1. L’approccio delle capacità di Amartya Sen come percorso per lo
sviluppo umano
Rita Castoldi
1.1. Il concetto di Sviluppo Umano e l’Approccio delle Capacità
Nell’ambito del dibattito mondiale contemporaneo sul concetto di Sviluppo, tra i paradigmi teorici
considerati più “autorevoli” e maggiormente accreditati, occupa una posizione di rilievo l’approccio
adottato dalle Nazioni Unite, fondato sul concetto di Sviluppo Umano.
Il concetto di Sviluppo Umano è stato introdotto nella discussione sulle politiche economiche nel
1990, con la pubblicazione del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. Nell’ambito di tale
programma, lo Sviluppo Umano viene presentato contemporaneamente, come un nuovo criterio di interpretazione e di valutazione della condizione umana, che guarda al modo in cui vivono le persone e
alle opportunità che esse hanno a disposizione, e come un traguardo del processo di Sviluppo complessivo. In particolare, a questo proposito, nel Primo Rapporto Onu si legge: “lo Sviluppo umano è un
processo di ampliamento delle scelte delle persone, un processo di continua eliminazione dei vincoli
che impediscono loro di agire liberamente e di operare per realizzare stili di vita che rispecchiano la
loro natura e i loro valori profondi”.
Lo Sviluppo Umano così definito, nell’approccio adottato dall’Onu, costituisce il fine sociale “corretto” , ciò cui deve tendere la società globale e conseguentemente ciò cui deve tendere la crescita economica mondiale. L’approccio teorico allo Sviluppo adottato dall’Onu si fonda infatti sul presupposto
che la crescita economica costituisce esclusivamente il mezzo per promuovere il benessere delle persone e la loro libertà. In questo senso l’approccio dello Sviluppo Umano “contribuisce alla restaurazione della dimensione etica del dibattito economico e sociale ”, proponendosi esplicitamente di superare la tradizionale tendenza degli economisti a concentrare la propria attenzione esclusivamente sui
mezzi dello sviluppo dimenticandone i fini: il benessere e la libertà degli esseri umani; l’eccessiva
preoccupazione per la crescita del PNL e per la contabilità nazionale, ad esempio, ha spesso impedito
di accorgersi che non esiste necessariamente una corrispondenza biunivoca tra crescita del PNL e riduzione delle privazioni socioeconomiche delle persone, e che non esiste necessariamente corrispondenza tra crescita economica e miglioramento della qualità complessiva della vita delle persone, determinando gravi conseguenze sull’efficacia (e sul valore morale) delle strategie e delle politiche di
sviluppo internazionali.
La base intellettuale dell’approccio dello Sviluppo Umano, alle problematiche dello sviluppo, è costituita dalla rielaborazione dell’etica aristotelica1 applicata alla scienza economica, così come viene pro1
In particolare dell’ “Etica Nicomachea”.
1
posta nel pensiero dell’economista e filosofo indiano A. Sen e della filosofa americana M. Nussbaum,
nell’ambito del cosiddetto “approccio delle capacità” (Capability approach).
L’impianto teorico del pensiero di Sen e della Nussbaum, è sostanzialmente analogo 2 (seppure come
vedremo in seguito, sono presenti alcune differenziazioni di non scarso rilievo) ed è costituito da una
teoria normativa del benessere umano che rappresenta il fondamento per la promozione di un nuovo
concetto di sviluppo e per l’elaborazione di nuove strategie di sviluppo internazionale.
Il pensiero di Sen e della Nussbaum, può essere concepito essenzialmente come un sistema, un modello valutativo, che può essere utilizzato come base alternativa dell’Etica sociale e della valutazione
dell’uguaglianza; l’approccio delle capacità infatti, si fonda su un superamento critico dei paradigmi e
delle teorie di etica sociale tradizionali, e dei loro sistemi valutativi; in particolar modo si pone esplicitamente come alternativo o comunque complementare, rispetto al paradigma neoliberista, al paradigma utilitaristico o welfarista, e al paradigma del libertarismo
Ciò che distingue essenzialmente l’approccio di Sen e della Nussbaum dai paradigmi citati, è la scelta
di un nuovo spazio valutativo, una nuova base informativa da considerare per la formulazione di giudizi (di valore) e valutazioni, sul benessere effettivo delle persone e sulla qualità oggettiva della loro
vita, nell’ambito di un determinato contesto socio culturale ed economico. Ciò che i due filosofi ritengono rilevante ai fini di tale valutazione infatti, non è costituito dalle merci o dai redditi posseduti dalle persone, come nel paradigma neo liberista3 né dalle “utilità” così come vengono definite nell’ambito
del paradigma utilitarista 4, e neppure dalle “libertà formali” concesse alle persone in termini di diritti,
come afferma il libertarismo5, bensì dalle componenti costitutive oggettive del vivere e dell’essere delle persone.
