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Anno accademico 1981-1982
Dissertazione: Descrivere concisamente (si consiglia un limite di tre facciate) le
caratteristiche dei tre stati di aggregazione della materia e le trasformazioni tra
di essi.
Il candidato è tenuto a risolvere due problemi a scelta dai due insiemi proposti.
1) Una pallina, che si suppone di dimensioni trascurabili, si sposta
orizzontalmente, sul pianerottolo di una scala a tre gradini, come indicato nella
figura, con velocità 𝑣 = 1 π‘š/𝑠 . Se nel rimbalzo la componente verticale della
velocità si riduce di un fattore 𝑓 e la componente orizzontale rimane inalterata,
tenendo conto dei dati geometrici della figura, determinare il valore di 𝑓 per cui
la pallina tocca il suolo alla minima distanza dall’ultimo gradino.
Come suggerisce la figura riportata nel testo, ciò che interessa studiare è il moto
della pallina nell’intervallo di tempo che comprende i primi due rimbalzi al suolo,
che verranno schematicamente studiati in quel che segue. Si sottolinea che, per
brevità di notazione, si introdurranno le dimensioni del gradino, che ha una base
𝑏 = 0.3 π‘š ed un’altezza β„Ž = 0.2 π‘š, e si considererà, quale riferimento per lo
studio del moto, il sistema riportato in figura, avente l’origine coincidente con lo
spigolo del primo gradino.
2
Durante il primo tratto del moto, quando ha lasciato lo spigolo 𝐴, ma non è ancora
arrivata al rimbalzo sul primo gradino, la pallina si muove descrivendo un arco di
parabola, dato che subisce l’azione della sola forza di gravità; pertanto,
componendo il moto lungo l’asse delle ascisse risulta rettilineo ed uniforme,
mentre quello lungo l’asse delle ordinate è decelerato. Poiché è nota l’altezza del
gradino, è possibile ricavare facilmente la velocità nel punto di impatto sul
secondo gradino. Rispettando i versi degli assi riportati in figura e con ovvio
significato dei simboli adoperati, si può scrivere che le componenti della velocità
della pallina valgono
𝑣π‘₯ (𝑑) = 𝑣 , 𝑣𝑦 (𝑑) = −𝑔𝑑 ,
per cui le coordinate obbediscono alle equazioni orarie
1
π‘₯(𝑑) = 𝑣𝑑 , 𝑦(𝑑) = − 𝑔𝑑 2 .
2
Discende che la pallina impatterà il primo gradino nell’istante 𝑑0 , per cui
1
2β„Ž
𝑦(𝑑0 ) = −β„Ž = − 𝑔𝑑02 → 𝑑0 = √ ≅ 0.2 𝑠 → π‘₯(𝑑0 ) = 𝑣𝑑0 ≅ 0.2 π‘š .
2
𝑔
Nel medesimo istante, le due componenti della velocità sono pari a
𝑣π‘₯ (𝑑0 ) = 𝑣 , 𝑣𝑦 (𝑑0− ) = −𝑔𝑑0 = −√2π‘”β„Ž ≅ 2
π‘š
.
𝑠
Il segno meno ricorda che si tratta di un limite sinistro, cioè del valore assunto
dalla componente verticale immediatamente prima del rimbalzo. Dopo l’urto con
3
il primo gradino la velocità, questa componente della velocità cambia verso e si
riduce di un certo fattore 𝑓, sicché il suo valore immediatamente dopo il rimbalzo
risulta pari a
𝑣𝑦 (𝑑0+ ) = 𝑓𝑔𝑑0 = 𝑓√2π‘”β„Ž ≅ 2𝑓 .
Durante il secondo tratto del moto, la pallina, per effetto del rimbalzo, si muove
lungo un nuovo arco di parabola, prima verso l’alto, poi verso il basso. La pallina
cadrà alla minima distanza dal terzo gradino, quando, nel suo moto parabolico,
sfiorerà appena l’estremità 𝐢 del secondo gradino: se fosse poco meno,
rimbalzerebbe di nuovo, andando più lontano; se fosse di più, non si avrebbe una
condizione di minima distanza. Inoltre, essa cade tanto più vicino al gradino,
quanto minore è il numero di salti effettuati. Infatti, essendo 𝑓 < 1, il vertice della
parabola si abbassa ad ogni salto e, dato che la componente orizzontale della
velocità rimane costante, la parabola passa per il punto 𝐢 con una pendenza tanto
maggiore, quanto minore è il numero di salti.
L’equazione oraria della traiettoria lungo l’asse delle ascisse
π‘₯(𝑑) = 𝑣𝑑0 − 𝑣(𝑑 − 𝑑0 ) = 𝑣𝑑
rimane la stessa del caso precedente, mentre lungo l’asse delle ordinate il moto è
descritto dall’equazione
1
𝑦(𝑑) = −β„Ž + 𝑓𝑔𝑑0 (𝑑 − 𝑑0 ) − 𝑔(𝑑 − 𝑑0 )2 .
2
In corrispondenza dell’istante di tempo
𝑑𝐢 =
2𝑏
= 0.6 𝑠 ,
𝑣
4
la pallina sfiorerà lo spigolo 𝐢(2𝑏 , −2β„Ž), se
1
𝑦(𝑑𝐢 ) = −β„Ž + 𝑓𝑔𝑑0 (𝑑𝐢 − 𝑑0 ) − 𝑔(𝑑𝐢 − 𝑑0 )2 = −2β„Ž .
