Abstracts - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

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Sessione 6: Coesione sociale e istruzione
Gabriele Ballarino, Ivano Bison e Hans Schadee
Abbandoni scolastici ed espansione dell’istruzione in Italia
Il tema degli abbandoni scolastici è tra i più rilevanti dal punto di vista delle politiche
dell’istruzione: l’abbandono, impedendo l’accesso al titolo di studio, annulla i ritorni
all’investimento formativo, e come tale rappresenta un fallimento sia per gli studenti e le famiglie,
che per le istituzioni scolastiche. In un sistema scolastico in cui il tasso di abbandono è elevato,
inoltre, si crea incertezza riguardo al possibile esito dell’investimento stesso, e aumenta
l’importanza delle informazioni disponibili in merito ai vari corsi di studio (Eriksson e Jonsson
1996). Ma tali informazioni sono distorte, e questo a) aumenta il vantaggio di chi proviene da un
origine sociale ed educativa elevata, che aumenta la disponibilità di informazioni, e b) aumenta le
asimmetrie informative tra offerta di istruzione e domanda, il che rappresenta un grosso problema in
una fase di crescita della competizione tra istituzioni che offrono istruzione.
D’altra parte, il problema in Italia è molto poco studiato: il miglior manuale di sociologia
dell’istruzione prodotto dagli studiosi italiani lo affronta solo en passant (Schizzerotto e Barone
2006: 51), nonostante esso venga citato dalle ricerche comparate come una delle principali
caratteristiche del sistema di istruzione italiano (Arum et al. 2006). La letteratura sul tema,
prevalentemente confinata agli ambiti specialistici, e comprende prevalentemente studi di caso
locali o analisi descrittive di dati amministrativi, sembra essere diminuita a partire dagli anni 90,
dopo una discreta fioritura nei due decenni precedenti (Besozzi 2006, cap. 5).
Il paper proposto vuole contribuire allo studio di questo importante fenomeno utilizzando una fonte
(l’indagine ILFI sulle famiglie italiane, cfr. Schizzerotto 1998) finora non usata a questo fine. I dati
ILFI comprendono informazioni longitudinali dettagliate sulle origini sociali e sulle carriere
educative e lavorative di un ampio campione di italiani, e quindi consentono di :
a) descrivere il fenomeno, su tutti i livelli scolastici, distinguendone le diverse modalità (abbandono
degli studi, trasferimento verso altro track, sospensione).
b) studiarne le cause, dal punto di vista della stratificazione sociale: gli abbandoni sono più
frequenti, si suppone, tra le classi inferiori. Ci aspettiamo di confermare questa supposizione, ma ci
chiediamo anche: dipendono dalle risorse economiche/occupazionali o dalle risorse
culturali/educative?
c) studiarne la relazione con l’espansione dell’istruzione. Gli studiosi hanno sviluppato ipotesi
precise in merito; l’espansione di un livello educativo, si suppone, dovrebbe aumentare la selezione
al livello superiore. Nel caso italiano: l’espansione delle scuole medie, degli anni 50 e 60, aumenta
gli abbandoni alle superiori? E l’espansione di queste, nei decenni 70 e 80, aumenta gli abbandoni
all’università?
d) studiarne gli effetti. In apertura si è dato per scontato che l’abbandono rappresenti il fallimento
dell’investimento in istruzione perché chiude l’accesso al titolo. Ma a scuola non si conseguono
solo i titoli: si conseguono competenze cognitive, competenze sociali, contatti con networks sociali
ecc. ecc. Ricerche locali mostrano, inoltre, che spesso gli abbandoni derivano dal reperimento di un
posto di lavoro (Monaci 1992). Confrontando sistematicamente i risultati occupazionali di chi
abbandona e di chi conclude la scuola secondaria superiore si può verificare l’assunzione per cui
l’abbandono è una perdita secca: potrebbe darsi che abbandonare in determinate circostanze sia una
scelta occupazionalmente meno svantaggiosa, rispetto alla prosecuzione, di quanto si supponga
comunemente.
Le tecniche di analisi utilizzate saranno quelle tipiche della ricerca sociologica quantitativa su dati
longitudinali: modelli di regressione logistica per l’analisi delle transizioni educative, modelli di
event history analysis per lo studio delle carriere. Saranno inoltre utilizzati modelli logit cumulativi,
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di recente introduzione negli studi sulla stratificazione (cfr. Ballarino e Schadee 2006). Dati gli
obiettivi primariamente descrittivi del lavoro, si farà ampio ricorso alla rappresentazione grafica.
