. Nell’evenienza di neoformazioni morfologicamente diverse dai GIST con dubbia KIT-positività (ad esempio la fibromatosi mesenterica), 11 particolare cura va posta nella interpretazione della reazione immunoistochimica e all’impiego corretto dell’antisiero senza il ricorso a tecniche di smascheramento antigenico. Il 70% dei GIST presentano un pattern di proliferazione a cellule fusate, mentre i restanti presentano cellule tumorali con aspetto epitelioide (20%) o misto (10%). L’aspetto epitelioide è più comune nei tumori a differenziazione muscolare (il 30-40% è immunoreattivo con l’actina muscolare liscia) e sembra essere più frequentemente associata a mutazione di PDGFRά. I GIST con aspetti di differenziazione neurale sono in genere costituiti da cellule fusate che crescono con disposizione fascicolata, a palizzata o a formare vortici. La deposizione di collagene amorfo extracellulare eosinofilo (immunoreattivo al collagene tipo VI) definito come fibre schenoidi, generalmente è presente nei GIST ileali di solito associato alla differenziazione neurale. Caratteri morfologici più inusuali comprendono la matrice mixoide prominente, cellule tumorali tipo signet-ring cell, aspetti paraganglioma-like o cellule multinucleate simil-osteoclastiche. I markers immunoistochimici da utilizzare in un ideale pannello di anticorpi comprendono oltre il CD117, actina, S-100 ed il CD34 (presente nel 60-70% dei GIST). 12 Rara è l’espressione di desmina (utile nella diagnosi differenziale con i leiomiosarcomi) e anche raro è il riscontro di positività alle citocheratine. Parametri utili ai fini prognostici E’ ben nota ai patologi la difficoltà di predire con assoluta certezza la prognosi nei tumori stromali del tratto gastrointestinale. Ad oggi gli unici elementi di certezza ci pervengono da dati clinici che possiamo così riassumere: a. qualsiasi GIST può comportarsi in modo maligno; b. la metà dei GIST localizzati al momento della diagnosi e completamente asportati presentano recidive entro i primi cinque anni dall’intervento chirurgico. Numerosi sono i fattori prognostici studiati o ancora soggetti al vaglio dei ricercatori. Pattern morfologico: in uno studio condotto su un campione di pazienti con follow-up di 60 mesi è stata riportata una prognosi significativamente più sfavorevole in pazienti con GIST ad aspetto epitelioide. Ulcerazione e invasione della mucosa: l’ulcerazione della superficie endoluminale dello stomaco e dell’intestino è comune evenienza nei GIST determinando di conseguenza sanguinamento (frequente sintomo di esordio nei GIST). Non è un parametro di utilità 13 prognostica. Altresì l’invasione della mucosa è stata osservata nei GIST correlarsi alla malignità. Marker immunoistochimici: espressione di KIT, CD34 e differenziazione muscolare o nervosa non sembrano avere alcun valore prognostico. Indici di proliferazione: la presenza di nuclei tumorali immunoreattivi al Ki-67 superiore al 10% sembra associarsi ad un elevato rischio di metastasi e a prognosi infausta. Altri autori non hanno rilevato significative differenza tra la conta delle mitosi e l’indice proliferativi fornito dal MIB-1 o dal Ki-67. Sede: la valutazione della sede di insorgenza dei GIST è fonte di controversia ancora irrisolte; a fronte di un gran numero di casi di GIST del piccolo intestino ad alto rischio, i GIST gastrici appaiono gravati percentualmente da un grado di rischio complessivamente più basso a parità di dimensioni e di conta mitotica nella neoplasia. I rari GIST esofagei sono anch’essi gravati da prognosi sfavorevole. I GIST extragastrointestinali sono gravati da alta mortalità ( soprattutto al mesentere e al retroperitoneo). Nonostante la messe di dati sostanzialmente a favore di una distinzione in base alla sede di insorgenza dei GIST, i criteri elaborati nella Consensus Conference di Bethesda si applicano a tutti i GIST indipendentemente dalla sede di origine. La suddivisione in quattro categorie di rischio (very low, low, intermediate, e high) è formulata in base alle dimensioni (diametro 14 massimo della neoplasia in centimetri) e alla conta delle mitosi effettuata in 50 high-power fields (HPF). Tabella 1 Il vantaggio di questa valutazione consiste nell’introduzione delle categorie di rischio che risultano, se pur in un campo di valutazione