2
Essi hanno collaborato al lungo per il World Institute for Development of Economics, presso il quale hanno condotto numerose ricerche insieme.
3
E’ noto che il paradigma neoliberista, a lungo dominante nell’ambito delle teorie dello Sviluppo, per verificare il livello di
sviluppo di una nazione e la qualità di vita dei suoi abitati si affida esclusivamente ad indicatori economici legati al reddito
(PNL pro capite, PIL, ecc). Tali indicatori, secondo Sen e la Nussbaum, sono carenti nel fornire informazioni sullo stato di
benessere delle persone, nella misura in cui non tengono conto delle differenti caratteristiche dei soggetti, e dei conseguenti
differenti tipi di bisogno: fattori come l’età, il sesso, le invalidità e le malattie possono infatti determinare differenti stati di
bisogno, e conseguentemente differenti livelli di benessere pur in presenza di redditi uguali.
4
Nell’ambito del paradigma utilitarista, ed in particolare nella versione classica dell’utilitarismo di Jeremy Bentham, il benessere degli esseri umani viene identificato con il concetto di utilità; quest’ultima è definita come piacere, felicità, o soddisfazione legata a determinati fattori o eventi; l’utilità è uno stato mentale soggettivo. Secondo l’approccio utilitarista la rilevazione del livello di soddisfazione soggettivo (l’utilità) consente di formulare un giudizio, fondato, sulla qualità complessiva
della vita delle persone. Sen critica a tale approccio l’incapacità di formulare giudizi normativi sulla qualità effettiva (obiettiva) della vita delle persone (diritti fondamentali delle persone potrebbero non essere rilevanti per una statistica dei piaceri), e
l’impossibilità di verificare le modalità di distribuzione delle utilità, visto che l’utilitarismo, per la sua impostazione aggregativa, non è interessato né sensibile a come le utilità sono di fatto distribuite, esso infatti si concentra sull’utilità complessiva di
tutti, misurata in blocco.
5
Tra i maggiori esponenti di tale corrente libertarista, Sen cita Rober Nozick. Secondo l’approccio di Nozick, il benessere
delle persone è legato ai “titoli”, ai diritti di cui ciascun individuo legittimamente dispone e alla priorità assoluta ad essi riconosciuta e garantita dalla società, per quanto l’utilizzo di essi possa avere conseguenza detestabili per il resto della collettività
. Sen critica di questo approccio il fatto che la priorità intransigente dei diritti libertari “può essere problematica, perché le
conseguenze fattuali dell’operato di tali diritti possono facilmente dar luogo a risultati tremendi. Inoltre, il riconoscimento
formale di tali diritti e la priorità formale ad essi concessa, paradossalmente, non garantisce la libertà sostanziale ed effettiva
delle persone.
2
Lo spazio valutativo, secondo Sen e la Nussbaum deve considerare essenzialmente due tipologie di
fattori, denominati rispettivamente funzionamenti e capacità, inerenti due livelli dimensionali distinti. I
funzionamenti costituiscono l’insieme degli stati di essere e di fare acquisiti da una persona, essi rappresentano la dimensione attuale ed effettiva, del vivere di una persona. Le capacità invece, rappresentano le combinazioni potenziali di funzionamenti che una persona è in grado di realizzare liberamente;
esse rappresentano le libere potenzialità del vivere e dell’essere della persona. Secondo la teoria di
Sen, il benessere reale di un individuo, la qualità sociale della sua vita, dipende sia dai funzionamenti
acquisiti, sia dalle capacità di cui egli dispone, intese come effettiva libertà e possibilità di poter scegliere i propri funzionamenti, o comunque di poterli perseguire sulla base della propria natura, delle
proprie aspirazioni e dei propri valori.
Secondo Sen, dunque, valutare da un punto di vista normativo, la qualità effettiva della vita di un essere umano appartenente ad un determinato contesto socio culturale ed economico, significa considerarne ed analizzarne gli stati di essere e di fare acquisiti, ma significa contemporaneamente, verificare
anche il grado di libertà effettiva di “poter essere ed di poter agire” di cui tale soggetto effettivamente
dispone.
Data la correlazione stretta, stabilita dallo stesso Sen, tra funzionamenti e capacità (libertà), sembra
possibile affermare che nell’approccio da lui proposto, il “wellbeing” effettivo di un essere umano
viene inteso come l’esito del libero sviluppo di se stessi. L’elemento fondamentale del benessere delle
persone, della qualità della loro vita, è costituto, dalla libertà sostanziale di cui essi godono (distinta
dalla libertà formale); libertà considerata nella sua accezione positiva, come possibilità di agire e di
essere, in contrasto con un concetto di libertà negativa intesa come assenza di impedimenti formali. La
libertà è infatti intesa come l’espansione delle “capacitazioni” 6 degli individui di vivere il tipo di vita
al quale danno valore e al quale hanno motivo di dare valore.
