Sociologia G, lezioni della settimana 12-14 gennaio 2009 Queste dispense presuppongono lo studio del Bagnasco ( il capitolo sulla stratificazione sociale e laMobilità e inoltre il capitolo su età e corso della vita) rispetto ai quali funzionano da complemento 1. Diseguaglianza, stratificazione e classi sociali Il concetto di diseguaglianza comunque definito si accompagna con quello di stratificazione sociale. Stratificazione sociale: il sistema delle diseguaglianze strutturali di una società nei suoi due principali aspetti, quello distributivo, riguardante l’ammontare delle ricompense materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società, e quello relazionale che ha invece a che fare con i rapporti di potere esistenti tra di essi (Manuale di Bagnasco, Barbagli, Cavalli). Strutturale significa che è consolidato e che tende a riprodursi nel tempo. Nel caso specifico la riproduzione nel tempo è assicurata dal passaggio di generazione in generazione delle diseguaglianze. Tra i vari tipi di diseguaglianza la diseguaglianza di classe è quella da più tempo studiata dai sociologi e che ha rappresentato, già per i classici, un banco di prova delle loro teorie su come sta insieme o si differenzia la società industriale. Al di là delle specifiche teorie, ( cfr. il Manuale), si può in generale definire come classe sociale quell’ insieme ampio, ovvero di dimensioni consistenti, di individui o di famiglie che occupano una posizione simile rispetto a risorse costituite da privilegi e ricompense sociali e ai rapporti di potere La dimensione del potere (intesa a partire dalla definizione di Weber, quindi capacità di influenzare il destino di altri attraverso attività di comando, di controllo, di decisione, ecc) evoca una delle dimensioni fondamentali del concetto di classe che è quella relazionale. La dimensione dei privilegi o delle ricompense sociali richiama invece la dimensione distributiva. 1.1 Specificità della appartenenza di classe -La classe sociale è una realtà di fatto, almeno in parte acquisita, non dipende da ordinamenti religiosi o legali, viene in genere misurata su indicatori che hanno rilievo economico, non genera obbligazioni e doveri nei confronti di altre classi. Inoltre i confini tra una classe e l’altra si possono attraversare, a differenza delle barriere di casta . L’appartenenza a una stessa classe, a differenza che l’appartenenza ad un ceto, non implica contatto, comunanza di stili di vita, condivisione di onori, anche se l’appartenenza a una classe sociale implica di solito uno specifico modo di attribuire significato e rilevanza a determinate esperienze (come il lavoro, o l’istruzione). 1.2.Classi sociali: teorie: Cfr Bagnasco al capitolo su Stratificazione e classi sociali, parr. 1-4àcriteri per comparare le diverse teorie -Storicità –astoricità del fenomeno (Marx, Weber versus funzionalismo) -Riferimenti a specifiche strategie dei soggetti per modificare o rafforzare la stratificazione sociale (chiusura, conservazione, rivoluzione, àMarx e Weber) oppure imputazione del fe nomeno ai meccanismi sociali e culturali del sistema nel suo complesso (funzionalismo) -Chiusura/apertura della società (Marx versus funzionalismo) -Monodimensionalità/multidimensionalità dei criteri di stratificazione (Marx versus Weber, funzionalismo). 2. Classi sociali e ricerca empirica: gli indicatori della appartenenza di classe (o della posizione nella stratificazione sociale) 2.1.L'occupazione è l'indicatore più importante per misurare l’appartenenza a una classe sociale. L'occupazione, infatti, no n ha soltanto un contenuto tecnico professionale, ma anche un contenuto sociale. In quanto ha un contenuto sociale l’occupazione rispecchia la struttura dei vantaggi sociali e degli svantaggi sociali (e sappiamo che essi sono connessi al potere (ogni occupazione può essere espressa in termini di autonomia versus dipendenza, di comando e responsabilità versus subordinazione) alla distribuzione delle ricompense sociali àIl criterio