METAFISICA DELLA LUCE (prof. Maria Vidal) La definizione “Metafisica della luce” non è di origine medioevale, ma fu coniata nel 1916 da Clemens Baeumker, storico della filosofia tedesco, per indicare un ambito della cultura filosofica, scientifica e teologica latina medioevale che si sviluppa tra il XII e il XIII secolo e che ha come maggiori rappresentanti Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, ma è presente anche in Bonaventura da Bagnoregio, Bartolomeo da Bologna, Alessandro di Hales e altri. Principio ontologico basilare della Metafisica della luce è che essa costituisce la componente strutturale essenziale sia delle entità spirituali sia di ogni essere fisico, animato e inanimato. Gli influssi su tale ambito speculativo sono molteplici: Il neoplatonismo di Plotino, Proclo, del Liber de causis, (compendio del IX secolo dell'opera di Proclo) Il platonismo degli studiosi di Chartres, in particolar modo i commenti al Timeo La teologia di Agostino e dello Pseudo-Dionigi I testi sacri, in particolare la tradizione esegetica della Genesi e il Vangelo di Giovanni Le perspective dei filosofi arabi: Alkindi, Avicenna, Alhazen, Avicebron Le traduzioni del XII secolo: Aristotele ed Euclide. Il più importante tra questi è senz'altro la visione neoplatonica della realtà, la sua struttura emanazionista, il suo rigoroso monismo, e quindi l'idea di un cosmo assolutamente unitario, armonioso, bello, in cui il male non è un principio ontologico, ma soltanto assenza di bene. La luce non è solo una metafora che consente di dire, in modo necessariamente impreciso, l'ineffabile, ma diviene l'elemento che accomuna l'essere di Dio con l'essere delle cose terrene, origine e principio strutturale del cosmo, intermediario tra Dio e mondo e fondamento di un universo ordinato secondo regole che partecipano della natura del divino. Su tali regole è possibile organizzare una scienza dimostrativa che individui la cause prime dei fenomeni fisici. Il campo d'indagine legato alla Metafisica della luce è quindi vastissimo: intesa in senso analogico come lux spiritualis, la luce è Dio, lux increata, mentre le Intelligenze separate sono lux creata proveniente da Dio. In questo senso è oggetto d'indagine della teologia e della metafisica. In quanto fenomeno fisico del mondo sublunare, la luce è oggetto delle scienze fisico-matematiche (la perspectiva, ovvero l'ottica, uno dei rami delle scienze fisiche che ebbe maggior sviluppo nel Medioevo), ma anche degli studi astronomici e cosmologici. IL MONISMO DI PLOTINO La dottrina di Plotino si colloca nel contesto del secondo secolo dopo Cristo, periodo di attivo fermento ed inquietudine religiosa. Pur subendone le influenze, essa si sviluppa in polemica con lo gnosticismo e le religioni del vicino oriente, soprattutto il manicheismo che, trasformando il dualismo platonico di sensibile e soprasensibile, nel suo originario significato metafisico e morale, in un dualismo di principi ontologici assoluti (luce-tenebre, anima-corpo, spirito-materia, bene-male, dio-demiurgo), spezza la razionalità, l'unitaria bellezza, l'ordine armonioso del cosmo. A questi principi Plotino oppone un monismo altrettanto assoluto: l'Uno, principio spirituale da cui tutto proviene, che ammette al proprio interno solo diversi gradi di perfezione, mai un principio antitetico che ne incrinerebbe la razionalità totale. L'Uno, prima ipostasi, infinita forza traboccante, è al di sopra dell'essere, è assenza di forma; il cosmo è il dispiegarsi necessario di questa Potenza prima che si è autoposta e, per essere ciò che è, ha determinato la necessità di espandersi e dare origine, mediante la seconda e terza ipostasi, Intelligenza e Anima, a tutte le cose che sono. L'auto-posizione dell'Uno è un atto libero, la processione dell'essere, sia intellegibile che sensibile, dall'Uno