Dicembre '10 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Dicembre '10 Numero Dicembre '10 EDITORIALE Ultimo numero dell'anno di “Fuori dal Mucchio”, il supplemento on-line - ma anche cartaceo, qualora decideste di stamparne la versione in PDF - del “Mucchio Selvaggio” dedicato al panorama underground italiano, che arriva a pochi giorni dalla conclusione del MEI. Caratterizzato dall'abituale frenesia e dal numero sempre più alto di esibizioni live, il Meeting faentino è stato anche l'occasione per conoscere di persona molti lettori – e ne approfittiamo qui per ringraziare quanti sono venuti a salutarci al nostro stand – e per ricevere nuovo materiale discografico. Tanti, tantissimi i CD che ci sono stati consegnati, che ascolteremo con tutta la calma e l'attenzione del caso, in modo da operare una selezione accurata prima di ogni eventuale recensione. Non abbiate fretta, insomma, ché se il lavoro è valido verrà sicuramente analizzato e commentato. Detto questo, non ci rimane che lasciarvi con la solita abbondante razione di interviste e recensioni, augurandovi una buona lettura, buoni ascolti e, naturalmente, anche buone feste. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Andrea Cola Brani che richiamano il cantautorato che proviene dal nostro passato nobile, reclamando il presente sia nelle tematiche (ma si naviga nell'isola “uomo”, e non potrebbero che essere, per fortuna, eterne...), ma anche nell'utilizzo di sonorità e timbriche che sono moderne, amplificate, elettrificate. Con addosso l'eco di una malinconia che cerca di essere tagliata dal sorriso, andiamo a incontrare Andrea Cola, da poco uscito con “Blu” per Aidoru/A Buzz Supreme. Ripercorrendo i suoi passi, che sono comuni a tanti giovani musicisti che vogliono dire davvero qualcosa, affrontiamo insieme un lungo viaggio che, oltre alla sua storia, ci parla della sua città, Cesena, e di tanta giovane Italia...in uno sguardo pronto sempre a andare oltre. La prima cosa che mi viene in mente...perché una copertina dalla tonalità rossa quando il tuo album si intitola “Blu”...? Diciamo che è semplicemente un gioco. Quando ho ideato la copertina insieme al grafico Giovanni Ricchi e al fotografo Luca Piras, abbiamo deciso di evidenziare il titolo del disco “blu”, virando il colore della copertina in rosso. Questo ci pareva efficace da un punto di vista comunicativo, e interessante da un punto di vista grafico. Per sdrammatizzare il fatto che il disco si chiamasse come un colore. Tutto qui, nessuna ragione nascosta o concettuale. Sei ancora un “giovane” interprete anagraficamente (ancora non hai compiuto trent'anni, e per l'Italia...), ma per l'anagrafe musicale hai parecchi anni sulle spalle. I Sunday Morning in primis. Ci puoi parlare delle tue origini, del tuo passato anche recente, e quanto di tutto questo ci sia in “Blu”? Ho messo insieme il mio primo gruppo abbastanza presto, a 14 anni, praticamente si trattava del primo embrione dei Sunday Morning. Come tutti, dopo un paio d’anni di prove in cantina, iniziammo a fare concerti nella zona e a registrare i primi demo in una bellissima e ben funzionante realtà comunale chiamata “il suono degli spazi”: una casa colonica gestita da due ragazzi in gamba, dove si offrivano sale prove e studio di registrazione (a bobine) a Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 prezzi veramente economici e dove, fondamentalmente, si incontravano tutti i gruppi di Cesena e zone limitrofe. Dopo vari cambi di formazione e aggiornamenti di genere dovuti alla maturazione dei gusti musicali, cambiammo nome in Sunday Morning (prima ci chiamavamo Nheutromed!!!) e iniziammo a crederci sul serio. Per farla breve, e riassumere un lasso di tempo di 5 lunghi anni, registrammo il nostro primo e unico disco da soli, nello studio di cui sopra, firmammo un contratto con un'etichetta indipendente e iniziammo a fare concerti in tutta Italia. Il problema fu che, come la maggior parte degli esordi di un gruppo, il disco era più una chiusura di un momento che l’inizio vero e proprio, essendo canzoni che suonavamo ormai da diversi anni. Oltretutto sbagliammo i tempi, e i concerti iniziarono troppo presto rispetto all’effettiva uscita del disco (praticamente un anno e mezzo prima) con la conseguenza che, per incastrare i vari impegni di lavoro e di studio di ognuno con l’attività live, arrivammo alla data di uscita praticamente esausti. Decidemmo di fermarci per un po’ di mesi; poi, anche per altre ragioni che non sto a spiegare, ci sciogliemmo. Per quanto io abbia contribuito attivamente nella decisione finale, il tutto fu, per me, un colpo abbastanza duro. Ci avevo creduto tanto, considerato che avevo 25 anni. Dopo questa esperienza, mi misi a lavorare sul progetto di cover Do Not Cry For The Country Boy, partecipai a due spettacoli con il Teatro Valdoca, e mi buttai anche in un trio con un trombonista (Marcello Detti) e un percussionista (Enrico Malatesta). Mi trovai d’improvviso a 28 anni. Tutte queste esperienze, soprattutto i Sunday, sono finite in questo disco sotto forma di paranoie e delusioni (“Piove A Milano”, “La Mattina Presto”), ma mi hanno dato anche la forza per decidere di abbandonare tutti i progetti paralleli e puntare tutto su questo. Davvero molto interessante il tuo progetto parallelo come Do Not Cry For The Country Boy. Ce ne puoi parlare? Do Not Cry nasce dall’esigenza che avevo di salire su un palco da solo, di vedere che effetto mi avrebbe fatto. Il progetto era una specie di piccola sfida: si trattava di prendere canzoni meravigliose scritte da altri e buttarle in un mare di riverberi ed echi, asciugandole allo stesso tempo di tutte le sovrastrutture di arrangiamento originali: suonandole solo chitarra e voce. C’era, da parte mia, la volontà di trovare il nucleo emotivo di ogni grande canzone affrontata, cercare di farla tornare al suo concepimento originario, ma, ovviamente, c’era anche il desiderio di offrirne una visione personale, farla ascoltare da un altro punto di vista. Un esempio, forse il più riuscito, è quello della mia rilettura di “Some Candy Talking” dei Jesus And Mary Chain. Do Not Cry mi ha dato molte soddisfazioni, per così dire, “artistiche”, essendo anche un progetto abbastanza aperto, per cui mi è capitato di proporlo sul palco insieme ai Sea Of Cortez (Antonio Gramentieri, Diego Sapignoli e Mirko Monduzzi) e con gli Unicorn (quel progetto con Marcello Detti e Enrico Malatesta). Ora è tutto in pausa, perché la mia identità musicale coincide con quella anagrafica, e secondo me, quando succede è a quello che bisogna dare la precedenza. C'è la presenza in “Blu” della collaborazione di tanta importante realtà musicale della prolifica Cesena (Aidoru, Comaneci, 64 Slices of American Cheese...altri?). È interessante notare questa disponibilità a collaborare. È davvero tipico della musica o solo della realtà accogliente della Romagna? Non so se sia tipico in generale, so che con le persone che hanno collaborato al disco (e vorrei citare anche Andrea Comandini dei Marquez e Bluscuro Studio, in qualità di produttore), c’è un rapporto di amicizia che dura da anni. Insomma, siamo tutti della stessa Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 città, o quasi, frequentiamo gli stessi posti, beviamo insieme molte birre, per cui, fermo restando che la scelta è stata dettata soprattutto dalla stima per l’attitudine musicale di queste persone, è stato abbastanza naturale e insieme bellissimo potersi permettere di non dover guardare troppo lontano...in più loro hanno accettato ricambiando la mia stima e questo mi ha molto onorato. Come e perché hai mosso i tuoi primi passi nella musica? È perché mangiate o respirate qualcosa di particolare a Cesena il motivo per cui siete così prolifici? Il perché è molto semplice: mi piace molto. Il come è altrettanto semplice: sono da sempre attratto dalla musica; è da quando usavo la racchetta da tennis come una chitarra, a 4 o 5 anni, che mi piace cantare e scrivere canzoni. Ed è l’unico modo che conosco per liberare quel poco che ho dentro, per comunicare qualcosa a qualcuno, per annullarmi e per condividere determinate sensazioni. Questo non giustifica il fatto di fare qualcosa di qualità, o meno, ma lo faccio comunque. Il discorso sulla città è un discorso legato agli spazi di espressione concessi. Quando abbiamo tirato fuori il naso dalla cantina, ci siamo resi conto che c’erano tantissimi altri come noi, insomma qua era una cosa normale. Come già dicevo, secondo me, molto del merito deve essere attribuito a quel centro che era una sorta di spazio comunale capace, grazie alla bravura di chi lo gestiva (Andrea Zanella e Andrea Comandini), di essere un punto di incontro per tutti i ragazzi che suonavano in zona, ma allo stesso tempo di produrre musica di qualità, di fare girare i dischi e gli interessi; proprio per la competenza degli organizzatori e per il loro essere essi stessi parte della scena musicale cesenate. Insomma, al contrario di quel che spesso accade, non era un semplice contenitore di servizi “vuoto” e fintamente democratico gettato dall’amministrazione comunale sotto la voce “politiche giovanili” e gestito da associazioni, magari di buona volontà, ma poco competenti. Era un vero e proprio laboratorio. Questo è ovviamente il resoconto della mia esperienza, di quando ho messo il naso fuori nell’adolescenza, e fino ai vent’anni. Il prima e il dopo non li conosco. Ma come si sente davvero Andrea Cola? Ancora “Piove A Milano”? E cos'è “Blu” per te? Io? Io sto bene. Davvero. Quello che dico è certamente malinconico, triste, frustrato, ma è semplicemente quello che mi viene fuori quando scrivo una canzone. Come dicevo prima, a questo mi servono le canzoni, per buttare via delle cose. Per quel che riguarda la “formula” con cui lo faccio, c’è semplicemente il tentativo di scrivere delle belle canzoni, di trattare temi che possano essere condivisi e di fare tutto questo qui e ora, cioè nel duemiladieci. C’è una sorta di malinconia ironica, ma non particolarmente intelligente o acuta. È qualcosa di più primordiale, un po’ la descrizione dei primi momenti, in cui ti rendi conto di aver fatto una cazzata, di stare sbagliando strada, ma ancora non ci hai ragionato abbastanza da poter razionalizzare questa cosa. Ma ne avverti tutto il disagio. Questo, per me, è il blu. Questo è quello che c’è nei testi, più o meno. Con la collaborazione con A Buzz Supreme, che tanta musica indipendente produce, hai potuto avvicinarti ulteriormente al panorama musicale e di "mercato" italiano. Come lo vedi? Pensi che i tagli alla cultura si stiano facendo sentire anche sulla produttività e creatività musicale? La mia collaborazione con A Buzz Supreme è partita ora, e, così come per Aidoru Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Associazione, che si occupa del booking e dell’ufficio stampa, sono molto contento di collaborare finalmente con piccole strutture attive, competenti e combattive. Ma soprattutto serie e oneste, che è poi quello che è mancato in tutta l’esperienza “esterna” con i Sunday Morning, e che molto ha avuto a che fare con il loro scioglimento. L’onestà e il rispetto sono fondamentali quando si lavora in un campo di prestazione di servizi apparentemente così melmoso e astratto come quello della produzione musicale. Quindi per me questa è una partenza sotto i migliori auspici e sono soddisfatto di come le cose stanno andando. Non posso permettermi di dare un giudizio sul panorama musicale italiano, perché non ne faccio ancora veramente parte e lo guardo, per così dire, da fuori. Posso solo rendermi conto che dal 2006, quando ci fermammo con i Sunday, la scena era dominata da gruppi che cantavano in inglese (noi compresi), ora tutto si è spostato sul cantautorato italiano, e questo, per forza di cose, mi fa piacere. Dei tagli alla cultura, mi scuso per l’ignoranza, ma ne so molto poco pur seguendo la politica. Io so solo che questo disco me lo sono pagato interamente di tasca mia, risparmiando per un anno; e per come si sta sviluppando tutto il giro dei servizi (booking, promozione, ecc...), cioè “a prestazione”, a meno che uno non abbia la certezza di finire nelle mani giuste firmando per una struttura importante, l’autoproduzione è ancora la scelta che consiglio. Che non significa lo-fi. La creatività non si ferma mai...in cantiere già un nuovo album per te? Sono rimaste fuori tante canzoni dal disco, sulle quali sto ancora lavorando. L'album è appena uscito, ma non ti nego che sto già pensando a come fare il prossimo, per lo meno a grandi linee! Però per adesso va bene così... Contatti: www.andreacola.it Giacomo d'Alelio Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Dome La Muerte And The Diggers Domenico Petrosino, in arte Dome La Muerte, è una colonna portante della Storia (con