usato da Goldthorpe focalizza dell’occupazione due dimensioni: la situazione rispetto al lavoro (grado di qualificazione, autonomia/) e la situazione rispetto al mercato (carriera, retribuzione, sicurezza, prestigio). A questo criterio si ispirano, per l’analisi della mobilità sociale Schizzerotto e Cobalti ( vedi capitolo di Bagnasco sulla mobilità sociale) àIl criterio usato da Sylos Labini è è quello della fonte del reddito derivante dall’occupazione..Ma il reddito descrive solo la dimensio ne economica della posizione sociale e coglie gli aspetti distributivi (chi ha di più chi di meno) e non la dimensione relazionale (a partire dal lavoro: chi ha più autonomia rispetto ad altri, chi esercita più controllo su altri, ecc.). Un limite dell’occupazione quale unico indicatore dell’appartenenza di classe è ovviamente quello di lasciar fuori chi a vario titolo non è occupato. Un altro limite è che l’appartenenza di classe così misurata non tiene conto della struttura familiare in cui entrano i re dditi acquisiti tramite l’occupazione e in cui reddito e risorse umane sono distribuite e consumate ( su questi limiti si veda il par. 5 ). 3. Diseguaglianze, classi sociali e scenari del presente e del futuro In tutti i paesi si può dire che il sistema occupazionale è cambiato, evidenziando una forte contrazione della classe operaia e un relativo aumento della classe media. Ciò prefigura un trend di progressiva modificazione dei confini tra le classi o addirittura di scomparsa dei confini tra le classi ? oppure no? 3.1. Se consideriamo le condizioni materiali pure e semplici si può solo dire che: -è vero che il reddito reale è aumentato nel corso dell' ultimo secolo nella maggioranza della popolazione lavoratrice in maniera da triplicare o quadruplicare quello ottenuto all'inizio del secolo. E così pure quello di impiegati dirigenti e libero professionisti. Nondimeno la distribuzione del reddito è rimasta diseguale. Nel 1991 ad esempio in Gran Bretagna il 20% delle famiglie riceveva metà del reddito totale della popolazione. Il divario è particolarmente alto negli Stati Uniti, meno in Europa (in Europa il più alto indice di diseguaglianza è della Francia e dell'Italia). 3.2 Se consideriamo altre risorse, quelle ad esempio legate al lavoro (potere, qualificazione, ecc.) ci sono pareri contrastanti -La teoria dell’industrialismo liberale , erede del funzionalismo, sostiene che le diseguaglianze di classe sono destinate a scomparire poiché: -aumenta il bisogno di lavoro qualificato -devono quindi aumentare le occupazioni qualificate -per costruire le quali non ci si può basare, ovviamente, su alcun meccanismo ereditario, dl momento che la competenza si costruisce attraverso l’istruzione -dunque la istruzione elevata si diffonde, e, con la sua diffusione, aumentano i candidati o poi gli effettivi occupanti delle posizioni occupazionali qualificate; A questa posizione uno studioso italiano, Schizzerotto studioso delle classi e della mobilità sociale in Italia, obietta che le diseguagliazne di classe permangono. E’ un dato di fatto che: -ancora oggi, almeno in Italia, si può osservare l’esistenza di una chiara relazione statistica tra appartenenza di classe e possesso di un titolo di studio e tra appartenenza di classe e rendimento occupazionale dell’istruzione (a parità di titolo di studio, ad esempio della laurea, il figlio ingegnere di un operaio avrà più difficoltà a trovare lavoro del figlio di un medico o di un dirigente, e il suo lavoro con maggior probabilità sarà meno remunerato economicamente e socialmente di quello del figlio ingegnere del medico o dirigente. -Inoltre e più in generale, la società tecnologica e dei servizi non chiede solo lavoro qualificato, ma esige altresì, lavoro dequalificato. Così anche i cosiddetti cattivi lavori ( routinizzati, o faticosi, o in ambienti affollati e rumorosi, o con turni disagevoli, o senza prospettiva di carriera, ecc) non sono solo tipici di una società tradizionale, ma si riproducono