UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E
NATURALI
Corso di Laurea Triennale in Matematica
Indirizzo Didattica della Matematica e Divulgazione
Scientifica
STRUMENTI DELLA TOPOLOGIA
GENERALE IN ANALISI FUNZIONALE
Relatore:
Chiar.mo Prof.
Josef Eschgfäller
Laureanda:
Lucilla Baldini
Anno Accademico 2009-2010
Indice
Introduzione
3
1.
Richiami sugli spazi di Banach
6
2.
Il teorema di Stone-Weierstrass
12
3.
Il teorema del Dini
20
4.
Spazi metrici totalmente limitati
21
5.
Il teorema di Ascoli-Arzelà
25
6.
Il teorema di Baire
31
7.
Il teorema di Hahn-Banach
40
8.
Il teorema di Banach-Steinhaus
51
9.
Il teorema dell’applicazione aperta
54
10.
Topologie deboli e dualità
58
11.
Algebre di Banach
60
Bibliografia
67
1
2
Introduzione
La tesi raccoglie i più importanti strumenti topologici dell’analisi
funzionale lineare in spazi vettoriali normati. Questi teoremi classici spesso non sono affatto banali e vengono utilizzati in molti campi
dell’analisi nello studio di spazi di funzioni, ad esempio per teoremi
di esistenza o enunciati di continuità. Essi costituiscono il punto di
partenza anche per rami molto attuali della matematica e della fisica
matematica, ad esempio dell’analisi complessa in più variabili e della
geometria non commutativa.
Il primo capitolo introduce i concetti di spazio vettoriale normato e
di spazio di Banach (uno spazio vettoriale normato completo). Si dimostra tra l’altro che uno spazio vettoriale normato è uno spazio di
Banach se e solo se ogni serie assolutamente convergente è convergente.
Nel secondo capitolo si dimostra il teorema di approssimazione di
Stone-Weierstrass, ottenuto tramite il lemma di Zemánek da un risultato sui sottoreticoli vettoriali di C(Ω, R). Questo teorema permette
di raggiungere molti risultati in spazi di funzioni dimostrandoli per
polinomi o funzioni trigonometriche.
Il terzo capitolo contiene il teorema del Dini sulla convergenza uniforme di una successione monotona di funzioni continue su uno spazio
compatto.
Un sottoinsieme di Rn è compatto se e solo se è chiuso (o equivalentemente completo) e limitato. In uno spazio metrico generale bisogna
chiedere una forma più forte di limitatezza, la totale limitatezza. Questo concetto viene introdotto e discusso nel quarto capitolo. Di grande
aiuto è qui l’uso di filtri: uno spazio metrico è completo se e solo se ogni
filtro di Cauchy su esso converge ed è totalmente limitato se e solo se
ogni ultrafiltro è un filtro di Cauchy. Con ciò si dimostra facilmente
che uno spazio metrico è compatto se e solo se è totalmente limitato e
completo.
Uno dei più importanti teoremi sugli spazi di funzioni è il teorema di Ascoli-Arzelà a cui è dedicato il quinto capitolo. Un insieme di
funzioni continue su uno spazio compatto è relativamente compatto
nella topologia indotta dalla norma se e solo se è equicontinuo e limitato in ogni punto. Questo teorema implica in particolare il teorema di
Vitali-Montel dell’analisi complessa: un insieme di funzioni olomorfe
su un aperto di Cn è compatto se e solo se è limitato e chiuso nella
topologia di Fréchet. In questo capitolo si dimostra inoltre il teorema
di ricoprimento di Lebesgue che a sua volta permette di ottenere come
corollario che un insieme equicontinuo su uno spazio metrico compatto
è uniformemente equicontinuo.
Il teorema di Baire e le sue conseguenze appartengono agli strumenti maggiormente utilizzati per teoremi di esistenza in topologia e
analisi. Gli spazi topologici di Baire vengono presentati nel sesto capitolo. Uno spazio topologico si chiama di Baire se per ogni successione
3
A1 , A2 , . . . di aperti densi l’intersezione
∞
T
An è densa. Si dimostra che
n=1
due delle più importanti classi di spazi topologici possiedono questa
proprietà: ogni spazio metrico completo è uno spazio di Baire e ogni
spazio localmente compatto e di Hausdorff è di Baire (in particolare
quindi ogni spazio compatto e di Hausdorff). La seconda metà del capitolo fornisce delle condizioni per cui un sottoinsieme di uno spazio
di Baire è ancora di Baire; qui si rivela utile la suddivisione in insiemi
di prima e seconda categoria. Particolarmente significativo è il risultato che ogni Gδ denso in un spazio di Baire è ancora uno spazio di
Baire. Come applicazioni facciamo vedere che non esiste una funzione
R −→ R continua esattamente sui numeri razionali e che uno spazio
di Banach di dimensione infinita non può possedere una base numerabile.
Il settimo capitolo contiene il teorema di Hahn-Banach che si rivela
fondamentale per la teoria di struttura degli spazi vettoriali topologici. Inizialmente si introducono le funzioni sublineari (a valori reali)
su uno spazio vettoriale e quindi si dimostra che i funzionali lineari
sono esattamente le funzioni sublineari minimali. A questo punto con
l’aiuto del lemma di Zorn segue facilmente che per ogni funzione sublineare f esiste una funzione lineare α con α ≤ f . Questo approccio
generale può essere variato in molti modi e conduce ad enunciati di
struttura estremamente importanti. In particolare si dimostra che in
uno spazio vettoriale normato X per ogni sottospazio vettoriale Y ed
ogni α0 ∈ Y ′ esiste un’estensione α ∈ X ′ tale che kαk = kα0 k e che X ′
separa i punti di X . Soltanto con ciò si riesce a dimostrare che X ′ 6= 0.
In particolare si ottiene un’immersione isometrica lineare X −→ X ′′ .
Una semplice, ma tipica applicazione è il risultato che uno spazio vettoriale normato, il cui duale è separabile, è anch’esso separabile.
Nell’ottavo capitolo usiamo il teorema di Baire per dimostrare il
principio di uniforme limitatezza e il teorema di Banach-Steinhaus.
Quest’ultimo lo useremo nel decimo capitolo per dimostrare che per
una successione xn X ′ -convergente in uno spazio vettoriale normax
to X , l’insieme {kxn k | n ∈ N} è limitato.
Nel nono capitolo, ancora con l’aiuto del teorema di Baire, si dimostra che un’applicazione lineare continua e suriettiva tra spazi di
Banach è aperta (teorema dell’applicazione aperta). Da ciò segue il teorema del grafico chiuso: un’applicazione lineare tra spazi di Banach il
cui grafico è chiuso è continua.
Nel decimo capitolo per uno spazio vettoriale normato X si introducono la X ′ -topologia su X e la X -topologia su X ′ , che nella letteratura
sono note come topologia debole e ∗-debole. Una semplice ma importante conseguenza del teorema di Tikhonov della topologia generale è
il teorema di Alaoglu: la palla unitaria del duale di X è X -compatta.
Il conclusivo undicesimo capitolo contiene un’introduzione alla teoria delle algebre di Banach commutative, dimostrando, all’inizio, che
lo spettro di un operatore lineare ϕ in uno spazio di Banach è compatto, non vuoto e limitato dalla norma kϕk. In questo modo si ottiene
4
dapprima il teorema di Gelfand-Mazur che afferma che ogni algebra
di Banach che è un campo è isomorfa in modo naturale a C. Siccome
per un ideale massimale m di un’algebra di Banach A, l’algebra A/m è
sempre un campo, si arriva cosı̀ al primo teorema fondamentale della
teoria spettrale di Gelfand: l’applicazione fm : A −→ C(Max A, C)
a m
T
m.
è un omomorfismo di algebre di Banach con nucleo
m∈Max A
5
1. Richiami sugli spazi di Banach
Situazione 1.1. Usiamo le seguenti notazioni:
R+ := [0, ∞)
K := R oppure C
Definizione 1.2. Sia X uno spazio vettoriale su K. Una seminorma su
X è un’applicazione kk : X −→ R+ tale che per ogni x, y ∈ X ed ogni
λ ∈ K siano soddisfatte le seguenti condizioni:
(1) kx + yk ≤ kxk + kyk.
(2) kλxk = |λ| kxk.
Si noti che la (2) implica k0k = 0. Se inoltre
(3) kxk = 0 =⇒ x = 0,
allora kk si chiama una norma.
La coppia X = (X, kk) si chiama uno spazio seminormato (nel caso di
una seminorma) rispettivamente uno spazio normato (nel caso di una
norma).
Nella teoria generale degli spazi vettoriali topologici (non normati)
seminorme vengono spesso denotate con lettere: p, q, . . .
Osservazione 1.3. Sia X uno spazio seminormato. Se poniamo
d(x, y) := kx − yk, allora (X, d) è uno spazio semimetrico. Se kk è una
norma, allora (X, d) è uno spazio metrico.
Concetti topologici si riferiranno sempre alla semimetrica risp.
metrica d.
Dimostrazione. È sufficiente verificare la disuguaglianza
triangolare. Per x, y, z ∈ X abbiamo
d(x, z) = kx − zk = kx − y + y − zk ≤ kx − yk + ky − zk = d(x, y) + d(y, z)
Lemma 1.4. Sia (X, d) uno spazio semimetrico. Per x, y, u, v ∈ X allora
|d(x, y) − d(u, v)| ≤ d(x, u) + d(y, v)
Dimostrazione. Abbiamo
d(x, y) ≤ d(x, u) + d(u, v) + d(v, y)
e quindi
d(x, y) − d(u, v) ≤ d(x, u) + d(y, v)
e similmente
d(u, v) ≤ d(u, x) + d(x, y) + d(y, v)
e quindi
d(u, v) − d(x, y) ≤ d(x, u) + d(y, v)
6
Corollario 1.5. Sia (X, d) uno spazio semimetrico. Allora l’applicazione
d : X × X −→ R è uniformemente continua (rispetto alla semimetrica
naturale su X × X ).
Corollario 1.6. Sia X uno spazio seminormato. Per x, y, u, v ∈ X
allora
|kx − yk − ku − vk| ≤ kx − uk + ky − vk
Corollario 1.7. Sia X uno spazio seminormato. Per x, y ∈ X allora
|kxk − kyk| ≤ kxk + kyk
Corollario 1.8. Sia X uno spazio seminormato. Allora l’applicazione
kk : X −→ R è uniformemente continua.
Definizione 1.9. Uno spazio di Banach (reale risp. complesso) è uno
spazio normato (reale risp. complesso) completo (rispetto alla metrica
definita dalla norma).
Osservazione 1.10. Siano (X, d) uno spazio metrico e xn una sucn
cessione di Cauchy in X . Sia n0 < n1 < n2 < ... una successione strettamente crescente di numeri naturali tali che xnk −→ x per qualche
k
x ∈ X . Allora anche xn −→ x.
n
Dimostrazione. Sia ε > 0. Allora esiste ν ∈ N tale che
ε
per n, m ≥ ν , perché la successione xn è di Cauchy.
d(xn , xm ) <
2
n
La convergenza della successione xnk implica però anche che esiste
k
ε
k ∈ N con nk ≥ ν tale che d(xnh , x) < .
2
Allora per n ≥ nk abbiamo
ε ε
d(xn , x) ≤ d(xn , xnk ) + d(xnk , x) < + = ε
2 2
Definizione 1.11. Sia X uno spazio normato. Una serie
∞
P
an in X
n=0
si dice assolutamente convergente, se la serie di numeri reali
∞
P
kan k
n=0
converge.
Proposizione 1.12. Sia X uno spazio normato. Allora sono equivalenti:
(1) X è uno spazio di Banach.
(2) Ogni serie assolutamente convergente in X converge.
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Sia an una successione di elementi di X
n
tale che
∞
P
kan k converge. Per n ∈ N poniamo xn :=
n=0
n
P
k=0
7
ak .
Per n ≥ m allora
n
P
kxn − xm k = k
n
P
ak k ≤
k=m+1
kak k
k=m+1
È chiaro a questo punto che xn è una successione di Cauchy e per
n
ipotesi questa successione converge. Ciò significa proprio che la serie
∞
P
an converge.
n=0
(2) ⇒ (1): Sia xn una successione di Cauchy in X . Allora possiamo
n
trovare una successione nk di numeri naturali tale che
k
n0 < n1 < n2 < . . . e kxnk+1 − xnk k <
La serie
∞
P
1
2k
per ogni k.
kxnk+1 − xnk k è allora assolutamente convergente e per
k=0
ipotesi converge anche la serie
∞
P
(xnk+1 − xnk ), le cui somme parziali
k=0
sono proprio gli xnk . Per l’oss. 1.10 converge anche la successione xn .
n
Proposizione 1.13. Siano X uno spazio metrico ed A ⊂ X .
(1) Se X è completo ed A un chiuso di X , allora A è completo.
(2) Se A è completo, allora A è chiuso in X .
Dimostrazione. (1) Se an è una successione di Cauchy in A, allora
n
an è una successione di Cauchy anche in X . Perciò esiste x ∈ X tale
n
che an −→ x. Ciò significa x ∈ A = A.
n
La successione an è perciò convergente in A.
n
(2) Sia x ∈ A. Allora esiste una successione an in A tale che
n
an −→ x. La successione convergente an è di Cauchy in A; per
n
n
ipotesi esiste a ∈ A tale che an −→ a. Per l’unicità del limite in uno
n
spazio metrico x = a ∈ A.
Corollario 1.14. Siano X uno spazio di Banach ed E un sottospazio
vettoriale di X . Allora sono equivalenti:
(1) E è uno spazio di Banach.
(2) E è chiuso in X .
Definizione 1.15. Per un insieme Ω sia
l∞ (Ω) := l∞ (Ω, K) := {f : Ω −→ K | f è limitata }
Per f ∈ l∞ (Ω) poniamo
kf kΩ := sup{|f (ω)| | ω ∈ Ω}
8
Invece di kkΩ si usa spesso il simbolo kk∞ .
Per spazi topologici Ω ed S siano
C(Ω, S) := {f : Ω −→ S | f è continua }
C(Ω) := C(Ω, K)
Cb (Ω) := Cb (Ω, K) := C(Ω) ∩ l∞ (Ω)
Se Ω è compatto, allora C(Ω) ⊂ l∞ (Ω) e per f ∈ C(Ω) si ha
kf kΩ = max {|f (ω)| | ω ∈ Ω}
Proposizione 1.16. Sia Ω un insieme non vuoto. Allora (l∞ (Ω), kkΩ ) è
uno spazio di Banach.
Dimostrazione. (1) È immediato che l∞ (Ω) è uno spazio vettoriale e
si verifica facilmente che kk := kkΩ è una norma.
(2) Dimostriamo la completezza.
Sia fn una successione di Cauchy in l∞ (Ω). Per n, m ∈ N ed x ∈ Ω
n
allora |fn (x) − fm (x)| ≤ kfn − fm k, cosicché la successione fn (x) è
n
una successione di Cauchy in R che converge a un valore che
denotiamo con f (x).
In questo modo otteniamo una funzione f := Ω −→ K. Dobbiamo
dimostrare che f è limitata e che lim kfn − f k = 0.
n→∞
ε
per
2
n, m ≥ N . Sia x ∈ Ω. Siccome per costruzione lim fn (x) = f (x), esiste
n→∞
ε
′
n ≥ N tale che |fn (x) − f (x)| <
per ogni n ≥ n′ .
2
ε
In particolare |fn′ (x) − f (x)| < . Per n ≥ N abbiamo quindi
2
Sia ε > 0. Per ipotesi esiste N ∈ N tale che kfn − fm k <
|fn (x) − f (x)| ≤ |fn (x) − fn′ (x)| + |fn′ (x) − f (x)|
ε ε
ε
≤ kfn − fn′ k + < + = ε
2
2 2
Abbiamo perciò in particolare
|f (x)| ≤ |fN (x)| + |f (x) − fN (x)| ≤ kfN k + ε
Si noti che N non dipende da x. Ciò mostra che la funzione f è limitata,
cosicché, tenendo conto della disuguaglianza |fn (x) − f (x)| < ε valida
per ogni n ≥ N , possiamo scrivere kfn − f k ≤ ε e ciò implica che
lim kfn − f k = 0.
n→∞
Lemma 1.17. Siano Ω un insieme non vuoto ed f, g ∈ l∞ (Ω). Allora
kf gkΩ ≤ kf kΩ kgkΩ
Dimostrazione. Sia x ∈ Ω. Allora
|f g(x)| = |f (x)| |g(x)| ≤ kf kΩ kgkΩ
9
Proposizione 1.18. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto. Allora
(Cb (Ω), kkΩ ) è uno spazio di Banach.
Dimostrazione. Cb (Ω) è un sottospazio vettoriale di l∞ (Ω), perciò per
la prop. 1.16 e il cor. 1.14 è sufficiente dimostrare che Cb (Ω) è chiuso
in l∞ (Ω) rispetto alla norma kk := kkΩ .
Siano fn una successione in Cb (Ω) ed f ∈ l∞ (Ω) tali che
n
lim kfn − f k = 0. Dobbiamo dimostrare che f è continua.
n→∞
ε
Siano x ∈ Ω ed ε > 0. In primo luogo esiste m ∈ N tale che kfm −f k < .
3
Per la continuità di fm esiste un intorno U di x tale che per ogni
ε
y ∈ U si abbia |fm (y) − fm (x)| < e quindi anche
3
|f (y) − f (x)| ≤ |f (y) − fm (y)| + |fm (y) − fm (x)| + |fm (x) − f (x)|
< kf − fm k + |fm (y) − fm (x)| + kfm − f k
ε
ε ε
< 2kfm − f k + < 2 +
3
3 3
Corollario 1.19. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto e compatto.
Allora (C(Ω), kkΩ ) è uno spazio di Banach.
Nota 1.20. In particolare è uno spazio di Banach lo spazio C([a, b]) per
a, b ∈ R con a < b. Per il teorema di approssimazione di Weierstrass
(che dimostreremo nel prossimo capitolo) ogni elemento di C([a, b]) è
limite uniforme (cioè rispetto alla norma kkΩ ) di una successione di
polinomi. Ciò mostra che C 1 ([a, b]) è denso (e quindi sicuramente non
chiuso) in C([a, b]). Per il cor. 1.14 perciò C 1 ([a, b]) non è uno spazio di
Banach rispetto alla norma kk[a,b] .
Definizione 1.21. Sia (X, d) uno spazio metrico. Un’applicazione
τ : X −→ X è detta una contrazione, se esiste α ∈ [0, 1] tale che
d(τ (x), τ (y)) ≤ αd(x, y)
per ogni x, y ∈ X . α si chiama un fattore di contrazione per τ .
Una contrazione è evidentemente uniformemente continua e quindi
anche continua.
Proposizione 1.22 (teorema del punto fisso di Banach). Siano
(X, d) uno spazio metrico completo non vuoto e τ : X −→ X una contrazione. Allora esiste esattamente un punto fisso x0 di τ , cioè un punto
x0 ∈ X tale che τ (x0 ) = x0 .
Inoltre lim τ n (x) = x0 per ogni x ∈ X .
n→∞
Dimostrazione. Nibbi, pag. 15.
Definizione 1.23. Per p ∈ [1, ∞) sia
∞
P
p
p
p
N
|xn | < ∞
l (N) := l (N, K) := x = (x0 , x1 , . . .) ∈ K |
n=0
10
Si dimostra facilmente (utilizzando la disuguaglianza di Hölder) che
lp (N) diventa uno spazio di Banach con la norma
1
∞
p
P
p
|xn |
kxkp :=
n=0
Lo spazio di Banach l∞ (N) è invece un caso speciale degli spazi l∞ (Ω)
introdotti nella definizione 1.15.
Definizione 1.24. Sia (Ω, A, p) uno spazio di misura. Per p ∈ [1, ∞)
poniamo
Lp (Ω) := Lp (Ω, K) := Lp (Ω, A, p, K) :=
Z
p
:= f : Ω −→ K | f misurabile e |f (w)| dp(w) < ∞
1
R
|f (w)|p dp(w) p otteniamo una seminorma su
Allora con kf kp :=
Lp (Ω) che, identificando funzioni f e g per le quali kf − gkp = 0, definisce uno spazio Lp (Ω) e una norma su di esso. Si dimostra (teorema
di Riesz-Fischer) che Lp (Ω) è uno spazio di Banach.
Similmente si definiscono L∞ (Ω) e lo spazio di Banach L∞ (Ω) mediante il supremo essenziale.
Rimandiamo ai corsi di analisi per i dettagli.