la”s” maiuscola) del rock’n’roll italiano. E di fronte a uno che ha importato per primo dalle nostre parti – era il 1978 – un certo tipo di suono, uno che ha militato nelle fila di CCM (1981-1984), Not Moving (1982-1994 e nella reunione del 2005) e Hush (1996), non è che ci siano tante domande da fare. Si spera che la sua storia (con la “s” minuscola) sia già arrivata e sia già stata metabolizzata almeno dai divoratori di un certo tipo di musica. Fortunatamente, Dome La Muerte ha fatto un altro disco, “Diggersonz” (GoDown-Area Pirata/Audioglobe), il secondo con i Diggers, band della quale è titolare dal 2006. E quindi cercheremo di parlare con lui del presente e del futuro, più che del passato. Anche se non ci riusciremo, contraddicendoci proprio dalla prima domanda... Dopo trentadue anni di rock, garage e punk, suonati tutti insieme, sempre, senza mai fermarti un attimo e dopo aver aperto concerti e conosciuto gente del calibro di Nico, Clash, Nick Cave, Johnny Tunder, Fuzztones, Iggy Pop, qual è il senso, oggi, di suonare un certo tipo di musica – come dire, passami il termine – “datata”? Secondo la tua domanda non avrebbe più senso nemmeno suonare Bach o Mozart perché “datati”. Oppure chiediti come mai orde di ragazzini nel 2010 ascoltano Black Sabbath e Doors. Seguire la propria strada e avere un sound riconoscibile è più importante e duraturo che seguire le mode. E io le mode le ho sempre odiate fin da piccolo. Il nuovo, ora come ora, in Italia, è considerato la scena indie che attinge a piene mani dagli anni ’80 nel migliore dei casi, dalla musica leggera nel peggiore. Le nostre radici sono “datate”, altrimenti non sarebbero radici, ma nessuno può dirci che siamo rinchiusi in un genere o un cliché. Non siamo garage, né punk, né Sixties, né hardblues, ma siamo una mistura di tutto questo, lo puoi chiamare semplicemente r’n’r, ma la nostra è una ricerca verso un suono originale, il nuovo a tutti i costi non ci interessa (diciamolo: nemmeno suonare tubi e lamiere è nuovo). Immodestamente penso di avere da dire molto di più di un ragazzo di vent’anni. Se fossi disonesto potrei vivere di reunion, invece mi piace andare avanti anche se è la via più difficile Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 E dal vivo, in locali medi, piccoli o minuscoli dopo aver sfiorato con i piedi palchi importanti, dopo aver creato un culto attorno ai Not Moving, è sempre la stessa energia che ricevi e riesci a comunicare, magari anche – perché capita, è normale – davanti a poche persone? A volte suoniamo meglio con meno gente perché devono raccontare a chi non c’era che si sono persi un bello show. Come sono i Diggers, come band, come legami tra i vari componenti del gruppo, come sintonia, rispetto alle tue esperienze passate? Cerco sempre di creare una specie di famiglia. La nostra musica è basata sull’istinto e le emozioni, non sulla tecnica, per cui la fratellanza, l’amore e l’entusiasmo sono fondamentali. Parliamo di “Diggersonz”, avete registrato l’album in Spagna, in uno studio completamente analogico. È necessario arrivare fin là per fare un disco di poco meno di mezz’ora di rock’n’roll in “vintage recording”? Questo dovresti chiederlo anche ai Cynics, ai Chesterfield Kings e a tutti i gruppi americani che vanno fin lì a registrare: è lo studio vintage più attrezzato d’Europa. “Diggersonz” è uscito oltre che su CD per GoDown Records e Area Pirata, anche su vinile per la Surfin Ki e ne è stato tratto anche un 7”. La nostra musica, e non solo la nostra, andrebbe sempre registrata su nastro, perché, se non esageri con effetti e sovraincisioni, senti la band com’è veramente: è più onesto e dal vivo non avrai cattive sorprese. Quando hai iniziato a suonare c’era il vinile. Oggi, in Italia, non si comprano nemmeno più i CD e gli mp3 dominano il (non)mercato. Non c’è il rischio che con il campionamento e tutto il resto il “vintage recording”, alla fine, sia solo una questione di stile, un approccio personale del musicista al modo di suonare? Ai nostri concerti vendiamo più vinile che CD e anche le nuove generazioni stanno cominciando a capire l’abissale differenza di suono che c’è fra i due supporti. Penso che il vinile possa essere eterno, non il il cd, come il tempo sta già dimostrando, comunque se il cd è stato confezionato in maniera attenta, con foto, info sulla band ,eccetera, è sempre meglio dell’mp3, che suona veramente da schifo e i nostri fan se ne stanno accorgendo. Come vengono accolti i Diggers dal vivo? Il live è la nostra autentica dimensione, diamo sempre tutto, il pubblico apprezza la nostra sincerità sul palco. Ultimamente molti sono giovanissimi e questo mi dà un po’ di speranza per la scena italiana. In tutta la tua discografia c’è sicuramente un suono ricorrente. Ma sembra che, con l’andare degli album, le hit, i pezzi da ricordare anche da soli, siano sempre meno, in ogni singolo disco, mentre sempre più importante sembra diventare il disco come un tutt’uno. O mi sbaglio? A differenza della scena indie, non puntiamo al mainstream, non decidiamo niente a tavolino, una radio se ci vuole trasmettere lo fa solo perché gli piacciamo, e non perché sarà il ritornello dell’estate come Neffa. comunque non sono d’accordo con la tua analisi perché nel corso degli anni sono sicuramente diventato più “melodico”. Per quanto riguarda il suono Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 e la composizione dei pezzi cerchiamo di evolverci disco dopo disco e di non ripeterci, sviluppando sempre idee nuove. Come continuerà il percorso di Dome La Muerte, da “Diggersonz” in poi? Intanto siamo diventati un trio e faremo in questi mesi un nuovo 7”, in attesa del terzo LP. Stiamo organizzando un tour in Francia e Spagna e altre date in Italia. A febbraio uscirà il mio primo disco solista per la Japanapart/Audioglobe quasi totalmente acustico, ci sono anche strumentali in stile “spaghetti western”. Una curiosità: davvero hai baciato Caterina Caselli? Si, ma solo sulle guance, purtroppo. Contatti: www.myspace.com/domelamuerteandthediggers Marco Manicardi Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Ezra Ezra torna a nutrire la sua carriera solista con il secondo album “Solo” che segue l’esordio del 2005 “ In grembo”. Musicista, DJ, remixer e produttore con la No.Mad Records, Ezra è un alchimista dei suoni che nel disco nuovo arriva a suddividerli in generi estrapolando l’essenza del godibile. Dal dub al trip hop, dal blues all’elettronica al pop, Ezra si distingue con i suoi mille sguardi a perdifiato, e canta anche. A un certo punto della tua vita hai capito che il tuo amore per la musica superava quello di ascoltatore perché avresti voluto raggiungere un palco. Com’era quel ragazzo? Ho scoperto l’amore per la musica verso i quindici anni e sono partito subito in quarta perché è stata proprio una folgorazione. Ho iniziato a mettere i dischi, ma dopo un po’ ho capito che non era esattamente la cosa che cercavo e quindi mi sono avvicinato alle produzioni e ai campionatori, comprando, rubando dischi qua e là, soprattutto molto vecchi, per appunto poter campionare e mettere insieme cose che in realtà avevano suonato altri. Era un approccio molto diffuso in quegli anni. Ci sono state delle persone che hai incontrato in questi anni e che pensi siano state fondamentali per la tua crescita e il tuo percorso attuale? Sì parecchie. Prima di tutti sicuramente Alessio Manna dei Casino Royale a cui devo le prime esperienze musicali e gli ascolti dei dischi hip hop di metà anni 90 e di tutta la scena trip hop. Poi sicuramente l’esperienza in studio e dal vivo con i Casino Royale mi ha insegnato tanto. E vedere lavorare Howie B in studio è stato molto importante. Poi tutta una serie di persone: la scena di Torino è molto ricca e varia con mille generi diversi che io continuo ad assorbire come una spugna. Cosa significa per te mettere mano sui dischi di altri? Dipende da quello che devo fare. Tendenzialmente non riesco ad avere la mano tanto Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 leggera, perché mi vengono un miliardo di idee perciò tendo a voler provare parecchie strade. Se faccio dei mixaggi, come mi è capitato ultimamente, cerco di frenare l’impulso di produttore che cerca di mettere mano anche alle strutture. È molto interessante quando riesci a giocare con i generi e ad inventarti delle soluzioni volta per volta diverse. Quella è la cosa che mi piace di più. Poi dipende se l’artista ha voglia di fidarsi di te e di mettersi in gioco. Quest’album “Solo” ti fa sembrare più libero e ordinato rispetto all’esordio “In Grembo” dove eri forse ancora legato all’influenza dei Casino Royale, com’è cambiato il tuo modo di comporre? È cambiato tantissimo. In maniera spiazzante per me in prima persona nel senso che non pensavo di arrivare a fare un disco così. Innanzitutto perché mi sono messo a cantare i pezzi e già quello è stato strano perché non sono esattamente un usignolo. “In grembo” è un disco fatto di campioni di dischi di altri ed è nato molto di riflesso invece in “Solo” la maggior parte dei pezzi sono nati al pianoforte perciò scrivendoli e componendoli. È arrivata prima la melodia del suono. È un disco di genere schizofrenico. Ho voluto provare a cimentarmi in cose che in questi anni mi sono piaciute molto: dal blues alla new wave al dub alle cose elettroniche ancora non definite al pop e all’hip hop. Quanto sono stati importanti i tuoi ospiti musicisti per la direzione di queste canzoni? Direi moltissimo. Solitamente collaboro con Paolo Spaccamonti ed è stato fondamentale anche in “Solo”, ha suonato in moltissimi pezzi. Ma poi anche tutti gli altri: Davide Compagnoni e Marco Alonzo, che hanno fatto delle batterie, fino a Paola Secci ai violoncelli, Marco Piccirillo al contrabbasso, Cecio che è il sassofonista di Mr. T-Bone che ha fatto l’introduzione del disco. Sono stati tutti molto importanti per il risultato finale. A volte ho lasciato davvero carta bianca del tipo: vai chiuditi dentro e fai quello che ti senti di fare, altre volte sono state cose scritte da me e risuonate però è stato fondamentale fare un disco così che s’intitola “Solo” ma non è fatto esattamente da solo. Ho ricoperto più ruoli in questo disco, dall’essere musicista all’essere produttore di me stesso e fonico. Del resto non riuscirei a lavorare in altro modo, però ogni tanto è un po’ complicato e avere un altro paio di orecchie a darti una mano più essere utile, infatti poi a fare il master mi ha aiutato Gianluca Patrito. Hai suddiviso il disco in generi musicali che immagino siano poi i tuoi preferiti. Con quale di questi ti sei trovato meglio? Con il blues mi sono trovato veramente a mio agio. Mi piacerebbe continuare a sperimentare nel blues che sconfina nel trip hop e nell’elettronica perché secondo me, ci sono delle cose da dire in questo momento. Nel filone blues c’è una cover di “Mannish Boy” di Muddy Waters. Perché proprio questa canzone e come mai l’ha fatta diventare trip hop? Devo ringraziare ancora una volta Paolo Spaccamonti che mi ha passato il disco “Electric Mud”: Un disco molto particolare con reinterpretazioni in chiave elettrica non elettronica di classici di Muddy Water. Tra i pezzi c’era “Mannish Boy” che era in quella versione secondo me stupenda. Mi sono messo a cantarla così, perché l’avevo ascoltata tante di quelle volte da averla imparata a memoria e ho deciso di provare a renderla in maniera elettronica Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 invece che elettrica. Come mai hai strutturato il disco suddividendolo per generi? In realtà ci dovrebbe essere un disegno non tanto su questo disco ma sulla trilogia che vorrei completare. “In grembo” era dedicato alla nascita, “Solo” nella mia idea doveva essere dedicato alla vita, per le immagini che mi ha dato e il terzo dovrebbe essere quello sulla morte. Per adesso questa era la seconda puntata. Comunque non sapevo sarebbe venuto fuori così tanto frazionato con così tanti generi diversi: è stata una bella sorpresa anche per me. Avere uno studio tuo dove registrare ha allungato i tempi? Ha allungato i tempi perché lo studio è aperto da un paio di anni. Mi sono subito messo a lavorare su altre dischi, quindi “Solo” è nato in mezzo a cose di altri e poi ho dovuto avere il tempo di fare i risettaggi macchine e di trovare il mixer come lo volevo. Il disco alla fine è stato un po’ la prova dello studio per testare come potevano uscire i suoni e devo dire che sono molto soddisfatto e il prossimo spero di riuscire a farlo più velocemente. Come presenterai questo disco dal vivo? Come cantante non sono un fenomeno, così con la scusa di fare dei remix, sto facendo delle versioni alternative molto più elettroniche e più clubbing. Comunque, alla fine, io mi sento molto più a mio agio in studio che su un palco. Poi ho anche