Uno degli elementi che contraddistingue il paradigma delle capacità, è costituito dunque
dall’importanza cruciale attribuita alla dimensione di “agency” degli individui, ritenuta fattore essenziale nel determinare la qualità della vita (considerata da un punto di vista normativo) dei singoli e delle collettività (e dunque il grado di Sviluppo complessivo di quella collettività). Ciò che emerge chiaramente dalle considerazioni formulate da Sen e da Nussbaum infatti, è l’importanza del ruolo attivo
del soggetto nel contesto sociale, nel realizzare se stesso e i propri valori: la società deve fornire tutti
quegli elementi che sono necessari al soggetto (libertà strumentali7) per poter provvedere attivamente
allo sviluppo del proprio io e all’eliminazione del proprio malessere. Nell’approccio delle capacità, la
persona viene valorizzata in quanto caratterizzata da attività, mete, progetti, e tale ricchezza, deve essere stimolata, protetta, salvaguardata, resa effettivamente possibile, e questo per due ordini di motivazioni: uno prettamente “morale”, l’altro “strumentale”. Nell’ambito del paradigma delle capacità, infatti la promozione di un ruolo attivo del soggetto (o comunque la garanzia di una condizione idonea
6
Il termine capacitazione viene utilizzato per sottolineare che si tratta di un’insieme di capacità non innate, ma costruite, sviluppate, e garantite socialmente.
7
Sen afferma che la libertà effettiva degli individui può essere realizzata solo attraverso la concessone di alcune libertà strumentali di base; egli in particolare individua cinque tipi di libertà strumentali: “le libertà politiche, le infrastrutture economiche, le occasioni sociali, le garanzie di trasparenza, la sicurezza protettiva.”
3
ad un suo ruolo attivo) diviene desiderabile, non solo in quanto forma di rispetto della dignità individuale (necessità morale), ma in quanto circostanza favorevole e potenzialmente “proficua” per la collettività nel suo complesso. A questo proposito Sen parla esplicitamente, nel primo caso, di importanza
intrinseca della libertà umana, nel secondo caso, di importanza strumentale di essa. Se infatti la libertà
del soggetto deve essere perseguita prioritariamente come valore in sè, essa diventa desiderabile anche
nella misura in cui “tutta una serie di libertà e di diritti può anche dare una spinta molto efficace al
progresso economico” .(Sen, 2000, (a)).
Concepire il benessere e la qualità sociale della vita degli esseri umani in termini di libertà sostanziali
degli individui, secondo il paradigma delle capacità, ha conseguenze di vasta portata per il modo di intendere lo stesso processo di sviluppo, nonché i modi e i mezzi per promuoverlo. In tale ottica infatti,
il fine dello sviluppo (e della crescita economica) è “creare una situazione, un ambiente, in cui le persone, individualmente e collettivamente, siano in grado di sviluppare pienamente le proprie potenzialità e abbiano ragionevoli probabilità di condurre una vita produttiva e creativa a misura delle proprie
necessità e dei propri interessi”. Lo Sviluppo deve garantire la libertà di scegliere in modo consapevole e di ottenere lo stile di vita corrispondente ai propri ideali e alle proprie potenzialità; deve consentire
alle persone di acquisire attivamente quelle modalità di essere e di fare cui esse attribuiscono valore.
Premessa necessaria allo sviluppo umano, è la formazione di un “adeguato” complesso di aspettative,
di ambizioni, di desideri, di valori e ideali da parte delle persone; promuovere lo sviluppo significa
dunque preoccuparsi anche di stimolare la formazione di una coscienza critica nelle persone, significa
contribuire alla costruzione di una soggettività complessa, in grado di definire le proprie mete e i propri valori.
Lo stesso Sen afferma che: “promuovere lo sviluppo umano non significa solo soddisfare i bisogni degli esseri umani, ma significa contribuire attivamente a crearli”. Il valore aggiunto dell’approccio delle
capacità e del concetto di Sviluppo Umano che si fonda su di esso, consiste dunque, non solo nel riconoscere l’importanza della soggettività, e nel garantire la sua libera espressione, ma consiste anche
nell’ affermare il ruolo attivo delle collettività e delle Istituzioni nel concorrere a formarla Da questo
punto di vista, risulta evidente come preoccuparsi esclusivamente di garantire un reddito adeguato alle
persone non sia sufficiente.
Partendo da queste considerazioni, alla base dell’approccio delle capacità, emerge come la prospettiva
teorica dello Sviluppo Umano, adottata dall’Onu, si fondi su un nuovo concetto di equità sociale, e di
uguaglianza, un concetto correlato non tanto, e comunque non solo, alla distribuzione personale del
reddito e della ricchezza, quanto alla distribuzione effettiva delle capacità fondamentali e delle opportunità. I principi di giustizia sociale che generano lo Sviluppo Umano sottolineano l’importanza di
mettere la persona al centro del processo di sviluppo, in modo tale da assicurare empowerment e partecipazione, uguaglianza di opportunità tra uomini e donne, assenza di discriminazione, equità nella
distribuzione del reddito prodotto.