anche in una società terziarizzata (si pensi ai servizi di ristorazione rapida, ai call center, ai servizi di assistenza agli anziani non autosufficienti, ecc.) Schizzerotto, sostiene in conclusione che seppure i sistemi di welfare , la tassazione progressiva, la generalizzazione dell'istruzione hanno smussato le estremità superiori e inferiori della scala della diseguaglianza, non esiste praticamente alcuna sfera della vita sociale che non sia toccata dalle diseguaglianze di classe (compresa la probabilità di ammalarsi). -La teoria erede delle posizioni marxiste sostiene che lungi dallo scomparire il proletariato è destinato a ingrossarsi inglobando quella parte di impiegati/commercianti sottoposti a processi di proletarizzazione (in senso stretto proletarizzazione significa perdita di autonomia, quello che potrebbe succedere a un commerciante che deve o chiudere bottega o rassegnarsi a fare il lavoratore dipendente in un supermercato; in senso lato con proletarizzazione si può intendere la erosione delle risorse distintive della classe media , indipendente o dipendente, e la progressiva perdita di controllo sulle condizioni di erogazione del lavoro, sulle sue regole, e più in generale sulle chances di carriera e di vita ad esso legate. Anche il lavoro impiegatizio, specie quello di basso livello, è dunque soggetto alle stesse condizioni di dequalificazione, impoverimento, alienazione subite dal lavoro operaio nel sistema di produzione di massa. Quindi, anche se oggi molte più persone hanno lavori non manuali rispetto al passato, ciò non significa che la classe media, grazie a questo processo, sia aumentata. Quello che stiamo vedendo, anzi, è, sostiene Braverman negli anni '70 (Lavoro e capitale monopolistico, 1974), un vero e proprio processi di proletarizzazione di massa. Contro questo tipo di tesi si pongono le opinioni di coloro che tendono, al contrario a dare enfasi ai processi di frammentazione sopravvenuti all’interno della classe superiore che depotenzierebbero il potere de lla classe borghese come classe dominante àSi parla in proposito della scomparsa della classe superiore e dell'avvento di una classe di servizio fatta di alti dirigenti, professionisti, grandi amministratori (Goldthorpe). I marxisti sostengono tuttavia che seppure la classe superiore ha cambiato composizione essa mantiene il potere che la caratterizza, e che è definita dalla capacità di controllare il governo dei grandi affari. Va nella stessa direzioni anti- marxista la tesi, peraltro superata, dell’imborghesimento della classe operaia. In realtà gli studi empirici sui processi di modificazione del lavoro hanno prodotto risultati divergenti. Oggi si riconosce la ormai avvenuta e profonda frammentazione della classe operaia tradizionale, ma si è molto cauti nel parlare di imborghesimento L'imborghesimento della classe operaia. In una famosa ricerca condotta da Goldthorpe nel 1968 1969 su un campione di operai di una fabbrica automobilistica, che godeva di salari superiori a quello degli stessi impiegati si dimostrò che la tesi dell'imborghesimento era falsa. Le condizioni di lavoro (ripetitive), il rapporto con il lavoro, le aspettative, ecc. mantenevano questo gruppo all'interno della classe sociale operaia. Successivamente non sono state fatte altre ricerche altrettanto mirate. àQuanto alla classe media, infine, molti studiosi pensano, in polemica con le tesi della proletarizzazione, che al di là delle condizioni di lavoro, di frequente assimilabili a quelle operaie, i colletti bianchi gravitino più verso la classe media, per autopercezione, aspettative, riferimenti culturali. 