stesso, ha invece il carattere della necessità. Ciascuna ipostasi dà origine alla successiva nel momento in cui si volge a contemplare quella superiore, per cui la creazione deriva da un atto di contemplazione. La derivazione della materia da Anima, l'ultima ipostasi del modo intellegibile, resta tuttavia un problema carico di aporie irrisolte: da una parte, coerentemente con il sistema, la materia è il prodotto dell'estrema attività di contemplazione, ormai illanguidita e indebolita, di Anima, è privazione estrema della potenza dell'Uno-Bene, quindi è male inteso come assenza del positivo; dall'altra Plotino, subendo l'influenza gnostica, presenta spesso la materia come principio ontologico del male e del negativo, tanto che l'incipit della Vita di Plotino scritta dal suo discepolo Porfirio, recita: Plotino, il filosofo del nostro tempo, sembrava vergognarsi di essere in un corpo. Il nono libro della seconda Enneade è interamente dedicato alla polemica anti-gnostica e numerosi sono gli argomenti portati contro le loro dottrine; i più significativi fra questi sono rivolti contro l'errata concezione dell'Anima cosmica e la negazione della positività e bellezza del cosmo: Dunque, l'Anima perennemente illuminata possiede saldamente la luce e quindi la trasmette agli esseri che vengono dopo di lei, i quali ad ogni istante sono tenuti insieme da questa luce, grazie alla quale usufruiscono di una vita proporzionata alle loro possibilità. È come se ci fosse un fuoco posto in un luogo centrale, al quale le cose si riscaldano per quanto possono. [...] Non si può neppure concedere loro [gli gnostici] che il nostro cosmo sia nato malvagio, per il solo fatto che vi si trovano molte cose che non vanno. Questo è l'atteggiamento tipico di chi pretende dal mondo un pregio troppo alto, giudicandolo allo stesso livello dell'intellegibile, e non invece come una sua immagine. Ebbene, esiste forse un'altra immagine più bella di quel mondo? C'è forse un'immagine del fuoco di lassù che superi in bellezza il nostro fuoco? Quale altra terra, se non la nostra, potrebbe star dietro alla terra di lassù? E, subito dopo la sfera in sé conclusa del mondo di lassù, quale altra potrebbe essere più precisa, più degna e più regolare nelle sue rivoluzioni della nostra? Esiste forse, dopo il Sole intellegibile, un altro Sole che sia migliore del nostro che si dà a vedere? (Enneade II 9, 3-4) IL DE LUCE DI ROBERTO GROSSATESTA La luce è il fondamento ontologico della cosmologia del De luce seu de inchoatione formarum di Roberto Grossatesta1: Dio crea liberamente, dal nulla, il punctum lucis che è sintesi di materia prima e forma corporeitatis, ovvero la luce stessa. Formam primam corporalem, quam quidam corporeitatem vocant, lucem esse arbitror. Lux enim per se in omnem partem se ipsam diffundit, ita ut a puncto lucis sphaera lucis quamvis magna subito generetur, nisi obsistat umbrosum. Corporeitas vero est, quam de necessitate consequitur extensio materiae secundum tres dimensiones, cum tamen utraque, corporeitas scilicet et materia, sit substantia in se ipsa simplex, omni carens dimensione. Formam vero in se ipsa simplicem et dimensione carentem in materiam similiter simplicem et dimensione carentem dimensionem in omnem partem inducere fuit impossibile, nisi seipsam multiplicando et in omnem partem subito se diffundendo et in sui diffusione materiam extendendo, cum non possit ipsa forma materiam derelinquere, quia non est separabilis, nec potest ipsa materia a forma evacuari. Atqui lucem esse proposui, cuius per se est haec operatio, scilicet se ipsam multiplicare et in omnem partem subito diffundere. Ritengo che la forma prima corporea, che alcuni chiamano corporeità, sia la luce. La luce infatti per sua natura si propaga in ogni direzione, così che da un punto luminoso si genera