4
Fig. 1 - Una rappresentazione schematica del paradigma delle capacità.(Robeyns, 2000)
Individual
entitlement
Vector of
commodities
(characteristics)
Means to achieve
Individual
capability set
Conversion
factors
Vectors
of functionings
Choice
Freedom t
o achieve
One vectors
of achieved
functionings
Achievement
1.2. La riflessione critica intorno all’approccio delle capacità
L’approccio delle capacità, nell’accezione adottata dall’Onu, rappresenta attualmente uno dei paradigmi teorici innovativi ai quali la riflessione intellettuale in corso sul concetto di Sviluppo e sulle problematiche ad esso connesse, attribuisce maggiore attenzione; l’attribuzione ad A. Sen del premio nobel
per l’economia nel 1998, riflette infatti la notevole considerazione di cui gode il suo paradigma teorico a
livello mondiale. L’approccio delle capacità infatti è stato ed è tuttora oggetto di studi ed approfondimenti che hanno evidenziato contemporaneamente, meriti e aspetti problematici del suo impianto teorico
rispetto a modelli alternativi, e possibili modalità di un suo impiego. L’analisi critica della teoria di Sen
e dell’approccio dello Sviluppo Umano, è stata realizzata su molteplici piani e dimensioni e da molti
punti di vista differenti; essa infatti costituisce contemporaneamente una teoria dello sviluppo economico, una teoria di etica sociale e della giustizia, un paradigma interpretativo per definire la qualità della
vita, una proposta di politica pubblica. Non potendo procedere ad una ricostruzione dettagliata ed esaustiva della discussione critica in merito al paradigma delle capacità, ci limiteremo di seguito, a prendere
in esame solo alcuni degli aspetti più interessanti del dibattito attualmente in corso, analizzando il punto
di vista di coloro che, pur definendosi sostenitori dell’approccio delle capacità, ne hanno evidenziato in
modo più significativo, luci ed ombre; in particolare, nell’ambito di questa ricostruzione, ci focalizzeremo sulle analisi critiche del paradigma delle capacità inteso essenzialmente nella sua dimensione di”
modello valutativo del benessere delle persone”.
5
1.2.1. La traduzione operativa del modello delle capacità
Una delle critiche più diffuse rivolte al paradigma delle capacità elaborato da A. Sen riguarda la problematicità inerente la traduzione operativa del modello teorico. Le maggiori difficoltà segnalate dagli
studiosi riguardano infatti, la possibilità di utilizzare concretamente l’impianto teorico da lui elaborato,
come strumento di valutazione, e come base etica per la formulazione di una filosofia politica attiva8.
In particolare le difficoltà riguardano sia l’utilizzo effettivo dell’impianto teorico di Sen come strumento per rilevare e “misurare” il livello di benessere oggettivo, l’effettiva qualità della vita, delle persone appartenenti ad un determinato contesto socio economico e culturale, sia la traduzione dei principi alla base della sua teoria normativa del benessere, in principi costituzionali o in specifiche strategie
e politiche di sviluppo .
Parte di queste difficoltà, secondo alcuni studiosi, sono riconducibili ad alcune lacune ed ambiguità
presenti nel modello da lui proposto.
A questo proposito, tra le critiche più rilevanti è necessario presentare quella avanzata da M. Nussbaum, incentrata sulle dimensioni problematiche precedentemente individuate. La Nussbaum contesta
a Sen, di non essere riuscito a superare, o comunque a tradurre in un ottica maggiormente costruttiva,
il relativismo (soggettivo e culturale) che fondamentalmente pervade la sua teoria, individuando, pur
nel rispetto delle differenze degli individui e delle specificità locali, una soglia minima di capacità
fondamentali che garantisca il rispetto universale della dignità umana, che ciascun individuo ha il diritto di pretendere dal proprio governo. Secondo la Nussbaum infatti, Sen, volendo affermare il valore
dell’individuo e delle sue specificità, di fatto, si è limitato ad affermare che nel valutare (normativamente) la qualità della vita di una collettività dobbiamo considerare le capacità di cui gode ciascun individuo separatamente, in relazione alle sue specifiche aspettative e alla sua natura. Secondo Sen infatti nel valutare il grado di benessere sociale di cui gode un individuo, è necessario tener presente anche
il peso o il valore che ciascuno attribuisce ad un determinato insieme di funzionamenti: egli si pone
infatti il seguente quesito “a che titolo si potrebbe affermare a priori, in modo radicale, che determinati
funzionamenti sono più rilevanti di altri?”. L’importanza attribuita al punto di vista soggettivo, in modo così assoluto, secondo la Nussbaum, ha condotto Sen, di fatto, a non individuare una serie di capacità fondamentali minime, una soglia di capacità universali9; ciò ha impedito, o comunque ha reso
problematica, una qualunque traduzione operativa del suo approccio10; risulta infatti sostanzialmente
impossibile verificare in che misura ciascun individuo, in un determinato contesto, sia in grado di realizzare i funzionamenti cui aspira, quelli che egli considera rilevanti. Secondo la Nussbaum, inoltre, la
mancanza di una lista minima di capacità universali indebolisce o comunque rende più problematica la
possibilità di valutare normativamente le stesse aspirazioni e le mete dei soggetti, il loro essere adeguate “ad una vita degna di un essere umano”, obiettivo che lo stesso Sen, invece, si pone.
