Capitolo LIX L`interpretazione 1.L`operazione ermeneutica. Oggetto

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Capitolo LIX
L’interpretazione
1.L’operazione ermeneutica.
Oggetto dell’interpretazione è la comune intenzione delle parti. Al fine di determinare la comune intenzione, si deve
valutare il comportamento complessivo tenuto dalle parti anche dopo la conclusione del contratto (1362 2° comma).
L’intenzione delle parti è quella riferita all’oggetto sul quale esse si erano proposte di contrattare, salvo sia dimostrato
che i contraenti intendessero riferirsi anche a rapporti non specificamente menzionati.
Innanzi tutto è necessario accertare i fatti applicando le regole procedurali e sostanziali in materia di prove.
Successivamente tali fatti vanno interpretati, nel senso di dare loro il giusto significato sia sul piano del fatto che del
diritto. Sotto questo secondo aspetto l’interprete deve assumere il dato storico, deve cioè qualificare l’operazione alla
luce del nomen iuris. Va precisato che è del tutto irrilevante ciò che le parti hanno al riguardo dichiarato, in quanto
spetta al giudice di inquadrare il fatto sul piano del diritto. Così le parti potranno anche aver concluso un contratto
dichiarando che esso è una compravendita ma se il giudice accerta che la comune intenzione delle parti era quella di
operare un reciproco trasferimento della proprietà di cose, qualificherà il contratto come contratto di permuta.
Non sembra trovare posto nel nostro ordinamento il principio in claris non fit interpretatio. La mera interpretazione
letterale, non può condurre alla certezza perché non esiste una sola espressione del linguaggio anche comune che sia
suscettibile di interpretazione nel contesto del comportamento tenuto dalle parti (interpretazione globale) e con
riguardo all’intero atto, a mente del quale le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre
(interpretazione sistematica).
Le norme di interpretazione sono riconosciute come norme di legge ad ogni effetto e non come regole logiche.
Consegue da ciò che l’operazione ermeneutica è ben condotta quando dette regole sono correttamente applicata,
qualunque sia poi il risultato a cui il giudice perviene, sempre che, ovviamente, la motivazione sia immune da vizi
logici, i quali sarebbero censurabili in sede di legittimità, ad opera della Corte Suprema.
2. I criteri di interpretazione.
L'interpretazione è sempre e comunque oggettiva sia perché ha come punto di riferimento l'accordo, sia perché è
condotta con i criteri fissati in norme di legge.
E' però vero che tali criteri sono diversi perché alcuni mirano ad accertare in via diretta ed immediata il senso e la
portata dell'accordo e quindi l'intenzione delle parti; altri criteri invece, pur sempre diretti a stabilire il significato e la
portato del contratto, prescindono dall'indagine sulla comune intenzione e mirano a ricostruire il significato
dell'operazione economica. Si parla al riguardo di criteri soggetti ed oggettivi di interpretazione (interpretazione
oggettiva e soggettiva).
I primi sono alla base dell'interpretazione letterale, globale e sistematica. Sono inoltre criteri soggettivi quelli fissati
dall'art. 1364 (contratto che non comprende gli oggetto sui qual le parti si sono proposte di contrattare) e dall'art.
1365 (quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non
espressi).
I criteri di interpretazione oggettiva sono previsti dagli artt. 1366-1371 e, secondo l'opinione comune, sono sussidiai
rispetto a quelli soggettivi.
Secondo parte della dottrina, la comune intenzione andrebbe invece individuata in base ad una valutazione di buona
fede. Tale ultima norma è però discussa anche sotto altro punto di vista. Si ritiene che il criterio della buona fede sia,
nel caso di specie, un criterio soggettivo di interpretazione, volto a favorire la piena rilevanza del principio di
affidamento. Il contratto dunque dovrebbe essere interpretato secondo quanto la controparte aveva diritto di
intendere e di volere e il dichiarante ha lasciato intendere.
Nel merito, poi, è ben difficile stabilire in che cosa consista la buona fede interpretativa, si è in presenza di buona
fede oggettiva.
L'interprete, secondo taluni, dovrebbe adeguare l'interpretazione al significato sul quale ciascuna parte poteva
contare, cosicché sono da escludere interpretazioni contrarie allo spirito dell'intesa.
In chiave oggettiva, si potrebbe tener conto del criterio in materia di presupposizione, cioè di ricerca della volontà
ipotetica delle parti, una volontà non esplicita ma che si può ritenere si sarebbe formata in un certo modo se talune
circostanze dell'operazione contrattuale fossero state tenute presenti e disciplinate dalle parti.
Secondo altra dottrina, poi, il criterio in buona fede più che attenere alla interpretazione, atterrebbe all'integrazione
del contratto nel senso di fissare obblighi interiori (interpretazione integrativa).
Non può tuttavia negarsi che, in generale, i criteri oggettivi di interpretazione, in qualche modo danno vita ad una
operazione per taluni aspetti diversa da quella puramente ermeneutica e vicina, appunto, all'integrazione o
comunque al controllo del contenuto contrattuale.
Regola sicuramente oggettiva è quella che recepisce il principio di cambio e sempre che il contratto non risulti
neppure in parte frustrato e che la sua efficacia potenziale non subisca alcuna limitazione, il contratto o le singole
clausole si debbono infatti interpretare nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui
non ne avrebbero alcuno (art. 1367).
Secondo l'art. 1368, la clausole che restano ambigue pur dopo l'adozione dei prioritari criteri ermeneutici,
s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso (sede dell'impresa
se una delle parti è un imprenditore). In tal modo si dà rilevanza a gli usi interpretativi. Questi, benché la norma
faccia riferimento alla pratica generale, possono rilevare anche quando si tratta di un uso speciale. L'uso, come di
regola, va provato nella sua concreta portata da chi intende avvalersene.
Criterio oggettivo di interpretazione poco richiamato è quello fissato dall'art. 1369. Le espressioni che possono avere
più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all'oggetto del contratto.
L'art. 1370 prevede poi l'interpretazione contro l'autore della clausola. Di conseguenza le clausole inserite nelle
condizioni generali di contratto o in moduli e formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio,
a favore dell'altro.
Infine l'art. 1371 dètta una regola di chiusura in base alla quale, se il contratto rimane oscuro, esso deve essere
inteso nel senso meno gravoso per l'obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento
degli interessi delle parti al momento della conclusione del contratto, se è a titolo oneroso. Quanto ai contratti a
titolo gratuito si discute se detta espressione ricomprenda solo le fattispecie caratterizzate da animus donandi o
possa anche essere riferita ai contratti con prestazioni a carico di una sola parte.
Per quanto riguarda l'equo contemperamento degli interessi si è in presenza di un rinvio all'equità interpretativa.
Le norme sull'interpretazione si applicano in via diretta ai negozi unilaterali, senza peraltro aver riguardo alla
comune intenzione delle parti, né al comportamento tenuto dai destinatari, e, in via analogica, agli atti non negoziali
come quello di costituzione in mora, avuto riguardo alla volontà dell'atto e non dell'effetto.
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