Osservazione 1.25. Siccome l’integrale di una funzione misurabile
f ≥ 0 si annulla se e solo se l’insieme (f > 0) ha misura nulla (Elstrodt, pag. 124), nella definizione 1.24 due funzioni f e g per p ∈ [1, ∞)
definiscono lo stesso elemento in Lp (Ω) se e solo se µ(f 6= g) = 0. Segue
facilmente dalla definizione di supremo essenziale che ciò rimane vero
anche per p = ∞.
11
2. Il teorema di Stone-Weierstrass
Situazione 2.1. Sia Ω un insieme non vuoto, quando non indicato diversamente.
Definizione 2.2. Sia F ⊂ KΩ . Diciamo che F separa i punti, se per
x, y ∈ Ω con x 6= y esiste sempre una funzione f ∈ F tale che
f (x) 6= f (y).
Osservazione 2.3. Sia F un sottospazio vettoriale di KΩ che contiene le funzioni costanti e separa i punti. Siano α, β ∈ R ed x, y ∈ Ω.
Allora:
(1) Se x 6= y , allora esiste f ∈ F tale che f (x) = α ed f (y) = β .
(2) Esiste f ∈ F tale che f (x) = α.
Dimostrazione. (1) Per ipotesi esiste g ∈ F tale che g(x) 6= g(y).
Poniamo allora
f :=
(α − β)g + βg(x) − αg(y)
g(x) − g(y)
Le nostre ipotesi implicano f ∈ F . Inoltre
f (x) =
(α − β)g(x) + βg(x) − αg(y)
αg(x) − αg(y)
=
=α
g(x) − g(y)
g(x) − g(y)
−βg(y) + βg(x)
(α − β)g(y) + βg(x) − αg(y)
=
=β
g(x) − g(y)
g(x) − g(y)
(2) Per ipotesi la costante α appartiene ad F .
f (y) =
Definizione 2.4. Un sottoreticolo vettoriale di RΩ è un sottospazio vettoriale F di RΩ tale che per f ,g ∈ F si abbia sempre f ∨ g ∈ F ed
f ∧ g ∈ F.
E’ chiaro che F contiene le funzioni costanti se e solo se 1 ∈ F .
Teorema 2.5. Sia Ω uno spazio topologico compatto non vuoto. Sia F
un sottoreticolo vettoriale di C(Ω, R) che contiene le funzioni costanti e
separa i punti. Allora F = C(Ω, R).
Dimostrazione. Seguiamo Schaefer, pagg. 243-244.
La chiusura F nell’enunciato si riferisce naturalmente alla topologia
indotta dalla norma kk := kkΩ .
Siano f ∈ C(Ω, R) ed ε > 0.
(1) Sia x ∈ Ω. Per l’oss. 2.3 allora per ogni y ∈ Ω esiste una funzione
gy ∈ F tale che gy − f si annulli sia in x che in y . Queste funzioni sono
tutte continue, perciò per ogni y ∈ Ω esiste Uy ∈ U(y) tale che
gy (z) > f (z) − ε per ogni z ∈ Uy . Siccome Ω è compatto, esistono
y1 , . . . , ym ∈ Ω tali che Ω = Uy1 ∪ . . . ∪ Uym . Se adesso definiamo
hx := gy1 ∨ . . . ∨ gym : Ω −→ R
allora hx ∈ F e inoltre hx > f − ε.
12
(2) Per ogni x ∈ Ω però hx − f si annulla in x, cosicché esiste
Vx ∈ U(x) tale che hx (z) < f (z) + ε per ogni z ∈ Vx . Per la compattezza
di Ω esistono x1 , . . . , xn ∈ Ω tali che Ω = Vx1 ∪ . . . ∪ Vxn . Sia ora
h := hx1 ∧ . . . ∧ hxn : Ω −→ R
Allora h ∈ F e inoltre h < f + ε.
Siccome però hx > f − ε per ogni x ∈ Ω, abbiamo anche h > f − ε e
cosı̀ in tutto f − ε < h < f + ε. Ciò implica kf − hk < ε.
(3) Abbiamo cosı̀ dimostrato che f ∈ F .
Definizione 2.6. Una sottoalgebra di KΩ è un sottospazio vettoriale F
di KΩ tale che per f, g ∈ F si abbia sempre f g ∈ F .
Osservazione 2.7. Sia F una sottoalgebra di l∞ (Ω). Allora anche F è
una sottoalgebra di l∞ (Ω).
Lemma 2.8 (Zemánek). Sia F una sottoalgebra chiusa di l∞ (Ω) che
contiene le funzioni costanti.
√
Sia f ∈ F ed f ≥ 0. Allora f ∈ F .
Dimostrazione. Seguiamo Heuser, 2o volume, pag. 60.
Sia kk := kkΩ . Usiamo più volte il lemma 1.17.
(1) Supponiamo prima che k1 − f k < 1. Scegliamo α in modo tale che
k1 − f k < α < 1 e poniamo E := (kFk ≤ α).
Per la prop. 1.16 l∞ (Ω) è uno spazio di Banach; siccome F è chiusa
in l∞ (Ω), per la prop. 1.13 F è completa. E è chiuso in F e quindi per
la stessa proposizione E è uno spazio metrico completo, evidentemente
non vuoto. Dimostriamo che l’applicazione
1 − f + u2
A := : E −→ E è ben definita e una contrazione.
2
u
(a) Sia u ∈ E . Allora
1 − f + u2 k1 − f k + ku2 k
≤
2
2
1.17 k1 − f k + kuk2
α + α2
<
<α
≤
2
2
Perciò l’applicazione A è ben definita.
(b) Dimostriamo che A è una contrazione. Siano u, v ∈ E . Allora
ku2 − v 2 k
k(u − v)(u + v)k
=
2
2
ku − vkku + vk
kuk + kvk
≤
≤
ku − vk
2
2
α+α
ku − vk = αku − vk
≤
2
kA(u) − A(v)k =
(c) Per la prop. 1.22 esiste perciò una funzione u ∈ E tale che
1 − f + u2
= u.
2
13
Ciò significa che 1 − f + u2 = 2u ovvero f = u2 − 2u + 1 = (1 − u)2 .
p
√
(d) Per ipotesi f ≥ 0, perciò la funzione f = f (x) è ben definita
x
√
e chiaramente f ∈ l∞ (Ω).
p
Per ogni x ∈ Ω abbiamo f (x) = ±(1 − u(x)). Ciò implica u(x) ∈ R
anche quando K = C. Però
< 1, per cui
√ u ∈ E , cosicché 0 ≤ u(x) ≤ α √
1 − u(x) > 0. Ciò implica f = 1 − u. Adesso è chiaro che f ∈ F .
(2) Rinunciando all’ipotesi k1 − f k < 1, supponiamo però che esista
un ε > 0 tale che f ≥ ε. Siccome
f è limitata, abbiamo
la funzione
1
f
allora 0 < ε ≤ f ≤ kf k, cosicché 1 − kf k = kf k kkf k − f k < 1.
r
√
f
1 p
f ∈ F e quindi anche f ∈ F ,
Per il punto (1)
= p
kf k
kf k
perché F è una sottoalgebra di l∞ (Ω).
(3) In quest’ultima parte dellardimostrazione supponiamo solo che
1
f ≥ 0. Per il punto (2) abbiamo f + ∈ F per ogni n ∈ N + 1.
n
Ma
0≤
r
1
−f
f+
n
1
1
1
1 √
! ≤ r = √
=
f+ − f= r
r
n
n
1
1 √
1 √
f+ + f
n
n
f+ + f
n
n
n
cosicché
r
√
1
1
f + − f ≤ √
n
n
r
1 √
e ciò mostra che lim f + = f in l∞ (Ω).
n→∞
n
r
1
∈ F per ogni n, dall’ipotesi che F sia chiusa in
Siccome f +
n
√
l∞ (Ω) otteniamo f ∈ F .
Lemma 2.9. Sia F una sottoalgebra chiusa di l∞ (Ω, R) che contiene le
funzioni costanti. Siano f, g ∈ F .
Allora anche le funzioni |f |, f ∨ g e f ∧ g appartengono ad F .
F è quindi un sottoreticolo di l∞ (Ω, R).
(1) Per ipotesi f e g assumono solo valori reali, per
Dimostrazione. p
2
cui f ≥ 0 e |f | = f 2 . Il lemma 2.8 implica |f | ∈ F.
(2) Da ciò segue che
f + g + |f − g|
∈F
2
f + g − |f − g|
∈F
f ∧g =
2
f ∨g =
14
Teorema 2.10 (Stone-Weierstrass). Sia Ω uno spazio topologico compatto e non vuoto. Sia F una sottoalgebra di C(Ω, R) che contiene le
funzioni costanti e separa i punti. Allora F = C(Ω, R).
Dimostrazione. Per il cor. 1.19 C(Ω, R) è chiusa in l∞ (Ω) e quindi
anche la sottoalgebra (oss. 2.7) F è chiusa in l∞ (Ω) e quindi, per il
lemma 2.9, un sottoreticolo di l∞ (Ω). L’enunciato segue dal teorema
2.5.
Osservazione 2.11. Una dimostrazione elementare, basata su sottili
stime apposite, del teorema di Stone-Weierstrass è data nel lavoro di
Brosowski/Deutsch.
Una dimostrazione che utilizza il teorema di Alaoglu e il teorema
di Krein-Milman, dovuta a Louis de Branges, si trova ad esempio in
Conway, pagg. 149-150.
Definizione 2.12. Uno spazio topologico X si dice completamente regolare, se è di Hausdorff e per ogni x ∈ X ed ogni chiuso A di X con
x∈
/ A esiste una funzione continua f : X −→ [0, 1] tale che f (x) = 1 e
(f = 0, in A).
Osservazione 2.13. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto, compatto
e di Hausdorff. Allora Ω è completamente regolare, per cui C(Ω, R)
separa i punti.
Nota 2.14. L’ oss. 2.3 e la dimostrazione del teorema di Stone-Weierstrass rimangono valide se la condizione che F contenga le funzioni
costanti viene sostituita con la condizione più debole che F abbia supporto pieno, cioè che per ogni x ∈ Ω esiste una funzione f ∈ F tale che
f (x) 6= 0.
Se inoltre F non separa i punti oppure non ha supporto pieno, ciò
vale evidentemente anche per F . Da ciò segue che il teorema di StoneWeierstrass può essere formulato nel modo seguente:
Siano Ω uno spazio topologico non vuoto, compatto e di Hausdorff,
ed F una sottoalgebra di C(Ω, R). Allora sono equivqlenti:
(1) F = C(Ω, R).
(2) F separa i punti e possiede supporto pieno.
Questa variante si trova in Appell/Väth, pagg. 325-327.
Osservazione 2.15. Sia Ω un sottoinsieme di Rn il cui interno sia non
vuoto. Se due polinomi f, g ∈ R[x1 , . . . , xn ] sono tali che f (ω) = g(ω)
per ogni ω ∈ Ω, per il principio di identità per polinomi in più variabili
(ad es. Scheja/Storch, 2o volume, pag. 48) i polinomi f e g devono coincidere. Possiamo quindi considerare R[x1 , . . . , xn ] come sottoalgebra di
C(Ω, R) che ovviamente contiene le funzioni costanti.
Abbiamo però anche per un qualsiasi sottoinsieme non vuoto Ω di Rn
un’applicazione naturale f (ω) : R[x1 , . . . , xn ] −→ RΩ ; l’immagine
f
ω
R[x1 , . . . , xn ]Ω di quest’applicazione è una sottoalgebra di C(Ω, R) che
contiene le funzioni costanti.
15
Corollario 2.16 (teorema di approssimazione di Weierstrass).
Sia Ω un sottoinsieme compatto e non vuoto di Rn .
Allora R[x1 , . . . , xn ] = C(Ω, R).
Dimostrazione. Per l’oss. 2.15 e il teorema 2.10 è sufficiente verificare che R[x1 , . . . , xn ] separa i punti di Ω.
Siano a, b due punti distinti di Ω; allora essi si distinguono, ad esempio, nella prima coordinata e per il polinomio f := x1 abbiamo
f (a) 6= f (b).
Corollario 2.17. Siano a, b ∈ R con a < b. Allora R[x][a,b] = C([a, b], R).
Nota 2.18. Per funzioni continue definite su intervalli, polinomi approssimanti possono essere indicati esplicitamente. È sufficiente considerare il caso dell’intervallo [0, 1], perché ogni altro intervallo [a, b]
può essere trasformato in esso tramite la trasformazione affine
x−a
.
x b−a
Per f ∈ C([0, 1], R) ed n ∈ N definiamo l’n-esimo polinomio di Bernstein tramite
n
P
k
n k
x (1 − x)n−k
Bn (f ) :=
f
k
n
k=0
Allora la successione Bn (f ) converge uniformemente ad f .
n
Dimostrazione. Ad esempio Davis, pagg. 108-111, oppure Wloka, pagg.
17-18.
Definizione 2.19. Per F ⊂ CΩ poniamo
Re F := {Re f | f ∈ F}
Im F := {Im f | f ∈ F}
Teorema 2.20. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto e compatto. Sia
F una sottoalgebra (complessa) di C(Ω, C) che soddisfa le seguenti tre
condizioni:
(1) F separa i punti.
(2) F contiene le funzioni costanti.
(3) Re F ⊂ F
e
Allora F = C(Ω, C).
Im F ⊂ F .
Dimostrazione. (1) Sia FR := F ∩ C(Ω, R). Allora FR è una sottoalgebra (reale) di C(Ω, R) che contiene le funzioni costanti.
(2) Dimostriamo che FR separa i punti.
Siano x, y ∈ Ω tali che x 6= y . Per ipotesi esiste f ∈ F tale che
f (x) 6= f (y). Ciò implica però che Re f (x) 6= Re f (y) oppure
Im f (x) 6= Im f (y). Evidentemente però Re f ed Im f appartengono ad
FR .
16
(3) Dal teorema 2.10 segue che FR = C(Ω, R).
(4) Siano adesso f ∈ C(Ω, C) ed ε > 0. Per il punto (3) esistono
ε
ε
u, v ∈ FR tali che k Re f − uk < e k Im f − vk < . Quindi avremo
2
2
kf − u + ivk = k Re f + i Im f − u + ivk ≤ k Re f − uk + k Im f − vk < ε
Dunque abbiamo dimostrato che F = C(Ω, C).
Osservazione 2.21. Sia F una sottoalgebra di CΩ . Allora sono equivalenti:
(1) Re F ⊂ F
e
Im F ⊂ F .
(2) f ∈ F =⇒ f ∈ F .
Dimostrazione. Per f ∈ F , si hanno le relazioni f = Re f − i Im f , che
f +f
f −f
, Im f =
, da cui
mostra l’implicazione (1) ⇒ (2), e Re f =
2
2i
segue l’implicazione (2) ⇒ (1).
Nota 2.22. La condizione (3) del teorema 2.20 è necessaria, come si
vede dal seguente
esempio: Siano D := (|C| < 1) il disco
unitario aperto
di C ed F := f : D −→ C continua | f olomorfa in D .
È immediato che F è una sottoalgebra (complessa) di C(D, C) che
separa i punti e contiene le funzioni costanti. Invece, mentre z ∈ F ,
z
la funzione z non fa più parte di F , non essendo olomorfa.
z
Ed effettivamente, per un noto teorema dell’analisi complessa si ha
F = F 6= C(D, C).
Corollario 2.23. Sia Ω un sottoinsieme compatto e non vuoto di Cn .
Allora C[x1 , x1 , . . . , xn , xn ]Ω = C(Ω, C).
Dimostrazione. Come nella dimostrazione del cor. 2.16 si dimostra
che C[x1 , x1 , . . . , xn , xn ] separa i punti. È chiaro allora che sono soddisfatte le ipotesi del teorema 2.20.
L’algebra C[x1 , x1 , . . . , xn , xn ] è definita in analogia con l’oss. 2.15.
Proposizione 2.24. Siano Ω e Ω′ due spazi topologici non vuoti, compatti e di Hausdorff. Sia
F := { m
X
(x,y) k=1
fk (x)gk (y) | m ∈ N + 1,
f1 , . . . , fm ∈ C(Ω, R), g1 , . . . , gm ∈ C(Ω′ , R)}
Allora F = C(Ω × Ω′ , R).
Dimostrazione. È chiaro che F è una sottoalgebra di C(Ω × Ω′ ) che
contiene le funzioni costanti.
Per il teorema 2.10 è sufficiente dimostrare che F separa i punti.
Siano (x, x′ ) e (y, y ′ ) due punti di Ω × Ω′ e, ad esempio, x 6= y .
17
Per l’oss. 2.13 esiste f ∈ C(Ω, R) tale che f (x) 6= f (y).
Allora ϕ := f (x) appartiene ad F e separa i due punti. Infatti
(x,y)
ϕ(x, x′ ) = f (x) 6= f (y) = ϕ(y, y ′ )
Osservazione 2.25. Sia Ω uno spazio topologico. Se C(Ω, K) separa i
punti, allora Ω è uno spazio di Hausdorff.
Quindi anche se nei teoremi 2.5, 2.10 e 2.20 non abbiamo supposto
esplicitamente che Ω sia di Hausdorff, questa ipotesi è automaticamente soddisfatta.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ Ω con x 6= y . Per ipotesi esiste
f ∈ C(Ω, K) tale che f (x) 6= f (y). Siccome K è uno spazio di Hausdorff,
esistono U ∈ Uf (x) e V ∈ Uf (y) tali che U ∩ V = ∅ e quindi anche
f −1 (U ) ∩ f −1 (V ) = f −1 (U ∩ V ) = ∅. f −1 (U ) e f −1 (V ) sono intorni di x
perché la funzione f è continua.
Proposizione 2.26. Sia
F := {f :S 1 −→ C | esistono n ∈ N e c−n , . . . , cn ∈ C tali che
n
X
f =
ck z k }
z
k=−n
Allora F = C(S 1 , C).
Dimostrazione. Ovviamente F è una sottoalgebra di C(S 1 , C) che
contiene le funzioni costanti. Dobbiamo dimostrare che sono soddisfatte le condizioni (1) e (3) del teorema 2.20.
Che F separa i punti è chiaro perché la funzione z appartiene
z
ad F .
Per l’oss. 2.21 rimane da dimostrare che f ∈ F implica f ∈ F .
n
n
P
P
Ma per z ∈ S 1 si ha z = z −1 , per cui ck z k = c−k z k ∈ F .
z k=−n
z k=−n
Definizione 2.27. Un polinomio trigonometrico (su [0, 2π]) è una funzione della forma
n
P
(a0 +
(ak coskt + bk senkt)) : [0, 2π] −→ R
t
k=1
con n ∈ N ed a0 , . . . , an , b1 , . . . , bn ∈ R.
Per n = 0 naturalmente appare solo il termine costante a0 .
Nota 2.28. Siano n ∈ N e c−n , . . . , cn ∈ C ed
f := n
P
z k=−n
ck z k : S 1 −→ C
Consideriamo la funzione g := f (eit ) : [0, 2π] −→ C.
t
Allora g(0) = g(2π).
18
Per ogni k sia ck = αk + iβk con αk , βk ∈ R.
(1) Per t ∈ [0, 2π] abbiamo allora
g(t) =
=
n
X
k=−n
n
X
k=−n
(αk + iβk )eikt =
n
X
(αk + iβk )(cos kt + i sin kt)
k=−n
(αk cos kt − βk sin kt) + i
n
X
(αk sin kt + βk cos kt)
k=−n
(2) Assumiamo adesso che g (o f ) assuma solo valori reali. Allora
g(t) =
n
P
k=−n
(αk cos kt − βk sin kt)
per ogni t ∈ [0, 2π]. Però cos(−kt) = cos kt e sin(−kt) = − sin kt, cosicché
possiamo scrivere
g(t) = α0 +
n
X
= a0 +
n
X
k=1
(αk + α−k ) cos kt −
n
X
k=1
(βk − β−k ) sin kt
(ak cos kt + bk sin kt)
k=1
con a0 := α0 , ak := αk + α−k , bk := β−k − βk .
Proposizione 2.29. Sia G l’insieme dei polinomi trigonometrici (su
[0, 2π]). Nella topologia dell’uniforme convergenza si ha
G = {ϕ ∈ C([0, 2π], R) | ϕ(0) = ϕ(2π)}
Dimostrazione. Sia ϕ ∈ C([0, 2π], R) con ϕ(0) = ϕ(2π).
Definiamo ψ : S 1 −→ R tramite ψ(eit ) := ϕ(t).
Si dimostra facilmente che ψ è ben definita e continua (cfr. ad esempio Schempp/Dreseler, pag. 11). Per la prop. 2.26 possiamo approsn
P
simare ψ con funzioni della forma f = ck z k e quindi anche
z k=−n
tramite le parti reali di queste funzioni (per una succesione f˜ −→ ψ si
ha Re f˜ −→ Re ψ = ψ ).