8
A proposito di questo nodo critico nella teoria di Sen, si vedano: Chiappero Martinetti (2000); Alkire (2002); Brandolini e
D’Alessio (1998); Robeyns (2000).
9
Sen infatti, pur affermando l’esigenza di definire un insieme di capacità minime, di fatto non le individua.
10
Questa difficoltà di selezionare alcune capacità fondamentali, era d’altra parte, stata affermata dallo stesso Sen; confronta a
questo proposito: Sen, “ La disuguaglianza, un riesame critico”, Bologna, 2000, Il Mulino.
6
La Nussbaum, nella revisione del pensiero di Sen propone dunque di introdurre una lista minima di
capacità fondamentali che devono essere universalmente riconosciute. Tale lista, nella misura in cui
individua gli elementi necessari per avere la possibilità di accedere ad una vita degna di un essere umano, ha il valore di uno strumento di rilevazione e di misurazione della qualità della vita delle persone in un determinato contesto sociale (essa ha dunque valore strumentale e normativo allo stesso tempo).
Secondo la Nussbaum infatti, al di là delle differenze soggettive e di contesto, è possibile riconoscere
alcune aspirazioni fondamentali alla crescita umana valide universalmente che impongono l’esigenza
morale di essere sviluppate.
Le capacità umane fondamentali, secondo la Nussbaum, costituiscono la base per garantire ad ogni individuo la possibilità di una vita che sia degna di un essere umano; esse non sono solo strumentali al
raggiungimento di ulteriori conquiste, sono valide in se stesse, nella misura in cui rendono pienamente
umana la vita che le include. La lista elaborata dalla Nussbaum, sulla base di anni di discussioni e confronti multiculturali, prevede dieci voci, corrispondenti ad altrettante libertà fondamentali o capacità,
ritenute, tutte indispensabili. Si riporta di seguito per esteso l’elenco di tali capacità: longevità; salute
fisica; integrità fisica; libertà di pensiero; libertà e pienezza di sentimento; ragion pratica; appartenenza; relazione con altre specie; gioco; controllo del proprio ambiente.
L’idea di una soglia minima di capacità umane fondamentali è stata ripresa ed utilizzata nell’ambito
dell’approccio dello Sviluppo Umano elaborato dall’Onu. La necessità di una traduzione operativa
dell’impianto teorico mutuato da Sen, ha condotto infatti l’Onu ad individuare alcune capacità ritenute
essenziali per realizzare lo sviluppo umano; l’Onu è giunto ad affermare dunque, che in ogni fase della
crescita economica è necessario assicurare alle persone la possibilità di condurre una vita lunga ed in
buona salute, di essere autonome dal punto di vista culturale e di avere accesso alle risorse necessarie
per condurre uno stile di vita decente. Se queste capacità di base non sono ottenibili, molte scelte non
sono semplicemente possibili e molte opportunità restano inaccessibili. Operativamente, tali considerazioni hanno portato alla realizzazione di un indice composto (ISU 11o HDI) che affianca gli indici di
sviluppo tradizionali fondati sulla misurazione del PIL o del reddito pro capite; si tratta di un indicatore sintetico costruito sulla base di più indicatori semplici, che fissa l’attenzione sulle capacità minime
essenziali dell’azione degli uomini e delle donne ossia rispettivamente: la longevità, il cui indicatore è
costituito dalla speranza di vita alla nascita, la conoscenza, il cui indice è costituito, dal livello di alfabetizzazione; e il controllo sulle risorse, (il potere d’acquisto) i cui indicatori sono, l’accesso alla terra,
al reddito, ecc. 12
L’Isu non ha la pretesa di essere un indice esaustivo dello Sviluppo Umano, esso piuttosto ha una funzione normativa: contribuire a diffondere un’idea di sviluppo come fenomeno complesso e multidimensionale.
11
Indice di Sviluppo Umano o Human Development Index.
L’Isu, dal 1995, è stato affiancato da altri indicatori specifici, sensibili alla variabile di genere: l’GDI (Gender relateddevelopment index) e il GEM (Gender Empowerment Measure).