probabilistico, senz’altro più fondate (o approssimate al vero) di quanto non fosse la distinzione in benigno o maligno. Di recente, grossa attenzione è stata riposta nella validazione di parametri molecolari attendibili ai fini prognostici: il tipo di mutazione di KIT, oggetto di numerosi studi talora in contraddizione tra loro, ultimamente ha evidenziato che mutazioni dell’esone 9 identificano un subset di GIST localizzati soprattutto nel piccolo intestino e associati a prognosi sfavorevole. Senz’altro l’analisi mutazionale di KIT è di maggiore significato nel predire la risposta del tumore alla terapia con imatinib mesylate. Di rilievo sembra essere il significato della ridotta o assente 15 espressione della proteina p16 correlata ad un andamento aggressivo dei GIST. La considerazione che anche i GIST ad alto rischio hanno decorso lento con recidive peritoneali o metastasi a distanza anche 10 o 15 anni dopo l’insorgenza, fa ritenere indispensabile per tutti i pazienti un follow-up a lungo termine. Modificazioni da targeted therapy Il meccanismo competitivo con cui Imatinib agisce entrando nella tasca dell’ATP in corrispondenza del sito enzimatico della molecola recettoriale tirosinchinasica e, impedendo il legame, inibisce la fosforilazione del recettore, è alla base di tutte le modificazioni che il patologo incontra nell’osservare i GIST asportati o biopsiati dopo terapia. I meccanismi molecolari alla base della risposta al farmaco sono complessi e non ancora interamente delucidati, ma l’induzione dell’apoptosi nelle cellule tumorali e il blocco della proliferazione sembrano svolgere un ruolo. La risposta del tumore e talora presente dopo poche settimane di terapia; i riscontri istologici eseguiti sui pazienti in cui iniziava la resistenza secondaria al farmaco hanno evidenziato quadri di completa risposta con sclerojalinosi e talora presenza di debris nucleare e di corpi apoptotici in assenza di residuo tumorale vitale. L’assenza di cellule immunoreattive al KIT conferma tale dato morfologico peraltro già evidenziato fin dal primo caso riportato in letteratura relativo al primo paziente sottoposto alla terapia. 16 L’alternarsi di aree di risposta a noduli comprendenti cellule tumorali vitali testimonia il presentarsi dei fenomeni di resistenza in parte analoghe a quelli già noti nei pazienti sottoposti a imatinib nella leucemia mieloide cronica. Recentemente è stato dimostrato come il verificarsi di una seconda mutazione di KIT insorta durante la terapia induca resistenza secondaria al farmaco. Metodi e pazienti Pazienti: la raccolta dati dei pazienti affetti da GIST è stata possibile grazie all’utilizzo dei database degli ospedali. Sono stati raccolti i dati riguardo pazienti che hanno avuto una diagnosi istopatologica di leiomioma, leiomioblastoma, leiomiosarcoma, e tumori stromali del tratto gastroenterico dal 1994 all’Ottobre 2004. Tutti questi pazienti hanno subito un trattamento chirurgico del tumore. I pazienti sono stati catalogati in base all’età, sesso, sintomi clinici presenti al momento della diagnosi quali dolore addominale, anemia, massa addominale palpabile, tipo di tumore, diametro massimo della massa, durata dell’intervento chirurgico, estensione della resezione chirurgica, presenza o insorgenza di metastasi a distanza. I pazienti inclusi sono stati seguiti dalla prima visita fino al completamento del follow up o al decesso quando avvenuto. 17 Non esisteva un protocollo da seguire: sono stati inseriti tutti gli esami di stadiazione quali RX del torace, TC torace-addome-pelvi, ecoendoscopia del tratto gastrointestinale dove necessario. Le analisi statistiche sono state elaborate con il software SPSS 12.0 (Chicago, IL, USA). Student’s t test è stato utilizzato per confrontare le variabili continue, il chi-quadrato test è stato impiegato per analizzare le variabili dicotomiche. La sopravvivenza è stata calcolata a partire dal giorno della diagnosi fino alla morte o sino all’ultimo giorno di followup. La sopravvivenza disease-free è stata calcolata dalla prima diagnosi fino alla recidiva tumorale o alla comparsa di metastasi a distanza. Le analisi Kaplan-Meier con test log-rank sono state utilizzate per comparare la sopravvivenza totale e la sopravvivenza diseasefree. La Cox proportional hazard method è stata