Per la nota 2.28 otteniamo un’approssimazione di ψ tramite polinomi trigonometrici.
19
3. Il teorema del Dini
Situazione 3.1. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto.
Scriviamo kk invece di kkΩ .
Lemma 3.2. Siano Ω compatto ed F ⊂ C(Ω, R). Sia ϕ ∈ C(Ω, R) tale
che per ogni x ∈ Ω esiste f(x) ∈ F tale che f(x) (x) > ϕ(x).
Allora esistono f1 , . . . , fm ∈ F tali che f1 ∨ . . . ∨ fm > ϕ.
Dimostrazione. Dalla continuità di queste funzioni segue che per
ogni x ∈ Ω l’insieme (f(x) > ϕ) = (f(x) − ϕ > 0) è un aperto che per
ipotesi contiene x.
Per la compattezza di Ω esistono x1 , . . . , xm ∈ Ω tali che
m
S
Ω=
(f(xi ) − ϕ > 0).
i=1
Per avere l’enunciato basta porre fi = f(xi ) .
Definizione 3.3. Un insieme quasi ordinato (F, ≤) si dice diretto verso
l’alto, se per ogni f, g ∈ F esiste h ∈ F tale che f, g ≤ h.
Proposizione 3.4. Siano Ω compatto ed F un sottoinsieme diretto verso l’alto di C(Ω, R).
Per ogni x ∈ Ω sia ϕ(x) := sup {f (x) | f ∈ F} < ∞. La funzione
ϕ : Ω −→ R cosı̀ ottenuta sia continua.
Allora per ogni ε > 0 esiste f ∈ F con 0 ≤ ϕ − g < ε e quindi in
particolare kϕ − gk < ε per ogni g ∈ (F ≥ f ).
Dimostrazione. Sia ε > 0. Allora, per costruzione di ϕ, per ogni x ∈ Ω
esiste f(x) ∈ F tale che f(x) (x) > ϕ(x) − ε. Per il lemma 3.2 esistono
f1 , . . . , fm ∈ F tali che f1 ∨ . . . ∨ fm > ϕ − ε.
Però l’insieme F è diretto verso l’alto, perciò esiste f ∈ F tale che
f ≥ f1 ∨ . . . ∨ fm e quindi anche f > ϕ − ε, ovvero ϕ − f < ε.
Sia ora g ∈ F con g ≥ f . Per la definizione di ϕ si ha allora f ≤ g ≤ ϕ,
cosicché 0 ≤ ϕ − g ≤ ϕ − f < ε. Ciò a sua volta implica kϕ − gk < ε.
Teorema 3.5 (teorema del Dini). Siano Ω compatto ed
f0 ≤ f1 ≤ f2 ≤ . . . una successione monotona di funzioni continue
Ω −→ R e ϕ ∈ C(Ω, R) tale che fn (x) −→ ϕ(x) per ogni x ∈ Ω.
n
Allora la successione converge uniformemente, si ha cioè
kϕ − fn k −→ 0.
n
Dimostrazione. Ciò è una conseguenza immediata della prop. 3.4 applicata all’insieme F = {fn | n ∈ N}.
Infatti è chiaro che ϕ = sup F.
20
4. Spazi metrici totalmente limitati
Nota 4.1. Per i concetti di filtro e ultrafiltro rimandiamo ai libri di
testo di Topologia generale oppure a Chiodera.
Proposizione 4.2. Siano X uno spazio topologico compatto ed A un
chiuso di X . Allora A è compatto.
Dimostrazione. Chiodera, pag. 17.
Proposizione 4.3. Siano X uno spazio topologico di Hausdorff ed A
un sottoinsieme compatto di X . Allora A è chiuso in X .
Dimostrazione. Chiodera, pag. 18.
Proposizione 4.4. Ogni spazio metrico è sottospazio denso di uno
spazio metrico completo.
Dimostrazione. Engelking, pag. 721.
Definizione 4.5. Sia (X, d) uno spazio metrico. Un filtro ẋ su X si dice
di Cauchy, se per ogni ε > 0 esiste un insieme F ∈ ẋ tale che d(u, v) < ε
per ogni u, v ∈ F .
Definizione 4.6. Siano X uno spazio topologico, ẋ un filtro su X ed
x ∈ X . Diciamo che ẋ converge ad x e scriviamo ẋ −→ x, se U (x) ⊂ ẋ.
Lemma 4.7. Uno spazio metrico (X, d) è completo se e solo se ogni filtro
di Cauchy su X converge.
Dimostrazione. (1) Assumiamo che ogni filtro di Cauchy su X converga. Sia xn una successione di Cauchy in X . Sia
n
ẋ := {F ⊂ X | esiste n0 con {xn | n ≥ n0 } ⊂ F }
il filtro ottenuto da xn . È chiaro che ẋ è un filtro di Cauchy.
n
Per ipotesi esiste x ∈ X con ẋ −→ x.
Sia ε > 0. Allora esiste n0 tale che {xn | n ≥ n0 } ⊂ (d(X, x) < ε). Ma
ciò significa che d(xn , x) < ε per ogni n ≥ n0 e vediamo che xn −→ x.
n
(2) Siano X completo ed ẋ un filtro di Cauchy su X . Dobbiamo dimostrare che ẋ converge.
Siccome ẋ è un filtro di Cauchy, per ogni n ≥ 1 esiste Fn ∈ ẋ tale che
d(u, v) < 1/n per ogni u, v ∈ Fn . Possiamo fare in modo che
Fn+1 ⊂ Fn .
Gli insiemi Fn non sono vuoti, quindi per ogni n possiamo scegliere
un punto xn ∈ Fn .
È chiaro che xn è una successione di Cauchy. Infatti per ogni
n
ε > 0 esiste n0 tale che 1/n0 < ε.
21
Per n, m ≥ n0 abbiamo allora xn , xm ∈ Fn0 e quindi
d(xn , xm ) < 1/n0 < ε. Siccome X è completo, esiste x ∈ X con
xn −→ x. Dobbiamo dimostrare che ẋ −→ x. Sia ε > 0. Allora esiste
n
n ∈ N + 1 tale che 1/n < ε/2 e d(xn , x) < ε/2. Sia U := (d(X, x) < ε).
Dimostriamo che U ∈ ẋ. Per z ∈ Fn abbiamo
ε
ε ε
1
+ < + =ε
n 2
2 2
Ciò implica Fn ⊂ U ∈ ẋ, per cui U ∈ ẋ.
d(z, x) ≤ d(z, xn ) + d(xn , x) <
Lemma 4.8. Siano X uno spazio metrico completo ed ẋ un filtro di
Cauchy su X . Siano ẏ un filtro su X con ẋ ⊂ ẏ ed x ∈ X tale che
ẏ −→ x. Allora ẋ −→ x.
Dimostrazione. Sia ε > 0. Dimostriamo che (d(X, x) < ε) ∈ ẋ.
ε
per
2
ogni u, v ∈ F . Siccome ẏ −→ x, si ha inoltre U := (d(X, x) < ε) ∈ ẏ .
Però anche F ∈ ẏ , per cui U ∩ F 6= ∅. Sia w ∈ U ∩ F . Allora per ogni
z ∈ F si ha
ε ε
d(x, z) ≤ d(x, w) + d(w, z) < + = ε
2 2
Ciò significa F ⊂ (d(X, ε) < ε) e quindi (d(X, ε) < ε) ∈ ẋ.
Siccome ẋ è un filtro di Cauchy, esiste F ∈ ẋ tale che d(u, v) <
Proposizione 4.9. Uno spazio metrico compatto è completo.
Dimostrazione. Sia X uno spazio metrico compatto. Per la prop. 4.4
X è sottospazio denso di uno spazio metrico completo E . Dal lemma
4.3 segue che X è chiuso in E e deve quindi coincidere con E .
Invece della prop. 4.4 possiamo anche usare il lemma 4.7. Siano infatti ẋ un filtro di Cauchy su X ed ẍ un ultrafiltro con ẋ ⊂ ẍ.
Siccome X è compatto, esiste x ∈ X tale che ẍ −→ x. Per il lemma
4.8, ẋ −→ x. Il lemma 4.7 implica che X è completo.
Definizione 4.10. Uno spazio metrico (X, d) si dice totalmente limitato (o precompatto), se X è vuoto oppure per ogni ε > 0 esistono
m
S
(d(X, ai ) < ε) = X .
a1 , . . . , am ∈ X tali che
i=1
Osservazione 4.11. Uno spazio metrico compatto è totalmente
limitato.
Lemma 4.12. Uno spazio metrico X è totalmente limitato se e solo se
ogni ultrafiltro su X è un filtro di Cauchy.
Dimostrazione. Possiamo assumere che X 6= ∅.
(1) Siano X totalmente limitato ed ẍ un ultrafiltro su X . Sia ε > 0.
m
S
(d(X, ai ) < ε) = X . Per
Per ipotesi esistono a1 , . . . , am ∈ X tali che
i=1
una nota proprietà degli ultrafiltri (Chiodera, pag. 13) esiste un i tale
che F := (d(X, ai ) < ε/2) ∈ ẍ.
22
Per u, v ∈ F abbiamo allora
ε ε
+ =ε
2 2
Ciò mostra che ẍ è un filtro di Cauchy.
d(u, v) ≤ d(u, ai ) + d(ai , v) <
(2) Sia X non totalmente limitato. Allora esiste ε > 0 tale che X non
può essere ricoperto con un numero finito di palle aperte di raggio ε.
Ciò implica che, se per x ∈ X poniamo Ax := (d(X, x) ≥ ε), allora
α := {Ax | x ∈ X} è un intreccio (possiede cioè la proprietà dell’intersezione finita, cfr. Chiodera, pag. 6). Perciò esiste un ultrafiltro ẍ su X
con α ⊂ ẍ. Dimostriamo che ẍ non è un filtro di Cauchy. Supponiamo,
per assurdo, che esista F ∈ ẍ tale che d(u, v) < ε per ogni u, v ∈ F .
Scegliamo un punto arbitrario u ∈ F . Abbiamo Au ∈ ẍ, quindi anche
F ∩ Au ∈ ẍ e di conseguenza F ∩ Au 6= ∅. Possiamo quindi scegliere un
v ∈ F ∩ Au .
Allora u, v ∈ F ∈ ẋ e d(u, v) ≥ ε, in contrasto con la scelta di F .
Teorema 4.13. Uno spazio metrico X è compatto se e solo se è totalmente limitato e completo.
Dimostrazione. (1) Sia X compatto. Allora X è totalmente limitato
per l’oss. 4.11 e completo per la prop. 4.9.
(2) Sia X totalmente limitato e completo. Per il lemma 4.12 ogni
ultrafiltro su X è di Cauchy e quindi converge per il lemma 4.7.
Corollario 4.14. Uno spazio metrico completo è compatto se e solo se è
totalmente limitato.
Lemma 4.15. Sia X uno spazio metrico totalmente limitato. Allora
ogni sottospazio di X è totalmente limitato.
Dimostrazione. Sia Y ⊂ X . Siano ÿ un ultrafiltro su Y ed i : Y −→ X
l’inclusione. Allora i(ÿ) è un ultrafiltro su X (Chiodera, prop. 2.38) e
quindi un filtro di Cauchy. Sia ε > 0. Allora esiste F ∈ i(ÿ) tale che
d(F ) < ε. Però F ∈ i(ÿ) significa che A ∩ F ∈ ÿ ed è chiaro che anche
d(A ∩ F ) < ε. Ciò mostra che ÿ è di Cauchy.
Lemma 4.16. Siano E uno spazio metrico ed X un sottoinsieme di E .
Allora X è totalmente limitato se e solo se X è totalmente limitato.
Dimostrazione. Se X è totalmente limitato, lo è anche X , per il lemma 4.15.
Sia X totalmente limitato. Possiamo assumere che X 6= ∅. Sia ε > 0.
m
S
Per ipotesi esistono a1 , . . . , am ∈ X tali che
(d(X, ai ) < ε/2) = X .
i=1
Allora è chiaro che
m
S
X⊂
(d(X, ai ) < ε/2)
e quindi
i=1
m
S
(d(X, ai ) < ε) = X .
i=1
Definizione 4.17. Siano E uno spazio topologico ed X ⊂ E . X si dice
relativamente compatto in E , se la chiusura X di X in E è compatta.
23
Proposizione 4.18. Siano E uno spazio metrico completo ed X un
sottoinsieme di E . Allora sono equivalenti:
(1) X è totalmente limitato.
(2) X è relativamente compatto in E .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Sia X totalmente limitato. Per il lemma
4.16 anche X è totalmente limitato. Per la prop. 1.13 però X è completo
e quindi compatto per il teorema 4.13.
(2) ⇒ (1): Sia X compatto. Allora X è totalmente limitato e quindi
lo è anche X , per il lemma 4.15.
Osservazione 4.19. Uno spazio metrico (X, d) totalmente limitato è
limitato.
Dimostrazione. Per ipotesi esistono a1 , . . . , am ∈ X tali che
m
S
(d(X, ai ) < 1) = X .
i=1
Sia ρ := max {d(ai , aj ) | 1 ≤ i, j ≤ m}. Per x, y ∈ X allora esistono i, j
tali che d(x, ai ) < 1 e d(y, aj ) < 1 e quindi
d(x, y) ≤ d(x, ai ) + d(ai , aj ) + d(aj , y) < 2 + ρ
Osservazione 4.20. Per un sottoinsieme X ⊂ Kn sono equivalenti:
(1) X è totalmente limitato.
(2) X è limitato.
(3) X è relativamente compatto in Kn .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Oss. 4.19.
(2) ⇒ (3): Se X è limitato, allora X è limitato e chiuso, quindi
compatto.
(3) ⇒ (1): Prop. 4.18.
Nota 4.21. Il criterio nell’oss. 4.20 vale solo per sottoinsiemi di Kn ,
non in uno spazio metrico completo generale. Infatti, in ogni spazio
metrico (X, d) si può sostituire la metrica con D(x, y) := min(1, d(x, y))
per ottenere una metrica limitata (con D(x, y) ≤ 1 per ogni x, y ) che
induce la stessa topologia; cfr. Engelking, pagg. 250-251 e 269.
È chiaro che (X, D) è completo se e solo se lo è (X, d) e quindi risulterebbe che ogni spazio metrico completo è compatto.
Per esempio, se su R introduciamo una nuova metrica con
D(x, y) := min(1, |x − y|), allora otteniamo uno spazio metrico completo limitato omeomorfo alla retta reale euclidea e quindi non compatto.
24
5. Il teorema di Ascoli-Arzelà
Nota 5.1. Sia Ω uno spazio topologico non vuoto. Per un insieme di
funzioni F ⊂ KΩ ed x ∈ Ω, A ⊂ Ω siano
F(x) := {f (x) | f ∈ F}
F(A) := {f (a) | f ∈ F, a ∈ A}
Scriviamo kk invece di kkΩ .
Definizione 5.2. Sia (S, θ) uno spazio metrico. Un insieme di funzioni
F ⊂ S Ω si dice
(1) equicontinuo, se per ogni x ∈ Ω ed ogni ε > 0 esiste un intorno
U ∈ U (x) tale che θ(f (x), f (y)) < ε per ogni f ∈ F ed ogni y ∈ U ;
(2) limitato in ogni punto, se l’insieme F(x) è limitato per ogni x ∈ Ω.
Osservazione 5.3. Siano (S, θ) uno spazio metrico ed F un sottoinsieme equicontinuo di S Ω . Allora F ⊂ C(Ω, S).
Proposizione 5.4. Ogni sottoinsieme totalmente limitato di Cb (Ω, K)
è equicontinuo.
Dimostrazione. Sia F ⊂ Cb (Ω, K) ed F totalmente limitato. Siano
x ∈ Ω ed ε > 0. Per ipotesi esistono g1 , . . . , gm ∈ F tali che
m
S
(kF −gi k < ε/3) = F . Ciò significa che per ogni f ∈ F esiste un i tale
i=1
che kf −gi kΩ < ε/3. Sia ora U := {y ∈ Ω | |gi (y) − gi (x)| < ε/3 per ogni i}.
È chiaro che U è un aperto di Ω, quindi, siccome evidentemente
x ∈ Ω, abbiamo U ∈ U (x).
Siano y ∈ U ed f ∈ F . Allora esiste un i tale che kf − gi kΩ < ε/3, per
cui
|f (x) − f (y)| ≤ |f (x) − gi (x)| + |gi (x) − gi (y)| + |gi (y) − f (y)|
ε ε ε
< + + =ε
3 3 3
Osservazione 5.5. L’applicazione f (x) : Cb (Ω, K) −→ K è continua
f
per ogni x ∈ Ω.
Dimostrazione. Sia x ∈ Ω. Siano fn una successione in Cb (Ω, K) ed
n
f ∈ Cb (Ω, K) tali che nkfn − f k −→ 0.
Siccome |fn (x) − f (x)| ≤ kfn − f k per ogni x ∈ Ω, è chiaro che
|fn (x) − f (x)| −→ 0, cioè fn (x) −→ f (x).
n
n
Corollario 5.6. Sia F un sottoinsieme relativamente compatto di Cb (Ω, K).
Per ogni x ∈ Ω allora l’insieme F(x) è limitato.
Dimostrazione. Per ipotesi F è compatto. Dall’oss. 5.5 segue che F(x)
è compatto e quindi un sottoinsieme limitato di K. Perciò anche F(x)
è limitato.
25
Nota 5.7. Lo spazio KΩ può essere dotato della topologia prodotto
(detta anche topologia della convergenza puntuale), in cui per ogni
g ∈ KΩ gli insiemi della forma
Wε (x1 , . . . , xm ) := h ∈ KΩ | |h(xi ) − g(xi )| < ε per i = 1, . . . , m
con ε > 0 ed x1 , . . . , xm ∈ Ω, formano una base per gli intorni di g .
Una rete (successione di Moore-Smith, cfr. Willard, pagg. 73-77, oppure Riviera, pagg. 1-5) fλ converge ad f nella topologia prodotto se
λ
e solo se fλ (x) −→ f (x) per ogni x ∈ Ω.
λ
Proposizione 5.8. Siano F un sottoinsieme equicontinuo di KΩ ed Fb
la chiusura di F nella topologia prodotto.
Allora anche Fb è un insieme equicontinuo e quindi in particolare si
ha Fb ⊂ C(Ω, K).
Dimostrazione. Siano x ∈ Ω e ε > 0. Per ipotesi esiste un intorno
U ∈ U (x) tale che |f (x) − f (y)| < ε/3 per ogni f ∈ F ed ogni y ∈ U .
Dimostriamo che |g(x) − g(y)| < ε per ogni g ∈ Fb ed ogni y ∈ U .
Sia infatti g ∈ Fb. Allora, nella notazione della nota 5.7, l’insieme
Wε/3 (x, y) è un intorno di g nella topologia prodotto, per cui esiste un
f ∈ F ∩ Wε/3 (x, y).
Ciò significa che esiste un f ∈ F tale che |f (x) − g(x)| < ε/3
|f (y) − g(y)| < ε/3.
e
Ciò implica
|g(x) − g(y)| ≤ |g(x) − f (x)| + |f (x) − f (y)| + |f (y) − g(y)|
ε ε ε
< + + =ε
3 3 3
Proposizione 5.9. Siano Ω compatto ed F un sottoinsieme equicontinuo di KΩ . Allora su F la topologia prodotto coincide con la topologia
indotta dalla norma kkΩ .
Dimostrazione. (1) È chiaro che la convergenza in norma implica la
convergenza puntuale.
(2) Siano f ∈ F e fλ una rete in KΩ che puntualmente converge
λ
ad f . Sia ε > 0.
Per l’ipotesi di equicontinuità, per ogni x ∈ Ω esiste un intorno
Ux ∈ U (x) tale che |g(x) − g(y)| < ε/3 per ogni y ∈ Ux ed ogni g ∈ F .
Per la compattezza di Ω esistono x1 , . . . , xm ∈ Ω tali che
Ux1 ∪ . . . ∪ Uxm = Ω. Per ogni i e per ogni x ∈ Uxi abbiamo quindi
|g(x) − g(xi )| < ε/3 per ogni g ∈ F .
La convergenza puntuale implica che esiste un indice λ0 tale che
|fλ (xi ) − f (xi )| < ε/3 per ogni i = 1, . . . , m e per ogni λ ≥ λ0 .
Dimostriamo che |fλ (x) − f (x)| < ε per ogni x ∈ Ω, per ogni λ ≥ λ0 .