12
7
1.2.2. Capacità e diritti umani
Tra le critiche più rilevanti formulate al paradigma delle capacità, vi è anche la considerazione inerente la problematicità e la non chiarezza (nell’ambito della teoria di Sen) del rapporto concettuale tra
“capacità” e “diritto”, ed in particolare tra “capacità” e “diritti umani”.
Tale ambiguità, in vero, viene in parte risolta nell’ambito della rielaborazione dell’approccio delle capacità effettuata dalla filosofa M. Nussbaum, rielaborazione adottata in parte, anche dall’Onu
nell’ambito degli RSU13.
Secondo la Nussbaum il concetto di capacità non è alternativo o differente rispetto a quello di diritto,
semmai lo comprende; secondo la Nussbaum infatti, i diritti umani possono essere concepiti come
“capacità combinate”. La filosofa americana afferma infatti che concettualmente è possibile individuare e distinguere fondamentalmente tre tipi di capacità: le capacità fondamentali, le capacità interne e le
capacità combinate. Le prime costituiscono “l’attrezzatura innata degli individui che è la base necessaria allo sviluppo di capacità più avanzate”, si tratta, ad esempio, della capacità di provare affetto, della
capacità di ragion pratica, ecc.; le seconde rappresentano invece “stadi di sviluppo della persona, che
sono, per quanto la riguardano, condizioni sufficienti per l’esercizio delle funzioni richieste”; si tratta
per esempio della capacità di imparare a parlare la propria lingua, di funzionare sessualmente, ecc.,
questo tipo di capacità possono essere sviluppate talvolta semplicemente crescendo, talvolta attraverso
una corretta e libera interazione con il contesto ambientale. Ad esempio: una donna che non ha subito
mutilazione genitale, ha la capacità interna di poter provare piacere sessuale.
Le capacità combinate infine possono essere definite come “capacità interne combinate con condizioni esterne adatte ad esercitare quella funzione”, infatti quando le persone hanno sviluppato o maturato
una determinata facoltà di fare o di essere, talvolta può essere loro impedito di funzionare in accordo
con tale capacità. Per ritornare all’esempio precedente: se ad una donna che non ha subito mutilazione
sessuale ma è vedova dall’infanzia, viene impedito di risposarsi, essa ha la capacità interna di provare
piacere sessuale ma non quella combinata di espressione sessuale. I diritti, in quanto capacità combinate, rappresentano l’esito di una relazione armonica tra le facoltà maturate dell’individuo, e la garanzia di poterle eventualmente esercitare o realizzare.
Secondo la Nussbaum, utilizzare il termine “capacità combinate” anziché “diritto” presenta dei “vantaggi”. Secondo la filosofa americana, il vantaggio di concepire i diritti come capacità combinate consiste nel fatto che “in tal modo chiariamo che un popolo in un determinato paese, non ha il diritto di
partecipazione politica solo perché una formulazione simile esiste sulla carta: ha davvero questo diritto
solo se ci sono misure effettive per rendere le persone veramente capaci di esercizio politico”. Secondo la Nussbaum, pensare in termini di capacità consente di assicurare, realmente, un diritto a qualcuno.
Il problema della relazione tra il concetto di “capacità” e il concetto di “diritto”, e segnatamente di “diritto umano”, viene affrontato esplicitamente anche dall’Onu, nel Rapporto Sullo Sviluppo del 2000.
13
Il tema della relazione tra “capacità” e “diritti umani” è affrontato nel Rapporto sullo Sviluppo Umano 2000.
8
In tale rapporto, a differenza di quanto proposto dalla Nussbaum, si parte da, e si mantiene una differenziazione terminologica e concettuale delle due espressioni, pur giungendo sostanzialmente a proporre una interpretazione del rapporto tra capacità e diritto, analoga a quella fornita dalla Nussbaum.
Nel Rapporto Onu si afferma infatti che i due termini hanno ambiti normativi differenti, pur essendo
caratterizzati da obiettivi e finalità analoghi. I due termini infatti, , sono alla base di due movimenti intellettuali sostanzialmente distinti: l’approccio dello Sviluppo Umano e l’approccio dei Diritti Umani,
caratterizzati da prospettive d’analisi e strategie progettuali differenti.
Nel rapporto Onu si legge che il concetto di “diritto” implica l’idea di una pretesa o una richiesta, che
una persona ha nei confronti di altri individui, gruppi, società o stati. Tale richiesta (diritto), può assumere forme differenti: può essere una richiesta di assistenza o di attenzione da parte degli altri, per lo
svolgimento di determinate attività, oppure può assumere la forma di una richiesta di immunità dalle
interferenze altrui. In ogni caso, a prescindere dalla forma assunta, tutti i diritti, sono accomunati dal
fatto che implicano la richiesta di intervento da parte di terzi, a difesa della libertà sostanziale
dell’individuo di essere e di fare ciò che desidera. Il rapporto tra Sviluppo Umano è Diritti umani,
nell’interpretazione dell’Onu, si può configurare in questi termini: “lo Sviluppo umano è centrato
sull’ampliamento delle possibilità e delle libertà delle persone, i diritti umani rappresentano le richieste che gli individui hanno nei confronti della condotta degli agenti individuali e collettivi per agevolare o assicurare tali possibilità e libertà”.
