Anno accademico 1981-1982 Dissertazione: Descrivere concisamente (si consiglia un limite di tre facciate) le caratteristiche dei tre stati di aggregazione della materia e le trasformazioni tra di essi. Il candidato è tenuto a risolvere due problemi a scelta dai due insiemi proposti. 1) Una pallina, che si suppone di dimensioni trascurabili, si sposta orizzontalmente, sul pianerottolo di una scala a tre gradini, come indicato nella figura, con velocità π£ = 1 π/π . Se nel rimbalzo la componente verticale della velocità si riduce di un fattore π e la componente orizzontale rimane inalterata, tenendo conto dei dati geometrici della figura, determinare il valore di π per cui la pallina tocca il suolo alla minima distanza dall’ultimo gradino. Come suggerisce la figura riportata nel testo, ciò che interessa studiare è il moto della pallina nell’intervallo di tempo che comprende i primi due rimbalzi al suolo, che verranno schematicamente studiati in quel che segue. Si sottolinea che, per brevità di notazione, si introdurranno le dimensioni del gradino, che ha una base π = 0.3 π ed un’altezza β = 0.2 π, e si considererà, quale riferimento per lo studio del moto, il sistema riportato in figura, avente l’origine coincidente con lo spigolo del primo gradino. 2 Durante il primo tratto del moto, quando ha lasciato lo spigolo π΄, ma non è ancora arrivata al rimbalzo sul primo gradino, la pallina si muove descrivendo un arco di parabola, dato che subisce l’azione della sola forza di gravità; pertanto, componendo il moto lungo l’asse delle ascisse risulta rettilineo ed uniforme, mentre quello lungo l’asse delle ordinate è decelerato. Poiché è nota l’altezza del gradino, è possibile ricavare facilmente la velocità nel punto di impatto sul secondo gradino. Rispettando i versi degli assi riportati in figura e con ovvio significato dei simboli adoperati, si può scrivere che le componenti della velocità della pallina valgono π£π₯ (π‘) = π£ , π£π¦ (π‘) = −ππ‘ , per cui le coordinate obbediscono alle equazioni orarie 1 π₯(π‘) = π£π‘ , π¦(π‘) = − ππ‘ 2 . 2 Discende che la pallina impatterà il primo gradino nell’istante π‘0 , per cui 1 2β π¦(π‘0 ) = −β = − ππ‘02 → π‘0 = √ ≅ 0.2 π → π₯(π‘0 ) = π£π‘0 ≅ 0.2 π . 2 π Nel medesimo istante, le due componenti della velocità sono pari a π£π₯ (π‘0 ) = π£ , π£π¦ (π‘0− ) = −ππ‘0 = −√2πβ ≅ 2 π . π Il segno meno ricorda che si tratta di un limite sinistro, cioè del valore assunto dalla componente verticale immediatamente prima del rimbalzo. Dopo l’urto con 3 il primo gradino la velocità, questa componente della velocità cambia verso e si riduce di un certo fattore π, sicché il suo valore immediatamente dopo il rimbalzo risulta pari a π£π¦ (π‘0+ ) = πππ‘0 = π√2πβ ≅ 2π . Durante il secondo tratto del moto, la pallina, per effetto del rimbalzo, si muove lungo un nuovo arco di parabola, prima verso l’alto, poi verso il basso. La pallina cadrà alla minima distanza dal terzo gradino, quando, nel suo moto parabolico, sfiorerà appena l’estremità πΆ del secondo gradino: se fosse poco meno, rimbalzerebbe di nuovo, andando più lontano; se fosse di più, non si avrebbe una condizione di minima distanza. Inoltre, essa cade tanto più vicino al gradino, quanto minore è il numero di salti effettuati. Infatti, essendo π < 1, il vertice della parabola si abbassa ad ogni salto e, dato che la componente orizzontale della velocità rimane costante, la parabola passa per il punto πΆ con una pendenza tanto maggiore, quanto minore è il numero di salti. L’equazione oraria della traiettoria lungo l’asse delle ascisse π₯(π‘) = π£π‘0 − π£(π‘ − π‘0 ) = π£π‘ rimane la stessa del caso precedente, mentre lungo l’asse delle ordinate il moto è descritto dall’equazione 1 π¦(π‘) = −β + πππ‘0 (π‘ − π‘0 ) − π(π‘ − π‘0 )2 . 2 In corrispondenza dell’istante di tempo π‘πΆ = 2π = 0.6 π , π£ 4 la pallina sfiorerà lo spigolo πΆ(2π , −2β), se 1 π¦(π‘πΆ ) = −β + πππ‘0 (π‘πΆ − π‘0 ) − π(π‘πΆ − π‘0 )2 = −2β . 