2
Da questa relazione si ottiene facilmente che
1
1
1
𝑓𝑔𝑑0 (𝑑𝐢 − 𝑑0 ) = −β„Ž + 𝑔(𝑑𝐢 − 𝑑0 )2 = − 𝑔𝑑02 + 𝑔(𝑑𝐢 − 𝑑0 )2 ,
2
2
2
da cui, in definitiva, discende il valore di 𝑓 desiderato
2𝑓 = −
𝑑0
𝑑𝐢 − 𝑑0 3
3
+
≅
→ 𝑓≅ .
𝑑𝐢 − 𝑑0
𝑑0
2
4
Ogni corpo che cade acquista velocità e, quando raggiunge il suolo, a seconda del
materiale di cui è composto, può spiaccicarsi sul pavimento, come una torta, un
uovo, oppure rimbalzare. Se l’oggetto è rigido come un sasso e cade su una
superficie altrettanto rigida, non si deforma quasi per niente e, quasi quasi, non
rimbalza, al massimo si rompe. Se invece l’oggetto è molto elastico, come una
pallina di gomma, al contatto col suolo si deforma un po’, assorbendo buona parte
dell’energia che aveva in seguito al lancio. Subito dopo l’impatto, però, la gomma
tende a riacquistare l’originaria forma sferica, liberando così l’energia accumulata
che la fa rimbalzare di nuovo e così via. In ciascuno di questi rimbalzi la pallina
trasforma in calore solo una piccola parte dell’energia cinetica che la fa
rimbalzare.
Poiché le cosiddette palline magiche trasformano in calore una quantità di energia
minore rispetto ad altri oggetti, rimbalzano più a lungo prima che la loro energia
si esaurisca. Per questa ragione, se si raccoglie la pallina dopo averla lanciata e
5
fatta rimbalzare un po’ di volte, essa sarà tiepida: una parte dell’energia conferita
al momento del lancio si è trasformata in calore.
6
2) Nel settore 𝐴 del recipiente disegnato in figura è contenuta una certa quantità
di gas mentre il settore 𝐡 è vuoto. Supponendo il recipiente termicamente isolato,
si lasci espandere il gas in modo da occupare tutto il recipiente. Si chiede di
spiegare come varia la temperatura nei due casi di gas perfetto e di gas reale (con
attrazione tra le molecole non trascurabile).
James Prescott Joule condusse un esperimento di espansione libera di un gas a
bassa pressione, come quello schematizzato in figura, stabilendo che l’energia
interna di un gas perfetto dipende solo dalla temperatura. Un contenitore a pareti
rigide e diatermiche è costituito da due parti, non necessariamente uguali,
separate da un rubinetto. La parte sinistra contiene gas, in quella destra è stato
fatto il vuoto. L’apertura della valvola che mette in contatto i due contenitori
genera il passaggio del gas dal contenitore 𝐴 al contenitore 𝐡. Il processo continua
fino a quando il gas non occupa tutto il volume a disposizione, rappresentato dal
volume del contenitore 𝐴 e dal volume del contenitore 𝐡. Nella figura che segue
viene rappresentata la trasformazione del sistema dallo stato iniziale verso lo
stato finale: il contenitore è immerso in un calorimetro ed il termometro consente
di rilevare l’eventuale cambiamento di temperatura del fluido calorimetrico,
segnalando in tal modo uno scambio di calore tra gas e calorimetro. Questo
processo di espansione libera è irreversibile e l’espansione è detta libera, perché
non ci sono forze esterne agenti sul gas. Sperimentalmente si osserva che la
7
temperatura rimane invariata e che il gas quindi non scambia calore con
l’ambiente, cioè con il calorimetro.
Inoltre, non scambia lavoro con l’ambiente, essendo le pareti del contenitore
rigide e, in forza del Primo Principio della Termodinamica, si può affermare che
l’energia interna di un gas ideale non varia. Si conclude quindi che per un gas
ideale si ha una variazione di temperatura rigorosamente nulla
βˆ†π‘‡ = 𝑇𝑓 − 𝑇𝑖 = 0 .
L’espansione del gas avviene, dunque, nel vuoto, laddove non esiste alcuna
pressione esterna che agisca sul gas: il gas perfetto non compie alcun lavoro
quando il suo volume aumenta. L’energia cinetica media rimane inalterata e così
la temperatura non varia.
In realtà, nella pratica, si osserva una piccola variazione di temperatura, tanto più
piccola quanto più il gas è vicino alle condizioni di idealità. Nel caso di un gas reale
l’espansione richiede lavoro, a causa delle forze attrattive intermolecolari. Dato
che l’energia totale si conserva, l’energia cinetica delle molecole dopo
l’espansione è minore di prima, sicché la temperatura diminuisce.
Precisamente, quando un gas reale espande, la distanza media tra le sue molecole
aumenta e, data la presenza di forze attrattive intermolecolari, l’espansione causa
8
un aumento di energia potenziale del gas. Se non viene estratto lavoro dal sistema
e non viene trasferito calore, come durante il processo di espansione libera,
l’energia totale del gas rimane la stessa, per la conservazione dell’energia totale,
e l’aumento di energia potenziale produce di conseguenza una riduzione
dell’energia cinetica, producendo un decremento di temperatura del gas.
