Numero Settembre '05 EDITORIALE Questo quarto “numero” del nostro Fuori dal Mucchio On Line coincide con l’inizio di una nuova annata discografica: com’è ben noto, infatti, il notevole rallentamento delle uscite che si verifica ogni agosto segna la chiusura di un ciclo, così come - di conseguenza - settembre sancisce la normale ripresa delle normali attività. Alla fine di novembre, poi, il consueto appuntamento del Meeting delle Etichette Indipendenti e delle Autoproduzioni di Faenza catalizzerà l’attenzione dell’intero ambiente, fungendo nello stesso tempo da riassunto per quanto avvenuto nei mesi precedenti e da piattaforma di lancio per quel che accadrà nel prossimo futuro. Doveroso esser presenti, perché l’ormai classica “due giorni” in terra di Romagna - per quest’anno sabato 26 e domenica 27 novembre, con anteprima la sera del 25 - non delude mai le attese. Informazioni assai dettagliate sulla storia e sul programma della manifestazione presso il sito http://www.meiweb.it/. Null’altro da dire, a questo punto, se non ricordarvi che a ottobre saranno rese note le “nomination” per il Premio Fuori dal Mucchio (riservato al miglior album d’esordio dell’ultima stagione discografica). Augurandovi buona lettura, vi lasciamo quindi alle nostre pagine, che oltre a quattro interviste e ben ventotto recensioni di cd accolgono anche la prima di una serie speriamo lunga di report di eventi live, nella tradizione della rubrica “Sul palco” che appariva nell’inserto allegato al Mucchio. Federico Guglielmi Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 TBH L’indescrivibile alle parole Jestrai/Venus È una strada abbastanza rischiosa quella che hanno deciso di percorrere i TBH: coniugare un approccio tipicamente indie con velleità da classifica o, per lo meno, da passaggi radiofonici nei network commerciali. Impresa non facile, perché il rischio è quello di scontentare entrambe le tipologie di pubblico, finendo per non essere né carne né pesce. Difetti che, in un certo senso, si potevano trovare anche nel debutto del quintetto monzese, “Tutti contro Bob” (2003), che pure poteva vantare al suo interno un singolo di grande efficacia come “Pac Man”. Rispetto ad allora, “L’indescrivibile alle parole” non segna particolari cambi di direzione ma si dimostra maggiormente compatto ed efficace, tanto nelle melodie e nel cantato di Tatiana Fumagalli quanto nell’intreccio tra sonorità tipicamente rock e istanze sintetiche, grazie all’interazione della chitarra di Andrea Vittori con le tastiere di Andrea Ronchi. Una crescita di cui sono una riuscita testimonianza brani dall’ottimo tiro pop quali “Come” e, ancora di più, “L’importanza di ricordare”, ma anche una ballata suggestiva come “Fiori”, che non a caso è stata scelta per aprire il cd. D’accordo, non tutto funziona ancora alla perfezione, e qualche passaggio pecca un po’ di scarsa incisività (“Aspetterò”, la pure orecchiabile “If You Come To Me”), ma nel complesso il lavoro risulta gradevole, oltre che assai curato. Non sarà niente di davvero memorabile, e probabilmente non ha alcuna velleità di esserlo, ma nell’immediato diverte, il che è comunque un pregio (www.tbh.it). Aurelio Pasini Bron Y Aur Vol. 4 Wallace/Audioglobe È quasi un ritorno alle origini quello del quartetto milanese, all’interno di quell’alveo rock (seppure fortemente dopato da ingredienti psichedelici e hard) da cui si era allontanato sempre più nei due lavori precedenti. Lo denuncia innanzitutto una copertina che fa il verso al quarto album dei Black Sabbath, e poi, come se non bastasse, il fatto che l’ultimo brano in scaletta sia una cover, seppur trasfigurata, di Sam Cooke, “Bring It On Home To Me”. Una canzone vera e propria quindi. Più che di ritorno alla forma canzone, però, forse è meglio parlare di una vena appena meno destrutturata, più legata ai riff e a strutture regolari. Non si tratta comunque di un passo indietro: semmai del tentativo, a nostro parere riuscito, di far quadrare il cerchio tra la ricerca di nuove strade e il legame con la tradizione. Il gusto per la Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 decostruzione non si perde del tutto nella iniziale e felicemente intitolata “Superkraut”, mentre l’andatura stop‘n’go di “M2424”, poi stemperata in soluzioni dilatate e affidate a dissonanze e glockenspiel, si rapprende nei riff finali, e la tribale e acida “Amanita’s Mood” si autoalimenta attraverso chitarre circolari e ipnotiche. Sempre in movimento i Bron Y Aur, da buoni militanti di un’avanguardia che vuole essere presa sul serio (www.wallacerecords.com). Alessandro Besselva Averame Ataraxia Arcana eco Ark/Masterpiece La piccola Ark Records - emanazione discografica dei partenopei Argine - ha recentemente inaugurato la collana Obscura, ambizioso progetto editoriale che accoppia saggi e documenti sonori monografici. Titolari della prima uscita sono gli Ataraxia, che certo meritano di essere annovertati tra i gruppi più longevi e apprezzati (anche all’estero) della nostra scena neo-folk. Il libro, curato da Ferruccio Filippi con la collaborazione della cantante Francesca Nicoli e del fotografo Livio Bedeschi, consta di ben 164 pagine (in formato A5) ed è ricchissimo di immagini a colori, che rendono perfettamente il preponderante messaggio estetico del gruppo emiliano. Oltre ad una lunga intervista al quartetto e ai commenti - forse un po’ troppo didascalici - sulle varie produzioni discografiche, il volume raccoglie anche numerosi versi inediti della Nicoli, rivelando un sorprendente talento poetico sospeso tra elegante formalismo linguistico e incisiva profondità di contenuti. Il cd che completa l’opera propone sette composizioni quattro completamente inedite e tre già note in differenti versioni - assai rappresentative delle svariete influenze musicali dell’ensemble; tra queste spicca la dolcissima “Astimelusa” (già apparsa nel superbo “La malediction d’Ondine”), per l’occasione arricchita di un nuovo, prezioso arrangiamento acustico ( www.arkrecords.net). Fabio Massimo Arati Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Amari Grand Master Mogol Riotmaker “Bolognina Revolution” parla chiaro: la rivoluzione degli Amari si fa su di uno di quei divani dimessi da appartamento di studente fuorisede, dentro uno dei portoni del quartiere bolognese Bolognina, giusto dietro la stazione centrale. A cantare il paradosso dell’inattività creativa sono tre ragazzi dai natali udinesi - Dariella, Pasta e Cero - che per il loro terzo disco (su Riotmaker, udinese anch’essa) hanno scelto un titolo che chiama all’appello niente meno che Mogol come musa lirica ispiratrice: non è dunque un caso che i testi possano essere definiti a buon titolo epicentro e autentico punto di forza dell’album. Le strutture hip-hop, i bassi tesi e/o funkeggianti e le sonorità parzialmente sintetiche che, come del resto l’artwork, strizzano l’occhio all’estetica retro-gaming, restano tonde e curate come già nel precedente “Gamera” ma a fare la differenza è in certa misura il (coraggioso) cantato in italiano, unito alla manipolazione furba, ma onesta, dei luoghi comuni più tipicamente post-adolescenziali (basta dare un ascolto a“Tremendamente belli” e “La prima volta” per accorgersene). Insomma, vogliamo immaginare che un Battisti ventenne fuori dal comune e catapultato nell’oggi si sarebbe volentieri cucito addosso una canzone come “Campo minato”, racconto precocemente cinico ed efficace sulla stanchezza degli stereotipi di nicchia; con buona pace del Grande Maestro, s’intende ( www.farraginoso.com). Marina Pierri Kash Open Sickroom La sindrome da zio d’America continua. Ogni volta che un gruppo italiano riesce a conquistare un po’ di spazio oltre i confini della Penisola, comincia una fase che allo stupore dell’inizio fa seguire il rammarico di vedersi scippati alcuni talenti che avrebbero meritato maggior fortuna anche qui, nella terra dei santi, dei navigatori