utilizzata per la valutazione dei fattori prognostici. Immunoistochimica I campioni tumorali sono stati esaminati utilizzando diversi marker immunoistochimici: • anticorpi commerciali contro il CD117-KIT (1:50 Santa Cruz Biotech, CA, USA) • proteina S-100 (1:40, Noavacastro Labs, USA) • Desmina (1:50 DAKO); Astina del muscolo liscio (1:300 DAKO) 18 Sono state eseguite valutazioni qualitative di immunoreattività conformemente alle disposizioni dei laboratori produttori (casa farmaceutica e/o produttore). Risultati: Sono stati analizzati tessuti derivanti dall’asportazione chirurgica di 61 pazienti. Tutti sono risultati positivi al CD117 all’analisi di immunoistochimica. Tutti i pazienti erano affetti da tumore primario; solo 3 su 61 pazienti (5%) presentavano metastasi epatiche sincrone. 29 uomini e 32 donne di età media 60 anni (range 23-86). Il tumore era localizzato nello stomaco in 41 casi (67%), nel piccolo intestino in 14 casi (23%), nel colon in 4 casi (5%), nel duodeno in 2 casi (3%) nel retto in 1 solo caso (2%). I sintomi più frequenti al momento della diagnosi erano il sanguinamento ed il dolore addominale in 11 pazienti (18%), senso di pesantezza addominale e/o imbarazzo in 7 pazienti (11%). 20 pazienti (33%) presentavano un quadro di anemia al momento della diagnosi, 15 pazienti (26%) presentavano all’esame obiettivo una massa addominale palpabile. Per 6 pazienti (10%) asintomatici il riscontro di GIST è stato occasionale durante l’esecuzione di esami strumentali eseguiti di routine. Nella tabella 2 vengono mostrati i diversi tipi di trattamento chirurgico a cui sono stati sottoposti i pazienti presi in esame. L’unico paziente con GIST localizzato a livello gastrico con singola metastasi epatica 19 sincrona al III segmento epatico è stato sottoposto a wedge resection del III segmento e a resezione gastrica. Le complicanze post-operatorie sono state in 1 caso emorragia gastrointestinale, in un altro leakage duodenale che ha portato ad un secondo intervento chirurgico. Si è avuto un caso di sepsi da batteriemia da catetere. Mortalità perioperatoria nulla. La valutazione anatomo-patologica dei pezzi operatori mostrava un diametro massimo medio del tumore di 5,3 cm (range 0,6-38 cm). 10 tumori (16%) avevano un diametro massimo < 2 cm, 19 (31%) tra 2-5 cm, 17 (28%) tra 5-10 cm, e 15 (25%) >10 cm. La conta mitotica fu < 5/50 per HPF in 37 casi (61%), tra 5-10/50 per HPF in oltre 6 casi (10%) e >10/50 HPF in 18 casi (28%). L’ulcerazione del tumore venne osservata in 42 casi (69%) l’emorragia in 15 casi (25%) e necrosi tumorale in 17 casi (28%). 6 pazienti (10%) furono sottoposti ad intervento chirurgico palliativo a causa del sanguinamento tumorale condizionante un severo quadro di anemia. 3 pazienti presentavano metastasi epatiche sincrone trattabili chirurgicamente ed altri 3 presentavano una massa intraddominale non resecabile. In accordo con i criteri della NIH Consensus Conference 10 pazienti (16%) risultavano appartenere alla classe a bassissimo rischio, 15 20 (25%) alla classe a basso rischio, 7 (11%) alla classe rischio intermedio e 29 (48%) alla classe ad alto rischio. Dei 61 pazienti trattati chirurgicamente 55 (90%) hanno subito una resezione chirurgica radicale (R0). Tab. 3 La sopravvivenza complessiva per questi pazienti, a 5 anni, si è dimostrata essere dell’88% comparato allo 0% per quei pazienti che sono stati sottoposti ad un intervento chirurgico palliativo o non radicale (R1-R2) (p<0,0001). Durante il periodo di follow up 5 pazienti sono deceduti a causa di ripresa di malattia, pazienti che appartenevano alla IV classe della NIH al momento della diagnosi del primitivo. Ulteriori 2 pazienti morirono per infarto miocardio acuto durante il follow up ma erano liberi da malattia al momento del decesso. 7 pazienti che presentarono una ripresa di malattia furono trattati con imatinib ad una dose giornaliera di 400 mg. 6 di questi pazienti sono vivi dopo un periodo medio di follow up di 18 mesi. Fig. 1 Da un’analisi univariata, margini di resezione liberi da malattia, si è osservato un miglioramento della sopravvivenza complessiva (91% a 5 anni per resezioni R0 rispetto allo 0% in resezioni R1-R2). Pazienti inseriti nella classe NIH 4 che hanno subito una chirurgia radicale hanno mostrato un incremento della sopravvivenza globale (83% a 5 anni con intervento R0 rispetto allo 0% a 5 anni per gli interventi R1. p=0,0031). 