“LE GUERRE D `ITALIA PROF . DANIELE CASANOVA

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“LE GUERRE D'ITALIA”
PROF. DANIELE CASANOVA
Università Telematica Pegaso
Le guerre d'Italia
Indice
1
LA DISCESA DI CARLO VIII ---------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
FRANCIA E SPAGNA IN ITALIA ----------------------------------------------------------------------------------------- 6
3
LA CRISI DI VENEZIA ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 7
4
LA RIPRESA DELLA GUERRA TRA FRANCIA E SPAGNA ------------------------------------------------------ 9
5
LE CORTI ITALIANE DEL RINASCIMENTO ----------------------------------------------------------------------- 11
6
LA FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO -------------------------------------------------------------------- 13
CRONOLOGIA ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Le guerre d'Italia
1 La discesa di Carlo VIII
La formazione di tre importanti entità statali: Spagna, Francia, Inghilterra e Impero
ottomano, mutò dunque, l’intero equilibrio europeo. Era nelle cose che se i turchi rivolgevano la
propria spinta espansionistica verso l’Europa balcanica e il Vicino oriente, nel Mediterraneo
occidentale la monarchia francese e quella spagnola guardassero entrambe alla penisola italiana, un
territorio caratterizzato da diverse affinità con la realtà tedesca. Alla fine del Quattrocento il centro
della vita culturale europea e del commercio mediterraneo, rimanevano ancora ben saldi in Italia.
Ma se da un lato la penisola visse il suo apogeo, la sua ‘estate di San Martino’ e produsse
l’Umanesimo e il Rinascimento, dall’altro, sia per la complessità del suo tessuto politicoistituzionale connotato da una forte urbanizzazione del territorio, sia per l’assenza di una forza
egemonica capace di imporre un processo unitario, venne meno la possibilità di creare un’entità
statale moderna dai caratteri e delle dimensioni della Francia o della Spagna.
La contemporanea scomparsa nel 1492 di Lorenzo dei Medici e di Innocenzo VIII fece
degenerare drammaticamente la vicenda degli Stati italiana. A capo della Chiesa fu eletto
Alessandro VI (1492-1503), lo spagnolo Rodrigo Borgia, un papa molto ambizioso che cercò di
creare uno Stato territoriale per il figlio Cesare. Alle mire egemoniche del papa si aggiungevano
quelle di Venezia sull’Italia settentrionale, di Ludovico il Moro, signore di Milano che aveva
spodestato il nipote Gian Galeazzo Sforza, e le pretese del re di Francia, Carlo VIII (1483-1498) che
rivendicava il diritto dell’eredità angioina sul trono di Napoli. Fu proprio il sovrano francese a dare
inizio nella primavera del 1494 a un ciclo di lunghe e terribili guerre che iniziate in Italia si estesero
poi a tutto il continente. Sollecitato da Ludovico Sforza detto il Moro (1480-1508), rimasto
politicamente isolato dall’accordo raggiunto nel 1493 tra gli Aragonesi di Napoli e dal papa
Alessandro VI, il delfino francese nella primavera del 1494, dopo essersi assicurato la neutralità di
Inghilterra, Spagna e degli Asburgo, oltrepassò le Alpi orientali alla testa di un esercito di circa
65.000 uomini. Accolto dalle popolazioni italiane come un liberatore dalle tirannie signorili, nel
febbraio del 1495 entrava in Napoli, mentre il nuovo re aragonese, Ferdinando II detto Ferrandino
(1495-1496), riparava in Sicilia. A rendere la sua impresa quasi una passeggiata trionfale non fu la
sua forza militare, ma la debolezza degli Stati italiani. La discesa del giovane sovrano francese in
Italia si configurava come un piano dalle vaste ambizioni, in virtù della quale accanto agli interessi
dinastici erano rappresentate le aspirazioni dei nuovi ceti imprenditoriali francesi che intendevano
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affermarsi nei mercati del Levante. La sua, però, fu una conquista di breve durata. Ludovico il
Moro, duca di Milano, fu il primo a percepire la minaccia che incombeva in vario modo su tutti gli
Stati peninsulari e fu il più sollecito, dopo il crollo aragonese, a organizzare la formazione di una
coalizione antifrancese, un’alleanza alla quale erano interessati non solo gli Stati italiani, Milano,
Venezia e lo stesso Stato della Chiesa, sempre più preoccupato di costruire un robusto potere
monarchico e abbattere i piccoli domini feudali all‘interno del suo Stato, ma che coinvolse anche la
Spagna e l’imperatore Massimiliano di Asburgo. Il 31 marzo 1495 a Venezia veniva firmata
l’intesa. Ormai il fragile equilibrio italiano era spezzato e la situazione sfuggiva di mano ai suoi
principali protagonisti. La contesa si inseriva, peraltro, in un quadro più vasto di problemi che
riguardavano anche il controllo dei traffici commerciali nel Mediterraneo. Il ritorno in patria dei
francesi, malvisti dalla popolazione napoletana per la loro arroganza e insolenza, fu affrettato dallo
sbarco in Calabria degli spagnoli e dalla comparsa della flotta veneziana lungo le coste pugliesi.
