Pace è sentirsi bene anche se si sta male per qualche cosa, non è quindi un assoluto, un sentire onnivoro che assorbe in toto ma un sentire basico che dà modo di accettare quanto accade o è accaduto pur quando non se ne trova appieno il senso. La pace come sentire personale può non essere correlata alla pace come condizione esteriore e oggettiva; ci sono infatti persone che sono in guerra con se stesse e con altre mentre rimangono in pace di fronte a cose del mondo, quali eventi e accadimenti o fatti naturali, in cui pure sono coinvolti, come ad esempio la morte, la malattia, la rovina o la perdita di qualcosa o di qualcuno. La pace è però anche una condizione oggettiva antitetica a quella della guerra: guerra e pace sono due poli della vita che permeano tutte le vicende storiche. La guerra fin dalle epoche più remote è riconosciuta tale in quanto si distingue dalla pace, infatti l’una evoca l’altra pur quando sono disgiunte. Per riconoscere la pace bisogna averla esperita e avere anche esperito, almeno per qualche aspetto, la sua mancanza, ma per conoscere la guerra bisogna sentirla come l’antitesi della pace. La pace, a livello esperienziale umano, è quindi un prima rispetto alla guerra, il che evoca un immagine di vita originaria buona quale forse si può avere solo nel ventre materno, o in un Eden del sogno. Quell’Eden di cui è necessario avere sentore per trovare sollievo alla guerra che ci pungola dall’interno e dall’esterno, e che solo nella relazione d’amicizia con le altre persone possiamo imparare a mitigare, cominciando a stemperarne la violenza implicita ed esplicita nel dialogo in comune. Margarete Durst, docente di Filosofia dell’educazione.