26
Sia x ∈ Ω. Allora esiste un i tale che x ∈ Uxi . Per λ ≥ λ0 allora
|fλ (x) − f (x)| ≤ |fλ (x) − fλ (xi )| + |fλ (xi ) − f (xi )| + |f (xi ) − f (x)|
ε ε ε
< + + =ε
3 3 3
Corollario 5.10. Siano Ω compatto ed F un sottoinsieme equicontinuo
di KΩ . Denotiamo di nuovo con Fb la chiusura di F nella topologia
prodotto. Allora:
(1) Fb ⊂ C(Ω, K).
(2) Fb = F .
Qui naturalmente F denota la chiusura di F in C(Ω, K).
Dimostrazione. (1) Prop. 5.8.
(2) È chiaro che F ⊂ Fb.
Sia g ∈ Fb. Allora esiste una rete fλ in F tale che fλ −→ g
λ
λ
puntualmente. Per la prop. 5.8 però anche l’insieme Fb è equicontinuo,
cosicché possiamo applicare la prop. 5.9 ad Fb e vediamo che fλ −→ g
λ
in C(Ω, K). Ciò significa g ∈ F .
Corollario 5.11. Siano Ω compatto ed F un sottoinsieme equicontinuo
di KΩ . Allora l’applicazione f (x) : F × Ω −→ K è continua.
(f,x)
La topologia considerata su F è la toplogia prodotto oppure, equivalentemente (per la prop. 5.9), la topologia indotta dalla norma kkΩ .
Dimostrazione. Siano date reti convergenti fλ −→ f in F e
λ
xλ −→ x in Ω. Dobbiamo dimostrare che fλ (xλ ) −→ f (x).
λ
λ
Sia ε > 0. fλ −→ f significa che esiste un λ0 tale che
λ
kfλ − f k < ε/2 per ogni λ ≥ λ0 e xλ −→ x significa che esiste un λ1
λ
tale che |xλ − x| < ε/2 per ogni λ ≥ λ1 . F è equicontinuo, perciò esiste
U ∈ U (x) tale che |g(x) − g(y)| < ε/2 per ogni y ∈ U ed ogni g ∈ F .
Sia λ ≥ max (λ0 , λ1 ). Allora
|fλ (xλ ) − f (x)| ≤ |fλ (xλ ) − fλ (x)| + |fλ (x) − f (x)| < ε/2 + ε/2 = ε
Lemma 5.12. Sia F un sottoinsieme equicontinuo di KΩ .
Allora per ogni a ∈ R ed ogni x ∈ (|F| ≤ a) esiste un intorno U ∈ U (x)
tale che U ⊂ (|F| ≤ 1 + a).
Dimostrazione. Siano x ∈ Ω ed a ∈ R tali che |f (x)| ≤ a per ogni
f ∈ F . Siccome l’insieme F è equicontinuo, esiste un intorno U ∈ U (x)
tale che |f (x) − f (y)| ≤ 1 per ogni f ∈ F ed ogni y ∈ U .
Per ogni y ∈ U ed ogni f ∈ F vale quindi anche
|f (y)| ≤ |f (y) − f (x)| + |f (x)| ≤ 1 + a
27
Teorema 5.13 (Ascoli-Arzelà ). Sia Ω compatto ed F ⊂ C(Ω, K).
Allora sono equivalenti:
(1) F è relativamente compatto in C(Ω).
(2) F è equicontinuo e limitato in ogni punto.
(3) F è equicontinuo e per ogni x ∈ Ω l’insieme F(x) è relativamente
compatto in K.
(4) F è equicontinuo e l’insieme F(Ω) è limitato.
(5) F è equicontinuo e limitato (come sottoinsieme di C(Ω, K), cioè
rispetto alla norma kkΩ ).
Dimostrazione. La compattezza di Ω implica Cb (Ω, K) = C(Ω, K).
(1) ⇒ (2): Sia F relativamente compatto in C(Ω, K). Per il cor. 5.6
l’insieme F(x) è limitato per ogni x ∈ Ω. Per la prop. 4.18 F è totalmente limitato e quindi equicontinuo per la prop. 5.4.
(2) ⇒ (3): Oss. 4.20.
(3) ⇒ (1): Usiamo le notazioni del cor. 5.10. Dall’oss. 5.5 segue che
Q
per ogni x ∈ Ω abbiamo F(x) ⊂ F(x). Siccome però F ⊂
F(x),
x∈Ω
Q
abbiamo quindi Fb = F ⊂
F(x).
x∈Ω
Per ipotesi F(x) è compatto per ogni x ∈ Ω, quindi per il teorema di
Q
F(x) è compatto nella topologia prodotto.
Tikhonov anche
x∈Ω
Per la prop. 4.2 Fb = F è compatto nella topologia prodotto che, per
la prop. 5.9, su F coincide con la topologia indotta dalla norma.
(4) ⇔ (2): Segue dal lemma 5.12 usando la compattezza di Ω.
(4) ⇔ (5): Chiaro.
Osservazione 5.14. Siano Ω compatto ed F un sottoinsieme relativamente compatto di C(Ω, K).
Allora ogni successione in F contiene una sottosuccessione convergente in C(Ω, K).
Dimostrazione. Ciò segue dal fatto che nello spazio metrico C(Ω, K)
compattezza e compattezza per successioni coincidono.
Cfr. Engelking, pag. 209.
Corollario 5.15. Siano Ω compatto e fn una successione in C(Ω, K)
n
tale che siano soddisfatte le seguenti condizioni:
(1) L’insieme {fn | n ∈ N} è equicontinuo.
(2) Per ogni x ∈ Ω l’insieme {fn (x) | n ∈ N} è limitato.
Allora la successione fn conterrà una sottosuccessione convergente
n
in C(Ω, K).
Nota 5.16. Il teorema di Ascoli-Arzelà ha molte applicazioni in analisi
funzionale. Una classica conseguenza del cor. 5.15 è l’esistenza di una
28
soluzione di un’equazione differenziale ẋ = f (t, x(t)) passante per un
qualsiasi punto interno (t0 , x(0)) di un dominio chiuso e limitato su
cui la funzione f sia continua (teorema di esistenza di Peano); una
dimostrazione si trova in Kolmogorov/Fomin, pagg 111-112, Heuser
[GD], pagg. 135-138, oppure Aulbach, pagg. 52-59.
Lemma 5.17. Sia F un sottoinsieme equicontinuo di KΩ .
Allora l’insieme degli x ∈ Ω, per i quali F(x) è limitato, è aperto e
chiuso in Ω.
Dimostrazione. (1) Che è aperto segue dal lemma 5.12.
(2) F(x) non sia limitato. Di nuovo esiste un intorno U ∈ U (x) tale
che |f (y) − f (x)| ≤ 1 per ogni y ∈ U e per ogni f ∈ F .
Sia a ∈ R. Siccome F(x) non è limitato, esiste f ∈ F con |f (x)| ≥ a.
Per ogni y ∈ U allora
a ≤ |f (x)| ≤ |f (x) − f (y)| + |f (y)| ≤ 1 + |f (y)|
ovvero |f (y)| ≥ a − 1. Siccome U non dipende da f o da a, vediamo che
F(y) è non limitato per ogni y ∈ U .
Corollario 5.18. Sia F un sottoinsieme equicontinuo di KΩ . Se Ω è
connesso e se esiste un x0 ∈ Ω per il quale F(x0 ) è limitato, allora F(x)
è limitato per ogni x ∈ Ω.
Definizione 5.19. Sia Ω = (Ω, d) uno spazio metrico.
Un insieme di funzioni F ⊂ KΩ si dice uniformemente equicontinuo,
se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per x, y ∈ Ω con d(x, y) < δ si
abbia |f (x) − f (y)| < ε per ogni f ∈ F .
È chiaro allora che F è equicontinuo.
Teorema 5.20 (lemma di ricoprimento di Lebesgue). Siano
Ω = (Ω, d) uno spazio metrico compatto ed α un ricoprimento aperto
di Ω. Allora esiste δ > 0 tale che per ogni A ⊂ Ω con d(A) < δ esiste
U ∈ α con A ⊂ U .
Dimostrazione. Supponiamo non sia cosı̀ . Allora per ogni n ∈ N + 1
esiste un sottoinsieme An ⊂ Ω con d(An ) < 1/n e tale che An non sia
contenuto in alcun elemento di α.
Scegliamo per ogni n un punto an ∈ A. Siccome Ω è uno spazio metrico compatto, la successione cosı̀ ottenuta possiede una sottosuccessione convergente, ad esempio ank −→ x con x ∈ Ω. Allora esiste U ∈ α
nk
tale che x ∈ U .
Siccome U è aperto esiste δ > 0 tale che (d(Ω, x) < δ) ⊂ U . Possiamo
trovare un k0 tale che d(ank , x) < ε/2 per ogni k ≥ k0 . Scegliamo k ≥ k0
in modo che per m := nk si abbia 1/m < ε/2.
Dimostriamo che, in contrasto con l’ipotesi, Am ⊂ U .
Infatti sia a ∈ Am. Allora d(a, am ) < 1/m, cosicché
d(a, x) ≤ d(a, am ) + d(am , x) < 1/m + ε/2 < ε/2 + ε/2 = ε
29
Ma (d(Ω, x) < ε) ⊂ U e quindi a ∈ U .
Proposizione 5.21. Siano Ω = (Ω, d) uno spazio metrico compatto,
(S, θ) uno spazio metrico ed F un sottoinsieme equicontinuo di C(Ω, S).
Allora F è uniformemente equicontinuo.
Dimostrazione. Sia ε > 0. Per ipotesi per ogni x ∈ Ω esiste un intorno
Ux ∈ U (x) tale che θ(f (x), f (y)) < ε/2 per ogni f ∈ F , per ogni y ∈ Ux .
Per il teorema 5.20 esiste δ > 0 tale che per ogni A ∈ Ω con d(A) < δ
esiste x ∈ Ω con A ⊂ Ux .
Siano y, z ∈ Ω con d(y, z) < δ . Con A := {y, z} abbiamo d(A) < δ , per
cui esiste x ∈ Ω con y, z ∈ Ux . Ciò implica
θ(f (y), f (z)) ≤ θ(f (y), f (x)) + θ(f (x), f (z)) < ε/2 + ε/2 = ε
Corollario 5.22. Siano Ω = (Ω, d) uno spazio metrico compatto, (S, θ)
uno spazio metrico ed f : Ω −→ S una funzione continua.
Allora la funzione f è uniformemente continua.
Dimostrazione. La continuità di f è equivalente all’equicontinuità
dell’insieme {f } e similmente f è uniformemente continua se e solo se
l’insieme {f } è uniformemente equicontinuo. L’enunciato segue perciò
dalla prop. 5.21.
Naturalmente, il corollario si può dimostrare anche direttamente.
30
6. Il teorema di Baire
Situazione 6.1. Sia X uno spazio topologico.
Definizione 6.2. Un sottoinsieme A ⊂ X si dice denso in X , se A = X .
Definizione 6.3. X si dice uno spazio di Baire, se per ogni successione
∞
T
An è denso in X .
A1 , A2 , . . . di aperti densi di X anche
n=1
Osservazione 6.4. Un sottoinsieme A ⊂ X è denso in X se e solo se
per ogni aperto U 6= ∅ di X si ha A ∩ U 6= ∅.
Lemma 6.5. Siano ẋ un filtro su X ed x tale che ẋ −→ x.
T
F.
Allora x ∈
F ∈ẋ
Dimostrazione. Sia F ∈ ẋ. Per ogni U ∈ U (x) allora U ∈ ẋ e quindi
F ∩ U ∈ ẋ, per cui necessariamente F ∩ U 6= ∅.
Definizione 6.6. Lo spazio topologico X si dice regolare, se è di Hausdorff e per ogni x ∈ X ed ogni chiuso A ⊂ X con x ∈
/ A esistono aperti
U, V di X tali che x ∈ U e A ⊂ V e U ∩ V = ∅.
Osservazione 6.7. Se X è completamente regolare, allora X è regolare.
Dimostrazione. Assumiamo che X sia completamente regolare. Siano x ∈ X e A un chiuso di X con x ∈
/ A. Per ipotesi esiste una funzione
continua f : X −→ [0, 1] tale che f (x) = 1 e (f = 0, in A). Allora
U := (f > 3/4) e V := (f < 1/4) sono aperti di X con x ∈ U , A ∈ V e
U ∩ V 6= ∅.
Osservazione 6.8. Ogni spazio metrico è completamente regolare e
quindi regolare.
Dimostrazione. Siano (X, d) uno spazio metrico, A un chiuso di X
ed x ∈ X \ A. Allora d(x, A) 6=
definire una funzione
0 e possiamo
d(z, A)
f : X −→ R tramite f (z) = min 1,
. La funzione f è continua
d(x, A)
e si ha (f = 0, in A) ed f (x) = 1.
Lemma 6.9. Sia X regolare e P un aperto di X . Allora per ogni x ∈ P
esiste un aperto U tale che x ∈ U ⊂ U ⊂ P .
Se P 6= ∅, allora esiste in particolare un aperto U 6= ∅ tale che U ⊂ P .
Dimostrazione. Sia x ∈ P . Allora A := X \ P è chiuso ed x ∈
/ A.
Per ipotesi esistono U, V aperti di X disgiunti tali che x ∈ U e A ⊂ V .
A ⊂ V significa X \ P ⊂ V ovvero X \ V ⊂ P . Però U ∩ V = ∅, cosicché
U ⊂ X \ V e perciò U ⊂ X \ V = X \ V ⊂ P .
Teorema 6.10 (primo teorema di Baire). Sia (X, d) uno spazio metrico completo. Allora X è di Baire.
31
Dimostrazione. Sia A1 , A2 , . . . una successione di aperti densi di X .
∞
T
Sia E1 un aperto 6= ∅ di X . Dobbiamo dimostrare che E1 ∩
An 6= ∅.
n=1
Siccome A1 è denso, E1 ∩ A1 è un aperto non vuoto. Per il lemma 6.9
esiste un aperto E2 6= ∅ tale che E2 ⊂ E1 ∩ A1 .
Possiamo assumere che d(E1 ) < 1 e d(E2 ) < 1/2.
Siccome A2 è denso, E2 ∩A2 è aperto on vuoto, perciò esiste un aperto
E3 non vuoto tale che E3 ⊂ E2 ∩ A2 ⊂ E1 ∩ A1 ∩ A2 .
Possiamo assumere che d(E3 ) < 1/3. In questo modo otteniamo una
successione decrescente di aperti non vuoti E1 ⊃ E2 ⊃ E3 ⊃ . . . tali che
∞
∞
T
T
En+1 ⊂ E1 ∩ A1 ∩ . . . ∩ An per ogni n ∈ N e quindi
En ⊂ E1 ∩
An
n=1
n=1
e d(En ) < 1/n.
È quindi sufficiente dimostrare che
∞
T
En 6= ∅.
n=1
Però la famiglia {E1 , E2 , . . .} è un intreccio e genera quindi un filtro
ẋ che è evidentemente di Cauchy, perciò esiste x ∈ X tale che ẋ −→ x.
∞
T
En .
Per il lemma 6.5 x ∈
n=1
Corollario 6.11. Ogni spazio di Banach è uno spazio di Baire.
Definizione 6.12. Per A ⊂ X poniamo
U (A) := {U ⊂ X | esiste un aperto V con A ⊂ V ⊂ U }
Gli elementi di U (A) sono detti intorni di A.
Lemma 6.13. Sia A un sottoinsieme compatto di X . Allora ogni ultrafiltro su X che contiene U (A) converge ad un punto di A.
Dimostrazione. Sia ẍ un ultrafiltro su X con U (A) ⊂ ẍ. Supponiamo
che ẍ non converga ad un punto di A. Allora per ogni a ∈ A esiste un
aperto Ua ∈ U(a) con Ua ∈
/ ẍ.
La famiglia ρ := {Ua ∩ A | a ∈ A} è un ricoprimento aperto di A che
per la compattezza di A contiene un sottoricoprimento finito. Perciò
n
n
S
S
esistono a1 , . . . , an ∈ A con
(Uai ∩ A) = A ∩
U a i = A.
i=1
Allora U :=
n
S
i=1
Uai ∈ U(A) e per ipotesi U ∈ ẍ.
i=1
Siccome ẍ è un ultrafiltro, uno degli Uai deve appartenere a ẍ, una
contraddizione.
Proposizione 6.14. Sia X compatto e di Hausdorff. Allora X è regolare.
/ A.
Dimostrazione. Siano x ∈ X ed A un chiuso di X con x ∈
Assumiamo, per assurdo, che U ∩ V 6= ∅ per ogni coppia di aperti U, V
con x ∈ U e A ⊂ V .
32
Allora U (x) ∪ U (A) è un intreccio, perciò esiste un ultrafiltro ẍ su X
tale che U (x) ∪ U (A) ⊂ ẍ. Ciò implica ẍ −→ x.
Però A è compatto, quindi per il lemma 6.13 esiste a ∈ A con ẍ −→ a.
Siccome X è di Hausdorff, ciò implica x = a ∈ A, una contraddizione.
Definizione 6.15. Lo spazio topologico X si dice localmente compatto,
se per ogni x ∈ X ed ogni U ∈ U(x) esiste un intorno compatto
M ∈ U(x) con M ⊂ U .
Lemma 6.16. Sia X di Hausdorff e ogni punto di X possieda un intorno compatto. Allora X è regolare.
/ A. Allora
Dimostrazione. Siano x ∈ X ed A un chiuso di X con x ∈
X \A ∈ U(x). Per ipotesi esiste un intorno compatto K ∈ U(x). Siccome
X è di Hausdoff, K è chiuso.
Inoltre (X \ A) ∩ K è un intorno di x in K . Per la prop. 6.14 K è
regolare, perciò esiste un intorno W di x in K tale che x ∈ W ⊂ W ⊂
(X \ A) ∩ K , dove la chiusura W di W in K coincide con la chiusura di
W in X .
Siccome K ∈ U(x), W è anche un intorno di x in X , perciò con
U := int W abbiamo x ∈ U , mentre U = W ⊂ X \ A implica che
A ⊂ X \ U := V .
In questo modo abbiamo trovato due aperti U, V con x ∈ U , A ⊂ V e
U ∩ V = ∅.
Proposizione 6.17. Sia X di Hausdorff. Allora sono equivalenti:
(1) X è localmente compatto.
(2) Ogni punto di X possiede un intorno compatto.
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) : Chiaro.
(2) ⇒ (1) : Sia x ∈ X . Per ipotesi esiste un intorno compatto
K ∈ U(x).
Sia U ∈ U (x). Allora K ∩ U ∈ U (x) è un intorno di x anche in K . Per
il lemma 6.16 K è regolare, perciò per il lemma 6.9 esiste un intorno V
di x in K con x ∈ V ⊂ V ⊂ K ∩U , dove la chiusura V di V in K coincide
con la chiusura di V in X . Siccome K ∈ U(x), V è anche un intorno di
x in X , cosicché V è un intorno compatto di x in X contenuto in K ∩ U e
quindi anche in U .
Corollario 6.18. Se X è compatto e di Hausdoff, allora X è localmente
compatto.
Osservazione 6.19. Siano X localmente compatto e di Hausdorff ed
U un sottoinsieme aperto di X . Allora U è localmente compatto.
Dimostrazione. Sia x ∈ U . Allora U ∈ U (x) e per ipotesi esiste un
intorno compatto M in U (x) con M ⊂ U . Allora M è anche un intorno
compatto di x in U e dalla prop. 6.17 segue che U è localmente compatto.
33
Osservazione 6.20. Siano X localmente compatto e di Hausdorff ed
A un sottoinsieme chiuso di X . Allora A è localmente compatto.
Dimostrazione. Sia x ∈ A. Per ipotesi esiste un intorno compatto
K ∈ U(X), cosicché K ∩ A è un intorno compatto di x in A.
Osservazione 6.21. Siano X localmente compatto e di Hausdorff ed
A e B due sottoinsiemi localmente compatti di X . Allora A∩B è ancora
localmente compatto.
Dimostrazione. Sia x ∈ A ∩ B . Per ipotesi esistono un intorno compatto K di x in A e un intorno compatto L di x in B .
Ciò implica che esistono due intorni U, V ∈ U (x) tali che U = U ∩ A,
L = V ∩ B . Allora K ∩ L = (U ∩ V ) ∩ (A ∩ B) è un intorno compatto di
x in A ∩ B .
Lemma 6.22. Siano U un aperto di X ed Y ⊂ X .
Allora U ∩ Y ⊂ U ∩ Y .
Dimostrazione. Siano x ∈ U ∩ Y e V ∈ U(x). Allora U ∩ V ∈ U(x), per
cui (U ∩ V ) ∩ Y = V ∩ (U ∩ Y ) 6= ∅. Ciò mostra che x ∈ U ∩ Y .