Riferimenti bibliografici
Arum, R., Gamoran, A., Shavit, Y. (2006), Più inclusione che deviazione: espansione,
differenziazione e struttura di mercato dell’istruzione superiore, in G. Ballarino, D. Checchi, a cura
di, Sistema scolastico e disuguaglianza sociale. Scelte individuali e vincoli strutturali, Bologna: il
Mulino.
Ballarino, G., Schadee, H. (2006), “Espansione dell’istruzione e disuguaglianza delle opportunità
educative nell’Italia contemporanea”, Polis, XX, 2, pp. 207-228.
Besozzi, E. (2006), Società, cultura, educazione, Roma: Carocci.
Erikson, R., Jonsson, J. O, eds. (1996), Can Education be Equalized? The Swedish Case in
Comparative Perspective, Boulder: Westview.
Monaci, G. (1992), Gli abbandoni degli studi universitari in Lombardia, Milano: Angeli.
Schizzerotto, A., (2002, a cura di), Vite ineguali. Disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia
contemporanea, Bologna: il Mulino.
Schizzerotto, A., Barone, C. (2006), Sociologia dell’istruzione, Bologna: il Mulino.
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Carlo Barone
E´ possibile spiegare le disparita´ scolastiche in base al genere ed alle origini sociali attraverso il
merito individuale?
La ricerca empirica sui processi di stratificazione sociale ha da lungo tempo messo in evidenza
l’esistenza di rilevanti differenziali in base al genere ed alle origini sociali nelle opportunità
scolastiche ed occupazionali, in Italia come nella generalità dei paesi economicamente avanzati.
Tali differenziali vengono di norma identificati come disuguaglianze sociali, ossia come il prodotto
di un’asimmetrica ripartizione delle risorse e delle opportunità di studio e di lavoro offerte agli
individui. Ad esempio, le variazioni in base alla classe di origine nelle chance di accesso a diplomi
e lauree vengono comunemente interpretate come iniquità sociali.
Tale interpretazione è talmente consolidata da essere ritenuta pressoché scontata dalla maggioranza
dei sociologi. Tuttavia, negli ultimi 15 anni essa è stata messa in discussione da un numero
crescente di studiosi, i quali tendono ad interpretare i differenziali scolastici ed occupazionali come
il prodotto di variazioni nelle preferenze, nelle abilità innate e negli sforzi individuali. Questa lettura
alternativa mina alla radice la possibilita di interpretare i differenziali in parola come
disuguaglianze sociali. Il recente revival e l’affinamento delle teorie meritocratiche hanno aperto un
acceso dibattito nella sociologia americana ed europea.
Questo lavoro ricostruisce il dibattito sull’argomento ed offre un contributo empirico in riferimento
alla questione delle disparità educative in base al genere ed alle provenienze sociali. Vengono
sottolineate da un lato la rilevanza di tale dibattito per l´interpretazione sostantiva dei risultati di
ricerca empirica nel campo della stratificazione sociale, dall´altro lato le debolezze e difficoltà della
nozione di merito sul piano concettuale e dell´implementazione empirica. Si argomenta che tali
complicazioni sembrano meno preoccupanti nel caso dei processi di selezione scolastica rispetto ai
processi di selezione occupazionale. Successivamente, i dati italiani del progetto PISA, le
rilevazioni IARD sulla condizione giovanile e l´Indagine Longitudinale sulla Famiglie Italiane
vengono analizzati mediante tecniche di
path analysis al fine di sondare la validità
dell´interpretazione meritocratica. Il contributo verte sui differenziali di genere e di classe sociale
nei livelli di apprendimento, nel rendimento scolastico, nelle scelte di indirizzo e negli esiti
scolastici complessivi degli studenti italiani. Segnatamente, l’ipotesi sottoposta a vaglio empirico
riguarda la possibilità di spiegare i differenziali di istruzione sulla base delle preferenze individuali
e dell’impegno a scuola degli studenti. I risultati mettono in evidenza una divergenza tra
differenziali di genere e differenziali in base all´origine sociale: i primi appaiono interpretabili in
larga misura come esito del merito individuale, mentre altrettanto non puo dirsi dei secondi.
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Renato Grimaldi, Adelaide Gallina e Lorenzo Denicolai
Il digital divide tra gli insegnanti delle scuole piemontesi
L’indagine ha come obiettivo di delineare l’effettivo impiego delle nuove tecnologie, in specie della
Rete, nella didattica in aula o a distanza da parte degli insegnanti piemontesi di ogni ordine e grado.
