Scienza&Ricerca / Attualità
28° Convegno annuale
del Prolamin Working Group
A Nantes, dal 25 al 27 Settembre 2014, si sono incontrati ancora
una volta esperti da tutto il mondo per fare il punto su glutine
e celiachia, sulle normative e per presentare gli ultimi studi clinici
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normativa concernente i livelli di glutine
ammessi negli alimenti destinati ai celiaci
e sui controlli di sicurezza dei cibi. Il Convegno è aperto anche ai rappresentanti delle Associazioni Pazienti che siano interessati a mantenersi aggiornati direttamente
alla fonte in materia di novità sulla ricerca
scientifica e sulla normativa europea. Ospiti di questa edizione sono stati i ricercatori
dell’INRA (Istituto Nazionale Francese per
la Ricerca sull’Agricoltura) di Nantes.
Come per tradizione, il Convegno si divide
in una parte dedicata ai problemi di analisi
e manipolazione del glutine, mentre la seconda parte verte sugli studi clinici.
NELLA FOTO: La piazza principale di
Nantes in Francia dove si è tenuto il 28°
Convegno del Gruppo di Lavoro sulle
Prolamine – PWG
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Di Luisa Novellino
Responsabile Ufficio Scientifico AIC
A Nantes, in Francia, si è tenuto il 28° Convegno del PWG, Prolamin Working Group,
ossia il Gruppo di Lavoro sull’Analisi e la
Tossicità delle Prolamine, i componenti dei
cereali tossici per i celiaci. Il Convegno si
tiene annualmente e costituisce un fondamentale punto di incontro e aggiornamento
di diversi studiosi europei e non, medici, ricercatori da istituti pubblici e dai laboratori
di sviluppo di diverse aziende, che fanno il
punto sugli aspetti analitici e clinici relativi a glutine, malattia celiaca e altre patologie correlate al glutine, come pure sulla
Analisi e manipolazione del glutine
Il Convegno si è aperto con una sessione
dedicata agli ultimi sviluppi sulla ricerca
dell’Allergia al Grano (S. Denery, O. Tranquet,
INRA, Francia), una condizione patologica
completamente diversa dalla celiachia, che
coinvolge meccanismi immunitari diversi,
è scatenata da un complesso di molecole del grano non del tutto sovrapponibile
a quello della celiachia, e comporta tempi
di risposta e reazioni ben differenziate da
quelle della celiachia, inclusi l’eruzione cutanea e lo shock anafilattico. Si tratta tuttavia di una condizione che interessa circa il
16% delle persone con allergie alimentari,
di cui il 6% tende ad avere shock anafilattico. In genere la reattività nei bambini tende
ad essere diversa da quella degli adulti sia
come livello di intolleranza alla farina di
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grano, sia come risposta immunitaria. La
ricerca clinica si pone diversi interrogativi, non tutti ancora risolti e in fase quindi
di studio. Ad esempio, un quesito importante riguarda i livelli minimi consentiti di
glutine che una persona allergica al grano
può tollerare, limite che secondo la normativa europea è imposto pari a 20 ppm per
i celiaci. Si è trovato che circa il 96% degli
allergici al grano può tollerare la soglia dei
20 ppm di glutine, ma a differenza della
celiachia il quadro è molto più complesso
perché pare che oltre al glutine ci siano altre molecole responsabili della risposta allergica. Per cui si tende ad una totale esclusione dei cereali. Infatti, è dimostrato che le
differenti frazioni proteiche del grano diano
luogo a forme allergiche diverse fra loro: le
proteine solubili (tipo le albumine) possono portare alle forme asmatiche di allergia,
mentre le proteine insolubili (come il glutine) allo shock anafilattico. Quest’ultima
forma sembra essere la più diffusa (90%
degli allergici), e si è trovato che le alfagliadine siano le responsabili della risposta
allergica. Di conseguenza, la ricerca sta ora
cercando di identificare quelle porzioni di
alfa-gliadina (epitopi) che negli allergici
scatenano la risposta immunitaria. Inoltre alcuni pazienti sono allergici al glutine
deamidato, dando luogo ad una condizione
ulteriore, che è diversa dall’allergia al grano, per cui diversi studi stanno identificando anche gli epitopi del glutine deamidato.
Sperimentazione
Come ti manipolo
il glutine
Lo scopo di queste ricerche è di capire se e
come le proteine del grano possano essere
modificate per evitare la risposta dannosa
nei pazienti con allergia.