Proposizione 6.23. Siano X localmente compatto e di Hausdorff e
Y ⊂ X . Allora sono equivalenti:
(1) Y è localmente compatto.
(2) Y è aperto in Y .
(3) Y è intersezione di un aperto e di un chiuso in X .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) : Sia y ∈ Y . Per ipotesi esiste un intorno
compatto K di y in Y . Ciò implica che esiste un aperto U di X con
y ∈ U ∩ Y ⊂ K ⊂ Y . Allora per il lemma 6.22
U ∩ Y ⊂ U ∩ Y ⊂ K = K ⊂ Y ⊂ Y . Ciò mostra che Y è aperto in Y .
(2) ⇒ (3) : Sia Y aperto in Y . Allora esiste un aperto U di X con
Y = U ∩ Y , perciò Y è intersezione di un aperto e di un chiuso.
(3) ⇒ (1) : Oss. 6.21.
Corollario 6.24. Siano X localmente compatto e di Hausdorff e Y un
sottoinsieme denso di X . Allora sono equivalenti:
(1) Y è localmente compatto.
(2) Y è aperto.
Dimostrazione. (1) ⇒ (2) : Per la prop. 6.23 esistono un aperto U ed
un chiuso A tali che Y = U ∩ A. Dimostriamo che A = X .
Se non fosse cosı̀, X \ A sarebbe un aperto 6= ∅, cosicché, essendo Y
denso, avremmo, per l’oss. 6.4, U ∩ A ∩ (X \ A) = Y ∩ (X \ A) 6= ∅, e ciò
è impossibile.
Perciò Y = U ∩ X = U è aperto.
(2) ⇒ (1) : Oss. 6.19.
34
Corollario 6.25. Q non è localmente compatto.
Lemma 6.26. Siano X localmente compatto e di Hausdorff e P un
aperto 6= ∅ di X . Allora esiste un aperto U 6= ∅ tale che U sia compatto
e U ⊂ P.
Dimostrazione. Siccome P 6= ∅, possiamo scegliere un punto x ∈ P .
Per ipotesi esiste un intorno compatto K di x con K ⊂ P . Allora esiste
un aperto U con x ∈ U ⊂ K , per cui U ⊂ K = K ⊂ P . Però U è
compatto essendo sottoinsieme chiuso di un compatto.
Teorema 6.27 (secondo teorema di Baire). Sia X localmente compatto e di Hausdorff. Allora X è di Baire.
Dimostrazione. L’idea della dimostrazione è simile a quella usata
nella dimostrazione del teorema 6.10.
Sia A1 , A2 , . . . una successione di insiemi aperti densi di X . Sia E1
∞
T
An =
6 ∅.
un aperto non vuoto di X . Dimostriamo che vale E1 ∩
n=1
Siccome A1 è denso, E1 ∩ A1 è aperto e non vuoto. Per il lemma 6.26
esiste un aperto E2 6= ∅ tale che E2 è compatto e E2 ⊂ E1 ∩ A1 .
Siccome A2 è denso, anche E2 ∩ A2 è aperto non vuoto, perciò esiste E3
aperto non vuoto con E3 compatto e E3 ⊂ E2 ∩ A2 ⊂ E1 ∩ A1 ∩ A2 .
In questo modo otteniamo una successione E1 , E2 , E3 , . . . tale che En+1
∞
∞
T
T
è compatto e En+1 ⊂ En ∩ An per ogni n e quindi
En ⊂ E 1 ∩
An .
n=1
Siccome E1 è compatto si ha
∞
T
n=1
En 6= ∅.
n=1
Definizione 6.28. Un sottoinsieme Y di X si chiama un Gδ in X , se è
intersezione di una famiglia numerabile di insiemi aperti.
Teorema 6.29. Siano E uno spazio compatto e di Hausdorff ed X un
Gδ in E . Allora X è uno spazio di Baire.
Dimostrazione. Seguiamo Willard, pag 186.
Per ipotesi esistono aperti H1 , H2 , . . . di E tali che X =
∞
T
Hn .
n=1
Possiamo assumere che X sia denso in E (altrimenti sostituiamo E
con X ).
Siano A1 , A2 , . . . aperti densi di X . Per ogni n esiste allora un aperto
denso Bn di E tale che An = Bn ∩ X . E è uno spazio di Baire per il
teorema 6.27.
Ma B1 , H1 , B2 , H2 , . . . è una successione di aperti densi di X , per cui
∞
T
n=1
(Hn ∩ Bn ) =
∞
T
n=1
Hn ∩
∞
T
Bn = X ∩
∞
T
n=1
n=1
Bn =
∞
T
An
n=1
è denso in E e quindi anche in X .
Osservazione 6.30. Sia X localmente compatto e di Hausdorff. Allora
esiste uno spazio compatto e di Hausdorff E di cui X è sottospazio
35
aperto e denso (compattificazione di Alexandrov, cfr. Engelking, pagg.
169-170).
Perciò il secondo teorema di Baire può essere ottenuto anche come
corollario del teorema 6.29 (in Willard questo teorema viene dimostrato sena ricorrere al teorema 6.27).
Osservazione 6.31. Sia X uno spazio metrico completo. Allora X è
un Gδ nella sua compattificazione di Stone-Čech (cfr. Willard, pagg.
180-181).
Perciò anche il primo teorema di Baire può essere ottenuto come
corollario del teorema 6.29. Questi risultati sono però molto meno elementari della compattificazione di Alexandrov.
Definizione 6.32. Sia A ⊂ X .
(1) A si dice in nessuna parte denso in X , se int A = ∅. Scriviamo
allora A ∈ B0 (X).
(2) A si dice di prima categoria in X (o magro in X ), se A è unione di una famiglia numerabile di insiemi che sono di classe B0 in X .
Scriviamo allora A ∈ B1 (X).
(3) A si dice di seconda categoria in X , se A ∈
/ B1 (X). Scriviamo
allora A ∈ B2 (X).
˙ 2 (X).
Allora quindi B0 (X) ⊂ B1 (X) e P(X) = B1 (X)∪B
Osservazione 6.33. Sia A ∈ B1 (X). Allora ogni sottoinsieme di A
appartiene a B1 (X).
Osservazione 6.34. Siano A1 , A2 , . . . elementi di B1 (X).
∞
S
An ∈ B1 (X).
Allora
n=1
Osservazione 6.35. Sia A ⊂ X . Allora A ∈ B0 (X) se e solo se X \ A è
denso in X .
Dimostrazione. Infatti
int A = ∅ ⇐⇒ X \ X \ A = ∅ ⇐⇒ X \ A = X
Lemma 6.36. Siano X uno spazio di Baire ed M ∈ B1 (X).
Allora X \ M = X e quindi int M = ∅.
Dimostrazione. Per ipotesi esistono A1 , A2 , . . . in B0 (X) tali che
∞
∞
∞
T
T
S
(X \ An ). Per l’oss. 6.35 gli
(X \ A) ⊃
. Allora X \ M =
M =
n=1
n=1
n=1
insiemi X \ An sono tutti aperti e densi e quindi, essendo X di Baire,
∞
T
(X \ An ) = X . Ciò implica X \ M = X .
n=1
Infine int M = X \ X \ M = X \ X = ∅.
Corollario 6.37. Siano X uno spazio di Baire ed U 6= ∅ un aperto diX .
Allora U ∈ B2 (X).
36
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che U ∈ B1 (X). Allora, per
il lemma 6.36, si ha che ∅ = int U = U , una contraddizione.
Corollario 6.38. Sia X uno spazio di Baire 6= ∅. Allora X ∈ B2 (X).
Osservazione 6.39. Siano Y ⊂ X ed A ⊂ Y . Allora la chiusura di A
in Y è data da Y ∩ A.
Dimostrazione. Ad esempio Engelking, pag. 66.
Lemma 6.40. Siano Y ⊂ X ed A ⊂ Y . Allora:
(1) A ∈ B0 (Y ) ⇒ A ∈ B0 (X).
(2) A ∈ B1 (Y ) ⇒ A ∈ B1 (X).
Dimostrazione. (1) Sia A ∈ B0 (Y ). Assumiamo, per assurdo, che esista un aperto U 6= ∅ di X tale che U ⊂ A. Allora per l’oss. 6.39 Y ∩A è la
chiusura di A in Y . Per ipotesi U ∩ Y ∩ A = ∅, perciò U ∩ Y = ∅, essendo
U ⊂ A. Ciò implica Y ⊂ X \U , da cui risulta che A ⊂ Y ⊂ X \ U = X \U
e quindi A ∩ U = ∅, una contraddizione.
(2) Segue da (1).
Definizione 6.41. Un sottoinsieme Y ⊂ X si dice residuale in X , se
X \ Y ∈ B1 (X).
Lemma 6.42. Sono equivalenti:
(1) X è uno spazio di Baire.
(2) Per ogni M ∈ B1 (X) vale X \ M = X .
(3) Ogni sottoinsieme residuale di X è denso in X .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Lemma 6.36.
(2) ⇒ (1): Siano A1 , A2 , . . . aperti densi in X . Sia M := X \
∞
T
An .
n=1
Allora M ⊂ X \
∞
T
n=1
An =
∞
S
(X \ An ). Per ipotesi, per ogni n si ha che
n=1
An = X \ (X \ An ) = X \ X \ An è denso in X e per l’oss. 6.35
∞
S
X \ An ∈ B0 (X). Ciò mostra
X \ An ∈ B1 (X) e quindi per l’oss. 6.33
n=1
anche M ∈ B1 (X). Per ipotesi X \ M = X . Ciò significa però che
∞
∞
T
T
X=
An =
An .
n=1
n=1
(2) ⇔ (3): Chiaro.
Proposizione 6.43. Siano X uno spazio di Baire ed Y un sottoinsieme
residuale di X . Allora Y è uno spazio di Baire.
Dimostrazione. Sia M ∈ B1 (Y ). Per il lemma 6.42 è sufficiente dimostrare che Y ∩ Y \ M = Y , cioè che Y ⊂ Y \ M . Per il lemma 6.40
però M ∈ B1 (X), mentre per ipotesi N := X \ Y ∈ B1 (X). Dall’oss. 6.34
segue N ∪ M ∈ B1 (X) cosicché dal lemma 6.36 abbiamo
37
Y \ M = (X \ N ) \ M = X \ (M ∪ N ) = X
Proposizione 6.44. Siano X uno spazio di Baire ed Y ⊂ X . Allora
sono equivalenti:
(1) Y è residuale in X .
(2) Y contiene un Gδ denso in X .
(3) Esistono aperti densi A1 , A2 , . . . in X tali che Y ⊃
∞
T
An .
n=1
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Sia Y residuale in X . Allora esistono
∞
∞
S
T
A1 , A2 , . . . con Y = X \
An =
(X \ An ) tali che int An = ∅ per
n=1
n=1
ogni n.
Sia I :=
∞
T
(X \ An ). Allora I è un Gδ in X con I ⊂ Y .
n=1
Dimostriamo che I è denso in X . Ma X \ I =
∞
S
An ∈ B1 (X) e dal
n=1
lemma 6.36 segue I = X .
(2) ⇒ (3): Sia I un Gδ denso in X e Y ⊃ I . Allora I è della forma
∞
T
An con An aperti. Siccome I è denso, anche ogni singolo An è
I =
n=1
denso.
(3) ⇒ (1): Siano A1 , A2 , . . . aperti densi in X con Y ⊃
∞
T
An . Allora
n=1
X \Y =X \
∞
T
n=1
An =
∞
S
X \ An , mentre per ogni n si ha
n=1
∅ = X \ An = X \ (X \ (X \ An )) = int(X \ An )
Ciò implica X \ Y ∈ B1 (X).
Osservazione 6.45. Proprietà che valgono per tutti i punti di un Gδ
denso di X vengono spesso dette generiche in X .
Corollario 6.46. Ogni Gδ denso di uno spazio di Baire è uno spazio di
Baire.
Nota 6.47. Una tipica applicazione elementare del teorema di Baire
è il seguente enunciato, la cui dimostrazione si trova ad esempio in
Querenburg, pagg. 153-154:
Per ogni n ∈ N sia fn : X −→ R una funzione continua e per ogni
x ∈ X esiste il limite f (x) := lim fn (x). Allora l’insieme C dei punti
n−→∞
in cui la funzione f : X −→ R cosı̀ ottenuta è continua è residuale inX .
Se quindi X è uno spazio di Baire, per la prop. 6.44 C contiene un
Gδ denso in X ed è in particolare denso in X .
Forse ancora più utile è un risultato simile che dimostreremo nella
prossima proposizione.
Proposizione 6.48. Siano f : X −→ R una funzione e C l’insieme dei
38
punti in cui la f è continua. Se C è denso in X allora C è residuale
in X .
Dimostrazione. Per ogni n ∈ N + 1 e per ogni x ∈ C esiste un intorno
1
aperto Unx di x tale che |f (y) − f (x)| < per ogni y ∈ Unx .
n
S x
Un è un aperto con C ⊂ Un .
Allora Un :=
x∈C
Siccome C è denso, si ha Un = X e quindi int(X \ Un ) = X \ Un = ∅.
∞
S
(X \ Un ) ∈ B1 (X).
Perciò X \ Un ∈ B0 (X), per cui
n=1
Se invece x0 ∈ C , allora esiste un n ∈ N + 1 tale che ogni intorno di
1
x0 contiene un punto z con |f (x0 ) − f (z)| ≥ e quindi x0 ∈
/ U2n .
n
∞
S
(X \ Un ) e vediamo che X \ C ∈ B1 (X).
Ciò implica X \ C ⊂
n=1
Corollario 6.49. Non esiste una funzione f : R −→ R continua in ogni
punto di Q e discontinua in ogni altro punto.
Lemma 6.50. Siano X uno spazio vettoriale normato e W un sottospazio vettoriale di X . Allora:
(1) Se dim W < ∞, allora W è chiuso in X .
(2) Se W 6= X , allora int W = ∅.
Dimostrazione. (1) Scelta una base e1 , . . . , en di W , si dimostra che
W è completo allo stesso modo in cui si dimostra che Kn è completo.
Per la prop. 1.13 W è chiuso in V .
(2) Sia x ∈ int W . Ciò significa che esiste ε > 0 tale che
(kV − xk < ε) ⊂ W . In particolare x ∈ W .
ε
Per ipotesi esiste v ∈ V \W0 . Allora v 6= 0 e con λ :=
e y := x+λv
2kvk
ε
abbiamo ky − xk = kλvk = , per cui y ∈ W . Perciò λv ∈ W e quindi
2
1
v = λv ∈ W , una contraddizione.
λ
Proposizione 6.51. Sia X uno spazio di Banach. Allora non esiste
una base E di X con |E| = |N|.
Dimostrazione. L’enunciato è sicuramente vero se dim X < ∞. Siano
quindi dim X = ∞ ed e1 , e2 , . . . un base numerabile di X .
Per ogni n sia Vn := SV (e1 , . . . , en ). Per il lemma 6.50 ogni Vn è chiuso
∞
S
Vn , per cui
in X e inoltre int Vn = int Vn = ∅. D’altra parte X =
n=1
X ∈ B1 (X), in contrasto con il cor. 6.38.
39
7. Il teorema di Hahn-Banach
Situazione 7.1. Sia X uno spazio vettoriale su K.
Allora X è anche uno spazio vettoriale su R e un’applicazione
α : X −→ R si dirà lineare se è R-lineare.
Nella prima parte del capitolo seguiamo Hirzebruch/Scharlau,
pagg. 29-34.
Definizione 7.2. Una funzione f : X −→ R si dice
(1) convessa, se per ogni x, y ∈ X ed ogni t ∈ [0, 1] vale
f (tx + (1 − t)y) ≤ tf (x) + (1 − t)f (y)
(2) sublineare, se per ogni x, y ∈ X ed ogni s, t ≥ 0 vale
f (tx + sy) ≤ tf (x) + sf (y)
(3) subadditiva, se per ogni x, y ∈ X vale
f (x + y) ≤ f (x) + f (y)
(4) positivamente omogenea, se per ogni x ∈ X ed ogni t ≥ 0 vale
f (tx) = tf (x)
Lemma 7.3. Per una funzione f : X −→ R sono equivalenti:
(1) f è sublineare.
(2) f è convessa e positivamente omogenea.
(3) f è subadditiva e positivamente omogenea.
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Sia f sublineare. È chiaro che f è convessa. Dimostriamo che f è positivamente omogenea. Siano x ∈ X e t ≥ 0.
Allora
f (tx) = f (tx + 0 · 0) ≤ tf (x) + 0f (0) = tf (x)
In particolare abbiamo
f (0) = f (0 · 0) ≤ 0 · f (0) = 0
D’altra parte però
f (0) = f (0 + 0) ≤ f (0) + f (0)
per cui 0 =≤ f (0) e vediamo che
f (0) = 0 e quindi anche f (0 · x) = 0f (x).
Supponiamo ora t > 0. La sublinearità di f implica in particolare che
1
t
f (tx) ≤ tf (x) per ogni x e quindi tf (x) = tf ( x) ≤ t f (tx) = f (tx).
t
t
Vediamo cosı̀ che f (tx) = tf (x) anche per t > 0.
(2) ⇒ (3) : Chiaro.
(3) ⇒ (1) : Siano x, y ∈ X , t ∈ [0, 1] ed f sia subadditiva e positivamente omogenea. Allora
40
f (tx + (1 − t)y) ≤ f (tx) + f ((1 − t)y) = tf (x) + (1 − t)f (y)
Osservazione 7.4. Sia f : X −→ R sublineare. Allora f (0) = 0.
Dimostrazione. Per il lemma 7.3 f è positivamente omogenea.
Perciò f (0) = f (0 · 0) = 0 · f (0) = 0.
Oppure si riutilizzi la dimostrazione del lemma 7.3.
Esempio 7.5. (1) Ogni seminorma è sublineare.
(2) Sia f : R −→ R. Se f è positivamente omogenea, allora per t ≥ 0
si ha f (t) = f (t · 1) = tf (1), mentre per t ≤ 0 vale
f (t) = f ((−t)(−1)) = (−t)f (−1).
Le funzioni sublineari R −→ R sono quindi esattamente le funzioni
convesse R −→ R il cui grafico risulta composto di due semirette che si
intersecano nell’origine. Una tale funzione è una seminorma se e solo
se il suo grafico è simmetrico rispetto all’asse y .
Definizione 7.6. Denotiamo con Sub X l’insieme delle funzioni
sublineari da X −→ R.
Come sottoinsieme dell’insieme parzialmente ordinato (RX , ≤) l’insieme (Sub X, ≤) è a sua volta parzialmente ordinato.
Lemma 7.7. Siano f : X −→ R subadditiva e g : X −→ R tale che
f ≤ g . Allora f (x) ≥ f (0) − g(−x) per ogni x ∈ X .
Se f è sublineare si ha quindi f (x) ≥ −g(−x) per ogni x ∈ X .
Dimostrazione. Sia x ∈ X . Per ipotesi
f (0) = f (x − x) ≤ f (x) + f (−x) ≤ f (x) + g(−x)
e quindi f (x) ≥ f (0) − g(−x).
Lemma 7.8. Siano F una catena non vuota di Sub X ed h := inf F .
(1) Sia g un elemento arbitrario di F . Allora
f (x) ≥ min(g(x), −g(−x))
per ogni f ∈ F ed ogni x ∈ X .
h è quindi una ben definita funzione da X −→ R.
(2) h è sublineare.
(3) h ≤ f per ogni f ∈ F .
Dimostrazione. (1) Siano x ∈ X ed f ∈ F .
Se f (x) ≥ g(x), l’enunciato del punto (1) è verificato.
Altrimenti f ≤ g perché F è una catena. Dal lemma 7.7 segue allora
che f (x) ≥ −g(−x).
(2) È chiaro che h è positivamente omogenea. Dimostriamo la subadditività . Siano x, y ∈ X . Assumiamo, per assurdo, che esista un ε > 0
tale che h(x + y) > h(x) + h(y) + ε.
41
ε
ε
e g(y) ≤ h(y)+ .
2
2
Siccome F è una catena si ha, ad esempio, f ≤ g e quindi anche
ε
f (y) ≤ h(y) + . Ciò implica
2
ε
ε
h(x + y) ≤ f (x + y) ≤ f (x) + f (y) ≤ h(x) + + h(y) +
2
2
= h(x) + h(y) + ε < h(x + y).
Per ipotesi esistono f, g ∈ F tali che f (x) ≤ h(x)+
e ciò è impossibile.
(3) Chiaro.
Osservazione 7.9. Siano f : X −→ R subadditiva ed x, y ∈ X . Allora
−f (−x) ≤ f (x + y) − f (y) ≤ f (x)
Dimostrazione. Abbiamo
f (y) = f (x + y − x) ≤ f (x + y) + f (−x)
e f (x + y) ≤ f (x) + f (y), per cui −f (−x) ≤ f (x + y) − f (y) ≤ f (x).