istantaneamente una sfera di luce grande senza limiti, a meno che non si frapponga un corpo opaco. La corporeità [cioè la luce] è ciò a cui necessariamente segue l'estendersi della materia secondo le tre dimensioni sebbene l'una e l'altra, cioè la corporeità e la materia, siano in se stesse sostanze semplici, prive di qualsiasi dimensione. Non fu possibile, in verità, che la forma, in se stessa semplice e priva di dimensione, conferisse la dimensionalità in ogni parte alla materia, a sua volta semplice e priva di dimensione, se non moltiplicando se stessa ed estendendosi istantaneamente per ogni dove, trascinando la materia nel suo estendersi, dal momento che la forma in quanto tale non si può separare dalla materia, perché non è scindibile da essa, né la materia può essere privata della forma. Ora, io ho indicato nella luce ciò che ha per natura questa capacità, cioè di moltiplicare se stessa e di propagarsi istantaneamente in ogni direzione. Il punctum lucis è inteso in senso matematico, come punto inesteso, in quanto costituito da forma, che è priva di dimensione, e materia prima, anch'essa priva di dimensione. La concezione matematizzante platonica si fonda con quella aristotelica, mediata dagli arabi, dell'impossibilità di separare forma e materia. Due elementi o sostanze prive di dimensioni non avrebbero potuto generare la materia tridimensionale, cioè la corporeità e lo spazio, ma la luce, cioè la forma corporeitatis, ha in sé, per 1 Maestro di Oxford e Vescovo di Licholn, e per questo detto Lincolniensis, Roberto Grossatesta (1175 - 1253) è uno dei rari filosofi del suo tempo che abbiano saputo il greco. Traduce l'Etica nicomachea, commenta gli Analitici secondi e la Fisica di Aristotele, traduce e commenta Dionigi l'Areopagita. Molte delle sue opere sono trattati, quindi testi fortemente innovativi rispetto alla tradizione dei Commentari. propria natura, la capacità di moltiplicare se stessa e di propagarsi in ogni direzione. Così facendo trascina con sé la materia, estendendola secondo le tre dimensioni e generando la corporeità. Questa concezione della capacità auto-riproduttiva della luce deriva dai filosofi arabi, in particolare da Al-Kindi (IX secolo) e dal Fons Vitæ di Avicebron (1021 – 1058 circa). Quindi è la luce ad indurre le dimensioni nella materia prima, che viene da essa trascinata in questa sua propagazione necessaria. Si crea in questo modo l'intera struttura dell'universo. Per spiegare come da un processo di moltiplicazione infinita possano derivare quantità finite, Grossatesta propone una serie di enunciati matematici su rapporti proporzionali esprimibili con numeri razionali o irrazionali. Dal punto originario la luce si espande sfericamente traendo con sé la materia fino a a raggiungere il limite massimo di rarefazione, dando origine alla prima sfera, quella del firmamento. Da lì la lux, riflessa sotto forma di lumen, si propaga verso il centro dell'universo, generando, in un processo di successive fasi di condensazione e rarefazione, le nove sfere celesti. All'interno della nona, la sfera della luna, si concentra una massa complessa, la materia composta dai quattro elementi, in cui il processo di rarefazione e condensazione è rimasto incompiuto, separando tra loro solo in parte l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco. In questo modo si sono generate le nove sfere celesti, perfette e inalterabili, e le quattro del mondo inferiore, nelle quali invece c'è mutamento, generazione e corruzione. La terra, in virtù del lumen dei corpi superiori che si è concentrato su di essa, “è tutti i corpi superiori”. L'impianto neoplatonico di questa cosmologia è evidente: dalle analogie plotiniane della processione dall'Uno come diffusione di luce che progressivamente si affievolisce e dal Liber de causis Grossatesta deriva l'idea