Diversi metodi sono attualmente disponibili per misurare la quantità di glutine negli
alimenti e per certificare che un alimento sia
gluten-free. Di questi test, il Codex Alimentarius ha per ora approvato il metodo
R5 ELISA della R-Biopharm come sistema
standard di misurazione del glutine. Come
è noto, questo test si basa sul riconoscimento da parte di un anticorpo (R5) di una
sequenza di 5 aminoacidi (mattoni costituenti le proteine e quindi anche il glutine)
che sono abbondantemente presenti nelle
proteine della farina. Un altro metodo di
misurazione che è in fase di validazione
(G12 ELISA della Romer Labs) si basa su un
anticorpo (G12) che riconosce una sequenza specifica di 6 aminoacidi del glutine.
Entrambi i metodi sono in grado di valutare
la quantità totale di glutine presente in un
prodotto a base di o contenente farina.
Diverse industrie stanno studiando e sviluppando ulteriori sistemi di rilevamento
del glutine nelle diverse matrici alimentari, tra cui metodi veloci basati sull’uso di
strisce (strips) già imbevute dei reagenti
necessari per l’analisi. È importante sottolineare che, data la loro natura approssimativa, queste metodologie “veloci” sono
idonee solo per le aziende alimentari che
per ovviare agli ingenti costi di esternaliz-
percentuali
Il 16% delle persone con allergie
alimentari presenta allergia
al grano, e di questi il 6% tende
ad avere shock anafilattico
Oltre ai grani alternativi che nel futuro potrebbero dare luogo a farine non tossiche, un altro
approccio al problema è costituito dalla modificazione delle proteine tossiche del grano. Come
si sa, queste sono resistenti alla digestione enzimatica nell’uomo grazie alla loro particolare
natura ricca in unità strutturali dette proline. Tuttavia, da diversi anni sono in sperimentazione
alcuni enzimi non umani (derivati da alcune specie batteriche o da funghi) che invece hanno
la capacità di distruggere (idrolizzare) il glutine. Uno degli studi presentati (T. Sontag-Strohm,
Università di Helsinki, Finlandia) si basa su un metodo alternativo di distruzione del glutine,
mediante cioè ossidazione chimica con ferro (ioni ferro trivalente) e perossido d’idrogeno
(acqua ossigenata), la cosiddetta chimica ossidativa di Fenton. Gli esperimenti mostrano
che in circa 4 ore si ottiene una distruzione di circa il 60% del peptide-33 (un modello strutturale
di glutine per gli esperimenti in vitro), e attualmente gli stessi esperimenti sono in atto sulle
farine di grano e di orzo. Nel caso di successo degli studi tuttora in corso, il metodo potrebbe
avere il vantaggio di “aggiungere” ioni ferro e acqua ossigenata agli ingredienti del preparato
alimentare durante il suo processamento per arrivare a detossificare il glutine presente.
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L’importanza del monitoraggio: Domande e misure
Il monitoraggio di una rigorosa dieta gluten-free è al momento l’unica possibilità
per il paziente celiaco di evitare i danni dovuti all’esposizione cronica di glutine e
quindi all’attivazione del sistema immunitario. Inoltre, nei pazienti con persistenza
della sintomatologia, il monitoraggio della rigorosa assenza di contaminazioni
è fondamentale. Ad oggi sono stati introdotti e sperimentati diversi metodi di
monitoraggio, tra cui: il diario quotidiano dei pazienti, i questionari, i dati clinici
(sintomatologia), la sierologia e l’istopatologia (biopsia). Un gruppo italiano (C.
Catassi, S. Gatti, Università Politecnica delle Marche, Ancona) ha presentato
i risultati di uno studio in cui è stato valutato l’impiego della metodologia di
misurazione del glutine mediante anticorpo G12 (di cui parliamo anche in
un’altra parte dell’articolo) nelle feci di pazienti pediatrici e controlli (soggetti
sani). I risultati sono stati confrontati con le risposte date dai soggetti in un
questionario apposito. Il metodo si è dimostrato sensibile e con il chiaro
vantaggio di non essere invasivo, inoltre presenta una buona correlazione con i
risultati ottenuti mediante sierologia e con il quadro sintomatologico dei pazienti.
I risultati ottenuti daranno luogo ad uno studio multicentrico al fine di validare
definitivamente la metodologia.
le ricerche mirano
a grani alternativi non
tossici con cui produrre
farinacei per i celiaci
zazione delle analisi potranno (limitatamente ad alcuni passaggi della produzione)
adoperare questi test, ma in nessun caso
secondo la normativa attuale i test veloci
possono sostituire i metodi ufficiali per la
certificazione di un alimento come glutenfree, né devono essere usati dai pazienti per
verificare contaminazioni o simili.