2 Da questa relazione si ottiene facilmente che 1 1 1 πππ‘0 (π‘πΆ − π‘0 ) = −β + π(π‘πΆ − π‘0 )2 = − ππ‘02 + π(π‘πΆ − π‘0 )2 , 2 2 2 da cui, in definitiva, discende il valore di π desiderato 2π = − π‘0 π‘πΆ − π‘0 3 3 + ≅ → π≅ . π‘πΆ − π‘0 π‘0 2 4 Ogni corpo che cade acquista velocità e, quando raggiunge il suolo, a seconda del materiale di cui è composto, può spiaccicarsi sul pavimento, come una torta, un uovo, oppure rimbalzare. Se l’oggetto è rigido come un sasso e cade su una superficie altrettanto rigida, non si deforma quasi per niente e, quasi quasi, non rimbalza, al massimo si rompe. Se invece l’oggetto è molto elastico, come una pallina di gomma, al contatto col suolo si deforma un po’, assorbendo buona parte dell’energia che aveva in seguito al lancio. Subito dopo l’impatto, però, la gomma tende a riacquistare l’originaria forma sferica, liberando così l’energia accumulata che la fa rimbalzare di nuovo e così via. In ciascuno di questi rimbalzi la pallina trasforma in calore solo una piccola parte dell’energia cinetica che la fa rimbalzare. Poiché le cosiddette palline magiche trasformano in calore una quantità di energia minore rispetto ad altri oggetti, rimbalzano più a lungo prima che la loro energia si esaurisca. Per questa ragione, se si raccoglie la pallina dopo averla lanciata e 5 fatta rimbalzare un po’ di volte, essa sarà tiepida: una parte dell’energia conferita al momento del lancio si è trasformata in calore. 6 2) Nel settore π΄ del recipiente disegnato in figura è contenuta una certa quantità di gas mentre il settore π΅ è vuoto. Supponendo il recipiente termicamente isolato, si lasci espandere il gas in modo da occupare tutto il recipiente. Si chiede di spiegare come varia la temperatura nei due casi di gas perfetto e di gas reale (con attrazione tra le molecole non trascurabile). James Prescott Joule condusse un esperimento di espansione libera di un gas a bassa pressione, come quello schematizzato in figura, stabilendo che l’energia interna di un gas perfetto dipende solo dalla temperatura. Un contenitore a pareti rigide e diatermiche è costituito da due parti, non necessariamente uguali, separate da un rubinetto. La parte sinistra contiene gas, in quella destra è stato fatto il vuoto. L’apertura della valvola che mette in contatto i due contenitori genera il passaggio del gas dal contenitore π΄ al contenitore π΅. Il processo continua fino a quando il gas non occupa tutto il volume a disposizione, rappresentato dal volume del contenitore π΄ e dal volume del contenitore π΅. Nella figura che segue viene rappresentata la trasformazione del sistema dallo stato iniziale verso lo stato finale: il contenitore è immerso in un calorimetro ed il termometro consente di rilevare l’eventuale cambiamento di temperatura del fluido calorimetrico, segnalando in tal modo uno scambio di calore tra gas e calorimetro. Questo processo di espansione libera è irreversibile e l’espansione è detta libera, perché non ci sono forze esterne agenti sul gas. Sperimentalmente si osserva che la 7 temperatura rimane invariata e che il gas quindi non scambia calore con l’ambiente, cioè con il calorimetro. Inoltre, non scambia lavoro con l’ambiente, essendo le pareti del contenitore rigide e, in forza del Primo Principio della Termodinamica, si può affermare che l’energia interna di un gas ideale non varia. Si conclude quindi che per un gas ideale si ha una variazione di temperatura rigorosamente nulla βπ = ππ − ππ = 0 . L’espansione del gas avviene, dunque, nel vuoto, laddove non esiste alcuna pressione esterna che agisca sul gas: il gas perfetto non compie alcun lavoro quando il suo volume aumenta. L’energia cinetica media rimane inalterata e così la temperatura non varia. In realtà, nella pratica, si osserva una piccola variazione di temperatura, tanto più piccola quanto più il gas è vicino alle condizioni di idealità. Nel caso di un gas reale l’espansione richiede lavoro, a causa delle