dei progetti live come i Dub Pigeon nati con me, Paolo Spaccamonti, Davide Compagnoni e Deian, in cui facciamo improvvisazione con synth, batteria e due chitarre. Contatti: www.nomadrecords.it Francesca Ognibene Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Il Genio “Vivere negli anni X” (Disastro/Cramps Music) è l’adorabile, secondo album del duo pugliese, attivo a Milano. Non commettete l’errore di sottovalutarlo perché uscito abbastanza in sordina lo scorso giugno, oppure di snobbarlo perché non trainato, a differenza dell’omonimo esordio del 2008, da un tormentone come “Pop porno”. Sarete ricompensati da dodici pop-songs semplicemente da manuale. Se in passato avevamo conversato con Gianluca De Rubertis, stavolta tocca ad Alessandra Contini. Come avete vissuto il successo casuale del singolo “Pop porno”? “Pop porno” è stata scritta senza l’intenzione di portarla sul mercato, metterla in vetrina. Tutto è iniziato per caso: Gianluca si è trasferito da Lecce a Milano e, mentre cercava un appartamento, condividevamo il mio. Ci siamo messi a suonare in casa perché avevamo degli strumenti e dei software che ci permettevano anche di passare il tempo. Abbiamo buttato giù il pezzo, con totale serenità e mancanza di obiettivi. Mesi prima avevamo scoperto MySpace e abbiamo così deciso di caricare il brano. Il successo è stato una grande sorpresa, non ce l’aspettavamo. Mi ritengo molto fortunata perché è stato facile, visto che parecchia gente compone canzoni valide ma fa fatica a uscire allo scoperto, farsi ascoltare. Non rimpiango nulla e fondamentalmente la canzone mi ha sempre divertita. Dopo l’exploit di “Pop porno”, la Universal ha ottenuto una licenza per ristampare il vostro debutto, ma mi ha incuriosita che abbia perso l’occasione di accaparrarsi “Vivere negli anni X”, potenziale miniera di singoli radiofonici. Posso solo dire come stanno i fatti. Abbiamo dato in licenza l’esordio perché Universal si era interessata soprattutto a “Pop porno”, dopodiché abbiamo collaborato assieme per un anno e, quando abbiamo presentato il materiale del secondo disco, non abbiamo riscontrato molto entusiasmo. Il progetto è nato sotto una buona stella: non abbiamo mai avuto intenzione di concederci a una major e abbiamo iniziato a lavorare con la Disastro, etichetta della Cramps, che ha uno staff, tra gli altri Alfred Tisocco e Davide D’Antuono, che ci ha Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 sempre supportati con vero impegno. Quando abbiamo notato che la major non era particolarmente vispa e attenta a ciò che stavamo proponendo, abbiamo preferito continuare con chi ci aveva dato fiducia fin dall’inizio. E non abbiamo sbagliato. Ciò la dice lunga sul funzionamento delle cose nella discografia attuale... È così che va, ma l’importante è riuscire comunque a fare ciò che si vuole, in un modo o nell’altro. La major, al di là di tutto, dà semplicemente un aiuto economico in più. Ci sono altre cose che contano e in questo periodo storico un’etichetta indipendente è più stimolante, anche nell’approccio. Si ritorna ad avere a che fare con degli individui e non con un marchio, a instaurare rapporti personali e non soltanto contatti, a essere chiamati per nome. È importante. Trovo che, nell’insieme, “Vivere negli anni X” sia persino migliore rispetto al precedente disco, forse perché più pensato e compatto, perché gli arrangiamenti sono più elaborati. Com’è andato stavolta il processo creativo tra te e Gianluca? Siamo abbastanza soddisfatti perché l’album è stato fatto a rigor di logica: sapevamo che doveva uscire, mentre il primo è stato un accadimento messoci davanti dal fato. Abbiamo avuto maggior tempo a disposizione, nonostante la scrittura sia proceduta più o meno come sempre. Facciamo questo lavoro per passione, per cui la composizione non avviene in momenti ben precisi o con orari d’ufficio. Dato che i nostri provini sono effettuati con una scheda audio e un software, ci siamo messi a riversare idee sul computer, a volte insieme a volte separatamente passandocele in un secondo momento. Usiamo strumenti “vecchi”, per cui un Farfisa, per esempio, conferisce in automatico un suono anni 60, un’atmosfera rétro che si mixa con la parte elettronica, sebbene nel nuovo disco ci siano pochi loop. Abbiamo cercato di arrangiare il tutto per farlo sembrare più uniforme e Gianluca si è occupato, nello specifico, dei violini. Poi siamo andati in studio a registrare le tracce, scelte tra le tantissime prodotte. Il titolo può far pensare a contenuti maggiormente sociali, ma in realtà il filo conduttore delle canzoni è intimista. Diamo molto peso alle melodie, ai cantati. I testi sono abbastanza intimisti, anche se non saprei dire se è un termine esatto. Nel titolo abbiamo utilizzato la “X” semplicemente per definire il primo decennio del nuovo millennio, ma si può immaginare di tutto. Utilizzare l’ironia è rischioso perché farsi prendere sul serio, nonostante lo spessore autoriale, diviene più arduo. “Pop porno” è un manifesto dell’ironia, che non voleva rappresentare nulla, ma ce ne siamo fregati del fatto che potesse essere considerata seria, arrogante o superba. Non avevamo la coda di paglia. Scrivere testi in italiano comporta comunque mettersi in gioco. Per quanto i significati possano essere intelligenti, per quanto si voglia comunicare qualcosa che rimanga impresso, secondo la mia esperienza l’italiano è difficile da gestire perché può risultare patetico. Scrivere in italiano è impegnativo, ma Gianluca eccelle in questo, per cui è molto facile. Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Com’è andata la collaborazione con Amerigo Verardi per “Sì per sempre mai”? Al di là dell’amicizia, Gianluca ha iniziato ad andare in tour con Amerigo e Marco Ancona, accompagnandoli con l’organo. Una sera io e Gianluca eravamo a Lecce e abbiamo incontrato Marco a un bar: eravamo abbastanza annoiati, così ho proposto di andare in sala prove per una “suonata” e il brano è uscito in una notte. In seguito abbiamo contattato Amerigo, che si è offerto di scrivere il testo. La scena pugliese è non a caso abbastanza attiva e attorno al Genio gravitano vari progetti paralleli, anche se la situazione non è tuttora facile in fatto di spazi dove poter suonare. Sì, c’è una specie di albero genealogico. C’è Girl With The Gun, composto da Populous e Matilde De Rubertis, sorella di Gianluca nonché cantante degli Studiodavoli, fondati tra gli altri dallo stesso Gianluca. Ci sono Amerigo Verardi, che ha appunto collaborato con noi, e tutta una serie di persone che, pensando specialmente alle proporzioni, ce l’hanno fatta a emergere. È strano perché è come se ci fosse una tenacia spiccata rispetto ad altri luoghi. In ogni caso, siamo nel profondo Sud e l’Italia si divide ancora in due parti. È un dato di fatto che al Nord vi siano più possibilità e risorse economiche, quindi i locali che aprono sono abbastanza frequentati, nonostante tutto stia andando un po’ alla deriva perché in generale nessuno ha soldi. Il Salento, invece, è un lembo di terra stretto e piccolo, veramente difficile da raggiungere, anche se grazie al turismo sta diventando più conosciuto. Lecce è molto attiva e curiosa, ma gli spazi sono quelli che sono. Informarsi, potersi acculturare musicalmente è arduo perché i grossi eventi non arrivano mai. Mi ricordo che, quando da adolescente vivevo in Salento, non potevo permettermi il concerto del gruppo dei sogni perché occorrevano troppi soldi per prendere il biglietto e un treno per spostarmi, mangiare e pernottare. Essere del Sud è un po’ difficile, devo dire. In tal caso non si tratta ovviamente di grandi disgrazie, però sono delle complicazioni in più. Pensando al brano che avete inciso assieme a Dente, “Precipitevolissimevolmente” per il 45 giri “Il Lato Beat Vol. 1”, e allargando maggiormente lo sguardo, come vi sentite invece all’interno della nuova scena italiana? Le persone che fanno parte della scena musicale di Milano, dove attualmente viviamo, sono diventate dei veri e propri amici. Abbiamo collaborato con Dente perché ci trovavamo spesso a parlare di musica durante le serate, le varie cene. Ghost e Disastro hanno deciso di incidere un vinile, dove nel secondo lato c’è Roberto Dell’Era, un altro amico, con i Calibro 35, a loro volta nostri amici. Una cosa tira l’altra, ma è sempre una questione di frequentazioni perché non c’è rigore manageriale, non sono le etichette a contattare gli artisti. Le proposte vengono lanciate tra di noi e i diretti interessati sono spesso interessati a mettere in atto i progetti. Milano ospita tanti musicisti interessanti, compresi i Lombroso, un duo non da poco. Questa città, anche se non le si riconosce mai nulla, ha almeno un pregio. Le vostre canzoni sono sempre state considerate cinematografiche, per cui mi domando come sia nata la partecipazione alla compilation del telefilm “Romanzo criminale” e quali siano i tuoi gusti in fatto di settima arte. Per la canzone “Roberta”, contenuta in una specie di colonna sonora della serie televisiva, siamo stati contattati dagli autori: stavolta è stata una richiesta precisa, non casuale. Abbiamo ricevuto il pezzo e l’abbiamo riarrangiato nel nostro stile, come hanno fatto altri Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 artisti coinvolti nel disco. Il cinema mi piace molto, nella mia vita ho visto tanti film e ho studiato al DAMS. L’interessamento viene dall’adolescenza, quando horror, da Bava in poi, B movie e Bruce Lee mi appassionavano moltissimo. Amo tuttora personaggi come vampiri e zombie, ma sia a me sia a Gianluca piacciono anche le pellicole francesi: da Truffaut a Godard. Guardo di tutto, comprese le commediacce: dipende dallo spirito, dallo stato d’animo. Come accade per la musica, non mi concentro sulle categorie e spazio dal film della multinazionale americana al film di genere italiano più sconosciuto. Come proseguiranno gli appuntamenti dal vivo? Stiamo programmando il calendario del tour invernale, per cui al momento abbiamo delle date a dicembre che poi confermeremo e annunceremo, mentre a gennaio dovrebbe ripartire tutto in maniera più costante. Sul palco siamo in quattro, insieme a Arno Engelhardt, un ragazzo olandese che suona synth e tastiere varie, e Paolo Mongardi, batterista che ci accompagna ormai da tanto tempo. Se qualcuno volesse venire a sentirci, di sicuro il 10 dicembre saremo all’Auditorium di Milano a registrare un live per Radio Popolare. Contatti: www.myspace.com/ilgenio Elena Raugei Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Liir Bu Fer “3juno” è l’esordio dei Liir Bu Fer ed esce per la Zeit Interference, sottomarchio della Lizard. Sono un trio che sperimenta con l’ambient, il noise, i suoni naturali di cantanti, chitarre vestite di loop, mosse lente o slabbrate, incisioni scure e ossessionanti, ma anche celestiali. Rimanere affascinati da queste macerie di note, di giunture melodiche, di esplosioni è più facile di quanto si possa immaginare, basta farsi trasportare dalla loro gioia di essere musicisti vivi e curiosi. Siete un trio, ma singolarmente da quale mondo provenite, come esperienze musicali vissute o ascoltate? Veniamo tutti e tre da esperienze abbastanza diverse tra di loro. Io ho suonato diversi anni in progetti rock, post rock, comunque non cose ambient sperimentali come sto facendo adesso. E lo stesso vale per Marco che è il ragazzo che si è aggiunto per la formazione a trio. Nicola invece è alla sua prima esperienza musicale. E poi gli ascolti sono tantissimi. Ovviamente tutta quella che può essere la scena ambient. Io ascolto moltissimo industrial: Einstuerzende Neubauten su tutti, molte cose dark anni 80 e c’è anche una certa passione per gruppi anni 70 e la sperimentazione di quel periodo con un occhio alla scena recente anche italiana, come i Japanese Gum di Genova che apprezziamo molto. Cosa vi ha convinto a iniziare? All’inizio eravamo io e Nicola in formazione a duo: eravamo molto discontinui e il progetto era molto più noise. Con l’arrivo di Marco è stato accelerato il processo compositivo, lui ha portato l’aggiunta di nuovi strumenti, di aspetti più melodici, una velocizzazione nel mixare e nel registrare. Quindi l’estate scorsa ci siamo decisi a fare uscire il disco, che poi alla fine non ci ha portato via moltissimo tempo nella composizione, perché abbiamo lavorato tre o quattro mesi però volevamo proprio fotografare quel momento. Ma la scelta del nome Liir Bu Fer a cosa si riferisce? Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Liir Bu Fer è una parola africana che indica, in una tribù, il passaggio da quella che è la condizione d’infanzia a quella di adulto. Allora, ci sono due aspetti. Uno che è molto banale, ci piace come suona e quindi l’abbiamo tenuto; d’altro canto ci interessa molto l’aspetto che sia una fase di trasformazione, qualcosa di non ben definito in mutamento che è un po’ come quello che ravvisiamo nella nostra musica, come caratteristica e peculiarità: non voler mai stare fermi, di ricercare sempre stimoli nuovi, di qualcosa che ci interessi, che ci emozioni, di qualcosa comunque in cambiamento e non di statico. Che poi è la cosa che abbiamo cercato di fare anche nel disco, ovvero riuscire a creare dei movimenti, dei cambi scena. Su questo abbiamo lavorato parecchio e lì che si collega il nome. Ma quando voi prendete in mano i vostri strumenti avete già in mente il percorso ben delineato o vi lasciate andare alla musica? Ci si lascia completamente andare. Partiamo da quelle che sono delle improvvisazioni delle session totalmente libere, poi pian piano andiamo a costruire quella che è una struttura. Abbiamo un canovaccio, poi a seconda dei pezzi, magari uno dei tre ha una bozza più stabilita, più determinata e gli altri, anche a secondo della strumentazione che usiamo, a rotazione seguono un andamento più libero. Quindi sì, nasciamo dall’improvvisazione e poi cerchiamo di limare e soprattutto di suonare poco, perché la tendenza che abbiamo tutti e tre è di suonare insieme contemporaneamente, rischiando di creare solo casino, troppo rumore. E stiamo cercando di lavorare molto sul silenzio, sugli incastri. Una serie di ospiti, soprattutto voci, hanno contribuito alla realizzazione del disco. Vuoi nominarli? Li nomino e li ringrazio anche. C’è Claudio che ha lavorato con noi sul pezzo “Red Submarine” e anche lui ha un gruppo molto interessante i Nichelodeon, usciti anche loro con Lizard da qualche settimana, poi c’è Antonella Bertini che ha lavorato con noi su “es” e su “Ginza”. In questo caso Marco aveva delle registrazioni fatte da lei in studio di sola voce e poi noi le abbiamo inserite e adattate ai nostri brani. E infine c’è la collaborazione di Raffaello Regoli che è l’organizzatore dell’omaggio a Demetrio Stratos che ha scritto con noi la base di “obliquizione” con una tecnica sperimentale di scrittura del brano che poi noi abbiamo lavorato e sistemato. Una didascalia che descrive il vostro gruppo cosa reciterebbe? Siamo un trio e ci divertiamo tantissimo a suonare e ricerchiamo, innanzi tutto, quella che è una forma di divertimento, anche nell’uso di registrazione non convenzionale che abbiamo. Ci piace molto l’idea di toccare, di muovere, di battere le cose, di tastare con le mani e quindi è un approccio molto primitivo con la strumentazione. E quindi anche se vengono fuori queste cose abbastanza cupe, noi in realtà siamo come dei bambini con dei giocattoli divertiti ed emozionati. Ma a lavoro finito pensate di aggiungere o togliere strumenti, di fare modifiche, o rimarrete così? Stiamo pensando di aumentare quella che è la strumentazione, perché comunque il progetto di ricerca, come ti dicevo prima, va avanti è una cosa continua è una cosa che come dice il nome vuole essere in continua trasformazione e quindi stiamo cercando di arricchire le soluzioni che possono venire per un prossimo disco, un EP. Io ho una sezione Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 che ricorda un po’ le cose che usano gli Einstüerzende Neubauten (anche se in maniera minore) di strumentazione di legno con varie lamine e sto allargando questa struttura con una sorta di batteria; poi volevamo aggiungere un basso perché con la sola chitarra non riusciamo a far saltar fuori delle linee più scure di cui sentiamo l’esigenza. Come presenterete dal vivo questo disco? È già successo? Abbiamo fatto qualche data prima dell’uscita ufficiale del disco e sicuramente lo accompagneremo con un set visual, perché altrimenti crediamo sia abbastanza difficile da seguire se non associato con delle immagini. Quindi in questo caso Nicola che si occupa di questo aspetto ha preparato dei video. Un set abbastanza simile a quello che è la musica: un qualcosa di piuttosto ambientale, minimo loop continuo che faccia da contorno a quello che suoniamo. Vuoi lasciare i contatti per avere il disco? Se volete scriverci anche perché noi siamo sempre disposti a qualsiasi forma di collaborazione, la nostra mail è [email protected]. Contatti: www.myspace.com/liirbufer Francesca Ognibene Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Marco Fabi Cantautore alla seconda prova, in bilico tra musica d'autore e pop, il romano Marco Fabi giunge a “Rumore amore” (Wing/Edel) a quattro anni dal premiato esordio. Lo abbiamo intervistato. È passato un periodo di tempo abbastanza lungo dal tuo esordio, accolto dalla critica con un certo entusiasmo. Quattro anni di cui un dedicato alla registrazione di “Rumore amore”. Necessitavi di prenderti del tempo per compiere un secondo passo per definizione non facile, a maggior ragione visto l'accoglienza del tuo esordio? L'idea che si percepisce è che volessi comunque fare tutto di testa tua, una scelta che richiede, naturalmente, un tempo maggiore, più ponderazione. Il primo disco era nato per necessità, desideravo da sempre farne uno. Poi iniziarono ad arrivare i riconoscimenti e infine anche i premi! Poco dopo capii che era il caso di meditarci un po’ su; perché se da un lato erano arrivati i premi, dall’altro era praticamente impossibile passare in radio o televisione, essendo lo spazio preso principalmente da artisti stranieri, grandi nomi della musica italiana, la Sugar e i talent show. Se non rientri in una di queste categorie e non vuoi pagare tanti soldi per avere spazio i grossi media ti scansano. Diventa così impossibile far circolare le canzoni e di conseguenza impegnarsi in nuove produzioni. I brani erano comunque già scritti ma ho dovuto aspettare che si ripresentassero le condizioni per registrarli professionalmente e con le persone giuste. 
Il disco si intitola “Rumore amore” e gli affetti, i tuoi amori, diciamo anche formativi, entrano in ballo pure nella scelta di certi brani: penso al brano di Fossati, al quale dici di essere legato da lungo tempo, oppure la cover del brano interpretato da Stratos. In quel caso la scelta del brano ha una valenza ulteriore: da un lato è un tributo a Demetrio Stratos, dall'altra la musica del brano l'ha composta, all'epoca, tuo padre. Come ti sei trovato a lavorare su un brano con questa duplice prospettiva? Ciò che mi ha spinto a farlo alla fine è stata proprio questa doppia valenza, sapevo che Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 prima o poi avrei voluto cantare una musica scritta da mio padre ed il fatto che quel brano era stato interpretato da un artista del calibro di Demetrio Stratos è stato uno stimolo, un punto di riferimento che mi obbligava a cercare di fare qualcosa di buono. Già altre volte ho raccontato che è stato come affrontare due mostri sacri, un padre in senso biologico e la sua musica da un lato e Stratos con la sua voce ed il suo immenso talento dall’altro. 
La tua estetica si muove in bilico tra canzone d'autore e pop (un'attitudine che esce con molta evidenza, ad esempio, in brano come “Onda”), del secondo elemento sembra esserci traccia nell'approccio più fattuale e meno introspettivo che sembri voler dare al disco, anche a livello di messaggi, è un invito a cambiare la percezione delle cose per poter influire sugli eventi. Sei d'accordo? Ho sempre concepito la musica come una ricerca introspettiva, così sono nati i brani del primo disco ed anche quelli di “Rumore amore”. Dal punto di vista dei testi, però, ho sentito la necessità di utilizzare diversamente quei minuti che una canzone ti concede. Ho scritto nelle canzoni ciò che dalla vita desidero per me e per le persone a cui voglio bene, alcune volte l’ho fatto anche a scapito del sound. Non ho pensato di fare un disco pop, indie, cool, d’atmosfera o altro. Ho pensato alle canzoni come a dei semi che diventano alberi su cui appendere un’altalena e fare dondolare le emozioni. Che ci puoi dire invece degli ospiti del disco? Sergio Cammariere e Quintorigo portano inevitabilmente con sé i loro mondi sonori, che cosa ti ha spinto a coinvolgerli? Che cosa mancava ai brani che loro erano in grado di aggiungere? Non so se ai brani mancasse qualcosa, tra le cose belle che ancora resistono nel mondo di chi fa musica, a mio modo di vedere, c’è la collaborazione artistica, la condivisione e la voglia di mischiarsi in qualcos’altro che ci emoziona. Pensavo che i Quintorigo avrebbero apprezzato il mio “Solo le nuvole” e così è stato. Poi inciderlo con loro è stata un esperienza bellissima. Quando un artista come Sergio Cammariere si siede sul pianoforte e mette del suo nella tua canzone non ti chiedi se stai andando da un’altra parte, perché sai che ci stai andando, sai che si va insieme. Si parla di lato umanista della musica d'autore nel comunicato stampa a proposito di questo album. Come giudichi, in quest'ottica, l'attuale scena musicale italiana? C'è questa voglia di vedere le cose attraverso queste lenti umanistiche e magari meno egoiste, o la strada da fare è ancora lunga? La strada sarebbe breve ma è molto in salita praticamente perpendicolare. Sicuramente nella scena musicale attuale trovo la riscoperta di alcuni valori e navigando in rete si possono incontrare molti esempi...il problema però è sempre quello dei grandi mezzi di comunicazione radio e televisione che finché non riusciremo a riconvertire ad un ruolo di informazione e di diffusione di cultura, le nostre idee saranno come un soffio contro vento. Anche per questo è utile la collaborazione tra chi canta alla gente ...più siamo e meglio è! e magari un giorno si scende pure tutti in piazza con quelli del cinema a rivendicare qualche diritto anche per noi... perché se uno Scamarcio, con tutto il rispetto, fa della cultura allora la fa anche qualcuno di noi. Contatti: www.marcofabi.net Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Alessandro Besselva Averame Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Rodolfo Montuoro Rodolfo Montuoro, finalmente è “Nacht”. E quindi uscimmo a riveder le stelle. Tutti parlano di “progetto”, al giorno d’oggi, la parola è logorata. Ma nel caso dell’ultima fatica di Montuoro, si può dire sia il suggello di un progetto lungo e impegnativo. “Nacht” (Believe/Egea) è infatti la terza tappa, che fa seguito a “Orfeo” e “Lola”, e rende compiuto un percorso di questi ultimi due anni. È quanto mai stimolante una chiacchierata con Montuoro, “distillatore clandestino” di suoni e parole, artista colto a 360 gradi, su questo suo viaggio al termine della notte. Ci parli di questa idea insolita, di com’è nata e come si è sviluppata? Tutto in digitale, online. L’idea è nata spontaneamente dal pensiero di come siano di fatto cambiati i modi del fare musica nello scenario digitale (che ormai, a tutti gli effetti, è più reale del “reale”). Se, nel recentissimo passato, dal momento della composizione a quello in cui il disco arrivava nei negozi trascorreva un tempo spesso assai lungo, ora invece – grazie alla diffusione della musica on line – c’è la possibilità di dare immediatezza al lavoro del musicista e rendere quasi contemporanee tutte le fasi della filiera del disco. Questo comporta effetti davvero imprevedibili, riplasma molte classiche distinzioni, quelle tra chi fa la musica e chi la ascolta, tra la composizione e la diffusione, tra il lavoro in studio e le performance live eccetera. Inoltre sono saltate alcune funzioni che fino a poco tempo fa erano ritenute indispensabili: saltano gli editori, ovvero le “etichette”, saltano i tradizionali canali distributivi. E le “divise” professionali si ibridano: il musicista si fa produttore, il promoter diventa spesso anche agente e gli stessi distributori acquisiscono gli spazi per le campagne pubblicitarie. Fare musica in questo scenario rivoluzionato significava per me cercare percorsi che si insinuassero nella nuova corrente. Così è nato il progetto “Nacht”. Sei arrivato all’approdo dopo un lungo percorso. Prima di “Nacht”, due uscite con altrettanti ep. “Nacht” è nato con una linea tematica quasi sceneggiata come un sequel, con le track Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 sfornate dallo studio e immediatamente pubblicate a puntate in due ep (“Orfeo” e “Lola”, Ndr) su tutti i canali on line da Believe, un contatto immediato e continuo coi fan (e con i critici) e una convergenza nel full length di tutte le variazioni e le correzioni suggerite durante il percorso interattivo. 

Il risultato assomiglia alle tue aspettative iniziali? Il risultato supera le aspettative. È stato un progetto felice che ancora non si è spento e che continuerà a essere riproposto su vari canali – anche quelli “tradizionali”, a ondate successive.

 Come sei riuscito a mantenere unitaria la “temperatura” in un progetto così lungo con uscite sul mercato multiple? La coerenza della produzione, la continuità...
