tra liberismo e antagonismo: il modello sociale nord

APPROFONDIMENTI / 79
trA LiBeriSmo e AntAGoniSmo: iL
modeLLo SociALe nord-europeo
fLAvio peLLiS
P
er i progressisti, al di là degli errori sciagurati ed anche vergognosi
commessi ultimamente (quasi un suicidio), si pone la questione di quale
fuoriuscita dall’attuale crisi economica
e sociale, in cui siamo ancora immersi.
In particolare va sciolto in modo deciso e inequivoco il nodo dell’identità
e fisionomia, nonché della prospettiva:
culturale, prima ancora che sociale,
economica e politica.
È questa la priorità, in quanto vale e
conta molto di più, pur in un periodo
di leaderismi - spesso artificiosi, il progetto collettivo, partecipato e condiviso,
che non la singola personalità. Anche
se le politiche camminano sulle gambe
degli uomini, i gruppi dirigenti e gli organigrammi (pur importanti) vengono
dopo, in conseguenza ed a valle di un
progetto chiaro e definito.
Nell’ultimo ventennio, di fronte allo
straripare di una “destra becera” (populista e demagogica, arrogante e fascista,
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secessionista e xenofoba) che ha imperversato quasi indisturbata, i progressisti
non hanno trovato di meglio, che dondolare come un pendolo, continuamente oscillanti ed indecisi, tra la
sbagliata adesione acritica alla deregulation liberista quale requisito ritenuto
indispensabile per governare, e l’antagonismo che deve a priori combattere
il capitalismo, ispirato all’utopia rivoluzionaria (irrealizzabile e storicamente
sconfitta). Ora, nell’odierna società
della conoscenza, dominata dall’ideologia neo-liberista, si tratta di fare una
scelta netta, tenendo anche conto della
grande domanda di “cambiamento”, urlata nel risultato elettorale. Tanto più in
questa fase, oltre alle questioni relative
alla moralità ed etica pubblica (che pure
vanno affrontate con decisione), bisogna partire dal grande e diffuso disagio
e dall’ingiustizia sociale, riferita alla
parte che sta “sotto”. Anche se c’è chi sostiene che non c’è più “destra” e “sinistra”,
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esiste un “sopra” ed un “sotto”; dove il
“sopra” ha continuato ad arricchirsi
anche in questi anni di crisi, mentre il
“sotto” è stato l’unico destinatario della
crisi, dei sacrifici e del conseguente impoverimento. Perciò, l’unica scelta che
i progressisti devono fare, risiede nell’indicare con estrema nettezza il “modello sociale nord-europeo”, quale faro
cui ispirare la propria azione e su cui
fondare esplicitamente la candidatura
al governo del paese. Una scelta alternativa tanto al Liberismo, quanto all’Antagonismo. Una scelta che innesti
un riequilibrio, nelle diseguaglianze
della distribuzione dei redditi, nell’
eguaglianza delle opportunità, che riconosca il merito ed aiuti chi ha bisogno, che prefiguri una società dal
benessere diffuso. Non è solo un sistema diverso, di governance equa e
solidale dell’economia, o un’ulteriore
forma di riformismo: è un “nuovo approccio culturale”, una filosofia, una
idea di un sistema capitalistico socialmente responsabile, in grado di unire
la libertà economica con la solidarietà
sociale; in sostanza, coniugare mercato
e democrazia, sviluppo economico ed
eguaglianza. Serve a restituire una dimensione e uno spessore etico all’economia; è una politica moderatamente
progressista; è la faccia laica della stessa
medaglia, che sull’altro lato ha il cattolicesimo sociale; risponde ad una logica
solidale e comunitaria, che mette al
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primo punto la persona nella sua dimensione sociale. Una scelta non solo
politica e sociale, ma anche economica,
come dimostrano i 4 paesi scandinavi,
più Olanda e Germania, che sono i
paesi con minori diseguaglianze ed
anche quelli a più alto sviluppo, a più
alto Pil pro-capite, a più alto tasso di occupazione ed orari annui più corti nonchè con produttività più elevata; sono
quelli che hanno retto meglio degli altri
di fronte alla crisi, avendo capito che le
diseguaglianze sociali portano alla povertà collettiva. Dopo i disastri di decenni di politiche liberiste, non sarà
ancora il rigorismo od un altro “blairismo” (interpretato da “giovani” liberisti)
che ci farà uscire dalla crisi, e migliorerà
le condizioni di lavoro (e non-lavoro) e
di vita di milioni di cittadini impoveriti
ed anche umiliati dai tagli lineari imposti da 8 anni di governi Berlusconi, aggravati dai sacrifici depressivi di 1 anno
di Monti. Quindi, non possiamo parlare
di crescita se non affrontiamo la questione delle diseguaglianze: nella distribuzione dei redditi e nella rarefazione
del lavoro stabile. Usando vecchi slogan
adattati all’oggi: “pagare meno, pagando
tutti” e “lavorando meno per lavorare
tutti”, come nuove parole d’ordine; su
cui costruire idee e proposte concrete,
determinazione e passione, ma soprattutto la capacità di lottare, perché essere
ragionevoli e responsabili, non significa
affatto essere arrendevoli.
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