Lasciata una parte dell’esercito a presidiare la capitale, Carlo partì da Napoli il 20 maggio 1495 e
sulla via del ritorno, nel mese di luglio, fu affrontato dalla coalizione antifrancese a Fornovo, nei
pressi di Parma. La battaglia non fu risolutiva e il teatro di guerra si spostò nel Novarese. La pace
separata di Ludovico il Moro con i francesi consentì una tregua del conflitto impegnando Milano ad
appoggiare un’eventuale nuova discesa dell’esercito francese in Italia. Solo nel gennaio dell’anno
successivo il Regno di Napoli ritornò temporaneamente nelle mani aragonesi.
La spedizione di Carlo VIII mise allo scoperto la fragilità del sistema degli Stati italiani.
Indicativa fu la vicenda di Firenze e di Cesare Borgia. Dopo la scomparsa di Lorenzo il Magnifico,
la guida della città fu affidata al figlio Piero, che rispetto al padre si rivelò inetto e privo delle
necessarie attitudini al governo. La signoria medicea fu così ben presto rovesciata da un governo
repubblicano ispirato alle idee del padre ferrarese domenicano Girolamo Savonarola che predicava
la necessità di un profondo rinnovamento morale, politico e religioso. Secondo Savonarola i
principali ostacoli al rinnovamento in città erano costituiti dal lusso e dalla corruzione della corte
medicea e dallo sfrenato nepotismo del papa. L’arrivo dei francesi incoraggiò la restaurazione di
una Repubblica (1494), ma l’avvio di una politica decisamente popolare favorì un’alleanza tra i
fautori dei Medici e i ricchi patrizi. L’odio del papa Alessandro VI verso Savonarola, che con le sue
prediche attaccava la corruzione del clero e i costumi immorali del pontefice, fece sì che nel 1497
Savonarola fu scomunicato, e così il governo della Repubblica, temendo gli effetti economici del
provvedimento (gli scomunicati non potevano rivendicare i loro crediti), dietro sollecitazione del
papa lo processò come eretico e lo condannò a morte. Nel frattempo Cesare Borgia, detto il
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Valentino dal nome del ducato di Valentinois di cui era titolare, con l’appoggio del padre aveva
creato nel 1499 un domino personale in Romagna e nelle Marche a spese di Venezia, ma la morte di
Alessandro VI (1503) fece crollare questo tentativo di signoria personale che per la sua strategia
politica “per virtù e fortuna” aveva colpito l’attenzione del Machiavelli nel Principe.
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2 Francia e Spagna in Italia
La crisi politica italiana alla fine del Quattrocento aveva assunto un corso ormai irreversibile
e le mire espansionistiche delle potenze straniere sull’Italia non cessarono. Tra i vincitori di tutta la
partita giocatasi alla fine del secolo emergeva il re spagnolo, Ferdinando il Cattolico. Fu sua la
proposta, dopo la prematura morte di Ferrandino nel 1496, di una tregua e di un condominio franco
ispano nella penisola, destinato a concretizzarsi nel 1504 con l’armistizio di Lione, quando sul trono
di Francia sedeva Luigi XII d’Orléans (1498-1515). L’accordo tra i due principali contendenti
stabilì la divisione della penisola: il Regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna erano devoluti alla
Spagna, il ducato di Milano alla Francia.