Il potenziale di John Lennard-Jones è il più noto e il più usato dei potenziali
empirici per descrivere l'interazione interatomica ed intermolecolare. A distanze
interatomiche oppure intermolecolari molto piccole le densità elettroniche si
sovrappongono generando forze repulsive molto intense, caratterizzate da un
raggio d’azione molto corto e dal fatto che crescono rapidamente all’avvicinarsi
delle molecole. Per esse non esiste un'equazione ricavata teoricamente che le
descriva, dunque ci si deve affidare ad alcune funzioni potenziali empiriche.
La più famosa funzione potenziale empirica, detta legge del 12-6, che comprende
anche la parte attrattiva dovuta all’interazione di van der Waals, è il potenziale
proposto nel 1931 da John Lennard-Jones all'Università di Bristol, composto di
due termini
9
π‘ˆ(π‘Ÿ) =
𝐴
𝐡
−
.
π‘Ÿ 12 π‘Ÿ 6
Una parte va con la sesta potenza della distanza tra le molecole è il contributo
attrattivo delle forze di Van der Waals, forze dipolo-dipolo e forze dipolo-dipolo
indotto, e prevale a distanze grandi; un’altra parte che va con la dodicesima
potenza dodici descrive le forze repulsive che si instaurano a corto raggio fra i
nuclei che, a distanze piccole non sono più ben schermati dagli elettroni, e fra gli
elettroni stessi, soggetti a una forza repulsiva che si genera quando due o più di
essi tendono ad occupare gli stessi numeri quantici, in contrasto al principio di
Pauli.
La parte della curva che interessa il problema in esame è quella a destra del
minimo, cioè per π‘Ÿ > π‘Ÿπ‘šπ‘–π‘› , dove l’energia potenziale aumenta al crescere della
distanza tra le molecole e quindi la forza è attrattiva. Ad ogni densità corrisponde
un ben definito valore medio della distanza intermolecolare e quindi una energia
potenziale media di interazione per molecola, desumibile dal grafico riportato.
L’energia cinetica media per molecola 𝐾, che dipende, per la teoria cinetica dei
gas, soltanto dalla temperatura assoluta
5
𝐾(𝑇) = π‘˜π‘‡
2
si può ricavare dalla conservazione dell’energia totale, sicché, con evidente
significato dei simboli adoperati, si può scrivere
𝐾(𝑇1 ) + π‘ˆ(𝑅1 ) = 𝐾(𝑇2 ) + π‘ˆ(𝑅2 ) ,
10
L’energia potenziale π‘ˆ è negativa e diminuisce in valore assoluto al crescere del
volume, quindi della distanza intermolecolare media. Si conclude, pertanto, che
deve essere
𝑇2 < 𝑇1
e la precedente equazione consente di calcolare la nuova temperatura 𝑇2 , a partire
dalla temperatura 𝑇1 e dai volumi iniziale e finale del gas. Precisamente, si
potrebbe dimostrare che la variazione di temperatura durante un’espansione,
nota come effetto Joule-Kelvin, da un volume 𝑉1 ad un volume 𝑉2 > 𝑉1 è pari a
βˆ†π‘‡ =
π‘Žπ‘› 1
1
( − )<0,
𝑐𝑉 𝑉2 𝑉1
in cui π‘Ž è una delle costanti dell’equazione di van der Waals, 𝑛 è il numero di moli
presenti, 𝑐𝑉 rappresenta il calore specifico del gas a volume costante.
Se invece il gas fosse talmente denso che la distanza media tra le molecole fosse
alla sinistra dell’ascissa del minimo π‘Ÿπ‘šπ‘–π‘› , in moda da avere forze repulsive, la
temperatura aumenterebbe per effetto dell’espansione. Dato che la distanza
minima è dell’ordine del raggio delle molecole
π‘Ÿπ‘šπ‘–π‘› ≈ 10−10 π‘š ,
è facile stimare la densità necessaria 𝜌 affinché questa situazione si verifichi
𝜌 ≈ 1030
π‘šπ‘œπ‘™π‘’π‘π‘œπ‘™π‘’
.
π‘š3
11
3) (Escluso Chimica) Schematizzando un braccio umano come indicato in figura,
stabilire la forza che il muscolo deve esercitare per sollevare una massa di 5 π‘˜π‘”,
quando sia 𝑙 = 30 π‘π‘š e 𝑑 = 3 π‘π‘š.
Il braccio umano schematizzato in figura deve sostenere un peso, diretto
verticalmente verso il basso e pari a
𝑃 = π‘šπ‘” = 5 βˆ™ 9.8 𝑁 = 49.0 𝑁 .
Un muscolo è connesso, per mezzo di tendini, a due differenti ossa. Questi punti
di collegamento sono detti punti di inserzione. Le due ossa sono collegate tramite
un’articolazione snodabile, come quella del gomito, del ginocchio o dell’anca. Un
muscolo esercita una trazione quando le su fibre si contraggono per effetto della
stimolazione nervosa, mentre non può compiere lavoro estendendosi. I muscoli
che lavorano mantenendo vicine due parti di un arto, come il muscolo bicipite nel
braccio, sono detti flessori; quelli la cui azione tende a estendere un arto verso
l’esterno, come il tricipite, sono detti estensori.