Proposizione 7.10. Gli elementi minimali di Sub X coincidono con le
applicazioni lineari X −→ R.
Dimostrazione. (1) Siano g : X −→ R lineare ed f ∈ Sub X tale che
f ≤ g . Dal lemma 7.7 segue che f (x) ≥ −g(−x) = g(x) per ogni x ∈ X ,
cioè f ≥ g , e ciò implica f = g .
(2) Sia g un elemento minimale di Sub X . È sufficiente dimostrare
che g(x + y) = g(x) + g(y) per ogni x, y ∈ X , perché allora per ogni t < 0
7.4
si ha g(tx) = g(0) − g(−tx) = g(−tx) = tg(x).
(A) Sia y ∈ X fissato. Allora definiamo gy : X −→ R ponendo
gy (x) := inf {g(x + λy) − λg(y) | λ ≥ 0}
(*)
L’applicazione gy è ben definita, perché per ogni x ∈ X ed ogni λ ≥ 0
per l’oss. 7.9 si ha
−g(−x) ≤ g(x + λy) − g(λy) = g(x + λy) − λg(y) ≤ g(x)
Questa relazione mostra inoltre che gy ≤ g .
(B) Assumiamo di essere in grado di dimostrare che gy è sublineare
per ogni y ∈ Y . Per la minimalità di g allora gy = g e ciò implica, con
λ = 1 in (*), che g(x + y) − g(y) ≥ g(x) ovvero g(x) + g(y) ≤ g(x + y).
La subadditività di g implica allora g(x + y) = g(x) + g(y).
(C) Rimane quindi da dimostrare che gy è sublineare. Dalla (*) segue
gy (0) = 0 usando l’omogeneità positiva di g . Sia t > 0. Allora
gy (tx) = inf {g(tx + λy) − λg(y) | λ ≥ 0}
λ
= inf tg x + y − λg(y) | λ ≥ 0
t
λ
λ
= inf t g x + y − g(y) | λ ≥ 0
t
t
= inf {t [g(x + λy) − λg(y)] | λ ≥ 0} = tgy (x)
42
Dobbiamo ancora dimostrare la subadditività di gy . Siano x1 , x2 ∈ X
ed ε > 0. Allora esistono λ1 , λ2 ≥ 0 tali che
g(x1 + λ1 y) − λ1 g(y) ≤ gy (x1 ) + ε
g(x2 + λ2 y) − λ2 g(y) ≤ gy (x2 ) + ε
gy (x1 + x2 ) ≤ g(x1 + x2 + (λ1 + λ2 )y) − (λ1 + λ2 )g(y)
≤ g(x1 + λ1 y) − λ1 g(y) + g(x2 + λ2 y) − λ2 g(y)
≤ gy (x1 ) + ε + gy (x2 ) + ε = gy (x1 ) + gy (x2 ) + 2ε
Siccome ciò vale per ogni ε > 0, vediamo che
gy (x1 + x2 ) ≤ gy (x1 ) + gy (x2 )
Teorema 7.11 (Hahn-Banach). Sia f : X −→ R sublineare. Allora
esiste una funzione lineare α : X −→ R tale che α ≤ f .
Dimostrazione. Per il lemma 7.8 possiamo applicare il lemma di
Zorn a Sub X . Perciò esiste un elemento minimale α di Sub X con
α ≤ f . Per la prop. 7.10 α è lineare.
Osservazione 7.12. Sia f : X −→ R tale che per ogni x ∈ X ed ogni
t > 0 valga f (tx) = tf (x). Allora f è positivamente omogenea.
Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che f (0) = 0.
1
1
· 0 = f (0) e ciò è possibile
L’ipotesi implica però che f (0) = f
2
2
solo se f (0) = 0.
Osservazione 7.13. La prop. 7.10 implica in particolare che se per
due applicazioni lineari α, β : X −→ R si ha α ≤ β , allora α = β .
Proposizione 7.14. Siano K = R ed f : X −→ R una funzione sublineare. Siano Y un sottospazio vettoriale di X ed α0 : Y −→ R lineare
con (α0 ≤ f, in Y ).
Allora esiste una funzione lineare α : X −→ R con (α = α0 , in Y ) ed
α ≤ f.
Dimostrazione. Definiamo g : X −→ R ponendo
g(x) := inf {f (x − y) + α0 (y) | y ∈ Y }
per ogni x ∈ X .
(1) Assumiamo di aver dimostrato che g è ben definita e sublineare.
Per il teorema 7.11 allora esiste una funzione lineare α : X −→ R tale
che α ≤ g . Per x ∈ X allora
g(x) ≤ f (x − 0) + α0 (0) = f (x)
per cui α ≤ g ≤ f . Inoltre per y ∈ Y abbiamo
7.12
g(y) ≤ f (y − y) + α0 (y) = α0 (y)
e quindi α ≤ g ≤ α0 .
43
Per ipotesi g è sublineare su X e quindi anche su Y e siccome α0 è
lineare da (g ≤ α0 , in Y ) dalla prop. 7.10 segue che (g = α0 , in Y ).
Ciò implica adesso che (α ≤ g = α0 , in Y ), e ciò, per l’oss. 7.13, è
possibile solo se (α = α0 , in Y ).
(2) Dimostriamo che l’applicazione g è ben definita, cioè che
g(x) > −∞ per ogni x ∈ X .
Per y ∈ Y abbiamo però
f (x − y) + α0 (y) ≥ f (x − y − x) − f (−x) + α0 (y)
= f (−y) − f (−x) + α0 (y)
= f (−y) − α0 (−y) − f (−x) ≥ −f (−x)
dove nell’ultima disuguaglianza abbiamo usato l’ipotesi (α0 ≤ f, in Y ).
(3) Dimostriamo che g è positivamente omogenea.
Per t > 0 e x ∈ X abbiamo
g(tx) = inf {f (tx − y) + α0 (y) | y ∈ Y }
= inf {f (t(x − y)) + α0 (ty) | y ∈ Y }
= inf {t[f (x − y) + α0 (y)] | y ∈ Y } = tg(x)
(4) Dimostriamo che g è subadditiva. Per x1 , x2 ∈ X ed ogni ε > 0
esistono y1 , y2 ∈ Y tali che
g(x1 ) ≥ f (x1 − y1 ) + α0 (y1 ) − ε
g(x2 ) ≥ f (x2 − y2 ) + α0 (y2 ) − ε
e quindi
g(x1 ) + g(x2 ) ≥ f (x1 − y1 ) + α0 (y1 ) − ε + f (x2 − y2 ) + α0 (y2 ) − ε
≥ f (x1 + x2 − (y1 + y2 )) + α0 (y1 + y2 ) − 2ε
≥ g(x1 + x2 ) − 2ε
Siccome ε è arbitrario, ciò mostra che g(x1 ) + g(x2 ) ≥ g(x1 + x2 ).
Osservazione 7.15. Siano K = C ed α := X −→ C lineare. Allora per
ogni x ∈ X si ha Im α(x) = − Re α(ix).
Se perciò β è un’altra applicazione lineare X −→ C tale che
Re α = Re β , allora α = β .
Dimostrazione. Sia α := u + iv con u = Re α, v = Im α. Per x ∈ X
allora
α(ix) = iα(x) = iu(x) − v(x), però anche
α(ix) = u(ix) + iv(ix). Ciò implica u(x) = v(ix) e v(x) = −u(ix) e
quindi Im α(x) = − Re α(ix).
Proposizione 7.16. Siano p : X −→ R una seminorma, Y un sottospazio vettoriale di X ed α0 : Y −→ K un’applicazione lineare con
(|α0 | ≤ p, in Y ).
44
Allora esiste un’applicazione lineare α : X −→ K con (α = α0 , in Y )
e |α| ≤ p.
Dimostrazione. (1) Sia K = R. Siccome una seminorma è sublineare
e l’ipotesi (|α0 | ≤ p, in Y ) implica che anche (α0 ≤ p, in Y ), possiamo
applicare la prop. 7.14.
Perciò esiste un’applicazione lineare α : X −→ R tale che
(α = α0 , in Y ) ed α ≤ p.
Dobbiamo solo dimostrare che |α| ≤ p.
Per x ∈ X però −α(x) = α(−x) ≤ p(−x) = p(x).
(2) Sia K = C. Allora l’applicazione Re α0 : Y −→ R è R-lineare e
(|Re α0 | ≤ |α0 | ≤ p, in Y ). Per il punto (1) esiste quindi un’applicazione
R-lineare β : X −→ R con (β = Re α0 , in Y ) e |β| ≤ p.
Definiamo α : X −→ C tramite α(x) := β(x) − iβ(ix).
(A) Dimostriamo che α è C-lineare. È chiaro che α è additiva.
Siano x ∈ X e a, b ∈ R. Allora
α((a + ib)x) = β((a + ib)x) − iβ((ia + b)x)
= β(ax + bix) − iβ(aix − bx)
= aβ(x) + bβ(ix) − iaβ(ix) + ibβ(x)
= a[β(x) − iβ(ix)] + ib[−iβ(ix) + β(x)]
= (a + ib)(β(x) − iβ(ix))
= (a + ib)α(x)
(B) Per definizione per y ∈ Y si ha Re α(y) = β(y) = Re α0 (y)
e dall’oss. 7.15 segue che (α = α0 , in Y ).
(C) Sia x ∈ X . Allora α(x) = |α(x)| eiϕ per qualche ϕ ∈ R, per cui
|α(x)| = α(x)e−iϕ = α(e−iϕ x)
= β(e−iϕ x) ≤ p(e−iϕ x) = e−iϕ p(x) = p(x)
Nota 7.17. Se X ed Y sono spazi vettoriali topologici (ad esempio spazi
vettoriali normati) su K, con L(X, Y ) denotiamo l’insieme delle applicazioni lineari continue X −→ Y .
È chiaro che L(X, K) è uno spazio vettoriale.
Lo spazio X ′ := L(X, K) si chiama spazio duale di X .
Se X ed Y sono spazi vettoriali normati, per un’applicazione lineare
ϕ : X −→ Y possiamo definire kϕk := sup {kϕxk | x ∈ (kXk = 1)}.
Si dimostra facilmente che ϕ è continua se e solo se kϕk < ∞. In tal
caso si ha kϕxk ≤ kϕkkxk per ogni x ∈ X .
L(X, Y ) con kk diventa uno spazio vettoriale normato che è uno spazio di Banach, se Y è uno spazio di Banach.
In particolare il duale X ′ è uno spazio di Banach per ogni spazio
vettoriale normato X .
45
Corollario 7.18. Siano X uno spazio vettoriale normato, Y un sottospazio vettoriale di X ed α0 ∈ Y ′ . Allora esiste α ∈ X ′ tale che
(α = α0 , in Y ) e kαk = kα0 k.
Dimostrazione. Per x ∈ X sia p(x) := kxkkα0 k. Per x, y ∈ X e λ ∈ K
allora
p(x + y) = kx + ykkα0 k ≤ kxkkα0 k + kykkα0 k ≤ p(x) + p(y)
p(λx) = kλxkkα0 k = |λ| kxkkα0 k = λp(x)
Ciò mostra che p è una seminorma. Per ogni y ∈ Y inoltre
|α0 (y)| ≤ kykkα0 k = p(y)
Per la prop. 7.16 esiste un’applicazione lineare α : X −→ K con
(α = α0 , in Y ) e |α| ≤ p.
L’ultima disuguaglianza implica che per ogni x ∈ X si ha
|α(x)| ≤ kxkkα0 k, per cui kαk ≤ kα0 k. Ciò mostra che α ∈ X ′ . Siccome
però chiaramente kα0 k ≤ kαk, necessariamente kαk = kα0 k.
Proposizione 7.19. Sia X uno spazio vettoriale normato. Allora:
(1) Per ogni x ∈ X \ 0 esiste α ∈ X ′ tale che α(x) = kxk ed kαk = 1.
(2) Per ogni x ∈ X \ 0 esiste α ∈ X ′ tale che α(x) 6= 0.
(3) X ′ separa i punti di X .
(4) Se X 6= 0, allora anche X ′ 6= 0.
Dimostrazione. (1): Siano x ∈ X \ 0 ed Y := Kx la retta generata
da x. Per y = tx definiamo α0 (y) := tkxk. Allora α0 è un ben definito
elemento di Y ′ . Per il cor. 7.18 esiste α ∈ X ′ tale che α(x) = α0 (x) = 1
e in più kαk = kα0 k.
Per ktxk = 1 inoltre |α0 (tx)| = |t| kxk = ktxk = 1, per cui kα0 k = 1.
(2): Chiaro.
(3): Siano x, y ∈ X ed x 6= y . Per il punto (1) esiste α ∈ X ′ con
α(x) − α(y) = α(x − y) 6= 0 e ciò implica α(x) 6= α(y).
(4): Da (2).
Osservazione 7.20. Siano X, Y spazi vettoriali normati, entrambi
non nulli. Allora L(X, Y ) 6= 0.
Dimostrazione. X 6= 0 vuol dire che esiste x0 ∈ X , x0 6= 0. Per la
prop. 7.19 esiste α ∈ X ′ tale che α0 (x0 ) 6= 0. Scelto y0 ∈ Y \0, definiamo
ϕ := X −→ Y con ϕ(x) := α(x)y0 . Allora ϕ ∈ L(X, Y ) \ 0.
Corollario 7.21. Sia X uno spazio vettoriale normato 6= 0. Allora per
ogni x ∈ X vale
kxk = max {|α(x)| | α ∈ (kX ′ k = 1)}
Dimostrazione. Per x = 0 abbiamo solo bisogno dell’esistenza di
α ∈ X con kαk = 1, ma ciò segue dalla prop. 7.19.
46
Per x 6= 0 dalla stessa proposizione segue l’esistenza di
α ∈ (kX ′ k = 1) con α(x) = kxk e quindi anche |α(x)| = kxk.
Viceversa per ogni β ∈ (kX ′ k = 1) vale |β(x)| ≤ kβkkxk = kxk.
Lemma 7.22. Sia X uno spazio vettoriale normato 6= 0.
Per x ∈ X sia j(x) := α(x) : X ′ −→ K. Allora j(x) ∈ X ′′ .
α
Dimostrazione. È chiaro che j è lineare.
Dimostriamo la continuità . Per α ∈ X ′ vale
kj(x)(α)k = kα(x)k ≤ kαkkxk e ciò implica kj(x)k ≤ kxk < ∞.
Definizione 7.23. Per uno spazio vettoriale normato X sia
j := α(x) : X −→ X ′′ .
x α
Quest’applicazione è ben definita per il lemma 7.22 ed è detta immersione canonica di X in X ′′ .
Definizione 7.24. Un’applicazione ϕ : X −→ Y tra spazi metrici si
dice un’isometria, se per ogni x, y ∈ X si ha d(ϕ(x), ϕ(y)) = d(x, y).
È chiaro allora che ϕ è iniettiva; non chiediamo invece la
suriettività .
Osservazione 7.25. Un’applicazione lineare ϕ : X −→ Y tra spazi
vettoriali normati è un’isometria se e solo se kϕxk = kxk per ogni
x ∈ X.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ X .
(1) Se ϕ è un’isometria allora
kϕxk = kϕ(x − 0)k = kϕx − ϕ0k = kx − 0k = kxk.
(2) Se la condizione è soddisfatta, allora
kϕx − ϕyk = kϕ(x − y)k = k(x − y)k.
Proposizione 7.26. Sia X uno spazio vettoriale normato. Allora l’applicazione j : X −→ X ′′ è lineare e isometrica.
Dimostrazione. (1) È chiaro che j è lineare.
(2) Sia x ∈ X . Nella dimostrazione del lemma 7.22 abbiamo visto
che kj(x)k ≤ kxk, quindi è sufficiente dimostrare che kj(x)k ≥ kxk. Ciò
è banale per x = 0; sia quindi x 6= 0.
Per la prop. 7.19 esiste α ∈ X ′ tale che kαk = 1 e α(x) = kxk.
Ma allora, per la definizione della norma su X ′′ , si ha
kj(x)k ≥ kj(x)(α)k = kα(x)k = kxk.
Definizione 7.27. Uno spazio vettoriale normato X si dice riflessivo,
se l’applicazione j : X −→ X ′′ è biiettiva.
Per la nota 7.17, X è allora uno spazio di Banach.
Proposizione 7.28. Siano X uno spazio vettoriale normato, Y un sottospazio vettoriale di X ed x ∈ X tale che x ∈
/ Y . Allora esiste α ∈ X ′
tale che siano soddisfatte le seguenti condizioni:
47
(1) (α = 0, in Y ).
(2) α(x) = d(x, Y ).
(3) kαk = 1.
Dimostrazione. Seguiamo Heuser [FA], pagg. 232-233.
Poniamo ρ := d(x, Y ). Sia W := SV (x, Y ). Gli elementi di W sono
i vettori della forma v = tx + y con t ∈ K e y ∈ Y univocamente
determinati.
L’applicazione α0 : W −→ K definita da α0 (tx + y) := tρ è evidentemente lineare, inoltre (α0 = 0, in Y ) ed α0 (x) = ρ.
Dobbiamo dimostrare che kα0 k = 1; allora α0 ∈ W ′ e possiamo
trovare α applicando il cor. 7.18.
(A) Siano t ∈ K e y ∈ Y . Allora
−y
|α0 (tx + y)| = |tρ| = |t| ρ ≤ |t| x − t = ktx + yk
e ciò mostra kα0 k ≤ 1.
(B) Sia ε > 0. Allora possiamo trovare un y ∈ Y tale che
0 < ρ ≤ kx − yk < ρ + ε.
x−y
ρ
ρ
Per w :=
allora w ∈ W e kα0 k ≥ |α(w)| =
>
.
kx − yk
kx − yk
ρ+ε
Per ε → 0 vediamo che necessariamente kα0 k = 1.
Definizione 7.29. Uno spazio topologico si dice separabile, se contiene
un sottoinsieme numerabile (cioè di una cardinalità ≤ |N|) denso.
Osservazione 7.30. Un sottoinsieme di uno spazio topologico separabile non è necessariamente separabile (Willard, pag. 109).
Un sottoinsieme di uno spazio metrico separabile è invece ancora separabile: ciò segue ad esempio da Willard, pag. 166, oppure Engelking,
pag. 216.
Una dimostrazione diretta si trova in Alt, pag. 114.
Lemma 7.31. (1) Siano X uno spazio topologico ed A un sottoinsieme
di X . Se A è separabile, anche A è separabile.
(2) Siano X uno spazio vettoriale normato ed E un sottoinsieme separabile (ad esempio numerabile) di X . Allora SV (E) è separabile.
Dimostrazione. Alt, pag. 114.
Proposizione 7.32. Sia X uno spazio vettoriale normato il cui duale
X ′ è separabile. Allora X stesso è separabile.
Dimostrazione. Per l’oss. 7.30 l’insieme (kX ′ k = 1) è separabile. Sia
E un sottoinsieme denso di (kX ′ k = 1). Per ogni β ∈ E possiamo trovare un xβ ∈ X con kxβ k = 1 e |β(xβ )| ≥ 1/2.
Per il lemma 7.31 è sufficiente dimostrare che SV (E) = X .
48
Sia Y := SV (E). Allora Y è un sottospazio vettoriale chiuso di X .
Assumiamo per assurdo che Y 6= X . Allora esiste x ∈ X \ Y e quindi
d(x, Y ) > 0 perché Y è chiuso. Per la prop. 7.28 esiste α ∈ (kX ′ k = 1)
tale che (α = 0, in Y ) e quindi in particolare α(xβ ) = 0 per ogni β ∈ E ,
cosicché
1
≤ |β(xβ )| = |β(xβ ) − α(xβ )| = |(β − α)(xβ )| ≤ kβ − αk
2
per ogni β ∈ E .
Ma ciò è in contrasto con l’ipotesi che E sia denso in (kX ′ k = 1).
Osservazione 7.33. La prop. 7.28 viene spesso usato (come abbiamo
fatto nella prop. 7.32) per dimostrare che un sottospazio vettoriale Y di
uno spazio vettoriale normato X è denso in X : altrimenti esiste x ∈ X
con d(x, Y ) > 0, per cui si può trovare un α ∈ X ′ come nella prop. 7.28
e da cui deriva, quando la tecnica ha successo, una contraddizione.
Questa idea è contenuta anche nella prop. 7.35.
Osservazione 7.34. Siano X uno spazio vettoriale normato, Y un sottospazio vettoriale denso di X ed α0 ∈ Y ′ . Allora esiste un unico α ∈ X ′
tale che (α = α0 , in Y ).