21 Altro fattore prognostico significativo influenzante la sopravvivenza globale si è osservato essere il numero di mitosi (>10/50 HPF): 95% di sopravvivenza a 5 anni per pazienti con una conta mitotica ≤ 10/50 HPF rispetto al 74% dei pazienti con conta mitotica > 10/50 HPF (p=0,013). Fig. 2 Da un’analisi multivariata si è osservato che una conta mitotica >10/50 HPF influenza la sopravvivenza cancro-specifica e complessiva. (HR=12350; CI 1295-117781: p=0,029) A 5 anni la sopravvivenza disease-free per i pazienti che avevano subito una chirurgia oncologicamente radicale era del 75%. Fig 2 Fra questi pazienti 8 svilupparono una ripresa di malattia dopo un periodo medio di 21 ± 10 mesi (range: 4-36) di follow up. Il fegato era la sede più frequente di ripresa di malattia (n=6; 75% delle recidive). In questi 8 pazienti la sopravvivenza dalla recidiva fu del 30% a 3 anni. Pazienti classificati come NIH 4 mostravano una sopravvivenza disease-free a 5 anni del 65% comparato al 94% degli altri gruppi combinati. Il numero di mitosi e la grandezza del tumore mostrarono: o Per 10/50 HPF 57% di sopravvivenza rispetto all’87% con conta mitotica < 10/50 HPF 22 o Tumori con diametro massimo < 10 cm mostravano una sopravvivenza disease-free dell’85% rispetto al 63% con diametro > 10 cm (p=0,02) Altro fattore di sopravvivenza studiato fu la presenza di necrosi tumorale: la presenza fu associata ad un peggioramento della sopravvivenza globale (51% in caso di necrosi rispetto al 91% in caso di assenza di necrosi. p=0,002). Dall’analisi di multivariate di fattori significativi derivanti da analisi multivariate si è osservato che la necrosi tumorale ed il numero di mitosi influenzano significativamente la sopravvivenza globale e disease-free. Discussione L’analisi fatta su 61 casi di GIST ottenuta in un periodo di 10 anni rivela che la sopravvivenza complessiva e la sopravvivenza diseasefree dipendono dalla dimensione del tumore, dalla conta mitotica, dallo status risk (basso verso alto) e dalla radicalizzazione chirurgica. La sede del tumore, la sintomatologia ed i segni clinici all’esordio quali sanguinamento del tratto gastro-enterico, il dolore addominale e la presenza di una massa addominale palpabile sono, così come mostrato anche da altri studi, del tutto similari. Non è stato creato alcun algoritmo specifico per la diagnosi dei GIST: l’utilizzo combinato di TC ed RM si è rivelato utile nella diagnostica. 23 Nessun paziente del nostro studio è stato sottoposto a biopsia imaging guidata o a prelievo citologico come proposto da altri autori. Il trattamento dei GIST è stato rivoluzionato con l’introduzione dell’imatinib nella malattia avanzata quando si è resa disponibile una terapia medica “mirata su bersaglio molecolare” in una patologia resistente alla chemioterapia convenzionale. Il farmaco ha certamente modificato la prognosi a breve termine della malattia avanzata, anche se resta da definirne l’impatto a medio termine. Nella malattia localizzata l’utilizzo dell’imatinib nell’ambito di un approccio integrato è oggi in corso di sperimentazione. La terapia dei GIST in fase localizzata è chirurgica. L’obiettivo è l’exeresi completa della neoplasia, con margini liberi. Non sembra esservi necessità di margini molto ampi anche se l’inadeguatezza dei margini comporta un rischio di recidiva locale vera e propria. Ad oggi non vi è un’indicazione convenzionale all’uso adiuvante dell’imatinib, cioè dell’unica terapia medica attualmente disponibile per i GIST. L’impiego adiuvante è logico, in linea di principio, in una malattia che in molte presentazioni denuncia un rischio molto elevato di recidiva. Il trattamento della malattia in una fase più precoce potrebbe prevenire l’insorgenza di resistenze secondarie. D’altronde può anche essere 24 vero il contrario, con insorgenza precoce di resistenze secondarie e difficoltà quindi al trattamento di un’eventuale recidiva. Saranno solo gli studi randomizzati attualmente in corso, con braccio di controllo senza terapia, a chiarire se sussista o meno un’indicazione adiuvante. Questa sarà peraltro da considerare separatamente nelle diverse fasce di rischio, e in pratica focalizzarsi sull’alto rischio. L’eventuale