Rischi per l’Europa e Rischi Globali – quali scenari al 2020 ? 23 Marzo 2015 Negli ultimi trimestri i rischi per l’economia europea e i rischi per l’economia mondiale si sono significativamente ridotti sia in numero che in sistemicità potenziale. In particolare, il rischio più estremo, ossia quello del breakup dell’euro, si è notevolmente ridimensionato, pur rimanendo possibile una uscita della Grecia dalla moneta comune. A determinare un quadro economico in progressivo, anche se lento, miglioramento contribuiscono la forte riduzione del prezzo del petrolio e l’avvio del robusto Quantitative Easing da parte della BCE, manovra che consente di allontanare non solo il rischio del breakup dell’euro ma anche di una deflazione prolungata in Europa. Il rischio maggiore per l’economia globale risiede in un eventuale forte ristorno sui prezzi degli assets a seguito dei forti apprezzamenti degli ultimi anni in conseguenza delle forti iniziezioni di liquidità operate dalle banche centrali. Questo rischio diverrà tanto maggiore e tanto più pericoloso quanto più il trend rialzista continuerà nei prossimi trimestri. I rischi principali per l’economia europea e/o globale appaiono oggi essere i seguenti: 1) Uscita della Grecia dall’euro – rischio per la crescita e la stabilità in Europa, impatto limitato a livello globale. Il risultato elettorale di inizio 2015 in Grecia è stato avverso al prolungamento del piano concordato nel 2010 con i suoi creditori (ossia EU, IMF, BCE), con la formazione di un governo caratterizzato da una forte connotazione di anti-austerità. Allo stato attuale, la negoziazione tra Atene e la troika prevede un rinvio a fine giugno per finalizzare un nuovo accordo. L’ostacolo principale al raggiungimento di tale accordo risiede nella necessità di supportare finanziariamente la Grecia, allentando il programma di austerità senza che ciò costituisca un precedente pericoloso (moral hazard) per gli altri paesi “periferici” pure alle prese con seri problemi di finanza pubblica, sociali e occupazionali. Peraltro, la maggior parte degli altri governi dell'Eurozona rimane contraria a qualsiasi riduzione dello stock del debito greco, dato che l'EFSF, la BCE e i prestiti bilaterali degli altri governi dell'Eurozona rappresentano oltre il 70% del debito greco. Il robusto Quantitative Easing della BCE è certamente un fattore di miglioramento del credito e del sistema bancario dell’intera eurozona e quindi di semplificazione anche per la soluzione del “problema greco” – ma la soluzione strutturale della crisi greca rimane complessa e in ultima analisi improbabile senza incorrere nel rischio di moral hazard per gli altri paesi europei. In sintesi, la probabilità di accadimento del Grexit è oggi significativa. Con l’aiuto del suo modello globale e per paese, Oxford Economics (OE) ha quantificato l’impatto di uno scenario in cui la Grecia esca dalla zona euro, introducendo una nuova moneta, intervenendo sul sistema bancario locale, e tagliando il valore nominale del debito del 50%. Questo porterebbe ad una spirale imprevedibile di eventi che potrebbero includere una combinazione di: controllo sul movimento dei capitali, blocco dei depositi bancari per consentire prestiti forzati delle banche al governo, emissione di cambiali in luogo dei pagamenti effettivi ai fornitori e lavoratori del settore pubblico - in effetti un default in piena regola. Un tale scenario avrebbe implicazioni enormi per l'economia greca, che vedrebbe una contrazione del 25% del PIL rispetto all’ipotesi di permanenza nell’euro nei due anni successivi. In questo stesso scenario, l’impatto sull’economia dell’eurozona è invece stimato essere molto più moderato, grazie soprattutto all’inevitabile incremento del programma di quantitative easing della BCE (nello scenario OE viene ipotizzato un raddoppio). La crescita nel resto della zona euro rallenta di poco più dell’1% sia nel 2015 che nel 2016 rispetto alla previsione di base. Nonostante questo, i paesi con le finanze pubbliche meno in ordine risentono negativamente dell’aumento degli spread Francia e Italia entrano in contrazione o stagnazione nel 2015 e 2016. Tuttavia, un forte (ma irregolare) rimbalzo prende piede nel 2017, con la zona euro in crescita di oltre il 2% annuo negli anni successivi. La crescita del PIL mondiale è di circa 0,3% più lenta sia nel 2015 che nel 2016. 2) Turbolenze nei mercati finanziari (Scenario Risk-off): rischio globale con forte contrazione del ritmo di crescita mondiale. I principali mercati finanziari hanno ormai raggiunto i massimi storici precedenti la crisi finanziaria del 2008, con il Dow Jones USA che continua a ritoccare i suoi massimi. Allo stesso tempo, il calo dei prezzi del petrolio continua a sostenere le prospettive dell'economia globale, rilanciando l’attività economica nei paesi più avanzati e nei principali emergenti, India e Cina. Tuttavia, lo stimolo monetario annunciato dalla BCE per i prossimi 18 mesi contribuisce, con i QE di USA e Giappone, a determinare un’iniezione di liquidità globale senza precedenti, creando le condizioni per prezzi degli assets eccessivamente gonfiati. Inoltre, il ciclo delle principali economie mondiali non è al momento ben sincronizzato e la necessità di adottare politiche differenti nelle varie aree potrebbe essere una fonte di tensione. Due appaiono essere i potenziali “trigger” di un eventuale scoppio delle bolle che si stanno formando: l’ormai attesa stretta monetaria negli Stati Uniti, la cui tempistica e dimensione dovrà essere calibrata molto attentamente dalla Fed, e le preoccupazioni per la lenta crescita in Cina e in altri mercati emergenti. Il rallentamento dell’economia