della causalità come emanazione da un principio unico originario; dal Fons vitae di Avicebron e dal De radiis di al-Kindi il principio dell'emanazione universale, secondo cui ogni sostanza emana raggi e forze che agiscono sui corpi, riempiendo tutto l'universo; dal Timeo platonico la concezione della passività della materia, (che in Grossatesta è però creata e non preesiste a Dio, perché questo significherebbe limitarne l'onnipotenza) e della struttura matematica della realtà. La novità più significativa, di cui Grossatesta è consapevole, è tuttavia la sintesi di questa tradizione con la cosmologia aristotelica del De coelo. Ne risulta un cosmo matematicamente ordinato, in cui la frattura tra mondo celeste e sublunare è fortemente attenuata, se non eliminata del tutto, in nome dell'unicità del principio e della legge di causazione universale. L'interpretazione manualistica del pensiero di Grossatesta, secondo cui ci sarebbe una chiusura ed opposizione all'aristotelismo che si stava diffondendo da parte della tradizione neoplatonico-agostiniana, deve lasciare il posto ad una che tenga conto dell'apertura alle nuove traduzioni e della complessità della sintesi grossatestiana. IL DE LINEIS, ANGULIS ET FIGURIS Nel De lineis, angulis et figuris seu de fractionibus et reflexioninus radiorum Grossatesta dà una giustificazione dell'applicazione della matematica agli studi fisici. La luce si autogenera (multiplicatio specierum) e si propaga in linea retta, seguendo le leggi dell'ottica, a loro volta fondate sulla geometria; poiché tutto è costituito da luce, ogni ente e fenomeno della realtà può essere interpretato attraverso le leggi che regolano i fenomeni luminosi, ovvero le leggi di riflessione e rifrazione. Ogni cosa irraggia virtutes che, propagandosi in linea retta, agiscono sulle altre cose: non solo il “che”, ma anche il “perché” dei fenomeni fisici può quindi essere spiegato attraverso la geometria. Utilitas considerationis linearum, angulorum et figurarum est maxima, quoniam impossibile est sciri naturalem philosophiam sine illis.Valent autem in toto universo et partibus eius absolute [...] Omnes enim causae effectuum naturalium habent dari per lineas, angulos et figuras. Aliter enim impossibile est sciri "propter quid" in illis. Quod manifestum sic: Agens naturale multiplicat virtutem suam a se usque in patiens, sive agat in sensum, sive in materiam. Quae virtus aliquando vocatur species, aliquando similitudo, et idem est, quocunque modo vocetur; et idem immittet in sensum et idem in materiam, sive contrarium, ut calidum idem immittit in tactum et in frigidum. Non enim agit per deliberationem et electionem; et ideo uno modo agit, quicquid occurrat, sive sit sensus, sive sit aliud, sive animatum, sive inanimatum. Sed propter diversitatem patientis diversificantur effectus. L'utilità di considerare le linee, gli angoli e le figure è grandissima, perché senza di essi non si può conoscere la filosofia naturale. Essi sono validi in tutto l'universo e nelle sue singole parti. Infatti tutte le cause degli effetti naturali sono date da linee, angoli e figure. Diversamente sarebbe impossibile conoscere il loro “perché”. Ciò si spiega così: l'agente naturale estende la sua forza da se stesso fino al paziente, sia che agisca sul senso sia sulla materia. Questa forza a volte è chiamata specie [...]. Non agisce, infatti, per deliberazione o scelta, e quindi agisce in un solo modo, qualunque cosa gli si presenti, sia che si tratti del senso o di altro, di corpo animato o inanimato. Ma a motivo della diversità di ciò che subisce l'azione si hanno effetti diversi [...]