utilizzo del farmaco in fase neoadiuvante in parte ricade nelle stesse problematiche relative all’uso adiuvante. In altri termini, soltanto una dimostrazione di efficacia in fase adiuvante potrà indurre ad un utilizzo del farmaco in funzione preoperatoria. D’altra parte vi sono alcune situazioni di malattia localizzata che possono già oggi giovarsi, ragionevolmente, di una citoriduzione preoperatoria. Può essere il caso, ad esempio, di localizzazioni in sedi difficili chirurgicamente o, soprattutto, di sedi di cui solo una citoriduzione può consentire una chirurgia conservativa sotto il profilo anatomofunzionale. È il caso delle localizzazioni rettali. La decisione clinica non può che essere condivisa con il paziente, nell’incertezza sul beneficio a lungo termine della terapia medica in fase di malattia localizzata e/o sull’equivalenza di una chirurgia conservativa dopo citoriduzione rispetto ad una chirurgia demolitiva. 25 Per quanto riguarda il follow up della malattia localizzata dopo chirurgia adeguata, esso deve tenere conto della storia naturale. La malattia come detto, comporta un rischio di recidiva soprattutto a livello peritoneale ed epatico. Dunque l’esame radiologico di elezione non può che essere sensibile a tale livello: la TC o la RM o eventualmente l’ecografia. La maggior parte delle recidive si verifica nei primi 5 anni dopo il trattamento chirurgico della malattia localizzata e dunque è nei primi anni che questi esami devono essere effettuati con maggiore intensità. Il rischio, ma anche la velocità di diffusione dell’eventuale recidiva, correlano con l’indice mitotico ed il diametro massimo della neoplasia > 5 cm. Soprattutto nei casi con indice mitotico >10/50 HPF, ad alto rischio, può essere ragionevole un follow up clinico e strumentale più serrato. Questo è soprattutto vero se si considera che in alcuni casi la recidiva peritoneale può evolvere velocemente e condizionare problemi clinici quali l’insorgenza di fenomeni occlusivi, deterioramento delle condizioni generali del paziente tali da compromettere la fattibilità della terapia con imatinib. Uno schema di follow up potrebbe ad esempio comportare un controllo radiologico addominale ogni circa 3 mesi per almeno 3 anni, con Rx torace ogni 6 mesi essendo comunque molto bassa la probabilità di metastasi polmonari, soprattutto in assenza di recidiva addominale. 26 Negli anni successivi, il follow up potrebbe essere progressivamente meno serrato, anche se si deve tenere conto del fatto che i GIST possono recidivare anche dopo intervalli di tempo lunghi (media 10-15 anni), più probabilmente in caso di indice mitotico meno elevato. La fase avanzata di malattia è stata spesso trattata con gli stessi regimi chemioterapici in uso nei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto. D’altra parte i GIST mostrano una resistenza notevole alla chemioterapia convenzionale. È stata studiata questa resistenza sotto il profilo biologico mostrando le differenze dei GIST da questo punto di vista rispetto ai leiomiosarcomi, ovvero i sarcomi a cui sono stati in passato maggiormente accostati. La frequenza di risposta alla chemioterapia convenzionale è < del 5%. Anche per questo è stata particolarmente importante l’introduzione dell’imatinib che ha dimostrato una capacità antitumorale intorno all’85%. Questa eccezionale attività antitumorale si è tradotta chiaramente in un vantaggio di sopravvivenza: ora l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da GIST in fase avanzata è intorno ai 12-24 mesi. La risposta tumorale è peraltro spesso notevole e rapida sotto il profilo clinico, in presenza di sintomatologia di base. Molti pazienti che hanno effettuato il trattamento con imatinib in condizioni ciniche compromesse o cospicuamente sintomatiche hanno infatti riportato un beneficio sintomatologico anche nel giro di pochi 27 giorni dall’inizio della terapia. Vi è poi il dato della risposta tumorale precocissima rilevabile alla PET. Alla PET, infatti, molti pazienti registrano una significativa diminuzione dell’attività glicolitica del tumore nello spazio di giorni o addirittura ore dall’inizio della terapia. Fig. 3 Figura 3. FDG-PET scan in paziente con GIST: a sinistra l’immagine al momento della diagnosi e a destra dopo inizio trattamento con Imatinib