Che cosa fosse l'economia cinese nessuno bene lo sapeva in Italia quando
circa 20 anni fa Maria Weber ha cominciato a studiarla. Allora la Cina era
un fenomeno politico, una curiosità antropologica, un fenomeno esoterico,
quasi magico, fra la lettura del futuro con gli steli dello Yi Jing, le pozioni
miracolose della medicina tradizionale e un buddhismo che poteva essere
qualunque cosa, tantrico, mahayana o zen, tanto dall'Italia era tutto uguale.
E chi vantava una conoscenza “sul campo” leggeva la Cina attraverso la
lente distorta dei suoi pregiudizi politici.
In quegli anni Maria cominciò a occuparsi di una materia nuova e
inesplorata, l'economia cinese. Pochi, non solo in Italia, allora credevano
che la Cina fosse un fenomeno economico, una potenza emergente. I più
scommettevano sul rapido rallentamento del ciclo di sviluppo di Pechino e
pensavano che dietro alla vertigine di cifre che arrivavano da lì si
nascondesse un semplice fuoco di paglia. Questo era motivo sufficiente a
spingere alla distrazione, alla sufficienza rispetto alla Cina che si svegliava.
Maria invece, pur con prudenza, attenzione, e senza facili entusiasmi, senza
ideologia, cercava, scavava nell'economia cinese e per prima in Italia ne
dava conto in maniera seria, documentata aprendo quello che poi con gli
anni si è rivelato il vero grande fronte della ricerca.
Dura, testarda, curiosa, appassionata, altera, timida, il suo contributo umano,
per noi che abbiamo avuto la fortuna di esserle amici, è stato grande quanto
quello scientifico. La sua grande vittoria professionale e umana forse è stata
proprio quella di andarsene quando la Cina, durante la crisi economica oggi
in corso, affermava il suo ruolo di grande creditore del mondo. Nel giorno in
cui Wen Jiabao poteva permettersi di manifestare qualche dubbio sulla
solvibilita’ degli Stati Uniti d’America.
Francesco Giavazzi e Francesco Sisci