. La forza dunque procederà dall'agente naturale o secondo la linea più breve, e in questo caso ha un effetto maggiore, perché chi la riceve si trova ad una minore distanza dall'agente, oppure secondo la linea più lunga, nel qual caso ha un effetto minore, perché chi la riceve è situato ad una distanza maggiore. Grossatesta individua le leggi di riflessione2 (se la direttrice del raggio-forza cade sul corpo formando angoli retti, la forza ritorna nella stessa direzione di provenienza, se invece la direttrice del raggio-forza cade sul corpo formando angoli disuguali, l'angolo di riflessione è uguale all'angolo di incidenza) e di rifrazione3 (se la direttrice del raggio-forza è perpendicolare al corpo trasparente, il raggio procede sempre nella stessa direzione, se non è perpendicolare, allora il raggio-forza devia in due possibili modi, 2 3 La riflessione è il fenomeno che si ha quando la luce, incontrando un ostacolo, torna indietro nel mezzo di provenienza secondo la legge i = r, dove i è l'angolo di incidenza e r è l'angolo di riflessione La rifrazione è la deviazione subita da un'onda che ha luogo quando questa passa da un mezzo ad uno di densità diversa, nel quale la sua velocità di propagazione cambia. La legge di rifrazione della luce o legge di Snell descrive quanto i raggi sono deviati quando passano da un mezzo ad un altro. Se il raggio proviene da una regione con indice di rifrazione n1 ed entra in un mezzo ad indice n2 gli angolo di incidenza θ1 e di rifrazione θ2 sono legati dall'espressione: sen θ1/sen θ2= v1/ v2 = n1/ n2 dove v1 e v2 sono le velocità nei mezzi. avvicinandosi od allontanandosi alla perpendicolare nel punto di rifrazione, a seconda che il mezzo sia più o meno denso). Nel De iride seu de iride et speculo Grossatesta fornisce anche una determinazione quantitativa della rifrazione, fondandola sul principio di economia e semplicità della natura, desunto dalla Fisica di Aristotele, natura operatur breviori modo, quo potest. Poiché, come sosteneva Al -Kindi, tutta la materia emana raggi “alla maniera delle stelle”, e ciascun raggio agisce sui corpi circostanti, l'effetto prodotto da una causa sarà più forte ed incisivo se l'azione si sviluppa secondo la via più breve, cioè quella retta. Diversamente, se l'azione si sviluppa lungo una linea obliqua, curva o spezzata, l'effetto sarà più debole. Le leggi geometriche della luce spiegano quindi molti altri fenomeni naturali: nel De natura locorum le differenze climatiche dei vari luoghi della terra sono ricondotte alle diverse modalità di illuminazione del cono di luce prodotto dal sole; nel De iride l'arcobaleno è spiegato non come fenomeno di riflessione, secondo la teoria dei Meteorologica di Aristotele, ma di rifrazione della luce; nel De natura sonorum il suono è “luce incorporata in aria sottilissima”: Substantia autem soni est lux incorporata in subtilissimo aere, et cum percutitur sonativum violenter necesse est partes eius egredi a situ suo naturali quem habent in totot sonativo. [...] Omne namque corpus naturale habet in se naturam celestem luminosam et igneum luminosum, et eius prima incorporatione est in aere subtilissimo. (Commentarius in libros analyticorum posteriorum aristotelis, II, 4) Ma la sostanza del suono è una luce incorporata in un'aria sottilissima, e quando un oggetto sonoro è percosso violentemente è necessario che delle parti di essa si spostino dalla loro posizione naturale che hanno nell'oggetto sonoro stesso. [...] Infatti ogni corpo naturale ha in sé una natura celeste luminosa e un fuoco luminoso, la cui prima incorporazione è in un'aria sottilissima. Queste leggi geometriche di causalità necessaria ed universale vengono applicate anche in ambito teologico per illustrare la relazione tra le persone della Trinità o per spiegare i rapporti tra papa e vescovi, vescovi e clero. Ciò significa che la perspectiva, la cui validità e nobiltà si fondano sulla Metafisica della luce, diviene la principale scienza per lo studio dell'intera realtà. Ruggero Bacone4 spiega