Questa assenza precoce di captazione alla PET coincide con una inattivazione funzionale a livello molecolare e non con una scomparsa del tumore. In questo senso la PET è soprattutto un predittore di risposta. È stata dimostrata la correlazione tra la PET e la successiva risposta volumetrica del tumore evidenziabile in pochi mesi. 28 In effetti l’anticipo nella valutazione della risposta, quale consentito dalla PET, può rivelarsi utile in diversi casi nei quali la TAC o la RM non sono in grado di evidenziare chiaramente se la neoplasia stia rispondendo o meno. Vi sono alcuni casi, infatti, in cui la risposta si produce soltanto in intervalli di tempo piuttosto lunghi (mesi), e altri in cui vi è addirittura, in fase iniziale, un vero e proprio aumento volumetrico del tumore. In questi pazienti, I'aumento volumetrico è essenzialmente determinato da fenomeni intralesionali di tipo necrotico e/o emorragico, che evidentemente rappresentano segni di risposta. Non sono chiari i motivi di questa tendenza necrotico-emorragica della risposta nei GIST. Certamente, i GIST possono dimostrare fatti necrotico-emorragici anche prima della terapia, e dunque è comprensibile che in caso di risposta questi fenomeni possano ulteriormente accentuarsi. Il clinico deve considerare questo, innanzitutto per evitare di interpretare come progressioni dei quadri che sono in realtà di franca risposta. Ogni aumento volumetrico delle lesioni in fase iniziale di terapia dovrebbe sempre essere valutato per la presenza di necrosi e/o emorragia. Se l'aumento iniziale è determinato da necrosi e/o emorragia, la malattia è, fino a prova contraria, in risposta. La PET, come detto, può eventualmente dirimere un eventuale dubbio diagnostico, anche se questo richiederebbe l'effettuazione dell'esame, di base, in tutti i pazienti, cosa spesso non 29 facilmente fattibile al momento. In ogni caso, la TAC e la RM sono ben in grado di rilevare necrosi ed emorragia. La necrosi e l'emorragia sono importanti anche per le conseguenze cliniche a cui possono dare luogo. Questo è ovvio per quanto riguarda I' emorragia. Essa può determinare enterorragia, emoperitoneo, anemizzazione rapida. Anche la necrosi può essere rilevante clinicamente, ad esempio per la possibilità di fistolizzazioni ed ascessualizzazioni. Da questo punto di vista, l'emorragia da risposta rapida è innanzitutto un problema dei primi giorni di terapia, anche se fatti emorragici possono continuare a verificarsi anche nelle settimane e nei mesi successivi all'inizio del trattamento. L'emorragia intralesionale, ad esempio all'interno di lesioni epatiche, è un problema soprattutto per I'anemizzazione a cui può dare luogo, in quanto di regola essa si tampona spontaneamente. Più rischiose possono essere le emorragie digestive in caso di lesioni aggettanti nel lume del tubo gastroenterico, o I'emoperitoneo di voluminose masse addominali. In questo senso, sono da considerare a rischio soprattutto le grosse masse, particolarmente se aggettanti nel lume (in pratica il tumore primitivo, non rimosso chirurgicamente o recidivato localmente). Le complicanze da necrosi sono invece più proiettate nel medio periodo. Una lesione necrotica può progressivamente fistolizzarsi (verso l'esterno o verso l'interno della cavità addominale), dando luogo ad ascessi chiusi nell'addome o a fistole verso l'esterno. 30 È chiaro che, soprattutto qualora non siano proponibili provvedimenti chirurgici sostanziali sul tumore, questi fatti settici intra-addominali possono essere particolarmente difficili da affrontare. In generale, una sintomatologia settica nei GIST in trattamento con lmatinib dovrebbe indurre a ricercare possibili raccolte ascessuali, fistole, perforazioni tamponate. Spesso la terapia antibiotica e la fistolizzazione, spontanea o chirurgica, possono risolvere questi quadri, ma altre volte essi sono di difficile gestione clinica, specialmente quando essi non siano ben diagnosticabili strumentalmente e/o comunque non vi sia uno spazio chirurgico concreto per l'estensione della neoplasia. In prospettiva, la maggiore limitazione della terapia con Imatinib è costituita dalla possibile insorgenza di resistenza "acquisita". Quest'ultima si manifesta in pazienti inizialmente responsivi, che, dopo mesi dall'inizio del trattamento, mostrano