Anche quest’anno sono stati presentati alcuni studi sullo sviluppo di grani alternativi
che nel futuro potrebbero essere impiegati
per la produzione di farinacei non tossici
per i celiaci perché non contenenti quelle
proteine che scatenano la risposta immunitaria (Jan Schaart, Università di Wageningen, Olanda). Si sa, infatti, che il grado
di presenza e la composizione degli epitopi
tossici per i celiaci (quelle porzioni di proteine del glutine che innescano la reazione
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immunitaria nel celiaco) variano molto tra
le diverse varietà di uno stesso cereale, e tra
grano, orzo, segale e farro. Per la stessa avena sembrano esserci varietà con maggiori quantità di epitopi tossici e varietà con
minori livelli di epitopi tossici. Siccome
queste variazioni sono dovute a differenze
genetiche tra le varietà e le specie di cereali, diversi studi stanno affrontando l’analisi genomica e proteomica (cioè lo studio
della composizione di geni e di proteine, rispettivamente) allo scopo di individuare il
profilo di tossicità di ogni varietà di cereale.
La specie maggiormente studiata è l’Aegilops Tauschii, coltivata vicino al Mar Caspio.
Nel 2013 è stato pubblicato uno studio che
mostra la complessità genetica di questa
pianta che a differenza del grano comune
(Triticum Aestivum) generalmente non contiene (nel 96% dei casi) una particolare
frazione proteica dell’alfa gliadina (proteina tossica per i celiaci). Gli studi in corso
evidenziano che l’Aegilops Tauschii non è
sicuro per i celiaci, ma contiene meno proteine tossiche rispetto al Triticum, quindi
potrebbe essere utilizzato come punto di
partenza per la selezione di grani geneticamente diversi che nel futuro potrebbero
essere compatibili con la malattia celiaca.
Studi clinici
La diagnosi della malattia celiaca può essere
in diversi casi un percorso lungo. In genere, infiammazioni gastrointestinali portano
all’aumento di certi anticorpi nel sangue. In
tal caso, lo specialista procede con l’esecuzione della bioscopia gastroduodenale per
valutare il danno della mucosa intestinale.
In particolare, l’atrofia dei villi intestinali
rappresenta una forte evidenza di malattia
celiaca in atto. In certi casi può essere necessaria la valutazione del repertorio genetico del paziente (analisi degli alleli HLA)
per rinforzare la diagnosi di celiachia. In
ogni caso, la rigorosa aderenza alla dieta
gluten-free porta generalmente al miglioramento del paziente e alla remissione del
quadro clinico. Generalmente, il dosaggio
anticorpale nel sangue non ha un valore
diagnostico di per sé, ma è indicativo di
uno stato clinico che deve essere avvalorato
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concentrazione molto elevata di IgA-antitransglutaminasi (al di sopra di 10 volte il
valore limite) è stata proposta come conditio sine qua non per avere diagnosi pediatrica senza biopsia. Due anni fa, è stato iniziato
uno studio multicentrico (che cioè interessa
diversi gruppi di ricerca in diverse città europee) per valutare un corretto approccio
diagnostico alla celiachia nell’età pediatrica e adolescenziale adoperando esclusivamente i titoli anticorpali (T. Mothes,
Università di Lipsia, Germania). Si tratta di
uno studio retrospettivo, cioè dai dati clinici
di pazienti in cui la malattia celiaca è stata
accertata o esclusa secondo il metodo standard (analisi del sangue e biopsia intestinale) si cerca di ricavare a ritroso (mediante
quantificazione degli anticorpi nei campioni di sangue e analisi statistiche) quei profili
di concentrazioni anticorpali che in maniera non equivoca possano descrivere la
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Le nuove linee guida ESPGHAN
si chiedono se nell’età pediatrica
e adolescenziale sia possibile arrivare
ad una diagnosi certa senza biopsia,
quindi valorizzando al massimo l’uso
dei test anticorpali
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dalla biopsia. Secondo le nuove linee guida
ESPGHAN (la Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica, si veda CN2/2014 pag. 62), la celiachia
è una patologia complessa, una combinazione variabile da individuo a individuo di
manifestazioni cliniche correlate al glutine,
di concentrazioni di determinati anticorpi
nel sangue, enteropatia (danno intestinale)
e presenza di geni HLA-DQ2 o HLA-DQ8.
Di conseguenza, sta crescendo l’importanza
diagnostica attribuita agli anticorpi. Gli anticorpi IgA anti-endomisio (IgA-EmA), gli
IgA-anti-transglutaminasi e gli IgG antiGliadina deamidata hanno più o meno la
stessa efficienza diagnostica.