12
La Biomeccanica è una branca della Bioingegneria che applica le leggi della Fisica allo studio del
movimento e dell’equilibrio umano ed animale, indagando contemporaneamente sul
comportamento e le proprietà (resistenza meccanica dei tessuti) degli organi preposti a tale
scopo. Trova applicazione nello sport, dove viene usata per migliorare le prestazioni ottenibili
dagli atleti, nella Medicina, particolarmente in ortopedia e settori collegati, dove viene usata per
studiare le cause di lesioni caratteristiche di discipline sportive diverse, incidenti
automobilistici, e nell’industria, per migliorare schemi di lavoro e macchinari in funzione delle
esigenze dell’organismo umano. Comunque, il corpo umano è un insieme complesso e
strutturato di leve. Studiarne il funzionamento aiuta a capire come è organizzata la struttura
muscolo-scheletrica, la postura e le sue patologie.
Le forze agenti sull’avambraccio sono la forza 𝐹𝑀 rivolta verso l’alto esercitata dal
muscolo e la forza 𝑅 esercitata sull’articolazione dall’osso della parte superiore
del braccio (entrambe supposte verticali). Per trovare 𝐹𝑀 basta applicare la
seconda legge cardinale della statica, che stabilisce che la somma dei momenti
delle forze esterne applicate al corpo deve essere nulla, cioè
𝐹𝑀 𝑑 − 𝑃𝑙 = 0 → 𝐹𝑀 =
𝑙
30
𝑃=
βˆ™ 49 𝑁 = 490 𝑁 .
𝑑
3
13
Nel precedente bilancio si è trascurato il peso proprio del braccio, che andrebbe
comunque immaginato nel suo centro di gravità.
14
4) (Solo per Chimica) Un pallone di tela floscio e inestensibile di volume massimo
𝑉0 e di massa, a vuoto, 𝑀𝑝 viene parzialmente riempito di elio.
(𝑖)Determinare la minima quantità di elio necessaria perché il pallone si sollevi.
(Il rapporto tra il peso specifico dell’aria e quello dell’elio sia 7.2).
(𝑖𝑖) Si esprima, in funzione della densità d’aria 𝜌0 , il valore massimo di 𝑀𝑝 che
consente al pallone di salire.
(𝑖𝑖𝑖) Supponendo che la densità dell’aria vari con legge lineare
𝑧
𝜌(𝑧) = 𝜌0 (1 − )
β„Ž
in funzione dell’altezza 𝑧, determinare la massima altezza a cui può arrivare il
pallone.
L’elio è spesso usato all'interno di palloni aerostatici, palloncini e dirigibili,
adoperati per scopi pubblicitari, festivi, ricerca atmosferica e ricognizione
militare.
15
Inoltre, l'elio possiede circa il 93% della capacità di sollevamento dell'idrogeno,
ma non è infiammabile, quindi, è molto sicuro da maneggiare.
Il peso specifico 𝛾 di un corpo materiale è definito come il peso 𝑃 diviso per il suo volume 𝑉
𝛾=
𝑃
𝑉
e nel Sistema Internazionale l'unità di misura è il π‘›π‘’π‘€π‘‘π‘œπ‘›/π‘š3.
La densità 𝜌 di un corpo materiale è definita come il rapporto tra la massa M diviso per il suo
volume V
𝜌=
𝑀
𝑉
e nel Sistema Internazionale la sua unità di misura è il π‘˜π‘”/π‘š3 .
È evidente che queste due grandezze sono proporzionali
𝛾 = πœŒπ‘” ,
essendo 𝑔 = 9.8 π‘š/𝑠 2 l’accelerazione di gravità.
(𝑖) Il principio di Archimede afferma che un corpo, quando è immerso in un fluido,
riceve una spinta (forza) dal basso verso l’alto che è pari al peso del volume del
fluido spostato. Fino a quando non si immette elio gassoso nel pallone, esso resta
al suolo schiacciato dal suo peso. Mano a mano che si immette elio, che è più
leggero dell’aria, il gas comincia a fornire una spinta che, ad un certo momento,
consentirà al pallone di alzarsi in volo; precisamente, quando la spinta
archimedea supererà la forza peso, il pallone si alzerà. La massa di elio vale
𝑀𝐻𝑒 = πœŒπ»π‘’ 𝑉 ,
16
mentre quella del telo è pari a 𝑀𝑝 . Sulla massa di elio e sul telo agisce la forza di
gravità
𝑃 = 𝑀𝐻𝑒 𝑔 + 𝑀𝑝 𝑔 = πœŒπ»π‘’ 𝑉 𝑔 + 𝑀𝑝 𝑔 = 𝛾𝐻𝑒 𝑉 + 𝑀𝑝 𝑔 .
Il volume di elio è immerso nell’aria, per cui si è in presenza di una spinta
archimedea 𝐹𝐴 diretta verso l’alto e pari alla forza peso dell’aria spostata
𝐹𝐴 = 𝜌0 𝑔𝑉 = 𝛾0 𝑉 =
𝛾0
𝑀 𝑔.