e dei blogger leader d’opinione. La realtà, scavando sotto lo strato più superficiale e miope, parla a favore delle band che sono riuscite a coniugare originalità e sacrificio, spirito d’iniziativa e attitudine giusta. Tra queste i cuneesi Kash, combo sperimentale- rumorista, dedito alla contaminazione fra generi e alla dilatazione degli stimoli noise. “Open” è caratterizzata da un marcato uso dell’ironia, a partire da copertina e booklet, passando per passaggi sonori d’assalto e spesso - volutamente - fuori Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 fuoco, che sfiorano un certo tipo di no wave e ne arricchiscono le spigolosità con divagazioni free, con il basso che va a infrangersi molto spesso contro le note di sax. Non mancano gli episodi più ordinari, come la deflagrante “37 Telephones On Fire”, ipotetico hit di una college radio lunare, storta e zoppicante dichiarazione d’intenti. Non hanno smussato gli spigoli, i quattro, anzi, hanno spesso alzato il tiro, coadiuvati dagli ospiti Steve Sostak e Mitch Cheney, superando a sinistra il post rock e abbandonandosi al gusto dell’improvvisazione. Piccoli miracoli di provincia, quindi, piccoli tasselli di un puzzle - quello che rappresenta il sommerso che si svincola dai riferimenti e alza fiero la testa - che definire emozionante non è criminoso né fuori luogo: lo zio d’America, probabilmente, ha colpito ancora ( http://www.kash.it/). Giuseppe Bottero Indaco Porte d’Oriente Squilibri Cosa si ottiene frullando jazz-rock, post-new-age, progressive, acide sonorità ‘70, etno-world e folk spirituale? Facile: gli Indaco. Solo che per raccontare un loro album tocca dissezionare quel che, da programma, fa di tutto per sfuggire alla catalogazione. Intanto, i Nostri giungono al traguardo non trascurabile del quinto album; non male per un ensemble nato come parallelo alle rispettive attività dei suoi membri, anche se qualcosa di già sentito comincia a fare capolino tra le tracce. Per Mario Pio Mancini, Rodolfo Maltese e Arnaldo Vacca - i tre Indaco istituzionali il gruppo è attività tutt’altro che residuale, e “Porte d’Oriente” è la consueta nave carica e traboccante d’ogni lavoro degli Indaco, che accoglie a bordo mercanzie e spezie. “Andalusiana” imbarca Antonello Ricci (stretto collaboratore di Vacca) alla zampogna e Mauro Pagani (ospite anche in altri episodi) a violino e flauto, Enzo Gragnaniello si produce in vocalizzi in varie tracce, Andrea Parodi canta nell’iniziale “Salentu” e in “Soneanima”. Non finisce qui: Toni Esposito, Francesco Di Giacomo (Banco, come Maltese) e Antonello Salis sono alcuni degli altri amici invitati. La tromba di Lester Bowie rende “Amorgos” preziosamente inaccessibile come una scatola nera, mentre l’arpa celtica e la voce di Fiona Davidson costruiscono una “Father P.” eterea, facendola però assomigliare pericolosamente al sottofondo d’una delle tante “terapie del benessere”. I brani di più ripiegata spiritualità, a firma Mancini, “Mantra” e “Waiting For Kundalini”, descrivono arcani avvitamenti ( www.musica.ilmanifesto.it). Gianluca Veltri Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Miami & The Groovers. Dirty Roads Autoprodotto C’è tanta polvere in questo esordio dei riminesi Miami & The Groovers. Non però di quella che si accumula nelle soffitte col passare tempo, ma frutto di un incessante viaggiare lungo quelle “Dirty Roads” che Lorenzo Semprini e soci percorrono ormai da un lustro. Strade che, se geograficamente sono collocabili dalle parti della riviera romagnola, idealmente si trovano negli States. È infatti un immaginario lirico e musicale tipicamente a stelle e strisce quello a cui si rifà la formazione, con una particolare predilezione per Bruce Springsteen - non solo perché ne riprende una composizione, “Further On Up The Road”, ma perché con il Boss il sestetto pare condividere una visione artistica di cui libertà, epicità e intimismo sono le parole chiave. Una proposta