 C'è stato un intenso lavoro preparatorio per costruire una linea “tematica” molto rigorosa: una specie di colonna vertebrale che ha retto tutte le torsioni e le inevitabili variazioni dovute al felice ingresso dei numerosi musicisti in momenti diversi e coi loro originalissimi temperamenti, ai mutamenti di scenario, ai momenti di euforia, di impazienza, di depressione o di raccoglimento. Ma anche al fatto che creare musica attorno a un’immagine tragica come quella di Orfeo (con tutti i suoi retaggi mitologici) era ben diverso dal puntare il riflettore su una figura futura ed enigmatica come Lola che sembra invece uscita da un interno berlinese alla Wim Wenders. Così come diverso è stato, ad esempio, musicare un sonetto dantesco (“Guido i' vorrei che tu e Lapo e io”, Ndr) senza cadere nel facile didascalismo e mantenendo lo stesso tenore stilistico dell'intero album, trascinando anche il povero Dante nel pandemonio rock di “Nacht”.
 Hai avuto dei “fari” creativi, estetici, letterari nella tua avventura? Pensavi all’esperienza di qualche predecessore? Io sono passato dalla scrittura alla musica proprio perché sentivo la necessità di truccare la parola, incorporare in essa quell’intensità, quella profondità e quella vertiginosa ambiguità che la musica imprime. Non sono un cantautore, uno che mette il verso in musica. E non mi sono mai sognato di intendere la musica come una specie di didascalia della parola. Non le so fare queste cose, anche se so benissimo che c’è stata e che oggi resiste magnificamente una nobilissima tradizione, quella della “canzone d’autore”. Per me, invece, è importante creare un modo tutto mio in cui la parola stessa (con tutto il suo strascico di significati, di pensieri, di visioni e di vita) nasce originariamente come musica. Questo processo di “distillazione clandestina” per me è inizialmente solitario e segreto. Ed è proprio per questo che poi sento l’urgenza di condividerlo, dapprima coi musicisti che di volta in volta mi accompagnano e infine coi miei ascoltatori e fan che sono un po’ tutti speciali, anche loro abbastanza riservati e fieri navigatori tra i bassifondi del rock. 

 Una domanda alla quale non rispondi mai: anche se non fai parte di alcuna “scena” in senso stretto, a quali altri musicisti/cantautori/gruppi ti sentiresti di essere accostato? È ovvio che, essendo un vorace ascoltatore e un lettore impenitente, ho nella mia mente e nel mio carattere un’infinità di musicisti, di gruppi, di stili che hanno plasmato il mio gusto e che sono responsabili di come sono fatto. Ormai è impossibile per me riconoscere gli ingredienti di questo impasto. Ma credo che sia così per tutti quelli che sono alle prese con Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 un mestiere artistico e creativo. E poi c’è un'altra cosa. Ormai è da anni che sono abituato a vivere in una perenne colonna sonora. Grazie alla portatilità della musica, alle nostre protesi in mp3, è come se fossimo perennemente immersi in un liquido amniotico musicale. E sta venendo meno il concetto stesso d’Autore, finalmente. Prima o poi ci libereremo di questa maledizione dell’identità. E allora non avrà più senso attribuire qualcosa a qualcuno perché questo qualcosa sarà finalmente di tutti. Almeno così dovrebbe essere (oggi finalmente è possibile), almeno per gli oggetti dell’arte e della conoscenza, visto che in tanti millenni gli uomini non sono mai riusciti a condividere allo stesso modo gli altri beni della terra. Ecco, vedi, non hai risposto... Dal momento che mi dai questa libertà, ti dirò che mi piacerebbe molto fare un duetto con Billy Idol!

 Prima parlavi della necessità di “truccare la parola”. Ritieni che la “parola cantata” sia meno usurata, meno banalizzabile di quella scritta o parlata? L’usura, purtroppo, non risparmia niente e nessuno e tutte le arti corrono il rischio dell’insignificanza. Non solo quelle che hanno a che fare con la scrittura ma anche le arti visive e la musica stessa.
Il passaggio alla “parola cantata”, invece, riguarda me ed è una mia personale impazienza, un lusso che mi voglio concedere. 
Ma, oltre a questo, sono sempre più convinto che nel nostro tempo la parola ha più che mai bisogno della phoné, di quel soffio dell’anima (o di un cuore pensante) che è sempre presente nella poesia, fin dai tempi di Omero. Metterci l’anima nella parola, metterci la musica nei pensieri. È questo battito ed è questo respiro che nelle conversazioni, più che nelle scorribande a volte anche oziose della letteratura, danno l’umana risonanza alle nostre parole e aggiungono bellezza alle nostre vite.
 Che ti inventerai ora?
 Devo portare avanti il mio progetto “Mythologies” che è cominciato qualche anno fa con “Hannibal” e adesso invoca tutte le attenzioni. Ora che sono arrivato al termine della notte, stropiccio gli occhi, mi do una ripulita, faccio risuolare le scarpe e precipito lungo quest’altro sentiero... Contatti: www.myspace.com/rodolfomontuoro Gianluca Veltri Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 4fioriperzöe Musiche per film mai visti Garrincha Dischi/Preludio È tempo di riordinare i cassetti per i 4fioriperzöe. E così la formazione di Matteo Romagnoli licenzia un terzo disco sui generis. Si tratta di una silloge di sonorizzazioni, tracce nate con l’intento di musicare film, cortometraggi, documentari, installazioni e mostre, appartenenti all’ultimo lustro. Eventi quasi sempre destinati a un pubblico da festival (leggi: ignorati dai più). Assemblando unitariamente il materiale, i 4fioriperzöe assegnano nuova dignità a note sommerse. “Musiche per film mai visti”, che richiama naturalmente l’antico precedente illustre del Brian Eno di “Music For Films”, lascerà di certo interdetta una fascia di ascoltatori. È una sequenza di non-canzoni, ventidue suggestivi fondali strumentali, immagini delle quali sono rimasti solo i commenti musicali. Sperimentare la libertà di riempire i suoni con le scene che si desidera, farne colonna sonora a proprio piacimento. Le atmosfere conducono, lo diciamo magari con approssimazione – ma nemmeno troppa – di volta in volta a Daniel Lanois, Ryuichi Sakamoto, Astor Piazzolla, Ennio Morricone, Michael Nyman, lo stesso Eno. E così si susseguono gli scenari ventosi di “Arriver moins rapidement à la mort”; la spaziosa ossessività di “L’Africa per noi è troppo grande”, sottotraccia di un percorso (per un documentario sul continente nero) che contiene anche “Il Mali migliore” e “In Africa non sei mai solo, mai!”; la cameristica esattezza urbana di “Utopia tagliata al realismo”. Arie balcanizzanti, bandistiche, ironia e anche la cover folk dell’aria “Un bel dì vedremo” dalla “Butterfly” di Puccini. Risultati interessanti, grazie anche agli ospiti. I titolari della ditta – Matteo Romagnoli (LE-LI), Nicola Manzan (Bologna Violenta, Il Teatro degli Orrori), Francesco Brini (Swayzak) – sono infatti affiancati da bravi e ben noti musicisti come Enrico Gabrielli (fiati), Pasqualino Nigro (fisarmonica), Vincenzo De Franco (violoncello) e altri. Contatti: www.myspace.com/4fioriperzoe Gianluca Veltri Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Aedi Aedi Met Heidi Seahorse/Audioglobe Quando un album funziona e un gruppo ha talento bisogna dirlo. E ci sono pure diversi punti che dimostrano come questo “Aedi Met Heidi” sia un disco capace di risvegliare l’entusiasmo ingrigito da troppi ascolti mediocri. 1) È ambizioso: non è facile ascoltare lavori capaci di mischiare alle suggestioni di un’indie “canadese” (Broken Social Scene, Stars) alle astrazioni sonore di area Kate Bush e uno sperimentalismo istituzionalizzato da Björk e risultare credibili. 2) È suggestivo: i landscape sonori costruiti dalla band creano un universo di riferimento multistrato e in grado di offrire notevoli hook all’ascoltatore attento. 3) Le canzoni girano bene. Nella ricerca di una melodia insolita, gli Aedi non cadono nel grottesco neobarocco, ma finiscono per citare quella ridda di influenze e veicolarla in canzoni che mantengono ferma e forte la propria identità. 4) È presentabile. Se all’estero ascoltassero un disco del genere, avrebbero lo stesso tipo di reazioni provate per gente tipo Beatrice Antolini: si tratta di un’opera che se fosse uscita a nome – facciamo un esempio – St. Vincent, avrebbe guadagnato una buona attenzione e visibilità. 5) È imperfetto e non si compiace di cercare la perfezione. Questo è un merito perché se è vero che la bellezza sta nello scarto che separa la maniacale perfezione della tecnica dal fuoco musicale che brucia dentro, allora “Aedi Met Heidi” ne è pieno. Contatti: www.myspace.com/aedimusic Hamilton Santià Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Alcool Etilico Alcool etilico EnZone Dispersi nel mare, al largo dello stretto sull'isola di Lipari, il sestetto degli Alcool Etilico imbraccia chitarre e solitudine e si mette a strimpellare. E sarà il mare, saranno la distanza dal continente, il mediterraneo e l'isolamento, ma il risultato è un rock melodico come un incontro tra dei Baustelle privi di pretese intellettuali (mi rendo conto di aver appena scritto qualcosa di ossimorico) e dei Diaframma solari ed estivi (idem come sopra). In quaranta minuti, in dieci tracce un po' tutte uguali, il disco omonimo degli Alcool Etilico fila via leggero, senza testi disturbanti, ma nemmeno così campati per aria, con un buon uso dell'italiano privo di “gl” come ogni buon accento siculo che si rispetti, e con le chitarre che la fanno da padrone tra tastiere accennate e batterie diligenti. Saltano fuori anche le influenze un po' nefaste di Negroamaro e Vibrazioni, ma fortunatamente i sei di Lipari sono abbastanza scaltri da evitare certe banalità compositive per mantenere tutto l'impasto sulla melodia e sulle chitarre. “Alcool Etilico”, l'album, è tutto qui, senza canzoni imprescindibili ma anche senza eccessive cadute di stile. Forse il punto più interessante sta in quella fisarmonica che fa capolino in “Nala” tra una specie di tango rock di marce e arpeggi, e forse è lì che si dovrebbe concentrare il sestetto, insieme alle hit scanzonate come “Anni '70”, perché quando riparte il rock melodico pare che manchi qualcosa. Un tocco di sud, forse. E il mare, la distanza dal continente, il mediterraneo e l'isolamento. Contatti: www.myspace.com/alcooletilico Marco Manicardi Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Apart Digital Frame KrisaliSound Per moto ribelle o necessità il mondo sta riscoprendo il gusto per le cose fatte in casa. Cucinare, scopare, ascoltare un disco, farne uno. Ne sa qualcosa Francis M. Gri che dopo aver pubblicato i precedenti lavori su Final Muzik, ha deciso di fondare un’etichetta (KrisaliSound) e dare così una maggiore omogeneità ai propri progetti, dei quali Apart spicca per essere il più compiuto e personale. “Digital Frame”, terzo album ufficiale dopo i precedenti “Across The Empty Night“ e il doppio “Winter Fragments”, è uno di quei dischi che non poteva uscire in un periodo migliore di questo. I suoni circolari, le atmosfere rarefatte e gli innesti ritmici carichi di riverberi, sono l’ideale colonna sonora per ore pensose passate dietro un vetro, mentre fuori piove, fa freddo e tutto va a rotoli. In tal senso il background dark (Gri è stato fondatore degli All My Faith Lost) è un’eredità che Apart non trascura o, maliziosamente, non riesce ad evitare. I 9 brani in scaletta hanno il sapore della malinconia, ma mai dell’autocommiserazione; anche quando sfiorano l’eccessiva dolcezza tipica di colleghi illustri (i primi Sigur Rós), si tratta di brevi istanti, squarci sonori che lasciano intendere nuove direzioni per il futuro piuttosto che una semplice e passeggera affezione. “Digital Frame”, offre molto di più, dice molte più cose, pur senza tradire l’omogeneità del lavoro. La conclusiva “Exit Dream”, con i suoi tredici e più minuti di flusso sonoro in continuo mutamento, lo dimostra ampiamente. Da ascoltare. In casa. Contatti: www.myspace.com/apartlyseconds Giovanni Linke Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Argine Umori d’autunno Ark Difficile per gli Argine confrontarsi col passato, difendere la fama di “Mundana humana instrumentalis” e “Luctamina in rebus”, due album che hanno segnato profondamente gli anni a cavallo tra i ’90 e il 2000. Allora il gruppo partenopeo aprì un po’ la strada a un modo – sostanzialmente nuovo in Italia – di interpretare il suono acustico, attingendo parimenti alla nostra