𝛾𝐻𝑒 𝐻𝑒
Il pallone si alzerà in volo, non appena
𝐹𝐴 ≥ 𝑃 →
𝛾0
𝛾𝐻𝑒
𝑀𝐻𝑒 ≥ 𝑀𝐻𝑒 + 𝑀𝑝 → 𝑀𝐻𝑒 ≥
𝑀 .
𝛾𝐻𝑒
𝛾0 − 𝛾𝐻𝑒 𝑝
Inoltre, conoscendo il rapporto tra il peso specifico dell’aria e dell’elio, si può
affermare che
𝛾0
1
5
= 7.2 → 𝑀𝐻𝑒 ≥
𝑀𝑝 =
𝑀 ,
𝛾𝐻𝑒
7.2 − 1
31 𝑝
da cui discende che la più piccola quantità di elio necessaria, affinché il pallone si
sollevi in volo, è pari a
𝑀𝐻𝑒 (minima) =
5
𝑀 .
31 𝑝
(𝑖𝑖) Sempre utilizzando la precedente disequazione
17
𝑀𝐻𝑒 ≥
𝛾𝐻𝑒
𝑀 ,
𝛾0 − 𝛾𝐻𝑒 𝑝
si può ottenere il valore massimo di 𝑀𝑝 che consente al pallone di salire
𝑀𝑝 ≤
𝛾0 − 𝛾𝐻𝑒
𝜌0
𝑀𝐻𝑒 = (
− 1) 𝑀𝐻𝑒
𝛾𝐻𝑒
πœŒπ»π‘’
→ 𝑀𝑝 (massimo) = (
𝜌0
− 1) 𝑀𝐻𝑒 .
πœŒπ»π‘’
(𝑖𝑖𝑖) Ad una generica altitudine 𝑧, il bilancio delle forze agenti sul pallone consente
di scrivere
𝑀𝑝
𝑧
𝜌0
𝑧
πœŒπ»π‘’ 𝑉(𝑧) + 𝑀𝑝 = 𝜌0 (1 − ) 𝑉(𝑧) →
=[
(1 − ) − 1] 𝑉(𝑧) ,
β„Ž
πœŒπ»π‘’
πœŒπ»π‘’
β„Ž
da cui è immediato ricavare
𝑉(𝑧) =
𝑀𝑝
,
𝑧
𝜌0 (1 − ) − πœŒπ»π‘’
β„Ž
cioè il legame che mostra come, al crescere della quota, aumenti anche il volume.
Allora, detto 𝑉0 il volume massimo, si può dire che la massima quota consentita
risulta pari a
𝑀𝑝
𝑀𝑝
𝑀𝐻𝑒
=
𝑉
→
𝑧
=
β„Ž
−
−
(1
).
0
π‘šπ‘Žπ‘₯
𝑧
𝜌0 𝑉0 𝜌0 𝑉0
𝜌0 (1 − π‘šπ‘Žπ‘₯ ) − πœŒπ»π‘’
β„Ž
Da questa relazione si deduce che la massima quota consentita cresce al diminuire
della massa di elio. Pertanto, inserendo il minimo valore che consente al pallone
di salire, già trovato in precedenza, si ottiene la massima altezza
18
π‘§π‘šπ‘Žπ‘₯ = β„Ž (1 −
𝑀𝑝
5 𝑀𝑝
36 𝑀𝑝
−
) = β„Ž (1 −
).
31 𝜌0 𝑉0 𝜌0 𝑉0
31 𝜌0 𝑉0
Da questa formula si evince che il pallone sale tanto più in lato, quanto più piccola
è 𝑀𝑝 : è per questo motivo che, per aumentare la quota, si getta la zavorra. Inoltre,
affinché il risultato ottenuto abbia un senso fisico compiuto, deve accadere che
1−
36 𝑀𝑝
36 𝑀𝑝
> 0 → 𝑉0 >
.
31 𝜌0 𝑉0
31 𝜌0
La densità dell’aria è il rapporto tra massa d’aria e volume occupato. Per convenzione, la densità
dell’aria è definita come quella misurata per l’aria secca alla temperatura di 15 °πΆ ed al livello
del mare, equivalente alla pressione di 1 π‘Žπ‘‘π‘š. In base a tale convenzione, essa è pari a circa
𝜌0 = 1.225
π‘˜π‘”
.
π‘š3
A differenza di altri fluidi, come l'acqua, per i quali, entro certi limiti, è valida l'approssimazione
di considerarli a densità costante, l’aria è invece un fluido facilmente comprimibile, per cui
densità e pressione aumentano all’aumentare del peso della colonna d’aria soprastante. La
densità dell’aria è inoltre inversamente proporzionale alla temperatura poiché, almeno
approssimativamente, l’aria segue la legge dei gas perfetti: quindi a parità di quantità di gas (o
mole) ed a parità di pressione, al diminuire della temperatura diminuisce anche il volume,
mentre la massa si conserva, ovvero aumenta il rapporto π‘šπ‘Žπ‘ π‘ π‘Ž/π‘£π‘œπ‘™π‘’π‘šπ‘’. Viceversa,
aumentando la temperatura, cresce il volume e quindi diminuisce la densità.
19
5) (Solo per Chimica) Si consideri un circuito formato da un generatore di corrente
𝐼 e da una resistenza 𝑅. La resistenza dipenda dalla temperatura con la legge
𝑇 2
𝑅(𝑇) = 𝑅0 [1 + ( ) ] .