forze attrattive intermolecolari. Dato che l’energia totale si conserva, l’energia cinetica delle molecole dopo l’espansione è minore di prima, sicché la temperatura diminuisce. Precisamente, quando un gas reale espande, la distanza media tra le sue molecole aumenta e, data la presenza di forze attrattive intermolecolari, l’espansione causa 8 un aumento di energia potenziale del gas. Se non viene estratto lavoro dal sistema e non viene trasferito calore, come durante il processo di espansione libera, l’energia totale del gas rimane la stessa, per la conservazione dell’energia totale, e l’aumento di energia potenziale produce di conseguenza una riduzione dell’energia cinetica, producendo un decremento di temperatura del gas. Il potenziale di John Lennard-Jones è il più noto e il più usato dei potenziali empirici per descrivere l'interazione interatomica ed intermolecolare. A distanze interatomiche oppure intermolecolari molto piccole le densità elettroniche si sovrappongono generando forze repulsive molto intense, caratterizzate da un raggio d’azione molto corto e dal fatto che crescono rapidamente all’avvicinarsi delle molecole. Per esse non esiste un'equazione ricavata teoricamente che le descriva, dunque ci si deve affidare ad alcune funzioni potenziali empiriche. La più famosa funzione potenziale empirica, detta legge del 12-6, che comprende anche la parte attrattiva dovuta all’interazione di van der Waals, è il potenziale proposto nel 1931 da John Lennard-Jones all'Università di Bristol, composto di due termini 9 π(π) = π΄ π΅ − . π 12 π 6 Una parte va con la sesta potenza della distanza tra le molecole è il contributo attrattivo delle forze di Van der Waals, forze dipolo-dipolo e forze dipolo-dipolo indotto, e prevale a distanze grandi; un’altra parte che va con la dodicesima potenza dodici descrive le forze repulsive che si instaurano a corto raggio fra i nuclei che, a distanze piccole non sono più ben schermati dagli elettroni, e fra gli elettroni stessi, soggetti a una forza repulsiva che si genera quando due o più di essi tendono ad occupare gli stessi numeri quantici, in contrasto al principio di Pauli. La parte della curva che interessa il problema in esame è quella a destra del minimo, cioè per π > ππππ , dove l’energia potenziale aumenta al crescere della distanza tra le molecole e quindi la forza è attrattiva. Ad ogni densità corrisponde un ben definito valore medio della distanza intermolecolare e quindi una energia potenziale media di interazione per molecola, desumibile dal grafico riportato. L’energia cinetica media per molecola πΎ, che dipende, per la teoria cinetica dei gas, soltanto dalla temperatura assoluta 5 πΎ(π) = ππ 2 si può ricavare dalla conservazione dell’energia totale, sicché, con evidente significato dei simboli adoperati, si può scrivere πΎ(π1 ) + π(π 1 ) = πΎ(π2 ) + π(π 2 ) , 10 L’energia potenziale π è negativa e diminuisce in valore assoluto al crescere del volume, quindi della distanza intermolecolare media. Si conclude, pertanto, che deve essere π2 < π1 e la precedente equazione consente di calcolare la nuova temperatura π2 , a partire dalla temperatura π1 e dai volumi iniziale e finale del gas. Precisamente, si potrebbe dimostrare che la variazione di temperatura durante un’espansione, nota come effetto Joule-Kelvin, da un volume π1 ad un volume π2 > π1 è pari a βπ = ππ 1 1 ( − )<0, ππ π2 π1 in cui π è una delle costanti dell’equazione di van der Waals, π è il numero di moli presenti, ππ rappresenta il calore specifico del gas a volume costante. Se invece il gas fosse talmente denso che la distanza media tra le molecole fosse alla sinistra dell’ascissa del minimo ππππ , in moda da avere forze repulsive, la temperatura aumenterebbe per effetto dell’espansione. Dato che la distanza minima è dell’ordine del raggio delle molecole ππππ ≈ 10−10 π , è facile stimare la densità necessaria π affinché questa situazione si verifichi π ≈ 1030 ππππππππ . π3 11 3) (Escluso Chimica) Schematizzando un braccio umano come indicato in figura, stabilire la forza che il muscolo deve esercitare per sollevare una massa di 5 ππ, quando sia π = 30 ππ e π = 3 ππ. Il braccio umano schematizzato in figura deve sostenere un peso, diretto verticalmente verso il basso e pari a π = ππ = 5 β 9.8 π = 49.0 π . Un muscolo è connesso, per mezzo di tendini, a due differenti ossa. Questi punti di collegamento sono detti punti di inserzione. Le due ossa sono collegate tramite un’articolazione snodabile, come quella del gomito, del ginocchio o dell’anca. Un muscolo esercita una trazione quando le su fibre si contraggono per effetto della stimolazione nervosa, mentre non può compiere lavoro estendendosi. I muscoli che lavorano mantenendo vicine due parti di un arto, come il muscolo bicipite nel braccio, sono detti flessori; quelli la cui azione tende a estendere un arto verso l’esterno, come il tricipite, sono detti estensori. 12 La Biomeccanica è una branca della Bioingegneria che applica le leggi della Fisica allo studio del movimento e dell’equilibrio umano ed animale, indagando contemporaneamente sul comportamento e le proprietà (resistenza meccanica dei tessuti) degli organi preposti a tale scopo. Trova applicazione nello sport, dove viene usata per migliorare le prestazioni ottenibili dagli atleti, nella Medicina, particolarmente in ortopedia e settori collegati, dove viene usata per studiare le cause di lesioni caratteristiche di discipline sportive diverse, incidenti automobilistici, e nell’industria, per migliorare schemi di lavoro e macchinari in funzione delle esigenze dell’organismo umano. Comunque, il corpo umano è un insieme complesso e strutturato di leve. Studiarne il funzionamento aiuta a capire come è organizzata la struttura muscolo-scheletrica, la postura e le sue patologie. Le forze agenti sull’avambraccio sono la forza πΉπ rivolta verso l’alto esercitata dal muscolo e la forza π esercitata sull’articolazione dall’osso della parte superiore del braccio (entrambe supposte verticali). Per trovare πΉπ basta applicare la seconda legge cardinale della statica, che stabilisce che la somma dei momenti delle forze esterne applicate al corpo deve essere nulla, cioè πΉπ π − ππ = 0 → πΉπ = π 30 π= β 49 π = 490 π . π 3 13 Nel precedente bilancio si è trascurato il peso proprio del braccio, che andrebbe comunque immaginato nel suo centro di gravità. 14 4) (Solo per Chimica) Un pallone di tela floscio e inestensibile di volume massimo π0 e di massa, a vuoto, ππ viene parzialmente riempito di elio. (π)Determinare la minima quantità di elio necessaria perché il pallone si sollevi. (Il rapporto tra il peso specifico dell’aria e quello dell’elio sia 7.2). (ππ) Si esprima, in funzione della densità d’aria π0 , il valore massimo di ππ che consente al pallone di salire. (πππ) Supponendo che la densità dell’aria vari con legge lineare π§ π(π§) = π0 (1 − ) β in funzione dell’altezza π§, determinare la massima altezza a cui può arrivare il pallone. L’elio è spesso usato all'interno di palloni aerostatici, palloncini e dirigibili, adoperati per scopi pubblicitari, festivi, ricerca atmosferica e ricognizione militare. 15 Inoltre, l'elio possiede circa il 93% della capacità di sollevamento dell'idrogeno, ma non è infiammabile, quindi, è molto sicuro da maneggiare. Il peso specifico πΎ di un corpo materiale è definito come il peso π diviso per il suo volume π πΎ= π π e nel Sistema Internazionale l'unità di misura è il πππ€π‘ππ/π3. La densità π di un corpo materiale è definita come il rapporto tra la massa M diviso per il suo volume V π= π π e nel Sistema Internazionale la sua unità di misura è il ππ/π3 . È evidente che queste due grandezze sono proporzionali πΎ = ππ , essendo π = 9.8 π/π 2 l’accelerazione di gravità. (π) Il principio di Archimede afferma che un corpo, quando è immerso in un fluido, riceve una spinta (forza) dal basso verso l’alto che è pari al