cinese è pianificato dai policy makers cinesi, ma la situazione del settore bancario potrebbe sfuggire di mano, mentre importanti paesi come Russia, Brasile, Sud Africa, Indonesia e Turchia sono alle prese con gravi squilibri di bilancio pubblico o commerciale. Questi elementi potrebbero poi coincidere temporalmente con eventuali valutazioni negative sullo sviluppo della crisi greca e/o di quella tra Russia e Ucraina. Qualunque sia il motivo scatenante, i mercati tendono a reagire pesantemente alle notizie negative, innescando reazioni basate sull’esperienza di crisi precedenti. Di conseguenza, Oxford Economics ha calibrato una simulazione sul suo modello con uno shock finanziario pari: a) a circa tre volte quello osservato nello scorso mese di ottobre, b) di durata più lunga della crisi LTCM-Russia (che nel 1998 vide protagonista il fondo Long-Term Capital Management che avendo utilizzato una leva eccessiva finì per fallire a causa della sopravvenuta crisi finanziaria in Russia, coinvolgendo nella sua bancarotta molte tra le maggiori società finanziarie globali) oppure c) della reazione all’annuncio del tapering del maggio 2013, ma d) molto più breve rispetto sia allo scoppio della bolla dotcom che della crisi finanziaria globale del 2008-09. L’impatto di un tale scenario comporta un ampliamento degli spread obbligazionari nei mercati emergenti e nelle economie periferiche dell'eurozona mentre vengono ulteriormente ridotti i rendimenti delle obbligazioni “rifugio”, ossia quelle del Tesoro USA e dei Bund tedeschi. Lo shock sui mercati finanziari causa un brusco rallentamento del PIL mondiale, rispettivamente a 1,5% e a 1,3% nel 2015 e nel 2016 (dal 2,8% e 3,1% della previsione di base). In questo scenario, le autorità monetarie globali si trovano ad avere poche armi a loro disposizione, potendo al massimo lasciare i tassi di interesse ridotti più a lungo di quanto oggi ci si aspetti. E’ da notare che la stima di Oxford Economics di oltre 3% di riduzione della crescita mondiale in due anni è stata effettuata a partire dai prezzi degli assets odierni. In realtà, essendo i programmi di Quantitative Easing della BCE e della Bank of Japan per i prossimi anni molto aggressivi, è probabile che l’effetto di questa ulteriore forte iniezione di liquidità faccia salire ulteriormente i prezzi prima che inizi l’inevitabile ristorno. La gestione della forward guidance da parte delle banche centrali sarà essenziale ad evitare che il ristorno si trasformi in un collasso, con un impatto sempre più profondo sull’economia reale quanto più il ristorno sarà ritardato. 3) Collasso Investimenti in Cina: forte impatto regionale con rischio globale, ma relativamente limitato. La quota degli investimenti sul PIL cinese (ben oltre il 45% nel 2013) è stata riconosciuta come eccessiva e potenzialmente pericolosa per l’economia cinese dal Plenum del Partito Comunista Cinese sin dal 2013. Da allora le autorità monetarie e governative della Cina si sono dimostrate in grado di gestire la riduzione degli investimenti anche se l’aumento dei consumi privati non è ancora in linea con quanto programmato e il tasso di crescita dell’economia sta di conseguenza rallentando. Per ora, il ridotto stimolo monetario appare essere appropriato, tuttavia il settore immobiliare è quello che sta guidando la decelerazione degli investimenti. I prezzi delle case sono ulteriormente caduti, le vendite si sono ridotte dell’8% rispetto ad un anno fa e l’eccesso di offerta sta di conseguenza accelerando. L’effetto negativo sulle industrie fornitrici del settore immobiliare è a sua volta visibile. In questo scenario il rischio di un blocco nella crescita degli investimenti sarebbe esacerbato da una reazione negativa alla constatazione dell’abbattimento del tasso di ritorno sugli investimenti. Soprattutto le imprese statali - che già presentano un ROI di circa la metà delle imprese private – sarebbero costrette a ridurre drasticamente i loro investimenti alla luce della difficoltà di trovare investimenti profittevoli in un ambiente economico a trazione ridotta. Oxford Economics ipotizza che queste problematiche si concretizzino in un anno di crescita zero per gli investimenti cinesi. In un momento in cui sarebbe difficile per la Cina contare molto sulle esportazioni a causa della perdurante debolezza dell’economia mondiale, la fiducia di produttori e consumatori ne risulterebbe indebolita in maniera significativa. Le banche cinesi sarebbero colpite dall’aumento dei fallimenti delle imprese, dei crediti inesigibili e delle sofferenze relative a prestiti alle imprese di costruzioni e alle imprese nella value chain del settore immobiliare. Nonostante le risposte delle politiche economiche e monetarie che sarebbero adottate dalle autorità cinesi, in questo scenario il tasso di crescita del PIL cinese si ridurrebbe al 5.2% nel 2015 e al 4.2% nel 2016. Le implicazioni negative per i paesi con forti legami con la Cina porterebbero il tasso di crescita dell’economia mondiale al 2.2% nel 2015, oltre mezzo punto percentuale più basso della previsione di base. In sintesi, il rischio quantitativamente più elevato a livello globale è rappresentato dalla massa di liquidità iniettata sui mercati finanziari e del credito negli ultimi anni dalla Fed e programmata in dimensioni anche maggiori per i prossimi anni dalla BCE, dalla Bank of Japan e da altre banche centrali. Questo rischio sarebbe oggi gestibile con un ritocco (pur significativo) ai tassi di crescita globali, ma può divenire pericoloso ove, come probabile, dovesse prolungarsi di qualche anno. Emilio Rossi Presidente EconPartners Senior Advisor, Oxford Economics Milano, 23 Marzo 2015