𝑇0
Il conduttore disperde calore con legge 𝑃 = 𝐾(𝑇 − 𝑇1 ), dove 𝑃 è il calore dissipato
per unità di tempo e 𝑇1 è la temperatura dell’ambiente e 𝐾 una costante tipica del
materiale.
(𝑖) Qual è il massimo valore della corrente πΌπ‘šπ‘Žπ‘₯ per cui è possibile un regime in
cui la temperatura della resistenza è costante nel tempo?
(𝑖𝑖) Discutere graficamente il caso in cui 𝐼 sia minore di πΌπ‘šπ‘Žπ‘₯ e dire qual è la
soluzione stabile.
Il passaggio della corrente elettrica in un conduttore ne provoca il riscaldamento
e questo fenomeno prende il nome di effetto Joule. In un conduttore percorso da
corrente elettrica, gli elettroni si muovono velocemente e così facendo urtano gli
atomi, che aumentano l’ampiezza delle loro vibrazioni: questa agitazione
determina un aumento di temperatura.
20
Quanto maggiore è l'intensità della corrente, tanto più il filo conduttore si riscalda
e la quantità di calore prodotta è direttamente proporzionale alla resistenza del
conduttore. All’interno di tutti i circuiti, allora, parte dell’energia trasportata da
una corrente elettrica si disperde sotto forma di calore. Alcuni elettrodomestici
utilizzano proprio questo effetto termico della corrente per produrre calore.
L’asciugacapelli ed il ferro da stiro fondano il loro funzionamento proprio sulla
presenza di conduttori a grandissima resistenza, chiamati resistenze elettriche.
Per aumentare la loro resistenza, a questi conduttori viene conferita la forma di
fili lunghissimi e sottilissimi, a volte ripiegati su se stessi per renderli ancora più
lunghi. La stufa elettrica sfrutta l’effetto termico per mezzo di un filamento che
offre elevata resistenza elettrica e che, al passaggio della corrente elettrica,
diventa incandescente.
(𝑖) La potenza assorbita dal resistore assegnato, quando è percorso da una
corrente di intensità 𝐼, è pari a
𝑇 2 2
𝑃𝑅 = 𝑅(𝑇)𝐼 = 𝑅0 [1 + ( ) ] 𝐼
𝑇0
2
e viene trasformata in calore per effetto Joule. Questo calore si disperde
nell’ambiente esterno e, una volta raggiunta una condizione di equilibrio, si deve
verificare che la potenza assorbita dal resistore deve essere uguale a quella ceduta
all’ambiente esterno 𝑃, per cui
𝑇 2 2
𝑃𝑅 = 𝑃 → 𝑅0 [1 + ( ) ] 𝐼 = 𝐾(𝑇 − 𝑇1 ) .
𝑇0
Da questo bilancio delle potenze, si può ricavare la temperatura di equilibrio 𝑇.
Introdotte allora le quantità adimensionali
21
πœƒ=
𝑇
𝑇1
𝐾𝑇0
, πœƒ1 =
, π‘š=
,
𝑇0
𝑇0
𝑅0 𝐼 2
l’equazione precedente diventa
1 + πœƒ 2 = π‘š(πœƒ − πœƒ1 )
e rappresenta l’intersezione tra la parabola 𝑦 = 1 + πœƒ 2 ed il fascio proprio di rette
𝑦 = π‘š(πœƒ − πœƒ1 ). La generica retta del fascio può non intersecare proprio la
parabola, come accade per la retta rosa mostrata nella figura che segue, nel qual
caso non esiste una temperatura di equilibrio.
La retta può essere tangente alla parabola, come per la retta blu, nel qual caso
esiste un’unica temperatura di equilibrio. Infine, la retta può essere secante alla
parabola, come per la retta verde, e toccarla in due distinti punti, nel qual caso
22
esistono due temperature possibili di equilibrio. La figura precedente rende
concrete queste tre possibilità nel caso particolare πœƒ1 = 0.5.
Volendo ricavare analiticamente la temperatura di equilibrio, basta risolvere
l’equazione di secondo grado
πœƒ 2 − π‘šπœƒ + 1 + π‘šπœƒ1 = 0 (βˆ†= π‘š2 − 4π‘šπœƒ1 − 4) ,
che ammette due radici reali e distinte quando βˆ†> 0, due radici reali e coincidente
quando βˆ†= 0, non ammette radici reali quando βˆ†< 0. Supponendo di raggiungere
un unico punto di equilibrio, risulta
πœƒ=
π‘š
, essendo βˆ†= π‘š2 − 4π‘šπœƒ1 − 4 = 0 .
2
Scartata la radice negativa, che non ha alcun senso fisico, è possibile determinare
il valore di π‘š
π‘š = 2πœƒ1 + 2√1 + πœƒ12 ,
da cui si può finalmente scrivere il valore della temperatura di equilibrio
πœƒπΈ = πœƒ1 + √1 + πœƒ12 → 𝑇𝐸 = 𝑇1 + √𝑇02 + 𝑇12 .
Dal valore di π‘š calcolato si valuta, poi, la massima corrente che può fluire nel
resistore
𝐾𝑇0
𝑇1
𝑇12
𝑇𝐸
𝐾
√
√
=
2
+
1
+
=
2
→
𝐼
=
𝑇
.