Dimostrazione. L’unicità è evidente. Sia x ∈ X . Allora esiste una
successione yn in Y con yn −→ x. Siccome un’applicazione linean
n
re continua è uniformemente continua, la successione α0 (yn ) è una
n
successione di Cauchy in K. Perciò esiste lim α0 (yn ) =: α(x). Adesso
n→∞
è chiaro che in questo modo otteniamo un elemento α ∈ X ′ tale che
(α = α0 , in Y ).
Proposizione 7.35. Siano X uno spazio vettoriale normato ed Y un
sottospazio di X . Allora sono equivalenti:
(1) Y è denso in X .
(2) Se α ∈ X ′ è tale che (α = 0, in Y ), allora α = 0.
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Chiaro.
(2) ⇒ (1): Sia Y 6= X . Allora esiste x ∈ X tale che ρ := d(x, Y ) > 0,
quindi per la prop. 7.28 esiste α ∈ X ′ con (α = 0, in Y ) ed α(x) = ρ.
Ciò è in contrasto con l’ipotesi.
Proposizione 7.36. Sia X uno spazio vettoriale normato ed I un insieme di indici. Per ogni i ∈ I sia dato un punto xi ∈ X . Allora sono
equivalenti:
(1) Per ogni i ∈ I vale xi ∈
/ SV (xj | j ∈ I \ i).
(2) Esiste una famiglia αi : I −→ X ′ tale che αi (xj ) = δij
i
per ogni i, j ∈ I .
Dimostrazione. Per i ∈ I poniamo Xi := SV (xj | j ∈ I \ i). Allora Xi
è un sottospazio vettoriale chiuso di X .
49
(1) ⇒ (2): Sia i ∈ I . Per ipotesi xi ∈
/ Xi . Per la prop. 7.28 esiste
βi ∈ X ′ tale che (βi = 0, in Xi ) e βi (xi ) 6= 0.
Possiamo porre αi = α/βi (x).
(2) ⇒ (1): Siano xi ∈ Xi e la famiglia αj scelta come nell’enunciato.
j
Dalla prop. 7.35 segue che (αi = 0, in Xi ) e quindi anche
αi (xi ) = 0. Per ipotesi però αi (xi ) = 1.
Corollario 7.37. Sia X uno spazio vettoriale normato ed x1 , . . . , xm
elementi di X . Allora sono equivalenti:
(1) Gli elementi x1 , . . . , xm sono linearmente indipendenti.
(2) Esistono α1 , . . . , αm ∈ X ′ tali che αi (xj ) = δij per ogni i, j ∈ I .
Dimostrazione. Ciò segue dalla prop. 7.36, perché
SV (x1 , . . . , xbi , . . . , xm ) = SV (x1 , . . . , xbi , . . . , xm ) per il lemma 6.50.
50
8. Il teorema di Banach-Steinhaus
Teorema 8.1 (principio della limitatezza uniforme). Siano X uno
spazio topologico e Z un sottoinsieme di seconda categoria di X . Sia
inoltre F ⊂ C(X, R) limitato in ogni punto di Z , cioè tale che per ogni
z ∈ Z l’insieme F(z) sia limitato.
Allora esiste un aperto non vuoto U di X tale che F(U ) sia limitato.
Dimostrazione. Per ogni n ∈ N sia
An := {x ∈ X | F(x) ⊂ [−n, n]} =
T
(f ∈ [−n, n]).
f ∈F
Tutti gli elementi di F sono continui, perciò ogni insieme (f ∈ [−n, n])
è chiuso e quindi anche ogni An è chiuso.
∞
S
An .
Per l’ipotesi su F abbiamo Z ⊂
n=1
Assumiamo per assurdo che int An = int An = ∅ per ogni n. Allora
Z è di prima categoria per l’oss. 6.33,in contrasto con l’ipotesi. Perciò
devono esistere n ∈ N ed un aperto non vuoto U tale che U ⊂ An e
quindi F(U ) ⊂ [−n, n].
Corollario 8.2. Siano X uno spazio metrico completo 6= ∅ ed
F ⊂ C(X, R) limitato in ogni punto. Allora esiste un aperto non vuoto
U di X tale che F(U ) sia limitato.
Dimostrazione. Per il teorema 6.10 e il cor. 6.38 X è di seconda categoria, cosicché l’enunciato segue dal teorema 8.1.
Teorema 8.3 (teorema di Banach-Steinhaus). Siano X ed Y spazi
vettoriali normati, Z un sottoinsieme di seconda categoria di X ed
H ⊂ L(X, Y ) tale che per ogni z ∈ Z l’insieme {kϕzk | ϕ ∈ H} sia limitato. Allora l’insieme {kϕk | ϕ ∈ H} è limitato.
Dimostrazione. Per ϕ ∈ H sia fϕ := kϕxk : X −→ R.
x
Allora F := {fϕ | ϕ ∈ H} ⊂ C(X, R) e l’ipotesi significa che per ogni
z ∈ Z l’insieme F(z) è limitato. Per il teorema 8.1 esiste un aperto U
non vuoto tale che F(U ) è limitato. Ciò significa che esiste un n ∈ N
tale che kϕ(u)k ≤ n per ogni u ∈ U ed ogni ϕ ∈ H.
Esistono perciò x0 ∈ X ed r > 0 con kϕ(u)k ≤ n per ogni u ∈ X per il
quale ku − x0 k ≤ r. Dimostriamo ora che kϕk < n/r per ogni ϕ ∈ H.
Siano infatti ϕ ∈ H ed x ∈ X con kxk ≤ 1. Per u := x0 + rx vale allora
ku − x0 k ≤ r e quindi kϕ(u)k ≤ n, cioè kϕ(x0 + rx)k ≤ n, cosicché
x0 + rx x0 − rx 1
= 1 kϕ(x0 + rx) − ϕ(x0 − rx)k
−
kϕxk = ϕ
2r
2
r
r
1
1
n
≤ kϕ(x0 + rx)k + kϕ(x0 − rx)k ≤
2r
2r
r
51
Corollario 8.4. Siano X uno spazio di Banach, Y uno spazio vettoriale normato ed H ⊂ L(X, Y ) tale che per ogni x ∈ X l’insieme
{kϕxk | ϕ ∈ H} sia limitato. Allora l’insieme {kϕk | ϕ ∈ H} è limitato.
Proposizione 8.5. Siano X uno spazio di Banach, Y uno spazio vettoriale normato e ϕn una successione in L(X, Y ) tale che il limite
n
ϕx := lim ϕn x esiste per ogni x ∈ X . Allora:
n→∞
(1) ϕ ∈ L(X, Y ).
(2) L’insieme delle norme {kϕn k | n ∈ N} è limitato.
(3) kϕk ≤ lim kϕn k.
n
Dimostrazione. L’ipotesi di convergenza puntuale implica che l’insieme {kϕn xk | n ∈ N} è limitato. Per il cor. 8.4 quindi anche l’insieme
{kϕn k | n ∈ N} è limitato. Ciò mostra il punto (2).
Ciò significa inoltre che esiste a ∈ R tale che kϕn k ≤ a per ogni n,
per cui kϕn xk ≤ ax per ogni n ed ogni x ∈ X .
Da ciò segue kϕk ≤ a per cui ϕ è continua.
Infine è evidente che kϕk ≤ lim kϕn k.
n
Corollario 8.6. Siano X e Z spazi vettoriali normati, Y uno spazio di
Banach. Siano ϕn una successione in L(X, Y ), ψn una
n
n
successione in L(Y, Z), entrambe convergenti puntualmente:
ϕn x −→ ϕx per ogni x ∈ X e ψn y −→ ψy per ogni y ∈ Y .
n
n
Allora ψn ϕn x −→ ψϕx per ogni x ∈ X .
n
n
Dimostrazione. Per la prop. 8.5 la successione kψn k è limitata,
n
cosicché l’enunciato segue dalla disuguaglianza
kψn ϕn x − ψϕxk = kψn (ϕn − ϕ)x + (ψn − ψ)ϕxk
≤ kψn (ϕn − ϕ)xk + k(ψn − ψ)ϕxk
≤ kψn kk(ϕn − ϕ)xk + k(ψn − ψ)kkϕxk
Teorema 8.7. X e Y siano spazi di Banach e ϕn una successione in
n
L(X, Y ). Allora sono equivalenti:
(1) Esiste ϕ ∈ L(X, Y ) con ϕn x −→ ϕx per ogni x ∈ X .
n
(2) L’insieme {kϕn k | n ∈ N} è limitato e inoltre esiste un sottoinsieme
denso D di X tale che per ogni x ∈ D la successione ϕn x converge.
n
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Ciò segue direttamente dalla prop. 8.5.
(2) ⇒ (1): Per la prop. 8.5 è sufficiente dimostrare che la successione
ϕn x converge per ogni x ∈ X . Sia quindi x ∈ X .
n
Scegliamo ε > 0 e poniamo γ := supn kϕn k. Per ipotesi γ < ∞.
52
ε
.
3γ
Però ϕn x0 converge, perciò esiste n0 tale che per ogni n, m ≥ n0 si
n
ε
ha kϕn x0 − ϕm x0 k < . Per questi n, m allora vale
3
Siccome D è denso in X , esiste un x0 ∈ D tale che kx − x0 k <
kϕn x − ϕm xk ≤ kϕn x − ϕn x0 k + kϕn x0 − ϕm x0 k + kϕm x0 − ϕm xk
ε
< kϕn kkx − x0 k + + kϕm kkx − x0 k
3
ε
ε
ε
+ +γ
=ε
<γ
3γ 3
3γ
Ciò implica che la successione ϕn x è una successione di Cauchy.
n
Siccome per ipotesi anche Y è completo, essa converge.
53
9. Il teorema dell’applicazione aperta
Osservazione 9.1. Seguiamo Meise/Vogt.
Definizione 9.2. Per uno spazio metrico X = (X, d) ed x ∈ X , ε > 0,
poniamo
Uε (x) := (d(X, x) < ε) = {y ∈ Y | d(x, y) < ε}
Se X è uno spazio vettoriale normato e d è la metrica indotta dalla
norma, allora Uε (x) = x + Uε (0).
Definizione 9.3. Siano X e Y spazi topologici. Una funzione
f : X −→ Y si dice aperta se f (U ) è aperto per ogni aperto U ⊂ X .
Osservazione 9.4. Siano X e Y spazi metrici. Allora la funzione
f : X −→ Y è aperta se e solo se per ogni x ∈ X ed ogni ε > 0 esiste
δ > 0 tale che Uδ (f (x)) ⊂ f (Uε (x)).
Lemma 9.5. Siano X e Y spazi metrici ed f : X −→ Y una funzione continua. Se X è completo e per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che
Uδ (f (x)) ⊂ f (Uε (x)) per ogni x ∈ X , allora la funzione f è aperta.
Dimostrazione. Per l’oss. 9.4 è sufficiente dimostrare che per ogni
ε > 0 esiste ρ > 0 tale che Uρ (f (x)) ⊂ f (Uε (x)) per ogni x ∈ X .
ε
(1) Sia ε > 0. Per ogni n ∈ N + 1 poniamo εn := n e scegliamo
2
1
(usando l’ipotesi) un δn con 0 < δn ≤ .
n
Per x ∈ X fissato sia y ∈ Uδ1 (f (x)) scelto in modo arbitrario.
Definiamo in modo induttivo una successione xn in X con x0 = x
n
e
d(f (xn ), y) < δn+1 ≤
1
n+1
e
d(xn , xn−1 ) < εn
(*)
per ogni n ∈ N + 1, nel modo seguente:
Dopo aver scelto xn con d(f (xn ), y) < δn+1 , dall’ipotesi abbiamo
S
y ∈ Uδn+1 (f (xn )) ⊂ f (Uεn+1 (xn )) ⊂
Uδn+2 (f (ξ)).
ξ∈Uεn+1 (xn )
Perciò esiste un xn+1 ∈ Uεn+1 (xn ) con y ∈ Uδn+2 (f (xn+1 )), ovvero
d(f (xn+1 ), y) < δn+2
d(xn+1 , xn ) < εn+1
e
(2) Dalla (*) segue che xn è una successione di Cauchy in X . Sicn
come X è completo, esiste un ξ := lim xn e dalla relazione (*) abbiamo
n→∞
d(x, ξ) = d(x0 , ξ) = lim d(x0 , xk )
k−→∞
≤ lim
k−→∞
k
X
n=1
per cui ξ ∈ Uε (x).
54
d(xn , xn−1 ) <
∞
X
n=1
ε2−n = ε
Siccome la f è continua, utilizzando ancora (*) abbiamo
y = lim f (xn ) = f (ξ), perciò Uρ (f (x)) ⊂ f (Uε (x)) con ρ = δ1 .
n→∞
Osservazione 9.6. Sia XSuno spazio vettoriale normato. Allora per
ogni W ∈ U(0) si ha X =
nW .
n∈N
Dimostrazione. Poiché la moltiplicazione per uno scalare è continua,
abbiamo che x/n −→ 0. Perciò x/n ∈ U per ogni n >> 0, cioè x ∈ nU
n
per ogni n >> 0.
Lemma 9.7. Siano X uno spazio di Banach, Y uno spazio vettoriale normato e ϕ : X −→ Y un’applicazione lineare e continua. Se per
ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che Uδ (0) ⊂ ϕ(Uε (0)), allora ϕ è aperta e
suriettiva.
Dimostrazione. (1) Dimostriamo prima che ϕ è aperta. Sia ε > 0. Per
ipotesi esiste un δ > 0 tale che Uδ (0) ⊂ ϕ(Uε (0)).
Per ogni x ∈ X allora, siccome ogni traslazione è un morfismo, si ha
Uδ (ϕx) = ϕx + Uδ (0) ⊂ ϕx + ϕ(Uε (0)) = ϕx + ϕ(Uε (0))
1
= ϕ(x + Uε (0)) = ϕ(Uε (x))
1
dove in = abbiamo sfruttato la linearità di ϕ.
(2) Siccome X è completo, dal lemma 9.4 segue che ϕ è aperta. In
particolare è aperta l’immagine ϕ(X).
(3) Dimostriamo la suriettività di ϕ. Siccome 0 ∈ ϕ(X), per il punto
(2) possiamo trovare un δ > 0 tale
S che Uδ (0) ⊂ ϕ(X). Poiché ϕ è lineare,
dall’oss. 9.6 segue che Y =
nUδ (0). Ma nUδ (0) ⊂ ϕ(X) per ogni
n∈N
n ∈ N e vediamo che Y ⊂ ϕ(X).
Lemma 9.8. Siano X e Y spazi vettoriali normati e ϕ : X −→ Y
un’applicazione lineare e continua. Se ϕ(X) è di seconda categoria in
Y , allora per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che Uδ (0) ⊂ ϕ(Uε (0)).
Dimostrazione. Siccome la funzione x − y : X × X −→ X
(x,y)
è continua, per ogni ε > 0 esiste un intorno W ∈ U(0) tale che
W − W ⊂ Uε (0). Per l’oss. 9.6 abbiamo
S
S
S
nϕ(W )
ϕ(X) = ϕ
nW =
nϕ(W ) ⊂
n∈N
n∈N
n∈N
Poiché ϕ(X) è di seconda categoria in Y , esiste un m ∈ N tale che
int mϕ(W ) 6= ∅.
L’applicazione my : Y −→ Y è un omeomorfismo, perciò anche
y
ϕ(W ) contiene un punto interno y0 . Dalla scelta di W abbiamo
ϕ(W ) − y0 = ϕ(W ) − y0 ⊂ ϕ(W ) − ϕ(W ) = ϕ(W − W ) ⊂ ϕ(Uε (0))
55
Perciò 0 = y0 − y0 è un punto interno di ϕ(W ) − y0 ⊂ ϕ(Uε (0)).
Di conseguenza esiste un δ > 0 tale che Uδ (0) ⊂ ϕ(Uε (0)).
Proposizione 9.9. Siano X uno spazio di Banach, Y uno spazio vettoriale normato e ϕ : X −→ Y un’applicazione lineare e continua. Se
ϕ(X) è di seconda categoria in Y , allora ϕ è aperta e suriettiva.
Dimostrazione. Ciò segue dai lemmi 9.7 e 9.8.
Teorema 9.10 (teorema dell’applicazione aperta). Siano X e Y
spazi di Banach e ϕ : X −→ Y un’applicazione lineare, continua e
suriettiva.
Allora ϕ è aperta.
Dimostrazione. Per il cor. 6.38 ϕ(X) = Y ∈ B2 (Y ), cosicché l’enunciato
segue dai lemmi 9.7 e 9.8.
Teorema 9.11 (teorema dell’isomorfismo di Banach). Siano X e
Y spazi di Banach e ϕ : X −→ Y un’applicazione lineare, continua e
biiettiva.
Allora ϕ−1 è continua.
Dimostrazione. Poiché l’applicazione biiettiva ϕ è aperta se e solo se
ϕ−1 è continua, l’enunciato segue immediatamente dal teorema 9.10.
Corollario 9.12. Siano X e Y spazi di Banach. Allora per ogni
ϕ ∈ L(X, Y ) le seguenti affermazioni sono equivalenti:
(1) ϕ è iniettiva e ϕ(X) è chiuso in Y .
(2) Esiste un µ > 0 tale che µkϕxk ≥ kxk per ogni x ∈ X .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Se ϕ(X) è chiuso in Y , allora ϕ(X) è uno
spazio di Banach per la prop. 1.13. Per il teorema 9.11 quindi ϕ induce
un isomorfismo X −→ ϕ(X). Perciò esiste un µ > 0 tale che
kϕ−1 yk ≤ µkyk per ogni y ∈ ϕ(X) e quindi kxk ≤ µkϕxk per ogni x ∈ X .
(2) ⇒ (1): L’ipotesi implica, per la nota 7.17, che ϕ induce un isomorfismo X −→ ϕ(X). Perciò ϕ(X) è completo e quindi chiuso in Y .
Definizione 9.13. Siano X e Y insiemi e f : X −→ Y una funzione.
Il grafico di f è l’insieme
Γ(f ) := {(x, f (x)) | x ∈ X} ⊂ X × Y
Nota 9.14. (1) Se X e Y sono K-spazi vettoriali, allora f : X −→ Y è
lineare se e solo se Γ(f ) è un sottospazio vettoriale di X × Y .
(2) Se X e Y sono spazi metrici, allora per ogni f : X −→ Y il grafico
Γ(f ) è chiuso in X × Y se e solo se xn −→ x e f (xn ) −→ y implica
n
n
y = f (x).
In particolare, il grafico di funzioni continue è chiuso. L’inversa di
questa affermazione non è vera: l’applicazione
ϕ := f ′ : C 1 ([0, 1]) −→ C([0, 1])
f
56
non è continua, ma il grafico Γ(ϕ) è chiuso.
(3) Se X e Y sono spazi vettoriali normati e ϕ : X −→ Y è un’applicazione lineare, allora il grafico Γ(ϕ) è chiuso se e solo se xn −→ 0 e
n
ϕ(xn ) −→ y implica y = 0.
n
Teorema 9.15 (teorema del grafico chiuso). Siano X e Y spazi di
Banach e ϕ : X −→ Y un’applicazione lineare. Se Γ(ϕ) è chiuso in
X × Y , allora ϕ è continua.
Dimostrazione. Per la prop. 1.13 e il punto (1) della nota 9.14 Γ(ϕ)
è uno spazio di Banach. Siano πX : Γ(ϕ) −→ X e πY : Γ(ϕ) −→ Y le
proiezioni canoniche. Allora πX e πY sono lineari e continue e inoltre
per z := (x, ϕ(x)) ∈ Γ(ϕ) abbiamo (ϕ ◦ πX )(z) = ϕ(x) = πY (z) e vediamo
che ϕ ◦ πX = πY .
Notiamo adesso che l’applicazione πX è biiettiva, per cui
−1
−1
è
. Siccome πX è continua, per il teorema 9.11 anche πX
ϕ = πY ◦ πX
continua e quindi anche ϕ è continua.
57
10. Topologie deboli e dualità
Situazione 10.1. Sia X uno spazio vettoriale normato su K.
Definizione 10.2. (1) La X ′ -topologia su X è la più debole topologia
su X nella quale tutti gli elementi di X ′ sono applicazioni continue.
Nella letteratura questa topologia è detta topologia debole.
In essa una rete xλ in X converge a un punto x se e solo se
λ
X′
α(xλ ) −→ α(x) per ogni α ∈ X ′ . Scriviamo allora xλ −→ x.
λ
λ
X′
Denotiamo lo spazio topologico cosı̀ ottenuto con (X, −→).
(2) La X -topologia su X ′ è la più debole topologia su X ′ nella quale
tutte le applicazioni α(x) : X ′ −→ K per x ∈ X sono continue.