La temporanea tregua raggiunta in Italia permise alle forze spagnole di fronteggiare con
maggior vigore il pericolo che proveniva dall’Africa settentrionale. La continua attività corsara
proveniente dalle coste nordafricane, dove si erano rifugiati molti musulmani esuli dalla penisola
iberica, obbligò la Spagna alla progressiva conquista di una serie di basi sulle coste del Maghreb. A
questo proposito già nel 1497 gli spagnoli avevano occupato Melilla (ancora oggi insieme a Ceuta
possedimento spagnolo), ma una decisa azione di conquista del suolo africano fu intensificata solo
dopo la rivolta dei moriscos del 1499, che risvegliò nei Castigliani il loro fervente spirito crociato, e
dopo la scomparsa di Isabella (1504), che morente incaricò il suo confessore e arcivescovo di
Toledo, Francisco Jménez de Cisneros, di dire al suo sposo di conquistare senza indugio l‘Africa.
Una prima spedizione militare al comando del Cisneros occupò il porto di Mers el Kebir (1505), poi
fu la volta della città di Orano (1509), e infine della colta e ricca Bugia (attuale Bejaïa), di Algeri e
di Tripoli (1510) importante capolinea mediterraneo dei traffici transahariani. Unico insuccesso
spagnolo fu quello subito davanti l’isola di Gerba nel 1511. Ferdinando ritenne il teatro africano
sempre meno importante di quello italiano sia perché considerava il Mezzogiorno d’Italia un
possedimento aragonese e sia per l’importanza economica che rivestiva la sua produzione
cerealicola. Le sue spedizioni militari in Africa, difatti, furono essenzialmente condotte per
difendere la Spagna da possibili attacchi moreschi e per preservarla da intese tra i musulmani
spagnoli e quelli nord africani attraverso il presidio con proprie guarnigioni di un certo numero di
centri costieri, lasciando in mano ai musulmani le regioni interne. Questo mancato controllo
territoriale non solo permise alle popolazioni maghrebine di riorganizzarsi e rintuzzare gli attacchi
spagnoli, ma ben presto favorì la penetrazione ottomana su tutto il litorale africano.
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Le guerre d'Italia
3 La crisi di Venezia
Approfittando degli impegni veneziani nelle guerre d’Italia, Bayazed II nell’agosto del 1499
attaccava i possedimenti veneziani nel golfo di Corinto e sulle coste del Peloponneso, spingendo di
nuovo le sue armate sino in Friuli e in Carinzia. Alla fine del conflitto terminato nel 1503, che
aveva visto la partecipazione in soccorso di Venezia di una flotta francese e spagnola, e nonostante i
vantaggi commerciali rinnovati dalla Porta ai veneziani nei traffici levantini, Venezia dovette
abbandonare Corone, Modone, Lepanto e Durazzo e, così, quasi tutta la penisola greca era in mano
ottomana. La sconfitta subita dalla Serenissima pose fine al mito dell’invincibilità delle sue galee e
segnò l’arresto dell’espansione veneziana nel Mediterraneo orientale. Da quel momento fu evidente
al Doge, al Senato e al Consiglio dei Dieci, i massimi organismi di indirizzo politico della
Repubblica, che per contenere la pressione ottomana sui domini veneziani in Levante, bisognava
mantenere con la Porta buoni rapporti e assumere un atteggiamento conciliante, sia per
salvaguardare i propri interessi commerciali e sia per conservare quello che ancora restava del suo
vasto impero coloniale, ma allo stesso tempo era, altresì, chiaro che occorreva investire maggiori
risorse ed energie in Italia, dove si stava giocando una parte non meno importante dei destini della
Repubblica. La conquista della Terraferma era stata concepita per rafforzare gli interessi marittimi,
per tutelare le vie dei traffici e per impedire la formazione di uno Stato potente in prossimità della
laguna. Ma le guerre d’Italia e il nuovo corso della politica veneziana nel Levante tesa al
mantenimento delle posizioni raggiunte, comportarono un indebolimento della Repubblica e
avviarono una lenta trasformazione delle sue strutture economiche e politiche che ebbe profonde
ripercussioni all’interno della società e dell’oligarchia lagunare. Sino a quel momento il patriziato
veneziano era composto per lo più da armatori e mercanti legati alle attività d’oltremare, cosa che la
rese immune dalle guerre interne che agitavano gli altri regni della penisola, ma verso la fine del
Quattrocento prendeva corpo un’aristocrazia fondiaria, maggiormente interessata ai domini sulla
Terraferma.