(
)
π‘šπ‘Žπ‘₯
0
2
𝑅0 πΌπ‘šπ‘Žπ‘₯
𝑇0
𝑇0
2𝑇𝐸 𝑅0
𝑇02
23
(𝑖𝑖) Nel caso in cui 𝐼 è minore di πΌπ‘šπ‘Žπ‘₯ , essendo π‘š inversamente proporzionale, vi
sono due intersezioni tra parabola e fascio di rette. Precisamente, vi sono due
possibili situazioni di equilibrio: una stabile, il punto a temperatura più bassa 𝑇1 ;
l’altra instabile, il punto a temperatura più alta 𝑇2 . Per completare, si deve spiegare
il meccanismo che determina l’instabilità.
Se durante il funzionamento del resistore, per una qualsiasi perturbazione
aumenta la temperatura interna, il calore prodotto viene solo in parte ad essere
ceduto all’ambiente, dato che la parabola cresce più rapidamente della retta
secante. L’aumento della temperatura determina un aumento indesiderato ed
incontrollabile del valore della resistenza, che, a sua volta, provoca un ulteriore
aumento della potenza da dissipare sotto forma di calore, che fa ulteriormente
aumentare la temperatura, e così via. Questa situazione innesca un meccanismo
24
di reazione positiva denominato fuga termica che porta repentinamente alla
distruzione del resistore per il superamento della massima temperatura prevista
dal costruttore. In maniera duale si ragiona per dimostrare che l’altro punto è un
punto di equilibrio stabile.
Comunque sia, dal punto di vista matematico, si ha equilibrio stabile oppure
instabile, confrontando le derivate delle due curve che si intersecano: se il
coefficiente angolare della retta, cioè la pendenza, è maggiore della derivata della
curva di intersezione, il punto di equilibrio è stabile. Viceversa, si è in presenza di
un punto di equilibrio instabile.
25
A) Un dado porta scritto
“Hai vinto” su una delle sei facce,
“Ritenta” su due facce,
“Passa la mano” sulle restanti tre facce.
Due persone giocano con questo dado. Qual è la probabilità che il giocatore che
tira il dado per primo vinca in non più di tre mani?
Per vincere, colui che per primo lancia il dado deve conseguire uno dei seguenti
tre eventi seguenti:
(1) realizzare al primo lancio quale risultato “Hai vinto”, un evento che ha
probabilità di successo pari a
𝑃1 =
1
;
6
(2) ottenere al primo lancio un “Ritenta” e poi al secondo lancio realizzare un “Hai
vinto”, con probabilità di successo
𝑃2 =
2 1
1
βˆ™ =
,
6 6 18
(3) ottenere nei primi due lanci un “Ritenta” e poi al terzo lancio realizzare un
“Hai vinto”, con probabilità di successo
𝑃3 =
2 2 1
1
βˆ™ βˆ™ =
.
6 6 6 54
26
In definitiva, essendo i tre precedenti eventi incompatibili, si conclude che la
probabilità complessiva vale
𝑃 = 𝑃1 + 𝑃2 + 𝑃3 =
1 1
1
13
+
+
=
= 0.2407 .
6 18 54 54
Esistono molti modi di truccare i dadi per rendere più probabili alcuni risultati e una faccia più
spesso di quanto sarebbe normalmente probabile. Questi includono aggiungere dei pesi,
arrotondare bordi lasciandone altri acuti o rendere alcune facce lievemente non allineate. Un
modo sofisticato è di inserire un serbatoio contenente mercurio al centro del cubo con dei canali
capillari che conducono a un altro serbatoio su un lato. Dando dei colpetti sul tavolo con il dado
si fa in modo di trasferire il mercurio da un serbatoio all’altro e, pertanto, il dado si comporterà
normalmente fino a che il mercurio non viene trasferito. Spesso si può vedere il filo del taglio
usato per rimuovere la faccia e nascondere il peso. Un dado truccato a peso variabile è cavo con
all’interno un piccolo peso e una sostanza semisolida con un punto di fusione appena inferiore
alla temperatura del corpo umano (di solito si usa della cera). Questo permette al baro di
cambiare la posizione del peso respirando su di esso o tenendolo fermamente in pugno, in modo
da fondere la cera e far spostare il peso verso il basso, rendendo più probabile l’uscita del
risultato sulla faccia opposta. Un tipo meno comune di dado a peso variabile può essere
realizzato inserendo un magnete nel dado e incorporando una spira di cavo nel tavolo da gioco:
se non viene data corrente il dado rotolerà normalmente, se viene data corrente si incrementerà
la probabilità d’uscita della faccia con il polo nord o sud del magnete, a seconda della direzione
della corrente. I dadi trasparenti in materiale acrilico, usati in tutti i casinò rispettabili sono più
difficili da truccare.
27
B) Discutere, al variare del parametro 𝐴, la risolubilità ed il numero di soluzioni
del sistema
2π‘₯ + 4𝑦 = 𝐴 ,
{
π‘₯+𝑦 =1.
Si osservi anzitutto che il parametro 𝐴 deve essere positivo, essendo 𝐴 somma di
due esponenziali. Dalla seconda equazione si ricava 𝑦 = 1 − π‘₯, che, sostituita nella
prima, fornisce
2π‘₯ + 41−π‘₯ = 𝐴 .