musica popolare e alla new wave e ispirandosi all’orgoglio antico della tradizione. Poi il neo-folk si è trasformato in un boom per i soliti adepti, esaurendosi rapidamente su pochi giri di chitarra e sul prevedibile scandire di percussioni marziali. Ma gli Argine erano già fuori delle righe nel ’96, con i loro testi colti e ricercati come poesie di D’Annunzio, con i loro coraggiosi sperimenti strumentali, con progetti grafici sempre molto raffinati. A sei anni di distanza dal loro ultimo CD, che aveva fatto un po’ storcere il naso agli ammiratori della prima ora, Corrado Videtta e compagni seguono un percorso stilistico a metà strada tra rock e canzone d’autore, affermando di nuovo il proprio elegante lirismo con una manciata di brani piuttosto lontani dallo stile neo-folk ma parimenti intensi, orgogliosi, malinconici. Comunque contraddistinto dal dialogo tra chitarra acustica e violino, divenuto ormai marchio di fabbrica della band partenopea, “Umori di autunno” propone una forma canzone ben delineata che – sebbene nelle dinamiche meno convulsa e nei toni meno epica rispetto al passato – s’impone per la semplicità e l’eleganza, per il fraseggio morbido di chitarra e violino e per uno stile vocale che ben si addice alle capacità canore del Videtta. Contatti: www.argine.net Fabio Massimo Arati Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Distanti Enciclopedia popolare della vita quotidiana Triste A distanza di pochi mesi dalla pubblicazione del loro omonimo ep autoprodotto – cinque canzoni che avevano fatto ben parlare della band di Forlì -, ecco adesso arrivare l'agognato album d'esordio per i Distanti sotto l'egida della torinese Triste Records: disponibile sia in free download sul sito della “non etichetta” (www.robatriste.com) sia in formato vinile. L'album suona come immaginavamo e come ci sembrava giusto che fosse - sporco, opaco, frenetico, tormentato, urgente – coerentemente alla loro proposta musicale. Appena venti minuti totali che scorrono veloci e sofferti su trame in bilico tra punk, hardcore e indie-rock primi Novanta – con tutti i “pre” e i “post” e gli “emo” del caso -, senza rinunciare però a una certa inclinazione sensibile verso la provincia italiana grazie ai testi e al cantato in lingua madre. Proprio in quest'ultima sfumatura risiede il valore aggiunto della band, come già emergeva nell'ep. È come se i Fugazi e tutta la Dischord flirtassero con Pier Vittorio Tondelli con una rabbia e una disperazione giovanili inarginabili. Niente di nuovo, vero. I loro concittadini La Quiete, i Fine Before You Came e gli Altro si muovono su questi stessi territori musicali già da un po' di tempo e con ottimi risultati. Ma se non ci sofferma al primo ascolto e si concede più tempo a questa “Enciclopedia popolare della vita quotidiana”, emergerà palese la forte, originale e contagiosa personalità artistica dei Distanti. E canzoni come l'anthemica “Limonare duro”, la sadica e acustica “Appunti per un’amica” e la travolgente “Ingenuità dei lettori e delle lettere”, con quel suo crescendo finale da urlare a squarciagola, lo dimostrano benissimo. Restiamo convinti però che una produzione più attenta avrebbe sicuramente giovato a questi dieci brani donandogli una più incisiva profondità e differenziandoli maggiormente tra loro. Contatti: www.myspace.com/distanti Andrea Provinciali Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Duemanosinistra Intimo rock Mexicat/Audioglobe “Build The Modern Chansonnier”, cantavano i Baustelle al principio della loro avventura e, anche se le direttive musicali di Duemanosinistra, ovvero il torinese Orlando Manfredi, sono decisamente lontane da quelle del gruppo toscano, l'impressione che si ha nell'ascoltare il suo progetto, allargato in studio e soprattutto dal vivo ad una vera e propria band, è proprio quello di un cantautorato evoluto, “costruito” con elementi eterogenei, capace di agganciare di volta in volta input e suggestioni molto lontane tra loro, includendo il tutto nel proprio piccolo mondo senza per questo snaturarsi. A far da guida tra i rimandi, le suggestioni atmosferiche più o meno tecnologiche, le strutture pop più o meno lineari di “Intimo Rock”, prodotto da Max Viale di Gatto Ciliegia e targato Mexicat, una voce che se da un lato può rimandare di tanto in tanto a riferimenti noti (Manuel Agnelli direbbe qualcuno, ma noi in queste canzoni ci sentiamo di più, a livello di impostazione non lineare, Cristina Donà, quella di “Nido” in particolare) dall'altra ha una presenza scenica abbastanza autorevole da dare il giusto peso alle parole. L'immaginario è personale, il respiro letterario dei testi e i riferimenti poetici classici (“Icaro”, “Narciso”) convivono pacificamente con i riferimenti al quotidiano, e tra gli estremi che toccano un pop immediato e frizzante (“Portami per mano in guerra”) e soluzioni più sfuggenti (l'ottima “Icaro grigio”, ospite Lalli, l'aerea e incisiva “La caduta di un passero”) ci troviamo ad ascoltare un artigianato cantautorale di ottimo livello, estremamente maturo trattandosi di un disco d'esordio. Contatti: www.duemanosinistra.com Alessandro Besselva Averame Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Elizabeth Ruggine Mescal/Universal Osservando il debutto degli emiliani, ehm, Elizabeth, racchiuso in un bel digipack minimalista, si viene subito assaliti dai dubbi: estetica mod, riferimenti alla bandiera del Regno Unito, grafica che sembra richiamare a gran voce gli Who. Quanto c’è di giocosamente citazionista e quanto c’è di esplicitamente revivalistico? Marco e Matteo Montanari (rispettivamente voce più chitarra e tastiere), Michele Smiraglio (basso) e Francesco Micalizzi (batteria) non si fanno giustamente troppi problemi nell’ammettere di essere cresciuti ascoltando i medesimi Who, Paul Weller e Radiohead, ovvero la quintessenza del classico sound britannico. Dalle cover ai brani autografi in italiano, il passo è stato però necessario e naturale. La distribuzione major e il successo del singolo “Piove su Milano”, presente come bonus track in versione inglese dopo essere stato utilizzato come colonna sonora per alcuni, importanti spot della Edison, fanno senz’altro drizzare le antenne: non capita di frequente che venga prestata tale attenzione alle nostre band emergenti. Bene, le motivazioni restano misteriose perché “Ruggine”, a parte la scelta del titolo, che rimanda in un colpo solo alla chimica, al disfacimento etico dei tempi odierni e alla strumentazione vintage dello Studio Esagono di Rubiera, non rivela francamente molti pregi. Anzi, le canzoni sono abbastanza banali e sul piano formale siamo vicini agli ultimi Negramaro, sia che ci si concentri sul pop sia che si inaspriscano i toni. Contatti: www.myspace.com/elizabethdisinfettante Elena Raugei Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Ely Bruna Papik Presents Ely Bruna – Remember The Time Irma Un po' come i Nouvelle Vague, ma partendo dal “basso”: Ely Bruna, già autrice di brani per Mario Biondi, interpreta in questo album una serie di successi da classifica di anni Ottanta e Novanta, con arrangiamenti di Papik e un'impronta soul-jazz che attraversa i brani trasfigurandoli in modo più o meno deciso, generando alcune versioni parecchio godibili e altre un po' più prevedibili. Alla prima categoria appartengono senz'altro di “Material Girl” di Madonna, trasformata in un florilegio di jazz orchestrale, “Tarzan Girl” in salsa downtempo-ska, “Take On Me” in punta di spazzole e pianoforte sinuoso che prende il posto delle tastiere degli A-Ha, “Clouds Across The Moon” reso con l'incalzare di una limpida bossanova. Alla seconda le pur piacevoli “Barbie Girl” e “The Final Countdown”, i cui arrangiamenti fanno venire in mente, qua e là, quel genere di sofisticata patinatura che troviamo su all'incirca qualunque disco solista di Sting. Carini e poco più per farla breve, mentre lo spessore e l'inventiva di molte altre interpretazioni contenute nel disco mostrano le vere potenzialità del sodalizio tra il produttore italiano e la cantante di origine messicana. Lavoro più che godibile, al di là della nicchia lounge e del suo circolo di appassionati. Contatti: www.irmagroup.com Alessandro Besselva Averame Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Ezra Solo No.Mad/Audioglobe “Solo” è il secondo album del musicista torinese Ezra dopo l’esordio del 2005 “In grembo”, entrambi usciti per No.Mad: etichetta e studio di registrazione voluti da egli stesso. Tutto il mondo musicale di Ezra ruota attorno allo studio che per lui vuole essere punto d’incontro: per debutto aveva cercato i suoni giusti e li aveva messi nel suo speciale ordine per dare un primo significato; adesso con “Solo” ha preso maggiore consapevolezza di se stesso come musicista e compone, scrive i testi e canta. Un remixer e producer come Ezra ha maturato una lucidità per i percorsi di altri, limandoli dal superfluo o arricchendoli di groove con il suo estro compositivo. “Solo” ne è dimostrazione lampante. Suddividere in generi il disco seguendo un percorso tutto dettato dal suo istinto ci porta la consapevolezza che il gioco della musica ancora una volta non lo guidano i musicisti ma il loro cuore, la passione negli ascolti, il sentirsi ragazzini riascoltando e cantando di continuo una stessa canzone quasi a volerla interiorizzare, come in questo caso la cover di “Mannish Boy” di Muddy Waters. Ezra si fa trasportare dai suoni e li fa suoi, li cerca di controllare, li ottimizza, li mischia, li rallenta. Un pianoforte può aver dato il la alle prime versioni di queste composizione ma l’impeto costruttivo, le cattedrali musicali risultato finale, sono venute dopo. E sono la vera bellezza del disco: gli orli. Con Paolo Spaccamonti, Davide Compagnoni, Cecio di Mr. T-Bone, Suz, Deian e altri come amici, ispiratori di suoni ed esecutori, anche loro sono trasportati dalla musica senza generi e con tanti meravigliosi colori. Contatti: www.myspace.com/ezraingrembo Francesca Ognibene Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Fabrizio Zanotti Pensieri corti Storie di Note/Egea Avevamo lasciato Fabrizio Zanotti, già metà dei Foce Carmosina insieme a Lino Ricco, all’indomani del valido debutto solista “Il ragno nella stanza”. Ritroviamo il quarantenne cantautore piemontese tre anni dopo. Encomiabile la ricerca di una cifra più personale, verso un affrancamento da modelli troppo connotanti (De André, Guccini, Lolli). Anche se verso fine-scaletta Zanotti infila una rilettura di “Ho visto Nina volare”... “Chini Marco” è l’alter-ego scelto per la traccia iniziale: un cognome ch’è un programma, per un lavoratore di call center che diventa l’epitome sconsolante del furto di futuro. La nuova schiavitù, la restrizione della mente, la svalutazione della persona. La mancanza di futuro è anche nelle promesse alle quali non riusciamo ad aderire, come quelle raccontate in ritmiche afrocubane con “Barack Obama”. Zanotti ricorre allo swing, al country, al folk. Il brano che dà il titolo all’album si situa più dalle parti di un songwriting lo-fi, volutamente sporco e sgangherato, sottolineato da chitarrine vibrate e un kazoo sfottente. È un episodio molto positivo, ma non fotografa utilmente Zanotti, che è invece un cantautore dalla faccia pulita. “Musicalenta”, a metà disco, ne rappresenta forse l’acuto: un brano che pare già un classico, sicuro e sommesso. “La storia continua” è invece una filastrocca iterativa in stile CSI. La strada non è tutta in linea retta, la giusta tensione non è continua per tutto l’album. La ricerca di un tono proprio non si esaurisce certo in un baleno, ma “Pensieri corti” è un tassello confortante nella parabola di una voce d’autore degna d’attenzione. Contatti: www.storiedinote.com Gianluca Veltri Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Jules Not Jude All Apples Are Red, Except For Those Which Are Not Red Produzioni Dada Chissà se quel Jules della ragione sociale si riferisce davvero al primo figlio di John Lennon Julian a cui Paul McCartney dedicò appunto la celeberrima “Hey Jude” storpiandone volutamente il nome e chissà se la mela che campeggia in copertina vuole rimandare alla Apple casa discografica del quartetto di Liverpool. Certo è che il pop morbido e rotondo che si ascolta in questo esordio dei Jules Not Jude ha più di un punto di contatto con i Fab Four e indirettamente con tutta quella filiera brit di figli e nipotini che porta fino ai Belle And Sebastian. 