Dopo la fine della seconda guerra con i turchi, quindi, la politica veneziana per forza di cose
si orientò sempre di più verso le vicende italiane, tanto più che nei primi anni del lungo conflitto
solo Venezia tra gli Stati peninsulari aveva ricavato consistenti aumenti territoriali, giungendo
proprio in quel periodo alla sua massima estensione e risultando di fatto la potenza egemone. Dopo
la morte di Alessandro VI, Venezia approfittò dell’isolamento di Cesare Borgia per dilagare in
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Romagna. Ma le aspirazioni veneziane di espandersi verso la Lombardia, il centro strategico
dell’Italia settentrionale, e in direzione della Romagna, tradizionale mercato per la Serenissima di
approvvigionamento di grano, canapa e soldati, furono bloccate dalla formazione di una nuova lega
di Stati in funzione antiveneziana, promossa dal nuovo papa Giulio II (1503-1513). Definito dai
contemporanei il papa terribile per la sua personale partecipazione alle battaglie, Giuliano della
Rovere era desideroso di riconquistare i possedimenti romagnoli ed estendere l’egemonia papale
sulla penisola. Il piano, stipulato in segreto a Cambrai (1508) tra Luigi XII, Massimiliano
d’Asburgo e Ferdinando il Cattolico, prevedeva l’annientamento e la spartizione dei domini veneti
tra i partecipanti della lega. La disfatta per Venezia fu inevitabile e nel 1509 le sue truppe, composte
anche da un corpo di soldati bosniaci e turchi inviati in soccorso di Venezia dal sultano Bayazid II,
furono sconfitte ad Agnadello, in una delle più cruente e sanguinose battaglie combattute durante il
cosiddetto periodo delle Guerre d’Italia (1496-1559). In seguito alla sconfitta di Venezia, i francesi
occuparono i territori lombardi mentre il pontefice riprese quelli romagnoli. La solida
organizzazione della Repubblica e la sua abile azione diplomatica evitarono il suo isolamento
politico e lo smembramento dei suoi domini, sebbene la città lagunare recuperò una parte dei propri
territori e conservò le città venete, da quel momento dovette limitare le sue ambizioni sulla
terraferma italiana.
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Le guerre d'Italia
4 La ripresa della guerra tra Francia e Spagna
Nel frattempo, i contrasti sorti tra il pontefice e il monarca francese, che aveva accresciuto la
sua influenza in Italia, portarono alla frantumazione della lega di Cambrai e alla formazione nel
1511 di una nuova coalizione (Lega Santa) questa volta in funzione antifrancese, a cui aderirono
Venezia, la Spagna, l’Inghilterra e soprattutto la potenza militare della Svizzera. Dopo alterne
vicende i francesi nel giugno del 1512 furono costretti alla ritirata dalle fanterie svizzere e così le
forze della Lega Santa riuscirono ad allontanare temporaneamente i transalpini dall’Italia. Il Ducato
di Milano ritornava agli Sforza, ma sotto la protezione delle armi svizzere, a Firenze, rimasta fedele
all’alleanza francese, fu restaurata dagli spagnoli la signoria medicea. Alla preminenza transalpina
in Italia si sostituiva quella iberica. La situazione mutò nuovamente tre anni dopo, quando con
l’avvento sul trono di Francia di Francesco I di Valois (1515-1547), nipote di Luigi XII, sulla scena
politica europea comparve una delle figure più rilevanti e autorevoli della prima metà del
Cinquecento. L’acume politico e le qualità militari del giovane sovrano, salito al trono a vent’anni,
ebbero modo di farsi subito apprezzare. Succeduto allo zio nel gennaio del 1515, si adoperò a
pacificarsi con la Spagna e con il nuovo papa, Leone X (1513-1521), figlio di Lorenzo dei Medici,
dopodiché ritentò e con successo la riconquista del Ducato di Milano, il cui controllo risultava
essenziale per la Francia. A capo di un impressionante armata formata da circa 100.000 uomini, con
un’azione decisa e fulminea, nel settembre dello stesso anno sbaragliò a Marignano, con il decisivo
supporto veneziano, le truppe dell’ennesima lega antifrancese, questa volta formata dal Ducato di
Milano, dall’Imperatore e dagli Svizzeri, che, sebbene da quel momento cessarono di essere una
forza di primo piano, nella loro ritirata occuparono l’alta valle del Ticino (l’attuale Canton Ticino).