in questo modo il fenomeno dell'azione della grazia divina: nella quarta parte dellOpus Majus, dedicato alla difesa ed esaltazione dei poteri delle matematiche in physicis e in divinis, egli ritiene che l'infusione della grazia si manifesti attraverso la propagazione della luce, per cui l'ottica geometrica può chiarire questo processo. Negli uomini perfettamente buoni, la luce-grazia arriva perpendicolarmente, per cui l'effetto è massimo; negli uomini imperfetti benché buoni, la luce- grazia segue il fenomeno della rifrazione, per cui il raggio subisce una deviazione, quindi un depotenziamento; 4 Ruggero Bacone (1210 – 1292), frate francescano e professore ad Oxford, considerato uno dei più grandi filosofi del suo tempo, precursore dell'empirismo e di un rinnovamento del metodo scientifico, mantenne anche forti legami con la tradizione alchemica ed ermetica. negli uomini peccatori la luce-grazia viene riflessa: il peccato è tenebra, assenza di luce, male inteso come mancanza di luce-bene. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE F. Alessio, Mito e scienza in Ruggero Bacone, Ceschina, Milano 1957. J. McEvoy, Gli inizi di Oxford. Grossatesta e i primi teologi, Milano 1996. Crombie, Robert Grossteste and the Origins of Experimental Science, 1100-1700, Clarendon Press, Oxford 1953. Federici-Vescovini, Studi di perspectiva medioevale, Giappichelli, Torino 1987. P. Rossi, Metafisica della luce. Opuscoli filosofici e scientifici, Rusconi, Milano MATERIA DI LUCE (prof. Roberto Grison) A partire dalla Chiesa di Saint-Denis, nel cuore della Francia (regione parigina), attorno alla metà del XII secolo l'architettura comincia a trasformarsi, acquisendo progressivamente un maggior slancio verso l'alto e una maggiore leggerezza delle strutture portanti. Alle moli massicce del Romanico si sostituiscono altezze ardite, forme slanciate ed elaborate, muri ridotti all'essenziale per lasciar posto a grandi finestre che inondano di luce la chiesa. È una architettura costituita praticamente solo dallo scheletro portante, che esprime un senso di energia dinamica verso il cielo a stento trattenuta. E' innegabile...che la caratteristica più evidente delle nuove chiese gotiche sia quell'invasione di luce che penetra dalle grandi vetrate della cattedrale di Chartres, dall'intera parete absidale, divenuta finestra, della Sainte Chapelle. Dai grandi portali, triplici e svasati, che prendono il posto dell'unica entrata romanica ...(Agnoli, p. 157) I1 prevalere delle linee verticali evoca un senso di infinito; la luce diffusa grazie alle ampie finestre è manifestazione del divino; i riflessi colorati delle vetrate esaltano la geometria interna ed immergono il fedele in un'atmosfera profondamente spirituale. La LUCE acquista due significati (v. Grossatesta): I. segno della bellezza divina; 2. espressione, in senso anticataro, della positività della realtà: la materia è fatta di luce e la cattedrale, grazie all'ornamentazione fantasiosa, presenta la varietà delle forme naturali come in una specie di microcosmo. La cattedrale lotta contro i catari, negatori della creazione, dell'incarnazione e della redenzione; ciò che soprattutto proclamano i suoi ornamenti è l'onnipotenza di un Dio trino e uno, un Dio creatore, un Dio fatto uomo, un Dio salvatore (Duby) Modello della nuova architettura è la chiesa di Saint-Denis. Di antichissima fondazione, santuario del patrono di Francia San Dionigi, vi era stato incoronato Carlo Magno e vi erano sepolti i re merovingi, carolingi e capetingi. Fu ricostruita a partire dal 1137 in stile gotico dall'abate Suger (1081-1151). La novità dell'edificio è il grandioso coro, inondato di luce, con nove cappelle radiali a forma trapezoidale direttamente collegate all'ampio deambulatorio. Al centro dell'edificio, non più nella cripta oscura e ombrosa, ma