peso del volume del fluido spostato. Fino a quando non si immette elio gassoso nel pallone, esso resta al suolo schiacciato dal suo peso. Mano a mano che si immette elio, che è più leggero dell’aria, il gas comincia a fornire una spinta che, ad un certo momento, consentirà al pallone di alzarsi in volo; precisamente, quando la spinta archimedea supererà la forza peso, il pallone si alzerà. La massa di elio vale ππ»π = ππ»π π , 16 mentre quella del telo è pari a ππ . Sulla massa di elio e sul telo agisce la forza di gravità π = ππ»π π + ππ π = ππ»π π π + ππ π = πΎπ»π π + ππ π . Il volume di elio è immerso nell’aria, per cui si è in presenza di una spinta archimedea πΉπ΄ diretta verso l’alto e pari alla forza peso dell’aria spostata πΉπ΄ = π0 ππ = πΎ0 π = πΎ0 π π. πΎπ»π π»π Il pallone si alzerà in volo, non appena πΉπ΄ ≥ π → πΎ0 πΎπ»π ππ»π ≥ ππ»π + ππ → ππ»π ≥ π . πΎπ»π πΎ0 − πΎπ»π π Inoltre, conoscendo il rapporto tra il peso specifico dell’aria e dell’elio, si può affermare che πΎ0 1 5 = 7.2 → ππ»π ≥ ππ = π , πΎπ»π 7.2 − 1 31 π da cui discende che la più piccola quantità di elio necessaria, affinché il pallone si sollevi in volo, è pari a ππ»π (minima) = 5 π . 31 π (ππ) Sempre utilizzando la precedente disequazione 17 ππ»π ≥ πΎπ»π π , πΎ0 − πΎπ»π π si può ottenere il valore massimo di ππ che consente al pallone di salire ππ ≤ πΎ0 − πΎπ»π π0 ππ»π = ( − 1) ππ»π πΎπ»π ππ»π → ππ (massimo) = ( π0 − 1) ππ»π . ππ»π (πππ) Ad una generica altitudine π§, il bilancio delle forze agenti sul pallone consente di scrivere ππ π§ π0 π§ ππ»π π(π§) + ππ = π0 (1 − ) π(π§) → =[ (1 − ) − 1] π(π§) , β ππ»π ππ»π β da cui è immediato ricavare π(π§) = ππ , π§ π0 (1 − ) − ππ»π β cioè il legame che mostra come, al crescere della quota, aumenti anche il volume. Allora, detto π0 il volume massimo, si può dire che la massima quota consentita risulta pari a ππ ππ ππ»π = π → π§ = β − − (1 ). 0 πππ₯ π§ π0 π0 π0 π0 π0 (1 − πππ₯ ) − ππ»π β Da questa relazione si deduce che la massima quota consentita cresce al diminuire della massa di elio. Pertanto, inserendo il minimo valore che consente al pallone di salire, già trovato in precedenza, si ottiene la massima altezza 18 π§πππ₯ = β (1 − ππ 5 ππ 36 ππ − ) = β (1 − ). 31 π0 π0 π0 π0 31 π0 π0 Da questa formula si evince che il pallone sale tanto più in lato, quanto più piccola è ππ : è per questo motivo che, per aumentare la quota, si getta la zavorra. Inoltre, affinché il risultato ottenuto abbia un senso fisico compiuto, deve accadere che 1− 36 ππ 36 ππ > 0 → π0 > . 31 π0 π0 31 π0 La densità dell’aria è il rapporto tra massa d’aria e volume occupato. Per convenzione, la densità dell’aria è definita come quella misurata per l’aria secca alla temperatura di 15 °πΆ ed al livello del mare, equivalente alla pressione di 1 ππ‘π. In base a tale convenzione, essa è pari a circa π0 = 1.225 ππ . π3 A differenza di altri fluidi, come l'acqua, per i quali, entro certi limiti, è valida l'approssimazione di considerarli a densità costante, l’aria è invece un fluido facilmente comprimibile, per cui densità e pressione aumentano all’aumentare del peso della colonna d’aria soprastante. La densità dell’aria è inoltre inversamente proporzionale alla temperatura poiché, almeno approssimativamente, l’aria segue la legge dei gas perfetti: quindi a parità di quantità di gas (o mole) ed a parità di pressione, al diminuire della temperatura diminuisce anche il volume, mentre la massa si conserva, ovvero aumenta il rapporto πππ π π/π£πππ’ππ. Viceversa, aumentando la temperatura, cresce il volume e quindi diminuisce la densità. 