3.3. In generale, comunque, la crisi del precedente modello industriale e la connessa difficoltà a rimanere stabilmente sul mercato del lavoro modificano profondamente condizione oggettiva e vissuti di ciascuna classe. Se da un lato si potrebbe dire che unificano la classe operaia e a quella media sotto quella particolare egida che non è il tipo di lavoro ma è il rischio occupazione, tendono dall'altro a frammentare tutte le classi lungo le molteplici linee dei regimi di lavoro, dei tipi di contratto dei settori di lavoro e a individualizzare moltissimo il rapporto con il lavoro. Di qui la crescente popolarità guadagnata dalla cosiddetta tesi della frammentazione (che può essere attribuita al sociologo tedesco Ulrich Beck e al sociologo inglese Anthony Giddens). In realtà la tesi sulla frammentazione delle classi si combina con la tesi di una società del rischio in cui non è solo il rischio lavoro, ma sono anche altri rischi a unificare esperienze e destini di individui appartenenti a diverse classi sociali. I rischi derivanti dalla globalizzazione dell’economia, dalla diffusione di malattie su scala planetaria, dal diffondersi dell’inquinamento, ecc. Anche a questa tesi Schizzerotto oppone l’altra tesi, empiricamente confermata, e cioè che l’esposizione al rischio, ai vari tipi di rischio, sia ancora fortemente connotata dall’appartenenza sociale e che dunque le classi siano una realtà ben insediata nel tessuto sociale e fortemente influente sui destini delle persone, sicuramente nella società italiana, anche se non per tutte le generazioni allo stesso modo. à E’ indubbio tuttavia che la crisi del modello full time full life ha generato fenomeni di divisione e riaggregazione che non possono essere osservati e analizzati con la sola lente dell’analisi delle classi sociali, soprattutto in quanto l’elemento portante dell’analisi delle classi sociali, cioè l’occupazione è sempre meno scontato per presenza e durata nella vita delle persone, così come sempre meno scontata è la diversa posizione di uomini e donne nella divisione del lavoro sociale e familiare (l’uomo al lavoro, la donna a casa), stabilita dal modello fordista. Il fatto che le donne oggi lavorino genera dal punto di vista dell’analisi delle classi una serie di problemi di carattere anche metodologico. 3.4.La misurazione della posizione di classe delle donne. Si può facilmente documentare la differenza che intercorre nella distribuzione percentuale degli individui tra le diverse classi sociali a seconda che si consideri come unità di riferimento il singolo individuo o la famiglia. Accade infatti di notare che se l’unità di riferimento è la famiglia ( cioè se si tiene conto che l’occupazione può riferirsi non solo al partner maschile, ma anche a quello femminile) le posizioni relativamente più elevate tendono a essere sopravalutate rispetto a quando accade quando si tiene conto di un solo individuo per famiglia. Se dunque anche l’altro partner lavora, se dunque l’occupazione riguarda anche il genere femminile si pone la questione. - Come si misura la appartenenza di classe per le donne? Dal momento che la misurazione della posizione nella stratificazione sociale (o di classe) avviene spesso sulla base della posizione occupazionale, cosa succede per le donne quando queste non lavorino o siano disoccupate? Vi è chi sostiene (come Goldthorpe) che è giusto desumere la posizione femminile da quella maschile (cioè del partner). L'esperienza occupazionale delle donne è tendenzialmente discontinua, o part-time, ecc. Altri sostengono invece che le donne hanno oggi più chance di lavoro e di carriera, spesso vivono sole e quando non vivono sole con un lavoro che dà loro autonomia di reddito, e quando vivono in coppia e lavorano il loro reddito potrebbe essere altrettanto importante di quello del marito nel acquisire una certa posizione sociale e nel mantenerla. Dunque per il fatto di lavorare stabilmente le donne maturano una autonoma posizione di classe, che talora può essere superiore a quella del marito. E' giusto dunque tener conto della loro specifica posizione. La posizione oggi più diffusa in proposito è quella che raccomanda di tener conto della posizione occupazionale più ele vata tra quelle dei coniugi occupati (potrebbe essere la donna, non necessariamente l'uomo). Questo principio vale anche quando si osservi la appartenenza