La pace di Noyon (1516) se da un lato sancì una momentanea egemonia francese in Italia, dall’altro
attestò il definitivo dominio delle potenze straniere in Italia: Milano restava alla Francia, Napoli alla
Spagna, Venezia recuperava parte dei territori perduti nel 1509; Leone X restituiva al Ducato di
Milano le città di Parma e Piacenza, ma otteneva in cambio che la sua famiglia a Firenze potesse
contare sull’appoggio francese. Allo stesso tempo fu ratificato tra il papa e il monarca transalpino
un concordato che concedeva al re ampia libertà nella scelta dei vescovi francesi e nel conferimento
dei benefici ecclesiastici, svincolandolo così dall‘obbedienza al pontefice.
Sembrava assicurata la pace, ma all’improvviso il paesaggio politico europeo fu di nuovo
sconvolto: la morte di Ferdinando d’Aragona (1516), dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo
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(1519) e del sultano Selim I (1520) crearono una situazione del tutto nuova. Le alleanze
matrimoniali e gli incastri dinastici europei fecero spuntare un giovanissimo protagonista, Carlo
d’Asburgo, che fece ben presto mutare l’intero scenario del continente.
In Italia il nuovo imperatore inflisse una serie di sconfitte al suo rivale francese culminate
nella battaglia di Pavia (1525), dove lo stesso Francesco I venne catturato e per la sua liberazione fu
costretto a firmare un’umiliante pace a Madrid (1526). Malgrado l’aiuto fornito dagli Stati italiani ai
francesi (lega di Cognac), le truppe imperiali, costituite in maggioranza da mercenari protestanti, i
cosiddetti ‘lanzichenecchi’, riportarono un nuovo successo e per punire l’intervento di Clemente
VII contro gli spagnoli, non esitarono a saccheggiare la città di Roma (1527). Prima la pace di
Cambrai (1529) e poi quella di Bologna (1530) sancivano il controllo diretto della monarchia
spagnola su gran parte dei territori italiani. Milano divenne il punto di collegamento tra la Spagna e
i domini asburgici e Genova, il cui destino era ormai legato a quello del ducato milanese, dovette
porre le sue flotte al servizio della Spagna e il governo della città fu affidato all’ammiraglio Andrea
Doria. Napoli, Sicilia e Sardegna divennero parte integrante della monarchia spagnola, domini che,
con le basi nordafricane, costituivano il suo Impero mediterraneo.