Le nuove linee guida ESPGHAN si chiedono se nell’età pediatrica e adolescenziale sia
possibile arrivare ad una diagnosi certa senza biopsia, quindi valorizzando al massimo
l’uso dei test anticorpali. In particolare, una
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in 3 minuti
cosa
A Nantes, in Francia, si è
tenuto il 28° Convegno
del PWG, Prolamin
Working Group, ossia
il Gruppo di Lavoro
sull’Analisi e la Tossicità
delle Prolamine.
CHI
Il Convegno è un punto di
incontro e aggiornamento
di diversi studiosi europei
e non, medici, ricercatori
da istituti pubblici
e dai laboratori di sviluppo
di diverse aziende.
COME
Il Convegno si divide
in una parte dedicata
ai problemi di analisi
e manipolazione
del glutine, mentre
la seconda parte verte
sugli studi clinici.
malattia celiaca senza falsi positivi o negativi. In 11 centri di 5 paesi europei sono stati
arruolati circa 900 giovani pazienti. È molto
probabile che lo studio porti alla definizione di quella o quelle combinazioni di valori
anticorpali per cui la biopsia potrebbe non
essere necessaria solo nei casi eclatanti o
comunque chiari di celiachia pediatrica.
Il minisimposio sui recettori per l’antigene nella malattia celiaca ha visto gli interventi di
Frits Koning (Università di Leiden, Olanda) e di Knut Lundin (Università di Oslo,
Norvegia). Il primo ha discusso le basi
molecolari del riconoscimento dei peptidi della gliadina (i componenti tossici del
glutine per i celiaci) da parte delle molecole (recettori) presenti sui linfociti T (le
cellule del sistema immunitario coinvolte
anch’esse nella risposta infiammatoria al
glutine nei celiaci). Grazie a metodologie
molto sofisticate, il Prof. Koning è riuscito a caratterizzare questi recettori dimostrando caratteristiche molto sorprendenti
che hanno un significato importante per
la comprensione dello sviluppo della malattia celiaca. Questi studi hanno mostrato
anche una potenziale utilità diagnostica e
prognostica, dal momento che l’espressione di tali recettori sulle cellule T dipende
dalla fase della malattia in cui si trova il
paziente (precoce, conclamata, complicata). Il Prof. Koning ha anche accennato
a importanti progressi metodologici nella
caratterizzazione dei linfociti del sangue
periferico grazie a sofisticate indagini citofluorimetriche che permettono di studiare
sulla stessa cellula fino a 36 marcatori diversi. Anche questo tipo di analisi si presta
ad applicazioni diagnostiche, oltre a consentire di esplorare il ruolo che le differenti sottopopolazioni di linfociti T hanno
nella patogenesi della malattia celiaca.
Il Prof. Lundin ha riportato i risultati delle
sue ricerche aventi per oggetto la misurazione del numero di linfociti T specifici per
la gliadina nel sangue periferico. Il metodo con cui questi vengono svelati è basato
sull’uso di tetrameri; si tratta di molecole
costituite da recettori HLA (molto semplificando, le proteine complesse espresse dai
linfociti T per rilevare e distinguere molecole estranee come ad esempio il glutine)
e peptidi (cioè porzioni) della gliadina che
vanno a marcare le cellule T specifiche. È
una metodica molto sensibile capace di
svelare una cellula gliadina-specifica su
10.000 cellule circolanti. Queste cellule sono presenti solo nei pazienti celiaci;
quindi ne discende il possibile valore diagnostico futuro di questa tecnica. Il gruppo del Prof. Lundin ha infatti già applicato
questo metodo in uno studio sperimentale
per discriminare i pazienti celiaci da quelli
sensibili al glutine.
Infine la Professoressa Nadine Cerf Bensussan (Istituto delle Malattie Genetiche di
Parigi, Francia) ha presentato i meccanismi
che portano alla perdita della tolleranza
nei confronti del glutine. Ha presentato i
suoi dati sul modello animale da lei creato.
Si tratta di topi transgenici capaci anche di
esprimere grandi quantità di IL15 una molecola chiave per lo sviluppo della malattia
celiaca. In questo modello ha potuto esplorare i meccanismi che nella mucosa intestinale trasformano i linfociti T in killer delle
cellule epiteliali e responsabili quindi del
danno mucosale indotto dal glutine (atrofia
dei villi intestinali). Perché quale sia il meccanismo per cui nel celiaco, a differenza del
soggetto sano, si produca in maniera incontrollata la IL15 non è ancora chiaro, ma oltre
al glutine stesso è probabile che infezioni
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