di classe di un figlio che sta ancora in famiglia e per il quale si registra la posizione di un genitore. Più in generale il criterio cosiddetto della dominance è sensibile non solo alla que stione di genere, ma anche all’importanza del nucleo familiare quale arena entro la quale si costruiscono, si scambiano e si ricombinano risorse di reddito, di aiuto, di cura (care) ecc. 4. Mobilità e tipi di mobilità Per i tipi di mobilità àCfr. Bagnasco, al capitolo sulla mobilità sociale, parr- 1-4. Per le caratteristiche della mobilità sociale in Italia e altrove e per le sue conseguenze cfr. Bagnasco, parr. 5-8 . Queste qui di seguito si devono pertanto considerare integrazioni 4.1. Per capire le ragioni di una mobilità sociale intergenerazionale che in certi periodi in Italia è stata molto elevata, occorre ambientare i processi di mobilità dentro il quadro di uno sviluppo economico che come quello italiano ha prodotto in pochi anni grandi trasformazioni, modificando l'equilibrio tra settori economici, spostando grandi quantità di persone da un capo all'altro della penisola, cambiando i modi e i contenuti del lavoro e l’organizzazione stessa del lavoro. L'elevato numero di passaggi che si sono avuti tra una classe e l'altra vanno quindi depurati dagli effetti strutturali legati allo sviluppo, industriale prima e terziario dopo, che ha ”mosso” e trasformato, insieme agli individui, le strutture economiche e sociali i modi di vivere ad esse connessi. 4.2. -La mobilità sociale intragenerazionale è basata su cambiamenti della posizione nel lavoro tali da causare uno spostamento di classe sociale. Lo spostamento di classe sociale si ha quando il cambiamento di lavoro comporta cambiamenti nella posizione sociale di un’occupazione. La posizione sociale di un’occupazione si basa in primo luogo sul potere e sulle ricompense reali e simboliche (reddito, protezione -sicurezza del lavoro, posizione gerarchica, capitale sociale, prestigio) àMobilità sociale noàpassare da un’azienda all’altra continuando a esercitare lo stesso mestiere, ottenere un aumento di stipendio per effetto di scatti contrattuali automatici; trasformarsi da idraulico in elettricista rimanendo sempre un lavoratore alle dipendenze di piccole imprese tutto ciò cambia poco, o in misura contenuta, le condizioni complessive di vita dei singoli e delle loro famiglie àMobilità sociale sìàimpiegato che diventa dirigente, operaio che diventa lavoratore autonomo, ecc. 4.3. Mobilità sociale intragenerazionale: tendenze e fattori Tendenze: àIn Italia la mobilità sociale intragenerazionale è contenuta. Più in dettaglio si verifica(no) a-scarsa numerosità degli episodi di lavoro a-scarsa numerosità di episodi di cambiamenti di classe basati sul cambiamento di lavoro b-prevalenza dei movimenti di breve raggio d-durate estese di permanenza in un stessa posizione di classe Fattori cui secondo Schizzerotto va addebitata la tendenza a una mobilità sociale intragenerazionale piuttosto contenuta. àorganizzazione del mercato del lavoro, criteri di progressione di carriera, ruolo della famiglia àmercato del lavoro diviso tra piccola impresa non gerarchizzata e grande e media impresa gerarchizzata ma rigida. à- Grande impresa e settore pubblico analoghi nel forte collegamento dell’accesso a credenziali formative àdiscendenti delle classi medie e superiori entrano nel mondo del lavoro dalle stesse posizioni dei loro genitori 4.4. Mobilità sociale intragenerazionale (o mobilità di carriera) e i cambiamenti del lavoro Secondo Schizzerotto (autore della prima inchiesta panel (cioè un’inchiesta ripetuta fatte alle stesse persone a distanza di uno-due anni), sulle famiglie italiane e esperto di analisi della mobilità sociale: cfr. Vite ineguali, Il Mulino 2002, à Anche dopo una lunga storia lavorativa, comunque il numero medio di episodi di lavoro si attesta sotto o attorno ai due cambiamenti -il numero di episodi di lavoro cresce con il crescere dell’anzianità di carriera, tuttavia la differenza