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5 Le corti italiane del Rinascimento
Lo splendore degli Stati italiani nella prima età moderna è strettamente legato alla
magnificenza delle sue tante corti, un’invenzione dei principati italiani e della ricca Borgogna, che
divennero uno strumento di legittimazione del potere e un modo di esprimere la sovranità da parte
dei principi e dei signori locali. A Firenze, Roma, Napoli, Milano, Urbino, Ferrara, la corte divenne
il centro della vita artistica e culturale e favorì la diffusione di nuovi modelli di consumo legati allo
sviluppo del commercio internazionale. Le classi legate alle raffinate corti rinascimentali italiane
esprimevano una domanda di novità e a loro volta i mercanti, per soddisfare questa nuova domanda,
offrivano nuovi beni provenienti dall’Oriente che ben presto incoraggiarono le manifatture europee
a produrre oggetti analoghi. Ad esempio dall’Oriente arrivarono i tappeti che favorirono la
produzione di arazzi, le porcellane cinesi stimolarono la produzione di vasellame, stoviglie e l’uso
delle posate. I progressi dell’industria del vetro a Venezia accompagnarono la crescente diffusione
di specchi, bicchieri e vetri per le finestre. Nelle signorie e nelle repubbliche l’accumulazione di
ricchezze, dovuta alle fiorenti attività mercantili, insieme alla riscoperta dell’antico determinarono
le condizioni favorevoli a una straordinaria fioritura artistica e letteraria. I valori culturali e artistici
elaborati dai pittori, poeti, scultori, musicisti e orafi al servizio dei principi italiani dominarono
lungamente il gusto e la moda europee. Alla corte di Milano, Firenze, Napoli, Urbino, Roma,
lavorarono artisti come Leonardo da Vinci autore del Cenacolo (1498) e della Gioconda (1503),
Michelangelo Buonarroti che scolpì la celebre Pietà (1501) e il David (1501-04) e tra il 1508 e il
1512 esegue la prima fase della decorazione ad affresco della Cappella Sistina a Roma. In
particolare a Roma, sotto Giulio II, che chiamò alla sua corte anche il pittore Raffaello Sanzio, si
aprì una stagione di grandi committenze artistiche. Il pontefice, nel quadro di un ampio progetto di
ristrutturazione della città di Roma, decise di abbattere la basilica tardo antica di S. Pietro e di
sostituirla con un nuovo edificio, la cui progettazione venne affidata prima all’architetto Donato
Bramante e poi a Raffaello. Presso le corti italiane vivono anche grandi letterati come Ludovico
Ariosto, il cui poema L’Orlando Furioso continua la tradizione epica della corte estense di Ferrara,
e come Jacopo Sannazzaro che a Napoli nel 1504 pubblica l’Arcadia, il prototipo del romanzo
pastorale. Infine tra il 1507 e il 1516 Baldassarre castigliane scrive il Cortegiano in cui è descritto il
perfetto gentiluomo di corte che non appartiene al mondo cavalleresco e feudale..
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Il fascino della penisola italiana agli occhi dei sovrani delle potenti monarchie nazionali era
quello che le derivava da Roma, capitale dell’Impero Romano e poi del mondo cristiano, a cui si
aggiungeva il fascino delle splendide corti rinascimentali, di uno stile di vita cortigiano e di una
raffinatezza artistica che non aveva eguali in Europa. Se all’inizio delle guerre d’Italia la penisola
godeva di una posizione centrale nella società europea in seguito divenne un’area periferica e il suo
sistema politico nel giro di pochi decenni entrò in totale disfacimento. Un vuoto di potere aveva
attirato nella parte d’Europa più bella e più ricca gli eserciti delle grandi monarchie francese e
spagnola. La crisi apertasi nel1494 con la passeggiata militare di Carlo VIII si concluse
definitivamente solo nel 1559 con il trattato di Cateau-Cambrésis, che sanciva il predominio
spagnolo sulla penisola e l’uscita della Francia dalla scena italiana.
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6 La formazione dello Stato moderno
Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, in Europa, lo Stato si identifica con il potere
assunto da un privato sulla cosa pubblica. Questo significato dello Stato come potere personale è
registrato dal primo grandissimo teorico dello Stato, Nicolò Machiavelli, segretario della
Repubblica fiorentina antimedicea dal 1498 al 1512. La situazione italiana, precaria e
continuamente minacciata dagli eserciti delle due grandi monarchie francese e spagnola, faceva
avvertire il problema dello Stato con urgenza. In particolare, la debolezza militare e l’incapacità
degli Stati italiani di far fronte alla sicurezza dei propri sudditi concentrarono la riflessione storica e
politica italiana su come si potesse fondare e mantenere uno Stato nazionale. Le discussioni
dell’epoca misero in evidenza che non si poteva dare un solido potere centrale senza adeguate
istituzioni e senza la forza economica e militare per mantenerlo. Le articolazioni del potere statale
venivano ad essere l’esercito, la diplomazia e la burocrazia.