classicissima, insomma, e quindi ben codificata, ma talmente pregna di passione da risultare assai più convincente di tante uscite simili che provengono da Oltreoceano. D’altra parte, le strutture dei brani appaiono ben solide, quasi sempre sorrette dalle chitarre (elettriche e acustiche) e da una sezione ritmica compatta - ma non è da trascurare l’apporto del pianoforte - e di volta in volta abbellite da organo, sassofono, violino, armonica. Potenti quando serve, ma anche avvolgenti e malinconici, Miami & The Groovers piaceranno a tutti gli appassionati di certe sonorità senza tempo. Garantiscono per loro i fratelli Severini e Joe D’Urso, compagni di viaggio d’eccezione sulle vie del rock’n’roll (www.miami-groovers.com). Aurelio Pasini Maisie Morte a 33 giri Snowdonia Abbandonata l’estetica della dissonanza, pure cara all’etichetta messinese e al suo curato roster, i creatori stessi del “mistero snowdoniano” Cinzia LaFauci/Alberto Scotti aka Maisie si arricchiscono del contributo della voce di Carmen D’Onofrio e del polistrumentista Paolo Messere. Il risultato è un lavoro decisamente fuori dal comune, che testimonia palesemente dell’implosione di un cuore tutto italiano nella cassa toracica delle influenze sperimentali straniere pilastro dei lavori precedenti: i Matia Bazar incontrano il krautrock, Mogol azzanna alla gola Siouxsie and the Banshees, Rettore si contorce sui rumori sintetici dei New Order. È nell’intersezione transnazionale tra suoni e liriche che, dunque, nascono i picchi di un album rischioso e forse per questo sorprendente, coerente come unità olistica ed efficace negli episodi isolati come la battistiana “Inverno precoce”, “?Uma.no”, “Sottosopra” Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 (cantata da Bugo) e “Maria de Filippi (una vergine tra i morti viventi)”, inno caustico alle nefandezze dei palinsesti televisivi. Si viaggia bene, dunque, nelle dodici tracce di “Morte a 33 giri”; si vaga, valigia alla mano, nella tradizione d’autore di un’Italia il cui vissuto musicale accoglie, integra e spezza il movimento “di genere” dell’album, a ritroso negli anni ottanta americani e inglesi. In altre parole, un disco-manifesto per la Snowdonia, una sintesi delle ambizioni che l’hanno resa un unicum nella scena indie italiana (www.snowdonia.it). Marina Pierri Agatha Greetings From S.Sg Wallace/Audioglobe Sembra essere la forza della disperazione, l’energia che nasce dalla desolazione delle periferie, dai casermoni abbandonati dell’hinterland postindustriale, affascinante luogo di alienazione per chi lo racconta a uso sociologico, forse, magari un po’ meno per chi lo vive, a fornire combustibile musicale alle Agatha, trio tutto al femminile di area milanese che non avrebbe potuto intitolare il proprio debutto su Wallace che “Saluti da Sesto San Giovanni”. Titolo perfetto che introduce, insieme alla grafica “escatologica”, una certa dose di ironia, ironia trasmessa anche da titoli come “My Teacher Plays In A Metal Band” o l’impareggiabile “Dani Was In Love With Burzum”. Se questa è l’attitudine, affatto seriosa, imbracciati gli strumenti le tre ragazze pestano duro senza mezze misure, intrecciando un basso tellurico e preciso, una batteria che fornisce salutari calci nello stomaco, chitarre che oscillano tra hardcore, crossover (“We’re A Band Of Freaks” si merita una menzione particolare) e noise e una voce sguaiatamente rock’n’roll, il tutto catturato su nastro dal puntuale Fabio Magistrali, il sigillo di garanzia dell’operazione. Abbiamo trovato, fatte le debite proporzioni e tenuto conto delle differenze, le nostre Sleater-Kinney? Le orecchie bombardate ci fanno dire di sì ([email protected]). Alessandro Besselva Averame Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Mothercare Traumaturgic Freecom/Edel Quando tutto e tutti definivano rumore e nulla più certe sonorità metal estreme erano i primi anni ’90 circa - toccò a John Zorn mettere ordine imbastendo una proficua