Secondo questa interpretazione, i diritti umani costituiscono la garanzia della possibilità di realizzare
lo sviluppo umano, definito nell’accezione di Sen, come processo di espansione reale delle capacità di
un individuo. Il concetto di diritto, secondo l’Onu, ha il merito di contribuire a rendere esplicita la dimensione “dei doveri”; il concetto di “diritto” di un soggetto umano ribadisce infatti che altri individui, collettività e istituzioni sociali hanno dei doveri: il dovere di accrescere in un modo o nell’altro, lo
sviluppo umano. Ciò implica introdurre il concetto di “responsabilità” legato a quello di capacità; nel
Rapporto Onu in particolare si legge: “quando un diritto è violato, o non è protetto a sufficienza, vi è
sempre qualche individuo o qualche istituzione che ha fallito nel realizzare un proprio dovere”.
L’analisi dei diritti umani comporta dunque una valutazione della misura in cui le istituzioni e le norme sociali offrono sicurezza allo sviluppo umano all’interno della società, garantiscono cioè agli individui la possibilità di scegliere quali funzionamenti realizzare in armonia con la collettività.
In quest’ottica, la prospettiva dello sviluppo umano, fondata sul concetto di capacità, comporta e presuppone, una visione integrata di tutti i diritti umani, non solo di quelli politici e civili. Essa fornisce
una struttura nella quale ogni progresso nello sviluppo umano è commisurato con l’attuazione dei vari
diritti umani intesi nel senso della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 1948. Lo Sviluppo
umano è infatti “essenziale per realizzare i diritti umani e i diritti umani sono essenziali per il pieno
sviluppo umano”. Come ha affermato lo stesso Sen “i diritti sono importanti non solo per soddisfare i
bisogni, ma essi sono fondamentali anche per formulare i bisogni”.
9
1.2.3. Il superamento del paradigma utilitarista
Uno dei meriti maggiormente riconosciuti all’approccio delle capacità, è il fatto di aver predisposto le
basi teoriche per un superamento degli aspetti problematici e dei limiti dell’utilitarismo14, teoria di etica sociale attualmente dominante, posta a fondamento del modello sociale (e di sviluppo) welfarista e
del relativo strumento di analisi della qualità della vita
I sostenitori dell’approccio delle capacità, infatti, ritengono i metodi di analisi utilitaristici, non idonei
a rilevare il vantaggio sociale di cui godono gli individui, la condizione reale ed effettiva delle persone
in un determinato contesto socio culturale ed economico. Le argomentazioni critiche contro
l’approccio utilitarista si focalizzano sul fatto che i metodi utilitaristici, basati sulla rilevazione delle
preferenze soggettive (del grado di soddisfazione personale) come base per la formulazione di giudizi
sul benessere delle persone, non sono in grado di attuare un esame critico della preferenza e del desiderio che possa rivelare i molti modi in cui la consuetudine, la paura, le scarse aspettative, le ingiuste
condizioni socio culturali deformano la scelta delle persone e anche i loro desideri riguardanti la loro
stessa vita. Focalizzarsi esclusivamente sulla rilevazione del grado di appagamento personale per esprimere considerazioni sul benessere di una persona, può paradossalmente non consentire di registrare le eventuali condizioni di privazione socio economica di base in cui versa tale persona: la metrica
dei desideri talvolta può non rivelarsi sensibile ai diritti umani fondamentali; una persona che vive in
totale deprivazione e conduce una vita molto stentata può infatti non apparire in una brutta condizione
secondo la metrica mentale dei desideri e del loro appagamento, se essa accetta con rassegnazione la
propria condizione.
L’approccio utilitarista infatti non riconosce un’importanza intrinseca alle rivendicazioni di diritto o di
libertà, esse infatti secondo gli utilitaristi hanno valore solo indirettamente nella misura in cui influiscono sulle utilità (sul grado di soddisfazione, o piacere personale).15
Sulla base di una simile considerazione, è evidente che i metodi utilitaristici non sono in grado di dirci
nulla sulla reale condizione delle persone, sulla qualità reale (considerata anche da un punto di vista
normativo) della loro vita.