illuminate e visibili ai visitatori, sono raccolte le reliquie di Dionigi, in una teca ricoperta di gemme, di pietre preziose e di cristalli che riflettono i bagliori della luce penetrata dalle vetrate: Perciò, quando per l'amore che nutro per la bellezza della casa di Dio, la caleidoscopica leggiadria delle gemme mi distrae dalle preoccupazioni terrene e, trasferendo anche la diversità delle sante virtù dalle cose materiali a quelle immateriali, l'onesta meditazione mi persuade a concedermi una pausa… mi sembra di vedere me stesso in una regione sconosciuta del mondo ....(Suger, citato da Agnoli pp. 158-9) Precoce è lo sviluppo del gotico anche in Inghilterra, che vede, come già in Francia e spesso ad opera di maestri francesi, la trasformazione di edifici precedenti secondo il nuovo stile. I1 primo in ordine di tempo è il Coro della cattedrale di Canterbury. La cattedrale di Lincoln appartiene ad un periodo successivo (XIII secolo) ed è caratterizzata dalla centralità acquisita dalla vetrate. METAFISICA DELLA LUCE La ricerca di Grossatesta nasce con l'intento di offrire un'alternativa alle pericolose prospettive che si profilavano nella Cristianità a seguito della riscoperta dei testi aristotelici e della diffusione dell'eresia catara. L'opera principale è il trattato De Luce, nel quale vengono descritti i primi tre giorni della creazione. Innanzitutto viene stabilita l'identità tra la luce, prima forma corporale e la corporeità; secondariamente l'inseparabilità di materia e forma, in se stesse semplici e prive di dimensioni. Cosi dall'originario e adimensionale punto luminoso, per la disgregazione primordiale della luce, ha origine la prima sfera e successivamente, per riflessione verso il centro, le altre sfere: La luce si riflette verso il centro e, per l'alternarsi del movimento verso il centro e di nuovo verso la circonferenza, la luce nel suo transitus dà origine alle altre sfere, progressivamente meno rarefatte, meno spirituali, fino all'ultima delle nove sfere celesti, quella della luna. All'interno di questa si concentrò una massa compressa, che era la materia composta dai quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra): la luce continuò il processo di rarefazione e condensazione, che rimase però incompiuto, separando solo in parte il fuoco l'aria, l'acqua e la terra. (P. Rossi) Ciò che appare maggiormente originale in tale cosmogonia è l'idea del punto di luce, dal quale si genera istantaneamente una sfera di luce grandissima. La costituzione del mondo fisico è riconducibile quindi al propagarsi lineare della luce e conseguentemente la matematica diventa lo strumento principale di interpretazione della realtà fisica. Dietro questa tesi "scientifica", vi è però la decisione di contrastare tesi metafisiche ritenute sbagliate e pericolose. La prima di queste è il rifiuto del creazionismo che promana dall'eternalismo aristotelico (irruzione dei testi aristotelici nella cultura del tempo). "La visione Creazionista del tempo lineare, che ha un inizio ed una fine, sulla cui linea, appunto, si svolge la storia della salvezza, dall'irripetibile Adamo all'Incarnazione e al Giudizio finale, veniva cioè a cozzare pericolosamente con l'antica visione ciclica, dell'eterno ritorno delle cose." (Agnoli, p.30) "I1 punto spaziale di luce che nell'istante atemporale porta alla formazione del cosmo è l'alternativa scientifico-filosofica di Grossatesta all'eternità del tempo e dello spazio sostenuta da Aristotele." (Agnoli p.3 8) Ciò inoltre esclude la necessità di un motore dell'universo, dato che la luce si muove per sua natura. Un secondo tema importante è l'impossibilità di separare la materia dalla forma. L'esigenza è quella di evitare di fare della materia, sulla scia del Timeo soprattutto, una realtà esterna su cui Dio non ha potere: Il fatto che