19 5) (Solo per Chimica) Si consideri un circuito formato da un generatore di corrente πΌ e da una resistenza π . La resistenza dipenda dalla temperatura con la legge π 2 π (π) = π 0 [1 + ( ) ] . π0 Il conduttore disperde calore con legge π = πΎ(π − π1 ), dove π è il calore dissipato per unità di tempo e π1 è la temperatura dell’ambiente e πΎ una costante tipica del materiale. (π) Qual è il massimo valore della corrente πΌπππ₯ per cui è possibile un regime in cui la temperatura della resistenza è costante nel tempo? (ππ) Discutere graficamente il caso in cui πΌ sia minore di πΌπππ₯ e dire qual è la soluzione stabile. Il passaggio della corrente elettrica in un conduttore ne provoca il riscaldamento e questo fenomeno prende il nome di effetto Joule. In un conduttore percorso da corrente elettrica, gli elettroni si muovono velocemente e così facendo urtano gli atomi, che aumentano l’ampiezza delle loro vibrazioni: questa agitazione determina un aumento di temperatura. 20 Quanto maggiore è l'intensità della corrente, tanto più il filo conduttore si riscalda e la quantità di calore prodotta è direttamente proporzionale alla resistenza del conduttore. All’interno di tutti i circuiti, allora, parte dell’energia trasportata da una corrente elettrica si disperde sotto forma di calore. Alcuni elettrodomestici utilizzano proprio questo effetto termico della corrente per produrre calore. L’asciugacapelli ed il ferro da stiro fondano il loro funzionamento proprio sulla presenza di conduttori a grandissima resistenza, chiamati resistenze elettriche. Per aumentare la loro resistenza, a questi conduttori viene conferita la forma di fili lunghissimi e sottilissimi, a volte ripiegati su se stessi per renderli ancora più lunghi. La stufa elettrica sfrutta l’effetto termico per mezzo di un filamento che offre elevata resistenza elettrica e che, al passaggio della corrente elettrica, diventa incandescente. (π) La potenza assorbita dal resistore assegnato, quando è percorso da una corrente di intensità πΌ, è pari a π 2 2 ππ = π (π)πΌ = π 0 [1 + ( ) ] πΌ π0 2 e viene trasformata in calore per effetto Joule. Questo calore si disperde nell’ambiente esterno e, una volta raggiunta una condizione di equilibrio, si deve verificare che la potenza assorbita dal resistore deve essere uguale a quella ceduta all’ambiente esterno π, per cui π 2 2 ππ = π → π 0 [1 + ( ) ] πΌ = πΎ(π − π1 ) . π0 Da questo bilancio delle potenze, si può ricavare la temperatura di equilibrio π. Introdotte allora le quantità adimensionali 21 π= π π1 πΎπ0 , π1 = , π= , π0 π0 π 0 πΌ 2 l’equazione precedente diventa 1 + π 2 = π(π − π1 ) e rappresenta l’intersezione tra la parabola π¦ = 1 + π 2 ed il fascio proprio di rette π¦ = π(π − π1 ). La generica retta del fascio può non intersecare proprio la parabola, come accade per la retta rosa mostrata nella figura che segue, nel qual caso non esiste una temperatura di equilibrio. La retta può essere tangente alla parabola, come per la retta blu, nel qual caso esiste un’unica temperatura di equilibrio. Infine, la retta può essere secante alla parabola, come per la retta verde, e toccarla in due distinti punti, nel qual caso 22 esistono due temperature possibili di equilibrio. La figura precedente rende concrete queste tre possibilità nel caso particolare π1 = 0.5. Volendo ricavare analiticamente la temperatura di equilibrio, basta risolvere l’equazione di secondo grado π 2 − ππ + 1 + ππ1 = 0 (β= π2 − 4ππ1 − 4) , che ammette due radici reali e distinte quando β> 0, due radici reali e coincidente quando β= 0, non ammette radici reali quando β< 0. Supponendo di raggiungere un unico punto di equilibrio, risulta π= π , essendo β= π2 − 4ππ1 − 4 = 0 . 2 Scartata la radice negativa, che non ha alcun senso fisico, è possibile determinare il valore di π π = 2π1 + 2√1 + π12 , da cui si può finalmente scrivere il valore della temperatura di equilibrio ππΈ = π1 + √1 + π12 → ππΈ = π1 + √π02 + π12 . Dal valore di π calcolato si valuta, poi, la massima corrente che può fluire nel resistore πΎπ0 π1 π12 ππΈ πΎ √ √ = 2 + 1 + = 2 → πΌ = π . ( ) πππ₯ 0 2 π 0 πΌπππ₯ π0 π0 2ππΈ π 0 π02 23 (ππ) Nel caso in cui πΌ è minore di πΌπππ₯ , essendo π inversamente proporzionale, vi sono due intersezioni tra parabola e fascio di rette. Precisamente, vi sono due possibili situazioni di