L’utilitarismo ha portato all’affermazione del welfarismo soggettivo16: tale concezione ritiene che tutte “le preferenze soggettive” abbiano pari valore normativo e conseguentemente debbano stare su uno
stesso piano dal punto di vista politico 17. Il welfarismo nasce dal rispetto assoluto per le persone e per
le loro scelte reali, a prescindere dal valore intrinseco di tali scelte, o dalle motivazioni che hanno condotto ad effettuarle; l’utilitarismo è dunque riluttante ad imporre agli individui qualcosa che sia loro
estraneo, e altrettanto riluttante si mostra nel trattare diversamente persone con desideri differenti. In
tal modo tuttavia, il welfarismo rende impossibile condurre una critica radicale dell’ingiustizia sociale
14
Tra i sostenitori di questo merito della teoria di Sen, ricordiamo: Alkire (2002); Cohen (1999).
Il principio di base nei modelli utilitaristici è che una persona ricava più utilità da un’alternativa x che da un’alternativa y
se e solo se preferisce x a y.
16
Uno dei maggiori sostenitori di tale approccio è considerato Milton Friedman.
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Non ci sono preferenze che “meritano” di essere garantite a dispetto di alt re; “la politica” deve limitarsi a garantire la possibilità di perseguire le e preferenze che ciascun individuo ha, a prescindere da qualunque considerazione di carattere normativo sul valore di tali preferenze.
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ed istituzionale: ci porta infatti ad affermare, per esempio, che se un individuo decide di accettare una
struttura salariale oggettivamente ingiusta per lavorare, le cose possono rimanere immutate, senza che
ciò possa costituire motivo di sdegno o di obiezione etica.
L’approccio delle capacità, invece si pone come obiettivo, la possibilità di formulare giudizi di valore
relativamente alla condizione reale, oggettiva delle persone, e relativamente alla natura delle loro preferenze (o comunque relativamente al processo che ha portato alla maturazione di tali specifiche preferenze), con l’intento di “migliorarle”. Il paradigma delle capacità si configura infatti essenzialmente
come una teoria normativa, che deve servire come base per l’azione sociale.
Soprattutto nella versione della Nussbaum infatti, il modello delle capacità deve servire contemporaneamente come strumento in grado di rilevare il valore soggettivo di uno stato di cose, ma anche quello”oggettivo”, indipendente dall’atteggiamento che le persone hanno verso quel determinato stato di
cose, indipendentemente dal fatto cioè che le persone si siano adattate o addirittura preferiscano una
determinata situazione, e tutto ciò al fine di avere una base reale sulla quale costruire e predisporre una
strategia di sviluppo veramente efficace.
Secondo la Nussbaum infatti, è necessario tener conto dell’atteggiamento soggettivo delle persone, e
considerare il peso che ogni soggetto attribuisce ad una determinata condizione, per determinare la
qualità sociale della sua vita, ma è necessario anche andare oltre. Nussbaum e Sen sostengono infatti
che e’ necessario “stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è in termini di capacitazioni” a prescindere dalle preferenze delle persone: “se una persona non è in grado di ottenere il nutrimento di cui ha bisogno, o se non è in grado di condurre una vita normale a causa di qualche handicap, quell’incapacità
è importante di per sé, non solo perché quella persona è insoddisfatta per tale insuccesso”. Le persone
infatti potrebbero adattarsi ad un tenore di vita bassissimo, senza soffrirne particolarmente, ma ciò non
è giusto.
1.2.4. Il superamento del paradigma dei beni fondamentali
I sostenitori dell’approccio di Sen 18, riconoscono alla teoria delle capacità anche il merito di essere
riuscita a superare la parziale cecità (essenzialmente da un punto di vista morale) del sistema valutativo proposto dall’approccio dei Beni fondamentali il cui maggiore esponente è considerato J. Rawls.
Alcuni studiosi infatti hanno evidenziato come l’approccio dei beni fondamentali sia intrinsecamente
debole nel rilevare la reale condizione di benessere delle persone.
Tale approccio infatti si limita a considerare, come base informativa per esprimere giudizi sullo stato
di benessere delle persone, la quantità di beni fondamentali di cui essi dispongono. Ciò non è sufficiente nella misura in cui persone con caratteristiche soggettive differenti possono aver bisogno di differenti tipologie di beni, o differenti quantitativi di essi per poter raggiungere un eguale livello minimo
di benessere; variabili come il genere, condizioni di disabilità o malattie, possono infatti determinare
differenti esigenze; un paraplegico necessita di più risorse, rispetto ad una persona sana, per potersi
spostare e muovere.
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Tra i principali sostenitori di questo “merito” si ricorda : G. A. Cohen (1990) ; M. Nussbaum (1993).
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L’approccio delle capacità invece, prendendo in considerazione non solo ciò che le persone hanno, ma
cosa ciò che possiedono consente loro di fare o di essere, supera questo ostacolo, consentendo di verificare la reale situazione e condizione di vita di una persona. Lo Sviluppo Umano infatti si propone
non solo di garantire le risorse alla persone, ma di far sì che tali risorse vengano utilizzate attivamente
dalle persone, costituendo la base per la costruzione attiva, e la libera espressione della propria individualità.
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