Dio abbia creato la materia dal nulla, e non abbia fatto il mondo da una materia eterna come ritennero alcuni che filosofano vanamente, si può sapere da questo, che il creatore non sarebbe onnipotente se abbisognasse di una materia preesistente, come invece abbisogna l'artigiano per formare l'opera, ma sarebbe veramente indigente e imperfetto. Come infatti la materia, non potendosi dare la forma da sé ma necessitando di chi gliela dia, è indigente, così anche colui che dà la forma è mancante, se non può offrire a sé la materia, ma formare qualcosa solamente a partire dalla materia che gli si offre. (Grossatesta) Il rifiuto del dualismo materia/forma è pensato per contrastare tre errori che circolavano al tempo: La visione timaica di alcuni autori (Bernardo Silvestre per es.) che, partendo da Platone, fanno della materia un principio che limita l'azione creatrice di Dio (v. sopra) Gli autori sensibili alle suggestioni della filosofia araba che, partendo da una visione emanazionistica (che distingue vari gradi di derivazione della realtà da Dio), ipotizzano una creazione mediata, nella quale cioè un ruolo creativo è affidato ad entità intermedie (corpi celesti, angeli, intelligenze). Significativa è la posizione di Dante, secondo il quale Dio non creò i quattro elementi ma "la materia ch'ei hanno" e 1a''virtù informante" dei cieli. Ma la sfida più minacciosa è costituita dal dualismo cataro, secondo il quale la materia eterna, principio increato e caotico, costituisce il Male assoluto, principio di negatività in tutto ciò che è corpo. Sostenere quindi l'inseparabilità di materia e forma permette di confutare il dualismo che sta alla base dello gnosticismo. L'atto creativo di un unico Dio onnipotente è buono e da tale atto derivano bontà ed unità del creato. Alla base del dualismo cataro e gnostico, invece, vi sono due principi[...] ne deriva una sorta di inconciliabilità originaria e assoluta tra forma e materia. Eterna, caotica malvagia, quest'ultima è il regno del Dio della Tenebra e dei suoi angeli contrapposti a1 Dio della Luce, pura forma e puro spirito (che per la sua bontà non può aver creato la materia). L'uomo nasce dal decadere dell'anima, scintilla divina e sua forma, nel carcere della materia, a causa del dio cattivo: il saggio, il puro, non aspirerà allora alla risurrezione del corpo, assurda concezione cristiana, ma alla definitiva separazione dall'onere della materia, alla fine di un processo purificativo di reincarnazioni (Agnoli, p.52) Da queste premesse deriva una conclusione importante: è possibile conoscere Dio attraverso la sua creazione che, in modo analogico, partecipa del suo essere luce. Il manifestare e il manifestarsi sono propri essenzialmente di Dio ma anche della luce fisica. Perciò Dio è definibile come luce – Dio è luce – e la luce corporea, che partecipa di questa luce, ne è evidente vestigio. Attraverso i sensi – quello della vista in particolare – è possibile conoscere Dio riflesso nelle cose, anche se con l'occhio spirituale bisogna procedere nella direzione del raggiungimento – dato per grazia – di un vertice supremo superluminoso, in cui si "manifesta la luce che è al di sopra di ogni altra luce". (Agnoli, pp 116117) Come dirà l'ideatore di Saint-Denis, Suger Chiunque tu sia che vuoi esaltare l'onore di queste porte, non ammirare l'oro né la spesa, ma la fatica dell'opera, opera nobile che splende, ma che splendendo nobilmente illumini le menti, affinché attraverso lumi veri giungano alla vera luce, dove è Cristo, porta vera. La realtà fisica, esemplarmente rappresentata nella materia della cattedrale, è fatta di lume vero, è cioè autenticamente luce e la visione di essa permette di salire alla visione della vera luce, Cristo, colui di cui si dice, nel prologo giovanneo Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.