Essa intende valutare qual è stato l’impatto a tal fine della sperimentazione della rete telematica
interscolastica avviata nell’anno 2000 in Piemonte, mettendo in evidenza il divario digitale esistente
tra gli insegnanti piemontesi e indicando operativamente come contrastarlo. La teoria su cui si basa
l'indagine è la seguente: riguardo gli usi didattici delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, gli insegnanti si presentano in modo stratificato e mostrano disuguaglianze
nell’accesso, nel possesso di hardware e software di qualità, nelle competenze, nella formazione
iniziale e nelle modalità della formazione continua, nella posizione sociale che occupano (luogo,
professione – intendendo l’ordine di scuola e la materia che insegnano – genere, età, reddito
famigliare, etc.), nel poter contare su reti sociali, nel modo e nell’esperienza (intesa come tempo) di
utilizzo di tali risorse infotelematiche. Per il controllo delle ipotesi derivate da tale teoria, sono state
condotte analisi statistiche multivariate su di un campione casuale a grappolo di oltre 5.000
insegnanti estratti dalla popolazione di insegnanti piemontesi di ogni ordine e grado (circa 50.000).
La ricerca è stata svolta in convenzione dal Dip. Sc. Educ e Formaz. dell'Univ. di Torino con la
collaborazione della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, della Fondazione Crt
e d'intesa con l'Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte.
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Simone Sarti e Marco Terraneo
Un aggiornamento della scala di valutazione sociale delle occupazioni del 1985
Nelle complesse società contemporanee i ruoli lavorativi rappresentano ancora il criterio primario di
definizione della posizione sociale occupata dagli individui nella società. Le posizioni
occupazionali identificano l’insieme delle risorse materiali e simboliche di cui dispongono gli attori
sociali e i vincoli oggettivi all’azione che questi ultimi devono affrontare. Le scale di stratificazione
occupazionale si propongono pertanto di stabilire l’intensità e la struttura delle differenze di natura
distributiva connesse all’esercizio dell’attività lavorativa. In questo lavoro viene presentata una
scala di stratificazione occupazionale per l’Italia contemporanea realizzata da un gruppo di ricerca
inter-universitario, che recupera e rivisita lo studio condotto da de Lillo e Schizzerotto nel 1985
(DESC). Riteniamo che ancora oggi le scale di stratificazione occupazionale rappresentino
strumenti teoricamente fondati e metodologicamente rigorosi per l’analisi delle disuguaglianze
sociali. La scala che presentiamo in questo paper, e che valuta circa settecento professioni, ha dato
origine ad una segmentazione di centodieci categorie, ad ognuna delle quali corrisponde uno
specifico punteggio di desiderabilità sociale. Inoltre, è stato effettuato un confronto fra la scala del
1985 e la nuova, da cui emerge una sostanziale stabilità nella stratificazione delle occupazioni.
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Gianluca Zanola
Assetti istituzionali e rendimento dell’istruzione nel mercato del lavoro in una selezione di paesi
europei.
Nella ricerca sono stati analizzati e confrontati tra loro i ritorni dell’educazione in una selezione di
paesi europei: Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito e Spagna. Finalità del
lavoro è, attraverso l’analisi di dati microindividuali (ECHP), di testare la validità di alcune teorie
macro sul rapporto tra assetti istituzionali e performance dei mercati del lavoro selezionale lungo
l’asse condizioni macro – effetti micro.
La ricerca è strutturata in due parti. Nella prima vengono dedotte dalle teorie macro alcune ipotesi,
empiricamente confutabili, sulle caratteristiche (intensità durata, tempistica) dei ritorni che le
credenziali educative dovrebbero garantire agli attori nell’allocazione delle posizioni occupazionali
nei diversi contesti nazionali. Nella seconda parte, attraverso la costruzione di un modello
multisample basato sull’approccio SEM, vengono presentate le stime dei ritorni dell’istruzione e ne
viene discussa la compatibilità con le ipotesi avanzate in precedenza. In particolare è stato disegnato
per ogni paese analizzato un profilo degli effetti (diretti ed indiretti) dell’istruzione sullo status
socio-occupazionale “conquistato” dagli attori, questi profili sono stati poi analizzati e confrontati
tra loro indagando l’effettiva conformità degli stessi con i profili previsti a livello teorico sulla base
dei diversi assetti istituzionali.
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