progressione di malattia. La progressione può manifestarsi globalmente, oppure, almeno inizialmente, può riguardare una sola lesione, od alcune lesioni. AI momento, non si hanno dati sull'incidenza effettiva di questo fenomeno, che si affianca ovviamente alla resistenza "primaria", come detto verosimilmente intorno al 10-15% dei casi. Peraltro, la resistenza primaria si associa alla sede della mutazione dell'oncogene, divenendo più probabile andando dalle mutazioni più frequenti (localizzate nell'esone 11) a quelle meno frequenti (localizzate nell'esone 9 e in altri esoni). La comprensione biomolecolare della resistenza primaria, 31 così come di quella acquisita, è evidentemente mirata alla possibile realizzazione di terapie molecolari mirate anche per la "seconda linea" terapeutica. Ovviamente, l'entità del fenomeno della resistenza acquisita condizionerà fa prognosi ultima della malattia avanzata sotto Imatinib, e anche if significato complessivo del trattamento: eradicante, citoriduttivo (in vista per esempio di una chirurgia sul residuo), o palliativo. D'altra parte è logico chiedersi cosa fare per contribuire a limitare il rischio di resistenza acquisita. Nell'attesa di sviluppi farmacologici rivolti ad affrontare il problema, è chiaro che una possibilità è quella chirurgica. La chirurgia può rivolgersi all'exeresi di lesioni in progressione, soprattutto se quest'ultima riguardi una parte della malattia visibile (cioè solo una o poche lesioni). Oppure, in linea di principio, la chirurgia potrebbe contribuire a prevenire l'insorgenza della resistenza secondaria attraverso l' exeresi del residuo di malattia dopo intervalli più o meno lunghi di terapia. Di fatto, non solo non è noto quanto la terapia con lmaitnib richieda una integrazione terapeutica con la chirurgia, ma neppure è stato ancora stabilito, al momento, quale sia la durata ottimale della terapia. Attualmente, la maggior parte dei pazienti in trattamento sta proseguendo la terapia per periodi indefiniti, con la possibilità che essa possa prolungarsi anche per anni, in assenza evidentemente di progressione (o in caso comunque di persistenza di risposta dopo exeresi di eventuali, singole lesioni in progressione). Sono peraltro in 32 corso studi clinici rivolti a confrontare il proseguimento a più lungo termine della terapia con la sua sospensione dopo intervalli definiti (ad esempio un anno), in assenza di malattia attiva visibile dopo risposta maggiore. Imatinib viene somministrato continuativamente ad una dose giornaliera che, attualmente, è di 400 mg. È in corso il follow-up di due grandi studi randomizzati che hanno confrontato nella malattia avanzata la dose giornaliera di 400 mg con quella di 800 mg. Questi due studi chiariranno dunque il quesito relativo alla dose ottimale nella malattia avanzata. Vi sono stati casi di attività ad una dose superiore, in assenza di attività a una dose inferiore. Questo ha determinato il disegno dei due studi, che peraltro prevedevano il cross-over da 400 a 800 mg in caso di non risposta nel braccio a dose inferiore. La somministrazione avviene in dose unica giornaliera a 400 mg, assumendo il farmaco a stomaco pieno facendo seguire l'introduzione di liquidi. Nel caso di somministrazione di 800 mg, la dose giornaliera viene frazionata in due somministrazioni. Peraltro, la terapia con Imatinib è usualmente ben tollerata, con effetti collaterali limitati. Questi ultimi sono soprattutto concentrati nelle prime settimane di terapia. L'effetto più frequente è l'edema, che spesso si mantiene per diverse settimane. In genere non richiede terapia, ma talvolta può necessitare di diuretici. Esso riguarda gli arti inferiori e le regioni periorbitarie. Raramente, vi è una vera e propria ritenzione 33 idrica di grado notevole, che può determinare sovraccarico, o versamenti pleurici o peritoneali. Il versamento peritoneale può condizionare ad esempio un aumento di un'ascite pre-esistente e aggiungersi alle difficoltà della valutazione della risposta in fase iniziale. Spesso, I' ascite può assumere una nota emorragica, anche in relazione ad una tendenza del farmaco a favorire in qualche modo la diatesi emorragica. Peraltro, le emorragie sono in genere un effetto secondario alla risposta tumorale, come sopra ricordato, e possono assumere significato