tra il numero medio di episodi dopo cinque e dopo vent’anni dall’inizio del primo lavoro appare tutto sommato contenuta. àIl numero medio di episodi di cambiamenti di classe è ancora più contenuto -Esso interessa soprattutto gli uomini -Esso cresce con il passare dalle coorti ( per il significato di coorte cfr. le dispense della prossima settimana) più anziane a quelle più giovani ( dai nati fino al 1927 ai nati tra il 1968-1979). -Tuttavia, l’innalzarsi del numero di episodi di cambiamenti di classe con il trascorrere delle generazioni appare anch’esso decisamente contenuto. Dopo vent’anni di carriera circa mezzo episodio separa, infatti, la prima dall’ultima delle coorti considerate àSecondo Schizzerotto quindi l’analisi della numerosità media dei cambiamenti di classe dimostra che, a parità di ampiezza delle finestre osservative (a cinque dieci, e vent’anni dall’inizio del lavoro), le storie lavorative degli italiani erano nel passato e sono ancora oggi poco dinamiche. Nella sua analisi Schizzerotto si interroga sulle conseguenze che lo sviluppo economico prima e il declino industriale poi hanno prodotto non solo a livello generale ma su diversi gruppi di età o coorti*. 4.5. L’idea di Schizzerotto è infatti che non vi sia, nel tempo una relazione lineare crescente tra andamento dell’economia e della società (occupazione, investimenti, consumi, ecc) e standard di vita o riduzione delle diseguaglianze tra le classi, ma che piuttosto vi siano delle discontinuità a seconda dei periodi. In particolare, secondo Schizzerotto le condizioni complessive di vita del nostro paese sono progressivamente migliorate, fatti salvi particolari momenti critici, in corrispondenza degli eventi bellici, fino alla prima metà degli anni’ 60. Successivamente molte delle opportunità in questione (opportunità di formazione, lavoro, ecc.) sono rimaste inalterate o peggio si sono ridotte. L’analisi per coorte mostra questo andamento non lineare e mostra anche che nonostante i cambiamenti molto profondi che sono intervenuti nella società e nella economia, quel costante atteso miglioramento non si è verificato, perlomeno non in maniera così scontata . à Con il concetto di coorte, e con altri concetti ( come durata, episodi, ecc.) Schizzerotto applica all’analisi della mobilità sociale in Italia concetti e strumenti metodologici propri di una prospettiva sociologica che si chiama “Corso di vita”, e che studia il cambiamento sociale attraverso le traiettorie di vita individuale ( è una prospettiva di tipo micro e macro al tempo stesso). Tradizionalmente lo studio della mobilità intragenerazionale si limitava a comparare al più tre posizioni successivamente ricoperte dai singoli nel sistema della stratificazione sociale , senza prestare attenzione ai percorsi attraverso cui queste posizioni erano state raggiunte ( quindi né durate, né episodi). Inoltre l’età degli individui non era considerata una variabile chiave dell’analisi Sono questi gravi deficit, dal momento che spesso le disparità o diseguaglianze sociali non riguardano solo i punti di arrivo e quelli di partenza, bensì anche la configurazione e la durata delle traiettorie che connettono questi punti. Considerare dunque i diversi percorsi attraverso cui si arriva a destinazione è molto importante per valutare la portata di un risultato finale ( essere disoccupato dal molto tempo e diverso che essere disoccupato da qualche mese, ecc.); -spesso le disparità o diseguaglianze sociali passano attraverso l’età Una diversa età segna infatti una diversa collocazione nel tempo, ma anche nella società, cui possono essere associate risorse e opportunità diverse, a parità di altre condizioni. Ogni età , inoltre si trascina dietro particolari esperienze, dunque orientamenti, aspettative, ecc. che derivano dal particolare contesto e periodo di nascita, di formazione, ecc. Per capire la rilevanza dell’età per l’analisi delle diseguaglianze, occorrerà quindi partire dal concetto di età come costrutto sociale.