α
Nella letteratura questa topologia è detta topologia ∗-debole.
In essa una rete αλ in X ′ converge ad α se e solo se αλ (x) −→ α(x)
λ
λ
X
per ogni x ∈ X . Scriviamo allora αλ −→ α.
λ
X
Denotiamo lo spazio topologico cosı̀ ottenuto con (X ′ , −→).
Definizione 10.3. Diremo che un sottoinsieme di X è X ′ -compatto
(oppure X ′ -aperto oppure X ′ -limitato) se è compatto (risp. aperto, limitato) nella X ′ -topologia.
Similmente per la X -topologia su X ′ .
Osservazione 10.4. Tramite l’immersione canonica j : X −→ X ′′
vista nella def. 7.23 possiamo considerare X come sottospazio di X ′′ .
X ′′
Su X ′ è definita anche la X ′′ -topologia in cui αλ −→ α se e solo se
λ
θ(αλ ) −→ θ(α) per ogni θ ∈ X ′′ .
λ
X ′′
X
È chiaro che αλ −→ α implica αλ −→ α, ma in genere la
λ
λ
X ′′ -topologia su X ′ è strettamente più fine della X -topologia.
X′
Proposizione 10.5. Lo spazio (X, −→) è di Hausdorff.
Dimostrazione. Siano x, y ∈ X e xλ una rete in X tale che
λ
X′
X′
xλ −→ x e xλ −→ y . Allora per la prop. 7.19 esiste un α ∈ X ′ con
λ
λ
α(x) 6= α(y). Però allora abbiamo α(xλ ) −→ α(x) e α(xλ ) −→ α(y)
λ
λ
in K e ciò è impossibile perché K è di Hausdorff.
X
Proposizione 10.6. Lo spazio (X ′ , −→) è di Hausdorff.
Dimostrazione. Siano α, β ∈ X ′ , con α 6= β , e αλ una rete in X ′
λ
tale che αλ −→ α e αλ −→ β . L’ipotesi α 6= β significa che esiste
λ
λ
58
un ∈ X tale che α(x) 6= β(x). Però αλ (x) −→ α(x) e αλ −→ β(x)
λ
λ
per ogni x ∈ X e ciò è impossibile, essendo K di Hausdorff.
Proposizione 10.7. La successione xn ∈ X N sia X ′ -convergente.
n
Allora l’insieme {kxn k | n ∈ N} è limitato.
Dimostrazione. Sia H := {xn | n ∈ N}. L’ipotesi implica che per ogni
α ∈ X ′ l’insieme {kα(h)k | h ∈ H} è limitato.
Usando l’iniezione canonica j : X −→ X ′′ (def. 7.23) si ottiene
j(H) ⊂ L(X ′ , R). Per h ∈ H ed α ∈ X ′ si ha α(h) = j(h)(α) e da ciò si
vede che l’insieme {kϕ(α)k | ϕ ∈ j(H)} è limitato.
L’enunciato segue dal cor. 8.4, sostituendo X con X ′ e Y con R.
Lemma 10.8. Sia Y unospazio vettoriale normato.
Y′
X′
Allora L(X, Y ) ⊂ L((X, −→), (Y, −→))
Dimostrazione. Siano ϕ ∈ L(X, Y ), xλ una rete in X e x ∈ X tali
λ
X′
che xλ −→ x. Sia β ∈ Y ′ . Allora β ◦ ϕ ∈ X ′ , per cui
λ
β(ϕ(xλ )) −→ β(ϕ(x)).
λ
Teorema 10.9 (teorema di Alaoglu). (kX ′ k ≤ 1) è X -compatto.
Dimostrazione. (1) Sia E := (kX ′ k ≤ 1). Con la topologia prodotto E
è sottospazio di KX . Dobbiamo dimostrare che E è compatto.
Per α ∈ E ed x ∈ X siQha kα(x)k ≤ kαkkxk ≤ kxk, perciò E è an(|K| ≤ kxk). K è uno spazio compatto e di
che sottospazio di K :=
x∈X
Hausdorff, perciò è sufficiente dimostrare che E è chiuso in K.
(2) Sia α ∈ E , la chiusura di E nella topologia prodotto. Dobbiamo
dimostrare che α è lineare e che kαk ≤ 1 (ciò implica automaticamente
che α è continua).
X
Per ipotesi esiste una rete αλ in E con αλ −→ α. Per a ∈ K
λ
λ
ed x, y ∈ X si ha allora αλ (ax + y) −→ α(ax + y) e quindi anche
λ
αλ (ax + y) = (aαλ (x) + αλ (y)) −→ aα(x) + α(y).
λ
λ
Ciò mostra α(ax + y) = aα(x) + α(y) e con ciò la linearità di α.
Infine kαλ (x)k ≤ kxk per ogni λ e naturalmente kαλ (x)k −→ kα(x)k,
λ
cosicché kα(x)k ≤ kxk per ogni x ∈ X e kαk ≤ 1.
Nota 10.10. Sia x ∈ X . Allora sup {|α(x)| | α ∈ (k(kX ′ ) ≤ 1)} = kxk
Dimostrazione. Per x = 0 l’enunciato è banale. Sia x 6= 0.
Per la prop. 7.19 esiste un β ∈ X ′ con β(x) = kxk e kβk = 1. Allora
β ∈ (kX ′ k ≤ 1) e |β(x)| = kxk. Per ogni α ∈ (kX ′ k ≤ 1) abbiamo però
|α(x)| ≤ kαkkxk ≤ kxk.
59
11. Algebre di Banach
Definizione 11.1. Un’algebra su C è un anello A che contiene C come
sottoanello (per cui in particolare 1A = 1). A è allora automaticamente
uno spazio vettoriale su C.
Se questo spazio vettoriale è dotato di una norma tale che
kabk ≤ kakkbk per ogni a, b ∈ A e tale che k1k = 1, allora A = (A, kk) si
chiama un’algebra normata.
A si chiama un’algebra di Banach, se lo spazio vettoriale normato è
di Banach.
Situazione 11.2. Sia A un’algebra di Banach commutativa.
Seguiamo Hirzebruch/Scharlau.
Osservazione 11.3. Si dimostra facilmente che L(A, A) è un’algebra
normata (non commutativa), la quale, per la nota 7.17, è un’algebra di
Banach.
Nota 11.4. Per a ∈ A sia La := ax : A −→ A. È chiaro che La è
x
lineare. Inoltre
kLa xk = kaxk ≤ kakkxk
per ogni x ∈ A
kLa 1k = kak = kakk1k
per cui kLa k = kak. Ciò mostra che La ∈ L(A, A) e che l’applicazione
L := La : A −→ L(A, A) è un’isometria.
a
Infine Lab x = abx = La Lb x per ogni x ∈ A, per cui Lab = La Lb
e siccome L1 coincide evidentemente con l’identità, vediamo che L è
un’immersione isometrica dall’algebra A nell’algebra L(A, A).
Corollario 11.5. Ogni algebra di Banach commutativa è isometricamente isomorfa ad un’algebra di operatori lineari continui in uno spazio di Banach.
Definizione 11.6. Sia X uno spazio di Banach su C e ϕ ∈ L(X, X).
Poniamo allora:
(1) Ris ϕ := {λ ∈ C | ϕ − λ id è biiettiva }.
Ris ϕ si chiama l’insieme risolvente di ϕ.
(2) Spett ϕ := C \ Ris ϕ.
Spett ϕ si chiama lo spettro di ϕ.
Osservazione 11.7. Siano X uno spazio di Banach su C e ϕ ∈ L(X, X).
(1) Per ogni λ ∈ Ris ϕ l’applicazione (ϕ − λ id)−1 è continua.
(2) Se λ ∈ C è un autovalore di ϕ, cioè tale che Ker(ϕ − λ id) 6= ∅,
allora λ ∈ Spett ϕ.
Dimostrazione. (1) Ciò segue dal teorema 9.10.
60
(2) Chiaro.
Lemma 11.8. Siano X ed Y spazi di Banach non vuoti e
ψ ∈ L(X, X) biiettiva. Sia θ ∈ L(X, Y ) tale che kψ − θk <
1
.
kψ −1 k
Allora anche θ è biiettiva.
Dimostrazione. Abbiamo θ = ψ(id −ψ −1 (ψ − θ)).
∞
P
La serie
(ψ −1 (ψ − θ))n converge, come si vede da
n=0
k
m
P
k(ψ −1 (ψ − θ))n ≤
k=n
con ρ := kψ −
m
P
k(ψ −1 (ψ − θ))n k ≤
k=n
θkkψ −1 k
m
P
ρk
k=n
< 1.
Adesso si verifica direttamente che (
∞
P
(ψ −1 (ψ − θ))n )ψ −1 è l’inversa
n=0
di θ.
Corollario 11.9. Siano X uno spazio di Banach su C e ϕ ∈ L(X, X).
Allora l’insieme Ris ϕ è aperto.
Dimostrazione. Sia λ ∈ Ris ϕ. Allora ϕ − λ id ∈ L(X, X) è biiettiva.
Dal lemma 11.8 segue che per µ ∈ C sufficientemente vicino a λ anche
ϕ − µ id è biiettiva.
Proposizione 11.10. Siano X uno spazio di Banach e ϕ ∈ L(X, X).
Allora l’applicazione
(ϕ − λ id)−1 : Ris ϕ −→ L(X, X)
λ
è analitica.
Dimostrazione. Fissiamo λ0 ∈ Ris ϕ e poniamo ψ := ϕ − λ0 id.
1
Siano λ ∈ C tale che |λ − λ0 | <
e θ := ϕ − λ id.
kψ −1 k
Allora kψ − θk = |λ − λ0 |, per cui dal lemma 11.8 segue che anche θ
è biiettiva.
Inoltre, come nella dimostrazione del lemma 11.8, si ha
(ϕ − λ id)−1 =
∞
P
(ψ −1 (ψ − θ))n ψ −1 =
n=0
∞
P
(ψ − λ0 id)−n−1 (λ − λ0 )n
n=0
Teorema 11.11. Siano X uno spazio di Banach e ϕ ∈ L(X, X). Allora:
(1) Spett ϕ ⊂ (|C| ≤ kϕk).
(2) Spett ϕ è compatto.
(3) Spett ϕ 6= ∅.
Dimostrazione. (1) Sia λ ∈ C con |λ| > kϕk. Poniamo ψ := −λ id e
θ := ϕ − λ id. Allora ψ è invertibile e inoltre
61
kψ − θk = kϕk < |λ| =
1
kψ −1 k
per cui θ = ϕ − λ id è invertibile per il lemma 11.8. Ma ciò significa
λ∈
/ Spett ϕ.
(2) Spett ϕ è chiuso per il cor. 11.9 e limitato per il punto (1), perciò
compatto.
(3) Assumiamo, per assurdo, che Spett ϕ = ∅. Allora la funzione
f := (ϕ − λ id)−1 : C −→ L(X, X) è ben definita ed analitica per la
λ
prop. 11.10.
Essa è quindi continua e perciò limitata nel disco (|C| ≤ 2kϕk).
Osservando che
X
1
1
ϕn λ−n−1
= − (id − ϕ)−1 = −
λ
λ
∞
f (λ) =
(ϕ−λ id)−1
=
−(λ(id − λ1 ϕ))−1
n=0
per |λ| ≥ 2kϕk abbiamo invece
|f (λ)| ≤
∞
P
kϕkn |λ|−n−1 =
n=0
1
1
≤
|λ| − kϕk
kϕk
Perciò f è limitata su tutto C. Dal teorema di Liouville segue che f è
costante e ciò è impossibile.
Osservazione 11.12. Sia a ∈ A. Allora sono equivalenti:
(1) a è invertibile.
(2) La è invertibile.
In tal caso (La )−1 = La−1 .
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Sia a invertibile. Allora possiamo scrivere
id = L1 = Laa−1 = La La−1
e
id = L1 = La−1 a = La−1 La
(2) ⇒ (1): Sia La invertibile. Allora
−1
a(L−1
a )1 = La (La ) 1 = 1
e vediamo che a è invertibile con a−1 = (La )−1 1.
Definizione 11.13. Per a ∈ A sia Spett a := Spett La .
Corollario 11.14. Sia a ∈ A. Allora
Spett a = {λ ∈ C | a − λ non è invertibile }
Proposizione 11.15. Sia a ∈ A. Allora:
(1) Spett a 6= ∅.
(2) Spett a è compatto.
(3) Spett a ⊂ (|C| ≤ kak).
Dimostrazione. Ciò segue dal teorema 11.11 tenendo conto dell’uguaglianza kLa k = kak vista nella nota 11.4.
62
Proposizione 11.16 (teorema di Gelfand-Mazur). Sia A un campo.
Allora A = C.
Dimostrazione. Sia a ∈ A. Per la prop. 11.15 esiste un λ ∈ Spett A.
Per l’oss. 11.12 allora a − λ non è invertibile. Siccome A è un campo,
ciò è possibile solo se a = λ ∈ C.
Definizione 11.17. Un ideale di A è un sottogruppo I 6= A di (A, +)
tale che AI ⊂ I .
Siccome C ⊂ A, ogni ideale di A è anche un sottospazio vettoriale
di A.
Osservazione 11.18. Un ideale di A non può contenere elementi invertibili.
Dimostrazione. Sia I un ideale di A e a ∈ I invertibile.
Allora 1 = a−1 a ∈ I , una contraddizione.
Lemma 11.19. Sia a ∈ A tale che k1 − ak < 1.
Allora a è invertibile.
Dimostrazione. Ciò segue dal lemma 11.8 con ψ := id = L1 e θ := La .
Lemma 11.20. Sia I un ideale di A. Allora anche I è un ideale di A.
Dimostrazione. (1) È chiaro che I è un sottospazio vettoriale di A.
(2) Per a ∈ A l’operatore La è continuo, perciò aI ⊂ aI ⊂ I , e quindi
anche AI ⊂ I .
(3) Dobbiamo ancora dimostrare che 1 ∈
/ I.
Per il lemma 11.9 esiste però un intorno U ∈ U (1) i cui elementi sono
tutti invertibili. Per l’oss. 11.18 ciò implica U ∩ I = ∅, per cui 1 6∈ I .
Definizione 11.21. Un ideale di A si dice massimale, se non è contenuto in nessun altro ideale di A.
Indichiamo con Max A l’insieme degli ideali massimali di A.
Proposizione 11.22. Ogni ideale massimale di A è chiuso.
Dimostrazione. Ciò è una conseguenza immediata del lemma 11.20.
Lemma 11.23. Sia I un ideale chiuso di A. Allora A/I è, in modo
naturale, un’algebra di Banach (ovviamente commutativa).
Dimostrazione. Facile verifica. Cfr. Hirzebruch/Scharlau, pag. 124.
Osservazione 11.24. Sia m ∈ Max A. Allora A/m = C.
Dimostrazione. È noto dall’algebra che A/m è un campo. L’enunciato
segue dalla prop. 11.16.
Nota 11.25. Sia m ∈ Max A. Per ogni a ∈ A allora, tramite la proiezione canonica A −→ A/m = C, secondo l’oss. 11.24, otteniamo un
elemento fm (a) ∈ C.
63
In questo ragionamento però si usa un’implicita identificazione, per
cui è preferibile descrivere fm in modo più concreto, ritornando alla
dimostrazione della prop. 11.16.
Per il cor. 11.14 esiste λ ∈ C tale che a − λ + m non è invertibile in
A/m.
Siccome A/m è un campo, ciò implica a − λ ∈ m. λ è univocamente
determinato per l’oss. 11.18.
Possiamo quindi porre fm (a) := λ. Si noti che fm (a) = 0 se e solo se
a ∈ m.
Proposizione 11.26. Sia m ∈ Max A. Allora è definito un omomorfismo di algebre di Banach fm : A −→ C nel modo seguente:
Per ogni a ∈ A sia fm (a) l’unico λ ∈ C per il quale a − λ ∈ m.
Dimostrazione. Che l’applicazione fm (a) è ben definita segue dalla
nota 11.25.
Si verifica facilmente che si tratta di un omomorfismo di algebre di
Banach.
Osservazione 11.27. Siano f : A −→ C un omomorfismo di algebre di
Banach ed m = Ker f . Allora m ∈ Max A e fm = f .
Possiamo quindi identificare Max A con l’insieme degli omomorfismi
di algebre di Banach A −→ C.
Dimostrazione. Per λ ∈ C si ha
f (a) = λ ⇐⇒ a − λ ∈ m ⇐⇒ fm (a) = λ
Lemma 11.28. Sia f : A −→ C un omomorfismo di algebre di Banach.
Allora kf k = 1.
Dimostrazione. (1) f (1) = 1 =⇒ kf k ≥ 1.
(2) Siano a ∈ A e λ := f (a). Allora f (a − λ) = 0. Ma allora a − λ non
può essere invertibile e quindi λ ∈ Spett A. Dalla prop. 11.15 segue
|f (a)| = |λ| ≤ kak e quindi kf k ≤ 1.
Osservazione 11.29. Per la prop. 11.26 e il lemma 11.28 possiamo
considerare Max A come sottoinsieme di (kA′ k = 1) ⊂ (kA′ k ≤ 1).
Proposizione 11.30. Max A è un sottoinsieme A-chiuso di (kA′ k ≤ 1).
Dimostrazione. Sia fλ una rete di omomorfismi di algebre di Baλ
A
nach fλ : A −→ C e α ∈ A tali che fλ −→ α. È chiaro allora che
λ
anche α è un omomorfismo di algebre di Banach.
Corollario 11.31. Max A è A-compatto.
Dimostrazione. Prop. 11.30 e teorema 10.9.
Teorema 11.32. Sia ρ := fm (a) : A −→ C(Max A, C). Allora:
a m
64
(1) ρ è un omomorfismo di algebre di Banach.
(2) kρk ≤ 1.
(3) Ker ρ =
T
m.
m∈Max A
Dimostrazione. (1) Chiaro.
(2) Per ogni a ∈ A e per ogni m ∈ Max A si ha
11.28
kρ(a)(m)k = kfm(a) k ≤ kak
per cui kρk ≤ k1k.
(3) Per definizione ρ(a) = 0 ⇐⇒ fm(a) = 0 per ogni m ∈ Max A
⇐⇒ a ∈ m per ogni m ∈ Max A.
65
66
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1
Conosco il mio percorso da sempre. Eppure non è facile percorrerlo. Ci sono momenti
in cui mi sento più fragile, in cui spesso non ho voglia del dovere ed è forte la paura di
non farcela. Però vado avanti e posso dire di aver raggiunto, finalmente, il primo vero
obiettivo della mia vita, la laurea in matematica.
In primis, dico grazie alla mia testa dura, che, anche se un po’ matta, qualche volta
ragiona!
Se penso a come è cominciato tutto, la prima persona che mi viene in mente è la Vale.
Grazie Vale, l’equilibrio e la forza che mi hai trasmesso sono stati indispensabili per
me.
Un’altra figura molto importante è Porto (comunemente Marzia). Sei la persona più
diversa da me al mondo! Ma forse la tua importanza deriva proprio da questo; in fondo
mi hai fatto crescere, perché, come dico io, sei la mia coscienza. Mi hai fatto arrabbiare
come pochi e, come pochi, ridere di gusto! Insomma, sei stata la mia salvezza. Grazie
gnocca.
Andri, come farei senza di te? Sei un punto di riferimento, una spalla in ogni occasione, una certezza alla quale non potrei mai rinunciare. Grazie davvero.
Un pensiero va inoltre ad una fanciulla di nome Alessia, che, oltre ad essere un’amica,
mi ha affiancato in diversi esami, sopportando i miei incredibli ritardi. Perciò grazie,
ma soprattutto, scusa!
Quindi ringrazio le varie compagne di facoltà , per aver reso lo studio più piacevole.
D’altra parte, voglio dirti grazie Lù, con te mi sono svagata, hai tirato fuori lati di
me che non conoscevo, mi hai fatto innervosire, divertire, emozionare e tutto questo in
cosı̀ poco tempo.
Come ho scritto all’inizio, conosco il mio percorso da sempre, o meglio dalle elementari; per questo un grazie è per la mia maestra Liliana.
Grazie di cuore Josef, per avermi aiutato e dedicato gran parte del suo tempo, per la
sua ironia e i suoi insegnamenti, ma, in special modo, per aver creduto in me, sostenendomi nel momento di maggior bisogno.
Non possono di certo mancare all’appello i miei genitori e forse questi sono i ringraziamenti più difficili. Grazie mamma, perché mi chiami ogni giorno, perché anche se
sbaglio mi lasci fare, grazie perché non hai mai dubitato di me; e grazie papà, perché
nonostante tutto ci sei, grazie per come sei stato e per quello che mi hai lasciato dentro.