equilibrio: una stabile, il punto a temperatura più bassa π1 ; l’altra instabile, il punto a temperatura più alta π2 . Per completare, si deve spiegare il meccanismo che determina l’instabilità. Se durante il funzionamento del resistore, per una qualsiasi perturbazione aumenta la temperatura interna, il calore prodotto viene solo in parte ad essere ceduto all’ambiente, dato che la parabola cresce più rapidamente della retta secante. L’aumento della temperatura determina un aumento indesiderato ed incontrollabile del valore della resistenza, che, a sua volta, provoca un ulteriore aumento della potenza da dissipare sotto forma di calore, che fa ulteriormente aumentare la temperatura, e così via. Questa situazione innesca un meccanismo 24 di reazione positiva denominato fuga termica che porta repentinamente alla distruzione del resistore per il superamento della massima temperatura prevista dal costruttore. In maniera duale si ragiona per dimostrare che l’altro punto è un punto di equilibrio stabile. Comunque sia, dal punto di vista matematico, si ha equilibrio stabile oppure instabile, confrontando le derivate delle due curve che si intersecano: se il coefficiente angolare della retta, cioè la pendenza, è maggiore della derivata della curva di intersezione, il punto di equilibrio è stabile. Viceversa, si è in presenza di un punto di equilibrio instabile. 25 A) Un dado porta scritto “Hai vinto” su una delle sei facce, “Ritenta” su due facce, “Passa la mano” sulle restanti tre facce. Due persone giocano con questo dado. Qual è la probabilità che il giocatore che tira il dado per primo vinca in non più di tre mani? Per vincere, colui che per primo lancia il dado deve conseguire uno dei seguenti tre eventi seguenti: (1) realizzare al primo lancio quale risultato “Hai vinto”, un evento che ha probabilità di successo pari a π1 = 1 ; 6 (2) ottenere al primo lancio un “Ritenta” e poi al secondo lancio realizzare un “Hai vinto”, con probabilità di successo π2 = 2 1 1 β = , 6 6 18 (3) ottenere nei primi due lanci un “Ritenta” e poi al terzo lancio realizzare un “Hai vinto”, con probabilità di successo π3 = 2 2 1 1 β β = . 6 6 6 54 26 In definitiva, essendo i tre precedenti eventi incompatibili, si conclude che la probabilità complessiva vale π = π1 + π2 + π3 = 1 1 1 13 + + = = 0.2407 . 6 18 54 54 Esistono molti modi di truccare i dadi per rendere più probabili alcuni risultati e una faccia più spesso di quanto sarebbe normalmente probabile. Questi includono aggiungere dei pesi, arrotondare bordi lasciandone altri acuti o rendere alcune facce lievemente non allineate. Un modo sofisticato è di inserire un serbatoio contenente mercurio al centro del cubo con dei canali capillari che conducono a un altro serbatoio su un lato. Dando dei colpetti sul tavolo con il dado si fa in modo di trasferire il mercurio da un serbatoio all’altro e, pertanto, il dado si comporterà normalmente fino a che il mercurio non viene trasferito. Spesso si può vedere il filo del taglio usato per rimuovere la faccia e nascondere il peso. Un dado truccato a peso variabile è cavo con all’interno un piccolo peso e una sostanza semisolida con un punto di fusione appena inferiore alla temperatura del corpo umano (di solito si usa della cera). Questo permette al baro di cambiare la posizione del peso respirando su di esso o tenendolo fermamente in pugno, in modo da fondere la cera e far spostare il peso verso il basso, rendendo più probabile l’uscita del risultato sulla faccia opposta. Un tipo meno comune di dado a peso variabile può essere realizzato inserendo un magnete nel dado e incorporando una spira di cavo nel tavolo da gioco: se non viene data corrente il dado rotolerà normalmente, se viene data corrente si incrementerà la probabilità d’uscita della faccia con il polo nord o sud del magnete, a seconda della direzione della corrente. I dadi trasparenti in materiale acrilico, usati in tutti i casinò rispettabili sono più difficili da truccare. 