L'esordio sulla lunga distanza di Simone Ferrari, Mirza Shaman, Mauro Parolini e Marzia Savoldi è l'ennesimo esperimento partorito da quella fucina di nostalgici elettro-acustici Sixties che è la Brescia dei Le Man Avec Les Lunettes – presenti anche loro tra i crediti di “All Apples Are Red, Except For Those Wich Are Not Red” – e degli Annie Hall, con gli ...A Toys Orchestra di Enzo Moretto (“Chance”) a fare capolino in qualche passaggio. Il che significa piglio da navigati artigiani del suono, passioni analogiche su chitarre elettriche, batteria, basso, synth, percussioni, qualche concessione a un'elettronica tuttalpiù decorativa. Il risultato è un album di debutto davvero promettente, formalmente ineccepibile e da cui non ci separa facilmente. Contatti: www.myspace.com/julesnotjude Fabrizio Zampighi Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Lloyd Turner Hints Face Like A Frog/Goodfellas Difficile – e forse neppure necessario, in fin dei conti – dare una definizione bella tonda e ragionevole di ciò che fanno i Lloyd Turner, ovvero Paolo Tornitore e Donato Loia (quest'ultimo già nei Lento): più interessante, dal punto di vista delle coordinate stilistiche ed espressive, il fatto che il loro primo album esca al di là dei confini italiani per la Recommended Records, etichetta fondata da Chris Cutler ormai più di trent'anni fa e punto di riferimento costante per le musiche eterodosse e non allineate di tutto il mondo. Il presupposto di partenza del duo è la creazione di composizioni che si appoggiano sicure sulle atmosfere più che sui brani, o, meglio, di partiture che concedono alla tessitura e alle sfumature il compito di dire tanto quanto le pure e semplici note. Tutto nasce dall'interscambio tra pianoforte e chitarre, il primo settato su un range di note basse e solenni (ma anche ariose, in “Two” ad esempio), le seconde impegnate anch'esse a monitorare fondali dell'anima con un approccio densamente emotivo e rarefatto al tempo stesso. Vengono in mente Rachel's, This Mortal Coil e Popol Vuh, se proprio ci si deve agganciare a riferimenti passati, ma ascoltando la conclusiva “Unveiled”, con quella scala discendente di note che disegna un mondo tutto suo, possiamo dire senza temere smentita che i Lloyd Turner sono una realtà originale e piuttosto solida. Contatti: www.facelikeafrogrecords.com Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Marcello Capra Preludio ad una nuova alba Electromantic Music/Ma.Ra.Cash Una chitarra acustica come un pennello, agile e talentuoso, a dipingere lontani angoli di mondo, profumi di culture diverse, in un vivace gioco di danze e colori. È quella di Marcello Capra, storico musicista torinese (un passato prog Seventies con i Procession e altri sette dischi solisti alle spalle), soprattutto il suo brillante e versatile stile flatpicking sul confine tra il bluegrass americano, frontiere new age e tanto Mediterraneo, ma poi aperto e curioso nello sconfinare ovunque ci sia da soffermarsi a raccogliere immagini ed ispirazione. Un’Ovation Legend come fedele compagna di viaggio, e via in un tumulto di sapienti note cristalline che si rincorrono a perdifiato, tra danze “verdi”, “turchesi”, “russe”. Talvolta si acquietano, in un susseguirsi di suggestioni e scenari fascinosi , tra “Corsari” immaginari e orizzonti di mare (“Bassa marea”, “Canto di mare”). Quando ci si cimenta in un disco con quindici brani di sola chitarra c’è sempre il rischio di finire imbrigliati fra le corde di Narciso, prigionieri della lusinga del virtuosismo, ma Marcello Capra ha troppo estro, cuore e fantasia, coniugati ad esperienza ed equilibrio compositivo, per lasciarsi sopraffare dall’autocompiacimento. Gli umori folk, il calore e la poesia prevalgono ovunque nel “Preludio ad una nuova alba”, anche quando l’autore imbraccia una Gibson Les Paul Deluxe (“Tracce Mediterranee”, “Aura”): le dita scorrono veloci e sicure, mai invano, accompagnate infine dalla brezza di un canto, sempre in simbiosi emozionale ed immaginifica. Contatti: www.marcellocapra.com Loris Furlan Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Matteo Toni Qualcosa nel mio piccolo autoprodotto/Still Fizzy L’ep d’esordio di Matteo Toni rischia di essere chiacchierato soprattutto per la sua produzione, co-firmata da Moltheni - presente persino in tre brani, alle chitarre, ai cimbali o ai cori, nonché autore della conclusiva “Tutti i miei limiti” - e Gilberto Caleffi. Sarebbe abbastanza ingiusto, dacché il songwriter e chitarrista modenese si è fatto le ossa in varie band nel corso dell’ultimo decennio, dai Sungria ai Man On Mars. Registrato alle Officine Meccaniche da Antonio Cupertino, “Qualcosa nel mio piccolo” segna così una nuova partenza in proprio, sebbene la formazione a tre comprenda Giulio Martinelli alla batteria e Enrico Stalio al basso. Le cinque canzoni in scaletta, per circa venti minuti di durata, mettono in luce un’indiscussa padronanza esecutiva, al servizio di un folk-rock lodevolmente cantato in italiano e debitore, così si legge nelle note riservate alla stampa, a Ben Harper, Bob Marley, Nick Drake e Xavier Rudd. In realtà, rimanendo all’interno dei nostri confini, si pensa anche allo stesso Moltheni o a Roberto Angelini, ma l’intreccio delle trame sonore, prettamente acustiche, risulta alla fine personale a sufficienza, coadiuvato dal dispiegarsi di una voce che sa farsi calda, delicata e avvolgente, prossima in certi casi al blues. Le melodie di “Capitano”, i toni maggiormente accesi di “Fluir”, l’intimismo in punta di dita di “Neve al sole” e i cambi stilistici di “Senza fede” fanno ben sperare nell’ottica di un auspicabile album sulla lunga distanza. Staremo a sentire. Contatti: www.matteotoni.com Elena Raugei Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Nino Bruno e le 8 tracce Cane telepate La Canzonetta/Goodfellas Nino Bruno ha alle spalle una lunga carriera alla guida di varie formazioni underground, nella Napoli a cavallo tra anni Ottanta e primi Novanta, e da qualche tempo è tornato a dare notizie di sé con un progetto talmente rétro e devoto al suono analogico da sembrare, se non proprio attuale, quantomeno freschissimo, Nino Bruno e le 8 tracce. “Cane telepate” è il seguito di un EP pubblicato nel 2006 dalla Toast e si ispira ai dettami di un “Dogma 8” che prevede l'utilizzo di apparecchiature vintage dal momento della ripresa a quello del missaggio, facendo venire in mente già dalla prima nota i tempi pionieristici de Le Stelle di Mario Schifano o de Le Orme agli esordi. Questo album, prodotto e mixato da un Marco Messina al di fuori dei consueti panni di alchimista elettronico ma perfettamente sintonizzato sullo spirito del progetto, è un piccolo gioiello di psichedelia stralunata, che ricorre all'apporto di amici (Francesco Di Bella dei 24 Grana alla voce in “Tipo da evitare tipo da incontrare”, Daniele Sepe ai flauti nel quasi-strumentale “Venite, venite ragazzi”) ma trae la propria forza da una visione personale, all'incrocio tra l'inevitabile Syd Barrett, l'età leggendaria dei grandi festival italiani dei primi Settanta, i Dungen e il primissimo Alan Sorrenti. Sulla carta poteva essere la versione stinta e seppiata di additivi psichici ormai in disuso, ciò che ne viene fuori è in realtà un piccolo gioiello di pop eccentrico e felicemente lontano dai giochi. Contatti: www.myspace.com/ninobruno8 Alessandro Besselva Averame Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Paolo Toso Poche parole di conforto autoprodotto Scaricabile gratis oppure a offerta libera per un tempo limitato, nonché acquistabile in formato cd sul sito ufficiale dell’artista e tramite iTunes, “Poche parole di conforto” è l’esordio sulla lunga distanza del piemontese Paolo Toso, a seguire il singolo “Il principe dei matti”, qua riproposto, e l’ep “L’uomo a una dimensione”, ambedue risalenti al 2009. Prima di divenire cantautore, l’esperienza nel campo delle sette note - avviata al passaggio fra gli anni 80 e 90, marchiati a fuoco dalla new wave - è stata accumulata con vari progetti: su tutti, i Neogrigio, duo in combutta con Matteo Ricci e influenzato da antesignani come Diaframma e CCCP. La crescita si rispecchia in un netto cambio stilistico, rivolto a un songwriting classicheggiante, essenziale e prevalentemente acustico, dove la voce e le chitarre sono in assoluto, nitido primo piano. Prodotto da Gabriele Lunati, il disco si avvale comunque dell’apporto di Paul Stephen Borile (basso), Massimiliano de Lorenzi (piano e tastiere) e Alessandro Morbelli (percussioni): la materia prima, un folk-rock che rispetta le radici senza dimenticare la contemporaneità, guadagna così in funzionali variazioni strumentali (si senta, per esempio, la più stratificata “L’equivoco”). Pur con gli inevitabili margini di miglioramento, l’ascolto rivela dunque spunti di interesse, anche perché i testi girano alla larga dalla banalità. Quindici tracce in scaletta potrebbero sembrare troppe, ma il fatto che scorrano in scioltezza dovrebbe essere un segnale indicativo. Contatti: www.paolotoso.com Elena Raugei Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Petralana Oggi cadono le foglie Suburban Sky/Audioglobe Ciò che colpisce immediatamente dei Petralana è la cura artigianale prestata a ogni dettaglio, sia che riguardi la musica e i testi sia la grafica del bel packaging. Nati come duo omaggiante Fabrizio De André e poi stabilizzatisi in quartetto, il songwriter Tommaso Massimo (voce, chitarra acustica e Fender Rhodes), Marco Gallenga (violino), Piero Spitilli (contrabbasso e basso elettrico) e Richard Cocciarelli (batteria) esordiscono con l’atipico, immaginifico “Oggi cadono le foglie”. Atipico perché ispirato da un’ambientazione tutt’altro che urbana, cioè un casolare circondato dai boschi, e soprattutto perché interamente dedicato alla rilettura de “Il barone rampante” di Italo Calvino. Non è da tutti, insomma, presentarsi sulle scene con un concept album volutamente fuori dal tempo e dallo spazio, arricchito dalla partecipazione di Marco Superti, a dare una mano con gli arrangiamenti e alle prese con chitarre acustiche ed elettriche, e ben condotto in porto da Guido Melis dei concittadini Underfloor, al mixer e ad affiancarsi alla band in fase di produzione. Gli intenti, che potrebbero sembrare pretenziosi o pedanti, si concretizzano in nove canzoni di buon livello, che guadagnano in preziose sfumature grazie all’apporto strumentale di vari ospiti (il piano di Simone Graziano, la fisarmonica di Mirko Guerrini, la viola di Giulia Nuti...). Uno storytelling al contempo aggraziato e vivace, che non porta autentiche novità ma trova la propria ragione d’essere in un progetto complessivamente ben architettato. Contatti: www.myspace.com/petralana Elena Raugei Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Piccola Banda Brigante Certi ricordi Loser's Company Prima della seconda metà del secolo scorso l'Italia non aveva un genere folk vero e proprio, com'è comprensibile per un paese che fino a poco tempo prima non era altro che un collage di contee, stati e piccole nazioni regionali. Poi è arrivata l'unificazione, ma a poco è servita. Il folk italiano è nato successivamente con la radio e con la televisione. C'è una linea più o meno retta che va da Modugno a Capossela, con il baricentro preciso fissato su Fabrizio De André. Questa linea più o meno retta può, da un certo punto di vista, rappresentare la nostra tradizione contemporanea, il nostro folk. Antonio Brigante l'ha capito bene, e nella sua Romagna, con la sua Piccola banda, cerca di condensare quella linea nei quaranta minuti di “Certi ricordi”: chitarre, bassi e contrabbassi, batterie, percussioni, armoniche, kazoo, mandolini, scacciapensieri e una voce caldissima, impostata e precisa; ci sono le storie, le allegorie, l'attualità, la politica e la poesia in nove testi pensati con cura; c'è la voglia di cercare le radici della musica italiana tradizionale, senza scadere nel regionalismo e senza pretese intellettuali. Questo sembra essere l'intento della Piccola banda brigante, questo, ancora embrionale seppur suonato con tutta l'accortezza del caso, è il germoglio di quella che potrebbe rappresentare la sintesi o la presa di coscienza del punto d'arrivo del folk italiano. Un punto d'arrivo che diventa un inizio, perché qualcuno, quella linea, dovrà pur continuare a tracciarla. Contatti: www.myspace.com/antoniobrigante Marco Manicardi Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Rein È finita OTR Ogni band ha il suo centro, ogni lavoro il suo focus. Il focus dell’ultimo lavoro dei romani Rein – il terzo – è la generosità, sia nelle tematiche che nelle soluzioni più strettamente musicali. Le parole chiave del disco sono “consumo”, “anti-militarismo”, “sostenibilità”, “resistenza”, “marginalità”. La traccia finale “L’erba ai lati della strada” – una delle migliori – che avanza come una marcia in levare stracciona e sgangherata, recita: “Preferisco gli zingari/ e i loro furti reali o inventati dai giornali/ per questo preferisco le strade di periferia”. L’idea è che il consumismo sia giunto al capolinea, e ci si possa finalmente spogliare del superfluo (sarà vero mai?). In “Sul tetto”, Gianluca Bernardo canta: “E scoperchiando i palazzi/ la gente uscirà fuori da ogni nicchia di cemento/ volando su, sui tetti/ senza i pesi morti dei bisogni indotti”. Una specie di realismo magico metropolitano, in mezzo alle antenne paraboliche, simbolo della modernità spersonalizzante. La band di Bernardo, voce e autore dell’intera scaletta (tranne che due pezzi in solido con Matteo Gabbianelli e uno con Adriano Boni), ha all’attivo una buona attività live, nella quale sa mettere a frutto la passionalità, il suono pieno e folkeggiante. Le maglie entro cui si muove la patchanka dei Rein sono tutte entro una banda stilistica ben codificata: si va dall’etno-combat un po’ risaputo della title track (che apre l’album) al cantautorato di marca deandreiana di “Megalopolis”, dal folk-rock di “La notte e la benzina” (tra Dylan e De Gregori, che poi è lo stesso) che poi vira verso atmosfere vagamente mariachi in “L’era dei pesci” e il western in “Hiroshima Take Away”. Certo parole non nuove; non linguaggi innovativi né assemblaggi inattesi. Un album di artigianato idealista, onesto anche se privo di unghiate decisive. Contatti: www.rein99.it Gianluca Veltri Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Sparkle In Grey & Tex La Homa Whale Heart, Whale Heart Black Fading/Grey Sparkle/MCL Nel 2008 avevamo lasciato gli Sparkle In Grey in "un posto tranquillo" dicendone ogni bene, sapendoli in viaggio verso il “México”, nuovo album che auguriamo veda presto la luce. Nel frattempo il quartetto fondato da Matteo Uggeri sfida le convenzioni e il quotidiano vivere, regalando ai propri fan (si usa ancora la parola fan?) nuove tracce per far battere forte il cuore. Un cuore grosso, un cuore di balena. “Whale Heart, Whale Heart”, split album in vinile (si usa ancora il giradischi?) porta la loro firma e quella dell’inglese Tex La Homa (al secolo Matthew Shaw, che qui in Italia gode di una certa fama per l’album “Little Flashes Of Sunlight On A Cold Dark Sea” uscito su Acuarela nel 2008). Un lato ciascuno, un comune sentire, risultati diversi e allo stesso tempo, entrambi eccezionali. Di Tex La Homa diremo che la sua idea di canzone, che semplifichiamo definendola ambient-folk, sarà in grado di stupire parecchi ascoltatori (si usa ancora stupirsi per qualcosa?). Gli Sparkle In Grey, al contrario, non vi stupiranno. Non solo, almeno. Vi faranno innamorare perdutamente. Le due tracce che portano la loro firma (“These Nightmares Are Ending” e “L’innocence du sommeil”) emergono dalle casse dello stereo con un crepitio quasi mistico, un rituale collettivo dove il dialogo tra violino e chitarra rimane l’elemento catalizzante intorno al quale ruotano glitch ed elementi di field recording. Una delizia strumentale, 20 minuti di puro piacere sonico per i quali ringraziarli (dalle nostre parti si usa ancora ringraziare). Contatti: www.greysparkle.com Giovanni Linke Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Svetlanas Svetlanas Vampata Fa un certo effetto nostalgico poter utilizzare la dicitura “punk filosovietico” a un gruppo che incide e opera nel 2010. Ma a parte lo sfizio della dicitura non ci troviamo al cospetto di emuli, o peggio cloni, di Ferretti e soci fuori tempo massimo, gli Svetlanas che esordiscono sulla lunga distanza con un album omonimo sono “solo” un bel gruppo di punk’n'roll. La formazione non è composta da esordienti: troviamo infatti Andrea Diste Di Stefano – già Sottopressione e La Crisi – alla batteria, Alessio Riccardi degli Impossibili al basso, Michele Mick Vaselli (fu Gambe di Burro) alla chitarra e alla voce Olga Svetlanas, al secolo Angela Buccella, giornalista e scrittrice (Rolling Stone, GQ, Radio2) col pallino dell’amplificatore al massimo. Dopo l’EP d’esordio i nostri si sono imbarcati in un tour negli States e, tra un concerto e l’altro, han trovato anche il produttore e lo studio di registrazione, ovvero Mass Giorgini e il suo Sonic Iguana studio. Inutile dire che troviamo anche un bel po’ di amici del gruppo tra le tracce dell’album, da Phil Hill dei Teen Idols a Dan Lumley (ex Squirtgun), ma quello che più conta aldilà dei nomi è che questo album è divertente e senza inventar nulla di nuovo si fa ascoltare con piacere dall’inizio alla fine, e per questo dobbiamo anche ringraziare le trovate verbali di Olga/Angela che mette in mostra il suo talento narrativo intessendo bizzarre storie di spie oltrecortina. Insomma, non cambieranno il mondo ma in attesa della prossima rivoluzione musicale con gli Svetlanas andiamo sul sicuro. Contatti: www.myspace.com/svetlanas77 Giorgio Sala Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Jackie-O's Farm Sandland Forears Secondo album per i Jackie-O's Farm dopo il debutto “Hard Times For Blonde Surfers” risalente a poco più di un anno fa, “Sandland” è un disco che rispecchia con una certa fedeltà la definizione che lo stesso gruppo dà di sé, indie pop: melodie limpide, a tratti pigre e indolenti, chitarre moderatamente sporcate di distorsione, qualche aroma brit pop recuperato dallo scorso decennio e un organo hammond che riporta viceversa su lidi americani, verso un rock d'autore classico e quasi dylaniano. “Coffee And Cover” è un'ipotesi di power pop solida e immediata, puntellata da efficace chitarre e attraversata da un ritmo vivace, e la mano felice del gruppo non si smentisce nella restante parte della scaletta, toccando di tanto in tanto momenti più sostenuti (“Killer In Love”, ballata mid-tempo zuccherosa ma non troppo e appiccicosa quanto basta, un po' come se gli Yuppie Flu avessero preso una lieve sbandata per John Mellencamp), producendo memorabili intrecci di chitarra al servizio di una melodia ariosa (“Wide Awake”), spingendosi pure (con meno successo, almeno per chi scrive) in territori funk-rock con “Wake Up”. Ne esce un disco caratterizzato da una buona dose di mestiere, qualche buona idea e un impianto complessivamente più che convincente. Contatti: www.myspace.com/thejackieosfarm Alessandro Besselva Averame Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 The Ministro Tempi moderni EnZone Dev'essere il mese delle band siciliane. Dalla EnZone, etichetta dell'isola, inseme agli Alcool Etilico arrivano anche The Ministro, un gruppo di musicisti impeccabili che con “Tempi moderni” imbastisce un teatrino satirico di rock, folk, blues, country e ska. È una specie di concept, “Tempi moderni”, con tanto di pseudo comizio elettorale come “Intro” e una votazione scalcagnata al Senato a far da “Outro”. C'è di tutto, nel disco, dall'ironia spicciola à la Elio e le storie tese (“Tutti al ministero”) alle incursioni politiche di Stefano Rosso e Celentano (con un medley tra “Una storia disonesta” e “Azzurro”) al traditional siciliano in dialetto e in chiave jazz e reggae (“Si maritau Rosa”) fino a un blues elettrico e canonico (“Da domani smetto”), e tutto in poco più di mezzora suonata come si deve, ora in levare, ora arpeggiando, ora blueseggiando con stile. Il problema di “Tempi moderni”, probabilmente, è la quasi impossibilità di andare oltre il primo ascolto, nel quale si sorride e forse si muovono anche le natiche a tempo, sì, ma non è che venga poi tutta questa voglia di ripartire daccapo. E come per gli Alcool Etilico, anche per The Ministro l'unica boccata d'aria sembra essere il pezzo che più si avvicina al folk tradizionale siciliano, quello di “Si maritau Rosa”. In fondo “Tempi moderni”, nella sua spiccata e maliziosa ironia legata irrimediabilmente alla strettissima attualità italiana, è comunque un disco leggero, anche se suonato con tutta la bravura del mondo. Contatti: www.myspace.com/theministroband Marco Manicardi Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 The Unsense Il pifferaio di Pandora autoprodotto/Priames Se le band mettessero nelle loro canzoni lo stesso impegno e la stessa fantasia che usano per scrivere le cartelle stampa probabilmente avremmo la miglior scena alternativa dell’universo conosciuto. “Il pifferaio di Pandora”, album degli Unsense, viene descritto come “un abbraccio all'universo attraverso l’unione degli opposti: segue la sottile ragnatela che lega il tutto, il buio alla luce, il dolore al piacere, ogni cosa ad ogni cosa” e: “storia di un viaggio. Il viaggio che un uomo deve percorrere per trovare sé stesso”. Righe di un certo livello per giustificare un insieme di disordinate citazioni che attingono ad un enorme campionario di ascolti “deboli”, che formano uno spettro sonoro massificato che nelle sue ambizioni deve sembrare “eclettico”, ma nell’attico pratico è solo un vuoto barocchismo. Enunciare l’ampio numero di gruppi e musiche che si avvertono nelle dodici tracce di questo disco non aggiunge ne toglie alcunché al discorso, ovvero che si sta cercando di scrivere di qualcosa che non ha un’idea valida, uno scarto significativo, una melodia convincente o un apparato puramente “sonoro” accattivante al punto di farti dimenticare tutto il resto. Alla fine si tratta di un rock un po’ dozzinale che non si nega niente. Un po’ indie, un po’ wave, un po’ blues, un po’ vintage ma un po’ contemporaneo, un po’ in italiano ma anche un po’ inglese. “Il pifferaio di Pandora” non prende una posizione. Noi invece sì. Contatti: www.myspace.com/theunsense Hamilton Santià Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Venua Gli abitudinari Libellula/Audioglobe Raccontare la spersonalizzante e metodica routine che caratterizza le nostre vite di tutti i giorni, descrivendola ma anche in qualche modo esorcizzandola. Questo il filo conduttore de “Gli abitudinari”, album di esordio dei bergamaschi Venua (Samuele Ghiotti, voce e chitarre; Jodi Pedrali, tastiere; Davide Paolini, batteria), raccolta di canzoni in cui il piglio autoriale si sposa in maniera più che soddisfacente con una concezione di pop quanto mai ampia. Al loro interno infatti riferimenti agli anni 60 incontrano soluzioni sonore tipicamente Nineties, rock'n'roll e un tocco di psichedelia vanno a braccetto con sottili contaminazioni sintetiche, allo stesso modo in cui indie-rock e un gusto per le melodie tutto tricolore sono corresponsabili della creazione di impalcature musicali e liriche di buona fattura e indubbia solidità. Coadiuvato in fase di registrazione da Paolo Pischedda dei Marta sui Tubi e Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, con il secondo a occuparsi anche anche del mixaggio, il trio mette in mostra una personalità più che discreta, che si concretizza in brani gustosi tanto nei testi quanto negli arrangiamenti, classici ma niente affatto banali, resi ancora più vivaci dalle calde timbriche degli strumenti. Un primo passo degno di nota, insomma, potenziale capitolo iniziale di un cammino ricco di tappe interessanti. La sensazione, insomma, è che il già ricco panorama del pop-rock d'autore italiano si sia arricchito di un nome nuovo da seguire. Contatti: www.myspace.com/venuaband Aurelio Pasini Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Dicembre '10 Very Short Shorts Background Music For Bank Robberies Bar La Muerte Prendete i King Crimson del biennio '73-'74 e sostituite la chitarra di Fripp con un pianoforte. Oppure: prendete una di quelle scapicollate fughe sui tetti alla Morricone, da colonna sonora giallo-horror primi anni '70, eliminate tutto l'armamentario elettronico e vintage e sostituitelo con piano, violino e batteria. Il gioco viene facile, e potrebbe continuare, ma il punto è un altro: i Very Short Shorts (i francesi Stefan Manca al piano e Jeremy Thoma alla batteria, il nostro Stefano Roveda al violino) utilizzano il loro virtuosismo e i rispettivi background per escogitare ingegnose costruzioni strumentali che strizzano l'occhio qua e là a certo progressive (quello più contaminato con la musica da camera, e più obliquo) e altrove alla nobile stirpe dei nostri compositori per il cinema degli anni Settanta, ma lo fanno con una irruenza che fa pensare a dei Calibro 35 in versione Rock in Opposition, nuda ed essenziale, priva di qualsiasi orpello o sovraincisione, lasciata esclusivamente alle dinamiche tra gli strumenti. Si apre con “Suck It”, che parte ossessiva e in minore e subito si fa invadere da un jazz angolare ed elegante, “Briganti” fa propria una certa vena mitteleuropea, “Fists And Revange” media romanticismo pianistico e violenza centellinata, “Horny Rabbits” è poliziottesca con tutti i crismi del genere (e del resto il titolo dell'album non mente), ma più in generale è l'intero album a disegnare traiettorie complesse e non immediatamente afferrabili. Un esordio memorabile, ricco di riferimenti ma ancor più di soluzioni inventive Contatti: www.myspace.com/veryshortshorts Alessandro Besselva Averame Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it