INSEGNAMENTO DI A LOGICA E FILOSOFIA DELLA SCIENZ SCIENZA LEZIONE VI “ROBERTO GROSSATESTA” PROF. FABIO SELLER Logica e filosofia della scienza Lezione VI Indice 1 La vita e le opere------------------------------------------------------------------------------------------ 3 2 La metafisica della luce---------------------------------------------------------------------------------- 5 3 Lo studio sull’arcobaleno ------------------------------------------------------------------------------- 8 4 La teoria della scienza e la dimostrazione scientifica-------------------------------------------- 10 5 I rapporti tra le scienze: la teoria della subalternazione --------------------------------------- 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI 1 La vita e le opere La data di nascita di Roberto Grossatesta è controversa, ma da recenti studi si può arguire che il filosofo nacque intorno al 1168 a Norfolk (Inghilterra) da famiglia povera. Non sappiamo dove avesse studiato le Arti, ma una sede molto probabile è la città di Oxford. Ci sono numerose testimonianze di una sua presenza ad Hereford, allora importante centro culturale, particolarmente sensibile alle influenze del pensiero arabo, il che spiegherebbe anche l’apertura di Grossatesta verso tematiche già trattate da autori arabi. Fino al 1253, anno in cui fu nominato cancelliere, non si hanno notizie sicure: alcune fonti lo vogliono a Oxford, altre a Cambridge. A questo periodo vanno datati due brevi ma importanti scritti, il De artibus liberalibus e il De generatione sonorum, che denunciato l’attenzione nei confronti di argomenti di carattere scientifico. Dal 1209 al 1214 l’insegnamento a Oxford fu sospeso per i contrasti tra cittadini e studenti e i maestri oxoniensi presero la via di Parigi; pare che lo stesso Grossatesta vi si recasse per studiare teologia, ma anche questa notizia non è sicura. Nel 1214, con l’apertura dell’Università, Grossatesta fu il primo a occupare la carica di magister scholarium, diventando primo cancelliere di Oxford. Da questa data inizia la carriera ecclesiastica. Attorno al 1230 egli entra in contatto con lo studium dei Francescani di Oxford, Ordine del quale entrerà a far parte. A partire dal 1214 Grossatesta compose la maggior parte delle sue opere scientifiche: De sphaera, De impressionibus aeris, Compotus I, De cometis, De impressionibus elementorum, De generatione stellarum, Compotus correctorius, De fluxu et refluxu maris, De luce (1225-28), De differentiis localibus, De motu supracaelestium, De motu corporali et luce, De lineis, De natura locorum, De iride, De colore, De calore solis, De finitate motus et temporis. Agli anni 1228-30 risale il Commentarius in Posteriorum Analyticorum libros, mentre attorno al 1228-32 scrisse il Commentarius in VIII libros Physicorum. Negli anni anteriori all’episcopato vanno datati anche gli scritti più orientati verso la teologia: il De libero arbitrio, il De ordine emanandi causatorum a Deo, il De veritate, il De scientia Dei, il De veritate propositionis, e l’Hexaëmeron. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI Nel 1253 Grossatesta fu eletto vescovo di Lincoln; da questa data inizia l’attività di traduzione dal greco, e forse anche dall’ebraico. Il filosofo Ruggero Bacone afferma che egli fece venire in Inghilterra persone di madrelingua greca e che fece acquistare codici greci di opere filosofiche e scientifiche. Ma lo stesso Bacone dichiara poi che Grossatesta non raggiunse mai una padronanza della lingua tale da permettergli di tradurre senza l’ausilio di altri; furono traduttori come Nicola Siculo Greco e John Basingstoke, che, sotto la guida di Grossatesta, formarono una vera e propria scuola sotto la sua guida. Furono così tradotti il De fide ortodoxa, la Dialectica, il De heresibus, l’Introductio dofmatum elementaris e il De hymno trisagion del Damasceno; il Corpus areopagiticum; il Testamentum XII Patriarcharum. Attorno al 1246 Grossatesta concluse la versione dell’Ethica Nicomachea con relativo commento. Tradusse inoltre il De caelo di Aristotele e il commento a quest’opera di Simplicio. Grossatesta morì nel 1253. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI 2 La metafisica della luce La filosofia della luce inserisce Grossatesta nella storia del pensiero scientifico. La tradizione occidentale latina legata alla speculazione sulla luce risale ad Agostino e alla sua ermeneutica del Genesi. La riflessione su questo tema si ampliò nel IX secolo con la traduzione del Corpus areopagiticum attribuito a Dionigi l’Areopagita, il filosofo che si riteneva convertito da san Paolo ad Atene nell’areopago (in realtà, si tratta di un'altra persona, motivo per cui oggi si preferisce parlare di pseudo-Dionigi). Le opere dello pseudo-Dionigi vennero ritradotte nel XII secolo, nel periodo in cui il pensiero filosofico e scientifico arabo-ebraico cominciava a penetrare in Occidente, e di cui facevano parte anche scritti di ottica. Grossatesta si ricollega a questa tradizione culturale. Nell’opuscoletto De luce, l’autore parte dalla affermazione contenuta in Genesi 1, 3: “Dixit Deus: Fiat lux”, per sviluppare una vera e propria metafisica della luce, che unisce teoria della luce e teologia della creazione. Secondo la spiegazione fornita da Grossatesta, all’origine del mondo ci sarebbero – come il test biblico suggerisce – una materia prima informe unita alla luce o prima forma corporalis. Si tratta del primo prodotto della creazione divina, del primo ente creato; a partire da questa sostanza semplice e senza dimensioni deriva tutto l’universo attraverso un processo di diffusione. La luce, infatti, possiede per sua natura la capacità di diffondersi, anzi si può affermare che tale proprietà è necessaria e non può non verificarsi; dato l’iniziale punto luminoso, quindi, esso deve, in virtù della sua stessa natura, spandersi in tutte le direzioni. La luce è essa stessa corporeità, cioè è connessa alla materia, per cui moltiplicandosi trascina con sé la materia prima. Creata da Dio congiunta alla materia prima, la luce si espande dilatando la materia e formando così la massa dell’universo. Nella propagazione della luce la distribuzione disuguale della materia dipende dalla disgregazione/aggregazione della luce, a cui corrispondono la rarefazione/condensazione della materia. La diffusione della luce dà origine a un prodotto finito, perché la luce per sua essenza non ha la possibilità di diffondersi indefinitamente, dal momento che quanto più si allontana dalla sua Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI fonte, tanto più si indebolisce. Il risultato è quindi una sfera finita, che al limite estremo presenta il suo strato più rarefatto, mentre è più densa man mano che si procede verso il centro. La prima disgregazione dà origine al corpus spirituale, una sfera in cui sono determinati i limiti dell’universo. A partire da questa espansione, quando la luce ha esaurito il suo potere di diffusione, dal suo limite estremo – che, da un punto di vista cosmologico, rappresenta la sfera delle stelle fisse – si riflette verso il centro del mondo. Questa luce riflessa (che Grossatesta chiama lumen, distinguendola dalla precedente luce diretta, la lux) dà origine successivamente alle altre sfere celesti, progressivamente meno rarefatte, fino a quella della Luna. Giunta all’ultima sfera la luce, non avendo più potere di rarefarsi, dà origine ai quattro elementi. Il risultato finale del processo di diffusione luminosa è la formazione di 13 sfere, nove celesti – inalterabili – e quattro del mondo inferiore, in cui il processo di generazione non è giunto a compimento. Il moto delle sfere è circolare nei corpi celesti, rettilineo – dall’alto verso il basso – nei quattro elementi, per via della rarefazione/condensazione che causa un movimento di parti. Gli influssi su quest’opera sono i testi della tradizione araba ed ebraica, che affrontano i temi dell’emanazionismo, della natura della luce e della materia. Ma la novità di Grossatesta sta nell’aver sintetizzato la cosmogonia della genesi con quella del De caelo aristotelico, distaccandosi da Aristotele sia per la concezione della struttura matematica della realtà, sia per l’idea di un’unica materia alla base dell’universo celeste e sublunare. Concependo, infatti, l’universo come materia luminosa più o meno rarefatta, Grossatesta forniva la possibilità di uno studio naturalistico del mondo: contrariamente a quanto affermava Aristotele, l’universo per il vescovo di Lincoln non è distinto in due regioni sostanzialmente diverse – quella eterica celeste, e quella sublunare dei quattro elementi – ma trae origine tutto da una medesima sostanza, che è la luce corporea. Ciò consente l’applicazione di un metodo positivo all’analisi sia dei fenomeni sublunari che di quelli che si verificano nel cielo. Per tale ragione Grossatesta ritiene possibile applicare la matematica all’indagine fisica; questo tema viene sviluppato, in particolare, in un’altra opera, il De lineis, angulis et figuris, in cui si afferma che è possibile, mediante le leggi dell’ottica geometrica, interpretare i fenomeni naturali. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI L’assunto primo è che “l’agente naturale estende la sua forza da se stesso fino al paziente, sia che agisca sul senso, sia sulla materia”. In altri termini, la propagazione delle azioni naturali avviene da un soggetto all’altro nell’intero universo, e in questo procedere le forze seguono linee rette, proprio come quelle dei raggi luminosi, proprio perché la sostanza di cui tutto è composto – e quindi anche le azioni che ne derivano – è di natura luminosa. La forza può agire in due modi: in senso forte se si propaga in linea retta; se però il corpo si frappone al passaggio della forza un corpo opaco, allora si verifica il fenomeno della riflessione; infine, se il corpo è permeabile parzialmente alla luce, si avrà il fenomeno della rifrazione. Anche le figure geometriche – come il titolo dell’opera indica – sono strumenti fondamentali dell’indagine fisica. Tra esse meritano un’attenzione particolare la sfera (la luce, come detto, si diffonde sfericamente) e la piramide (anche con base circolare, cioè il cono). Quest’ultima figura è quella che assumono i raggi quando agiscono da un corpo all’altro: in questo caso, la superficie del corpo agente costituisce la base della piramide (o cono), mentre il punto del paziente su cui si esercita la forza ne è il vertice. È quindi chiaro che tutti i fenomeni naturali possono essere studiati a partire dalle proprietà delle figure geometriche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI 3 Lo studio sull’arcobaleno Un altro scritto di notevole interesse per l’elaborazione di una scienza sperimentale basata sulla geometria è De iride (Sull’arcobaleno), diviso in tre parti. Nella prima parte si enuncia lo statuto epistemologico dell’ottica – fondato sulla classificazione delle scienze e sul tipo di dimostrazione usato da ciascuna – e il suo oggetto, che è la visione. La seconda parte suddivide l’ottica in scienza della visione (ottica), scienza dei fenomeni della riflessione (catrottica) e della rifrazione (diottrica), secondo una tripartizione che risale alle opere ottiche greche. Per quanto riguarda la diottrica, Grossatesta è consapevole di introdurre nuove nozioni. Il principio che fonda la legge della rifrazione stabilisce che “ogni azione della natura avviene nel modo più determinato, ordinato, diretto e migliore possibile”. Viene poi enunciata la legge della rifrazione, secondo la quale un raggio, che incontra sulla sua traiettoria un corpo trasparente, viene rifratto all’interno di quel corpo (p.es. l’acqua) secondo un angolo che è la metà di quello formato dalla traiettoria del raggio idealmente protratta e la perpendicolare al punto di incidenza. Nella terza parte dell’opera viene discusso il caso dell’arcobaleno. Grossatesta spiega la figura dell’arcobaleno con un metodo sperimentale: egli, cioè, analizzò la rifrazione della luce attraverso una lente sferica, e associò tale esperienza al fenomeno naturale dell’arcobaleno. La spiegazione fornita nel De iride si discosta da quella proposta da Aristotele nei Meteorologica, per cui l’arcobaleno sarebbe causato dalla riflessione delle goccioline d’acqua sospese nelle nuvole; Grossatesta, invece, l’attribuisce alla rifrazione, causata però non dalle singole goccioline ma dall’intera nuvola che fungerebbe da specchio. Allo studio dell’arcobaleno è connessa anche un’altra teoria, quella della doppia rifrazione, che stabilisce che la luce subisce una prima rifrazione entrando nel mezzo – in questo caso la nuvola – e una seconda uscendone. Questa ipotesi, che Grossatesta cercò di provare anche sperimentalmente, è alla radice dell’ottica delle lenti convergenti. Grossatesta spiega con la luce anche altri fenomeni – come l’eco – riconducendoli tutti ad un unico genere che è il riflettersi o “ripercuotersi” (repercussio). Il suono, infatti, è spiegabile se si considera la luce “incorporata” nel corpo sonoro, cosicché quando si colpisce un oggetto esso vibra, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI e le particelle che lo costituiscono escono temporaneamente dal loro luogo naturale per poi tornarvi. Questo movimento si trasmette alla luce contenuta nel corpo, che vibra anch’essa, propagando in linea retta questo movimento in tutte le direzioni; quando questa trasmissione trova un corpo più denso il moto cambia verso e torna alla sua fonte. Così è spiegata l’eco. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI 4 La teoria della scienza e la dimostrazione scientifica Grossatesta è il primo dei latini ad affrontare il dibattito sulla natura della scienza e l’organizzazione dei saperi a partire da una lettura diretta degli Analitici secondi. Quest’opera non era diffusa nell’Occidente latino medievale prima della traduzione fattane proprio da Grossatesta, e del relativo commento. Grossatesta distingue quattro gradi del sapere: 1. scire communiter (conoscere in senso generico): è il grado infimo e riguarda ciò che è assolutamente contingente; 2. scire proprie (conoscere in senso proprio): è apprendere la verità di ciò che è sempre o per lo più, cioè le cose naturali; 3. scire magis proprie (conoscere in senso più proprio): riguarda ciò che è sempre in un determinato modo, come i principi e le conclusioni delle scienze matematiche; 4. scire maxime proprie (il conoscere per eccellenza): è la conoscenza di ciò che è immutabile, mediante la conoscenza di ciò da cui deriva questa immutabilità. Rispetto a questo livello di conoscenza, Aristotele definisce tutti gli altri saperi come “sofistici e accidentali”. La conoscenza maxime proprie è quella che individua le cause immutabili e necessarie. Per evitare la circolarità o il processo all’infinito nella dimostrazione i principi primi devono possedere i caratteri della necessità e dell’immediatezza. Ne deriva che delle quattro forme di sapere solo le ultime due sono propriamente scienza, perché consentono l’utilizzo del sillogismo dimostrativo, che garantisce la necessità delle conclusioni. Le premesse da cui parte un ragionamento scientifico devono essere necessarie e immediate, cioè non possono essere a loro volta conosciute per dimostrazione. Grossatesta sviluppa ulteriormente questo punto: in realtà, noi non abbiamo una conoscenza in atto dei principi, ma neppure li ignoriamo del tutto; non resta, allora, che ammettere che essi sono già in noi, ma soltanto in potenza, come un habitus. Il passaggio dalla potenza all’atto si svolge attraverso un processo che parte dalla conoscenza sensitiva – che è passività – e prosegue con la memoria, che ripetutamente Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI rinnovata porta all’universale. Una volta colto, l’universale – cioè il concetto di qualcosa – può dirigere l’attività umana o come principio di tecnica, o come principio di scienza. Più oltre nel Commento agli Analitici Secondi di Aristotele, Grossatesta torna sulla conoscenza dei principi, ma lo fa per mezzo della distinzione delle diverse facoltà conoscitive dell’uomo: l’intellectus, scientia, opinio e sollertia. L’intellectus è potenza dell’anima che coglie i principi primi da cui derivano i sillogismi dimostrativi (è identificabile, quindi, col nous aristotelico); la scientia è habitus acquisito mediante la dimostrazione; la sollertia è un particolare habitus, una sorta di capacità che lo scienziato deve possedere, e che lo rende capace di coglie il termine medio di un sillogismo, così da poter sviluppare un ragionamento scientifico. È interessante la considerazione che Grossatesta fa della facoltà umana dell’opinare. Come nel caso del conoscere, anche l’opinare ha diverse accezioni. L’opinio communiter dicta è una qualsivoglia conoscenza a cui è dato l’assenso, indipendentemente dal modo in cui essa è stata raggiunta; in tal senso essa è molto simile alla fede, e comprende anche la scienza stessa. L’opinio proprie dicta è l’accoglimento di una parte della contraddizione, escludendo l’altra, senza quindi la coscienza di un confronto. L’opinio maxime proprie è l’accoglimento di una verità contingente, cioè di una verità che può tanto essere quanto non essere. Grossatesta conclude questo argomento con la tematica dell’illuminazione. C’è una “visione mentale” (visus mentalis) che coglie le cose visibili per essa, cioè gli intelligibili; ma è la luce (lumen) a realizzare questa possibilità di vedere: la luce illumina sia la visione mentale che le cose visibile, rendendo così possibile l’atto del vedere. Nell’uomo questa luce spirituale coincide con il suo intelletto. Grossatesta paragona l’intelletto e la scienza all’atto di vedere di un occhio sano; l’opinio proprie dicta è a un livello inferiore, perché coglie gli intelligibili assieme alle immagini delle cose materiali; l’opinio magis proprie dicta, che si pone ancora più in basso nella scala delle facoltà conoscitive, coglie le cose mutevoli nella loro materialità. Come già Aristotele, anche Grossatesta tratta della tecnica definitoria. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI Seguendo lo Stagirita, egli afferma che quattro sono le domande che possono riguardare una qualsiasi realtà e che aprono la strada alla ricerca scientifica: “se una cosa è” (si est), “che cosa è” (quid est), “che è qualcosa” (quia est) e “perché una cosa è” (propter quid est). Esse si possono però ridurre a due, cioè al “che cosa è” una determinata realtà, e “perché è” proprio ciò che è, ovvero quale ne è la causa. La tecnica per conoscere il “che cosa” è l’ars diffiniendi (tecnica del definire), la via che ci consente di individuare l’essenza di una cosa. Si può procedere in due modi. Per sintesi si procede da ciò che è universale e semplice per giungere a ciò che è composto; per analisi, invece, si parte da ciò che è composto per giungere a ciò che è semplice. Nel primo caso, per definire qualcosa (“uomo”) si deve partire dal genere in cui la cosa rientra (“animale”), poi si deve dividere il genere secondo le differenze prossime (“animale razionale o irrazionale”) e vedere in quale la cosa rientra; il composto formato dal genere e dalla differenza prossima (“animale razionale”) si divide secondo le sue differenze prossime (“mortale o immortale”) e si forma così un nuovo composto costituito dal precedente composto più la nuova differenza prossima, avendo così la definizione (“animale razionale mortale”). L’analisi parte da ciò che è composto e ascende per partitionem fino al semplice. Si parte dal nome di cui si deve ricercare la definizione, prendendo in esame le cose che sono simili e alle quali si attribuisce quel nome; poi si cerca ciò che queste cose hanno in comune secondo il nome. Si prendono quindi in considerazione altre cose che hanno in comune con le precedenti la specie, ma presentano una differenza per accidenti e si vede ciò che esse hanno in comune con il nome da definire. Successivamente si deve esaminare ciò che i due gruppi hanno in comune, secondo il nome da definire. Se si è giunti a una caratteristica comune, allora questa sarà la definizione. Altrimenti si procede ripetendo il processo prendendo in considerazione le cose che hanno con ciò che si sta definendo una differenza progressivamente maggiore. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI 5 I rapporti tra le scienze: la teoria della subalternazione Nel definire i rapporti fra le varie scienze, Grossatesta utilizza – primo tra i latini – la teoria della subalternazione. Il discorso intorno alla classificazione dei diversi saperi scientifici è svolto in un’opera intitolata De artibus liberalis. In apertura, Grossatesta si richiama al concetto espresso da Ugo di San Vittore, per cui le arti sono strumenti atti a correggere la naturale predisposizione all’errore dell’essere umano dopo il peccato originale. Poiché tutto ciò che è in potere dell’uomo dipende o dall’intelletto o dalla volontà o dai movimenti dei corpi o dalle loro modificazioni, le arti si articolano in questi quattro ambiti. Le arti del trivio riguardano la sfera superiore e rientrano nella fisolofia morale, mentre quelle del quadrivio riguardano la filosofia naturale. Ma la philosophia non coincide con le arti, essendo più estesa: trattando della filosofia naturale, ad esempio, Grossatesta considera come sue parti anche la semina dei vegetali, la trasmutazione dei minerali e la cura delle malattie, discipline che non trovavano posto nelle precedenti enumerazioni dei saperi scientifici. Le diverse discipline acquistano carattere scientifico a seconda del tipo di dimostrazione usato in esse. La scienza può essere acquisita per mezzo della causa prossima o per mezzo di una causa non prossima. Nel primo caso si ha la scienza del “perché”, fondata sulla dimostrazione della causa; nell’altro caso si ha la scienza del “che”, basata sulla