Posto, poi,
𝑒 = 2π‘₯ > 0 ∀π‘₯ ,
l’equazione da discutere risulta
𝑓(𝑒) = 𝑒 +
4
=𝐴.
𝑒2
Questa equazione, risolta graficamente, risolta nell’insieme dei numeri reali
positivi, come nella figura che segue, consente di concludere che
per 0 < 𝐴 < 3 il problema non ammette soluzioni,
per 𝐴 = 3 il problema ammette una soluzione doppia,
per 𝐴 > 3 il problema ammette due soluzioni distinte.
28
In definitiva, si può concludere che esistono soluzioni reali soltanto se il
parametro 𝐴 ≥ 3.
A voler essere più precisi, si può dire ancora che, rispetto alla variabile π‘₯,
A. per 𝐴 = 3 la soluzione è π‘₯ = 1,
B. per 3 < 𝐴 < 5 le due soluzioni sono entrambe positive,
C. per 𝐴 = 5 una soluzione è nulla e l’altra è positiva,
D. per 𝐴 > 5 una soluzione è negativa e l’altra è positiva.
29
C) Trovare un polinomio di terzo grado 𝑃(π‘₯) tale che
𝑃(π‘₯ 2 ) + 𝑃(π‘₯)𝑃(π‘₯ + 1) = 0
per ogni π‘₯ reale.
Prima di iniziare la vera e propria soluzione dell’esercizio, è opportuno osservare
anzitutto che, essendo 𝑃(π‘₯) un generico polinomio di terzo grado, l’identità
assegnata è coerente per quel che riguarda il grado, dato che prescrive la somma
di due polinomi di sesto grado.
Quella che è stata chiamata identità, in realtà, viene detta equazione funzionale, la
cui soluzione va cercata tra i polinomi reali di terzo grado. In quel che segue verrà
dimostrato che, così come è stato formulato, il problema non ha soluzione.
Un’equazione funzionale è un’equazione che ha per incognita una funzione: si fornisce
un’uguaglianza in cui compare una funzione incognita 𝑓 e si chiede di determinare tutte le
funzioni che la verificano.
Si comincia a provare che 𝑃(π‘₯) ammette solamente le radici zero ed uno.
Dato che il polinomio 𝑃(π‘₯) è di terzo grado, ammetterà tre radici, non
necessariamente distinte e nemmeno tutte reali, ma con al massimo una radice
complessa con la sua coniugata. Sia 𝛼 un radice del polinomio, per cui
𝑃(𝛼) = 0 .
Se π‘₯1 = 𝛼 è una radice, allora anche π‘₯2 = 𝛼 2 sarà una radice, dato che
𝑃(𝛼 2 ) = −𝑃(𝛼)𝑃(𝛼 + 1) = 0 .
Discende che la successione
30
π‘₯3 = 𝛼 4 , π‘₯4 = 𝛼 8 , π‘₯5 = 𝛼 16 , β‹―
rappresenta un insieme infinito di soluzioni. Sono decisamente troppe radici per
un’equazione di terzo grado! Per tentare di arginare questo profluvio di soluzioni,
si possono fare solamente tre scelte: 𝛼 = −1, 0, 1.
Ragionando in maniera simile, si può provare che sono radici anche
𝑦1 = 𝛼 − 1 , 𝑦2 = (𝛼 − 1)2 , 𝑦3 = (𝛼 − 1)3 , β‹―.
Se 𝛼 = −1 fosse una soluzione, allora la successione appena scritta impone che lo
siano anche
(−1 − 1)2 = 4 , (−1 − 1)3 = −8 , (−1 − 1)4 = 16 , β‹― .
Ciò è impossibile ed allora restano solamente le due soluzioni
𝛼 =0, 𝛼 =1.
Da quanto appena dimostrato, discende che il polinomio desiderato deve avere la
forma funzionale
𝑃(π‘₯) = 𝐴π‘₯ 𝑛 (π‘₯ − 1)π‘š con 𝐴 ≠ 0 , 𝑛 + π‘š = 3 .
La prima cosa da fare è dividere membro a membro l’identità assegnata per π‘₯ 6 e
passare al limite per π‘₯ → ∞, vale a scrivere
31
𝑃(π‘₯ 2 ) + 𝑃(π‘₯)𝑃(π‘₯ + 1)
lim
= 𝐴 + 𝐴2 = 0 → 𝐴 = −1 .
6
π‘₯→∞
π‘₯
La soluzione nulla si scarta, dato che il polinomio deve essere di terzo grado e non
banale. Il polinomio allora si può riscrivere come
𝑃(π‘₯) = −π‘₯ 𝑛 (π‘₯ − 1)π‘š .
Forzando l’identità assegnata, risulta
−π‘₯ 2𝑛 (π‘₯ 2 − 1)π‘š + π‘₯ 𝑛+π‘š (π‘₯ − 1)π‘š (π‘₯ + 1)𝑛 = 0 ∀π‘₯ ,
che mostra chiaramente che
2𝑛 = 𝑛 + π‘š → 𝑛 = π‘š .
Ma proprio quest’ultima conclusione prova che il problema non ammette
soluzioni: è impossibile trovare due interi uguali, la cui somma dia per risultato il
numero tre. Solo il polinomio banale, cioè con coefficienti tutti nulli, può
realizzare una tale condizione.
32
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