clinico particolarmente quando vi siano grosse masse, soprattutto se aggettanti nel lume gastroenterico. In generale, vengono sconsigliati gli anticoagulanti orali, venendo preferite, se è necessaria una terapia anticoagulante, le eparine a basso peso molecolare. Altro effetto collaterale possono essere i rush cutanei, solo eccezionalmente importanti al punto da richiedere una terapia, con antistaminici e/o steroidi. Nei primi giorni sono possibili fenomeni di iperperistaltismo intestinale, con diarrea, sensibile ai comuni farmaci antidiarroici. È possibile astenia, in alcuni casi di grado anche marcato. Solo con il proseguimento del trattamento nei mesi, sono possibili effetti mielodepressivi, tali da richiedere la sospensione temporanea del farmaco. Vi può essere una tossicità epatica, anch'essa tale da richiedere talvolta la sospensione temporanea del farmaco. È possibile un effetto favorente la riattivazione virale in casi di pregressa epatite, e in alcuni casi questo richiede la somministrazione concomitante di 34 antivirali. In generale, il trattamento degli effetti collaterali del farmaco non presenta grosse difficoltà. In taluni casi, però, così non è, e in effetti solo l'esperienza in corso nei pazienti in trattamento potrà insegnare a maneggiare al meglio questi effetti col laterali di maggiore impegno. In generale, il trattamento è cronico e quindi inevitabilmente può richiedere sospensioni temporanee o riduzioni di dose. Peraltro, l'intensità di dose sembra avere una importanza non secondaria, in una malattia che può manifestare l'insorgenza di resistenze secondarie. Conclusioni: lo studio ha dimostrato che la radicalizzazione (R0) del tumore così come la dimensione e l’attività mitotica, nonché la presenza di necrosi intratumorale sono i fattori prognostici più importanti nella determinazione della sopravvivenza globale e disease- free. Nell’era di imatinib e dei suoi effetti terapeutici è poco chiaro quello che è o potrà essere il suo impiego in associazione alla chirurgia e la sua sensibilità in caso di malattia metastatica. In questo studio l’interpretazione clinico-patologica dello status risk del tumore si è rivelato un approccio pratico per definire che la resezione chirurgica oncologicamente radicale è il fattore prognostico chiave e che la chirurgia nei GIST ad alto rischio deve essere supportata da un approccio selettivo verso l’induzione o verso la terapia post-operatoria molecolare. 35 Pazienti a rischio: 61 39 35 26 19 15 9 4 1 0 0 55 37 31 24 16 13 9 4 1 0 0 Figura 1. Sopravvivenza globale e sopravvivenza disease-free in pazienti affetti da GIST. 36 months Pazienti a rischio: ≤ 10 per 50 HPF 43 20 17 12 4 1 0 > 10 per 50 HPF 18 11 7 3 2 0 0 Figura 2. Sopravvivenza secondo il numero di mitosi per 61 pazienti affetti da GIST. 37 Tabella 2. Prestazioni chirurgiche eseguite. ________________________________________________________ Procedure chirurgiche N (% ) ________________________________________________________ Wedge gastric resection 31 (51) Resezione del piccolo intestino 14 (23) Gastrectomia subtotale 8 (13) Resezione colica 3 (5) Gastrectomia totale 2 (3) Duodenopancreasectomia 2 (3) Escissione transanale 1 (2) ________________________________________________________ 38 Tabella 3. Variabili clinicopatologiche dei 61 pazienti affetti da GIST in rapporto al numero di mitosi per 50 HPF (≤ o >10)* ___________________________________________________________________________ Mitosi ≤10/50 per HPF Mitosi >10/50 per HPF p Sede del tumore stomaco colon retto piccolo intestino duodeno 28 (68)§ 13 (32) 1 (25) 3 (75) 12 (86) 2 (14) 2 (100) 0.09 0 Tipo di resezione chirurgica R0 42 (74) 15 (26) 1(25) 3 (75) ≤ 10 cm 33 (72) 13 (28) > 10 cm 10 (67) 5 (33) R1+R2 0.04 Diametro del tumore 0.71 Necrosi intra-tumorali Assenti 33 (75) 11 (25) Presenti 10 (59) 7 (41) *HPF, high power field § I numeri fra parentesi sono percentuali 39 0.21 Bibliografia: 1. Suster S. Gastrointestinal stromal tumors. Semin Diagn Patho11996; 13: 297-313 2. Langer C, Gunawan B, Schiiler P, Huber W, Fiizesi L, Becker H. Prognostic factors influencing surgical management and outcome of gastrointestinal stromal tumours. Br I Surg 2003; 90: 332- 339 3. Meittinen M, Sarlomo-Rikala M, Lasota I. 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