dimostrazione che parte dagli effetti per risalire alle cause. Grossatesta ammette che l’uso di questi due procedimenti può essere applicato ad una medesima scienza, anche se riconosce che questa non era l’opinione di Aristotele. È ovvio che la dimostrazione del “perché” presenta caratteri di scientificità sicuramente più marcati rispetto alla dimostrazione del “che”; tuttavia, quest’ultima è utilissima in tutti quei casi in cui la causa di un fenomeno sia difficile da individuare. Inoltre, può accadere che due scienze vertano su un oggetto comune, pur rimanendo distinte; per esempio, sia la geometria che l’ottica riguardano linee e angoli, ma sotto aspetti differenti. In tal caso esse si distinguono per il metodo seguito: la scienza che procede dimostrando il “perché” è definita “scienza subalternante”, mentre quella che si limita al “che” è la “scienza subalternata”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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Nel rapporto tra la matematica e le scienze che ne fanno uso, il “perché” – cioè le dimostrazioni – delle formule matematiche impiegate è proprio della scienza matematica, ma è solo nelle scienze ad essa subordinate che tali dimostrazioni trovano la loro piena realizzazione in un rapporto di cause/effetti. Si è visto che l’analisi e la sintesi, l’induzione e la deduzione, forniscono un metodo per la ricerca scientifica. Tale metodo viene esteso attraverso il processo della falsificazione. Nella scienza naturale, diversamente da quanto accade per le scienze astratte della matematica, non è possibile giungere a una conoscenza assolutamente certa della causa da cui derivano gli effetti. Nel caso degli oggetti materiali, infatti, lo stesso effetto può derivare da più di una causa, e non è possibile conoscere tutte le diverse possibili cause; ciò significa che solo in matematica esistono dimostrazioni in senso stretto, caratterizzate da un grado di certezza massimo; nelle scienze della natura, ci dobbiamo accontentare di giungere a un sapere che è per noi il più certo possibile, pur non essendolo in assoluto. Al fine di rendere i risultati dell’indagine naturale quanto più certi possibile, Grossatesta elaborò un metodo che faceva largo uso della “riduzione all’assurdo”. Quando un fenomeno fisico sembra spiegabile attraverso diverse cause, si deve procedere all’analisi di ciascuna, cercando di dimostrarne la falsità. Così procedendo, alla fine resterà una sola ipotesi di spiegazione del fenomeno, quella che non è stata possibile ridurre all’assurdo, cioè mostrarne la falsità. Questa ipotesi costituisce la vera spiegazione scientifica di un fatto naturale. Come si vede, questo metodo segue il principio per cui un’ipotesi è vera se e solo se essa non è riducibile all’assurdo; detto in altri termini, l’ipotesi che si rivela fondata è quella che non è “falsificabile”. Da questo punto di vista il procedimento di Grossatesta è stato per molti versi accostato alla teoria della falsificabilità delle scienze elaborata dal filosofo Karl Popper nel XX secolo. Sono stati in particolare gli studi di Crombie a sottolineare questo accostamento, attraverso un’attenta lettura dell’opera scientifica di Grossatesta. Sebbene la critica più recente tenda a Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 15 Logica e filosofia della scienza Lezione VI rifiutare l’eccessiva attenzione posta sulla novità del metodo di falsificazione del filosofo inglese, e su una pretesa anticipazione della teoria popperiana, non si può dubitare che gli sforzi profusi da Grossatesta per elaborare una metodologia della ricerca scientifica che andasse anche oltre quella proposta da Aristotele negli Analitici secondi, è sicuramente uno dei maggiori apporti della filosofia della scienza in epoca medievale. Grazie alle sua attente riflessioni su questioni di carattere epistemologico, e alla puntualizzazione del modo in cui il metodo scientifico deve essere applicato allo studio dei fenomeni naturali, attraverso una serie di studi ed esempi diretti, le opere di Grossatesta si pongono come uno dei più importanti contributi ai successivi sviluppi della filosofia della scienza, e non soltanto nel Medioevo. Molte sue intuizioni saranno riprese e rielaborate nella scuola di Padova, dove qualche secolo dopo insegnerà proprio Galileo. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 15 di 15