27 B) Discutere, al variare del parametro π΄, la risolubilità ed il numero di soluzioni del sistema 2π₯ + 4π¦ = π΄ , { π₯+π¦ =1. Si osservi anzitutto che il parametro π΄ deve essere positivo, essendo π΄ somma di due esponenziali. Dalla seconda equazione si ricava π¦ = 1 − π₯, che, sostituita nella prima, fornisce 2π₯ + 41−π₯ = π΄ . Posto, poi, π’ = 2π₯ > 0 ∀π₯ , l’equazione da discutere risulta π(π’) = π’ + 4 =π΄. π’2 Questa equazione, risolta graficamente, risolta nell’insieme dei numeri reali positivi, come nella figura che segue, consente di concludere che per 0 < π΄ < 3 il problema non ammette soluzioni, per π΄ = 3 il problema ammette una soluzione doppia, per π΄ > 3 il problema ammette due soluzioni distinte. 28 In definitiva, si può concludere che esistono soluzioni reali soltanto se il parametro π΄ ≥ 3. A voler essere più precisi, si può dire ancora che, rispetto alla variabile π₯, A. per π΄ = 3 la soluzione è π₯ = 1, B. per 3 < π΄ < 5 le due soluzioni sono entrambe positive, C. per π΄ = 5 una soluzione è nulla e l’altra è positiva, D. per π΄ > 5 una soluzione è negativa e l’altra è positiva. 29 C) Trovare un polinomio di terzo grado π(π₯) tale che π(π₯ 2 ) + π(π₯)π(π₯ + 1) = 0 per ogni π₯ reale. Prima di iniziare la vera e propria soluzione dell’esercizio, è opportuno osservare anzitutto che, essendo π(π₯) un generico polinomio di terzo grado, l’identità assegnata è coerente per quel che riguarda il grado, dato che prescrive la somma di due polinomi di sesto grado. Quella che è stata chiamata identità, in realtà, viene detta equazione funzionale, la cui soluzione va cercata tra i polinomi reali di terzo grado. In quel che segue verrà dimostrato che, così come è stato formulato, il problema non ha soluzione. Un’equazione funzionale è un’equazione che ha per incognita una funzione: si fornisce un’uguaglianza in cui compare una funzione incognita π e si chiede di determinare tutte le funzioni che la verificano. Si comincia a provare che π(π₯) ammette solamente le radici zero ed uno. Dato che il polinomio π(π₯) è di terzo grado, ammetterà tre radici, non necessariamente distinte e nemmeno tutte reali, ma con al massimo una radice complessa con la sua coniugata. Sia πΌ un radice del polinomio, per cui π(πΌ) = 0 . Se π₯1 = πΌ è una radice, allora anche π₯2 = πΌ 2 sarà una radice, dato che π(πΌ 2 ) = −π(πΌ)π(πΌ + 1) = 0 . Discende che la successione 30 π₯3 = πΌ 4 , π₯4 = πΌ 8 , π₯5 = πΌ 16 , β― rappresenta un insieme infinito di soluzioni. Sono decisamente troppe radici per un’equazione di terzo grado! Per tentare di arginare questo profluvio di soluzioni, si possono fare solamente tre scelte: πΌ = −1, 0, 1. Ragionando in maniera simile, si può provare che sono radici anche π¦1 = πΌ − 1 , π¦2 = (πΌ − 1)2 , π¦3 = (πΌ − 1)3 , β―. Se πΌ = −1 fosse una soluzione, allora la successione appena scritta impone che lo siano anche (−1 − 1)2 = 4 , (−1 − 1)3 = −8 , (−1 − 1)4 = 16 , β― . Ciò è impossibile ed allora restano solamente le due soluzioni πΌ =0, πΌ =1. Da quanto appena dimostrato, discende che il polinomio desiderato deve avere la forma funzionale π(π₯) = π΄π₯ π (π₯ − 1)π con π΄ ≠ 0 , π + π = 3 . La prima cosa da fare è dividere membro a membro l’identità assegnata per π₯ 6 e passare al limite per π₯ → ∞, vale a scrivere 31 π(π₯ 2 ) + π(π₯)π(π₯ + 1) lim = π΄ + π΄2 = 0 → π΄ = −1 . 6 π₯→∞ π₯ La soluzione nulla si scarta, dato che il polinomio deve essere di terzo grado e non banale. Il polinomio allora si può riscrivere come π(π₯) = −π₯ π (π₯ − 1)π . Forzando l’identità assegnata, risulta −π₯ 2π (π₯ 2 − 1)π + π₯ π+π (π₯ − 1)π (π₯ + 1)π = 0 ∀π₯ , che mostra chiaramente che 2π = π + π → π = π . Ma proprio quest’ultima conclusione prova che il problema non ammette soluzioni: è impossibile trovare due interi uguali, la cui somma dia per risultato il numero tre. Solo il polinomio banale, cioè con coefficienti tutti nulli, può realizzare una tale condizione. 32