Se in Italia varie cause avevano ostacolato la nascita di un grande Stato territoriale, questo
processo era invece andato avanti in altre regioni europee. La sua formazione fu lenta e graduale e
andò di pari passo con l’affermazione dei principi che oggi consideriamo come costitutivi dello
Stato: la territorialità, l’amministrazione della giustizia, l’universalità del comando politico, la tutela
della sicurezza dei cittadini, la cura della salute e dell’istruzione scolastica, e così via. Gli Stati
cinquecenteschi, ovviamente, erano ben lontano dal conformarsi a questo modello, anche in
considerazione del fatto che allora il numero delle formazioni politiche erano quasi cinquecento in
un territorio che ai giorni nostri ne comprende circa venti. C’erano piccoli Stati cittadini, retti da
consigli, e Stati territoriali di varie dimensioni, inoltre all’interno dello stesso Stato ogni regione e
spesso anche ogni città aveva propri ordinamenti, proprie leggi, pesi e misure, ecc., e i sudditi erano
sottoposti alla giurisdizione del sovrano in maniera estremamente differenziata a seconda della loro
condizione sociale. La struttura sociale dell’antico regime, termine storiografico con il quale si
indica il periodo che va dalla fine del Medioevo alla Rivoluzione francese, era sostanzialmente
immobile, non concepiva il cambiamento se non come un fatto negativo. Ognuno riceveva il suo
posto dalla nascita e trovava la sua collocazione in un sistema pensato come immobile. Le
assemblee (i Parlamenti, le Cortes, gli Stati provinciali, le diete) il cui compito principale era quello
di autorizzare le richieste finanziarie del sovrano, non rappresentavano gli individui ma corpi
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collettivi della società, che avevano caratteri autonomi, privilegi da tutelare, barriere divisorie nei
confronti degli altri corpi.
Il sistema politico durante tutta l’età moderna funzionava secondo principi e meccanismi
molto diversi da quelli di oggi e le trasformazioni che subì nel corso del tempo furono, per un verso,
il risultato di tensioni e di scontri e dall’altro di alleanze e collaborazioni tra il potere monarchico e
il resto dei poteri, dalla Chiesa ai signori feudali, dagli organi di autogoverno locale alle
corporazioni di arti e mestiere e alle confraternite, con i quali il sovrano dovette in continuazione
confrontarsi. La maggior parte delle persone viveva nelle campagne ed era organizzata intorno alla
struttura del comune rurale, questi ultimi in molte regioni dell’Europa occidentale avevano la loro
base di sussistenza e di organizzazione sociale nelle proprietà comuni, nell’uso collettivo delle
risorse. Ma il processo di “rifeudalizzazione”, e cioè la ripresa dei valori feudali (onore, ritualità,
rilancio dei valori nobiliari, disprezzo per i commerci e per le “arti” meccaniche), che si ebbe in
seguito all’aumento dei prezzi registrato nel corso del Cinquecento, comportò il riaffermarsi della
grande proprietà terriera, costituita da nobili e da ricchi mercanti, e un rigoroso controllo sulla terra
e sul lavoro contadino da parte dei grandi proprietari.
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Le guerre d'Italia
Cronologia
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1494 Carlo VIII di Francia invade l’Italia.
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1500 Luigi XII conquista il ducato di Milano
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1504 Armistizio di Lione. L’Italia è divisa in due sfere d’influenze:francese nel nord,
spagnola nel sud.
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1508 Lega di Cambrai in funzione antiveneziana
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1511 Lega Santa per liberare l’Italia dai francesi
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1515-1547 Francesco I, re di Francia
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1516 Pace di Noyon tra Francesco I di Francia e Carlo d’Asburgo, nuovo re di
Spagna
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1525 I francesi sono sconfitti da un esercito imperiale a Pavia. Francesco I è fatto
prigioniero
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1527 Sacco di Roma da parte delle truppe imperiali. A Firenze viene ristabilita la
Repubblica
•
1529 Pace di Cambrai
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1530 Carlo V è incoronato imperatore d’Italia da papa Clemente VII
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Bibliografia
•
G. Galasso, L’Italia come problema storiografico, Introduzione alla Storia d’Italia,
diretta da G. galasso, Utet, Torino, 1979.
•
E. Cochrane, L’Italia del Cinqquecento, Laterza, Roma-Bari, 1989.
•
Chastel, Il Sacco di Roma, 1527, Einaudi, Torino, 1983.
•
J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze, 1982.
•
N. Elias, la società di corte, Il Mulino, Bologna, 1980.
•
H. Shennan, Lo Stato moderno in Europa, 1450-1725, Il Mulino, Bologna, 2000.
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