collaborazione con i Napalm Death, che di quella frangia erano sicuramente tra i più violenti portavoce. A distanza di tre lustri il confine del genere si è spostato sempre più oltre, valicando e sfiorando la cacofonia. In tal senso molto hanno contribuito le nuove tecniche di registrazione, ma è innegabile che il desiderio di furore e potenza sia una caratteristica di ogni nuova generazione dell’heavy. La fusione tra metal e tecnologia ha generato un ibrido forse non di successo ma seguito da una folta frangia di ascoltatori, e i Mothercare - quintetto veronese noto anche oltre i confini nazionali - ha sfoderato per questo terzo album una sorprendente capacità di scrittura; sebbene i riferimenti si chiamino Fear Factory, Slipknot e Strapping Young Lad, l’album è infatti pervaso di umori creativi, con echi dei Nine Inch Nails che martellano di tempeste industriali le canzoni. Il gruppo è abile nel rifuggire la banalità, inserendo partiture melodiche, spunti addirittura jazz (“Traumaturgod”) e cantati massacranti ma coinvolgenti, sorretti dai polmoni inossidabili di Guillermo Gonzales che in “Senseseedsex” divide il proscenio con Mieszko Talarczyk in quella che purtroppo è la sua ultima performance (visto che il cantante dei Nasum è da poco scomparso). Competitiva la produzione del chitarrista Mirko Nosari, che con il cantante divide l’intera scaletta dell’album, ad eccezione di “Breed To Breath”, convincente cover dei... Napalm Death. Certo, metà uomini e metà macchine, ma “Traumaturgic” convince appieno (www.mothercare.it). Gianni Della Cioppa Marco Ongaro Achivio postumia Rossodisera L’eccentrico Ongaro sfida le leggi del mercato, pubblicando in un unico CD due album risalenti al 1990 (“Archivio Postumia” propriamente detto) e al 1991 (“Eptalogia - Delle colpe e del perdono”) senza alcun ritocco rispetto agli originali ai tempi rimasti inediti. Si tratta di un ripescaggio interessantissimo, ricco di spunti. Scopriamo luci e ombre, nelle vecchie note riesumate d’una canzone orchestrale, lieve e colta, da camera, francesizzata, d’impronta nettamente jazz. Con uno stacco che s’avverte tra le prime undici tracce, quelle di “Archivio”, prodotto dallo stesso Ongaro, e le successive sette di “Eptalogia”, affidate al maestro Cicci Santucci; queste ultime risentono forse un po’ di più del quindicennio trascorso, ma non per Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 questo risultano meno accattivanti. “Eptalogia” è una suite ciampiana concepita a fine anni ’80, con arrangiamenti swinganti a tratti enfatici, “Archivio Postumia” è più secco e privo di sbavature e, oltre a proporsi come progenitore postumo di molte produzioni italiane future, non risente affatto del tempo passato.Tra le due bonus track, una versione di “Non lacrimate le aiuole” cantata da Dodi Moscati, scomparsa anzitempo, come del resto Renato Venturiero, produttore e sodale di Ongaro. Nel frattempo, nei tre lustri successivi, si sono srotolati e imposti nel gusto corrente Capossela, Avion Travel e uno stuolo di artisti che hanno seguito quelle orme. Ongaro, che è un artista originale e provocatorio, si è preso lo sfizio di scoprire le sue carte molto tempo dopo (www.marcongaro.com). Gianluca Veltri Three In One Gentleman Suite Some New Strategies Black Candy/Audioglobe Esiste una zona grigia in cui le simmetrie millimetriche di scuola math rock e l’isteria organizzata degli Shellac si incontrano con le vellutate asperità dei Karate. I modenesi Three In One Gentleman Suite l’hanno scovata e se ne sono appropriati, popolandola di intuizioni e canzoni. Non di sola derivazione stiamo parlando, tuttavia, altrimenti il gioco sarebbe troppo semplice e non varrebbe la pena discuterne in questa sede. Già titolare di un esordio su Fooltribe risalente ad un paio di anni fa (“Battlefields In An Autumn Scenario”), il trio (Giorgio Borgatti alle chitarre, Federico Alberghini alla batteria, Paolo Polacchini, basso e voce) debutta su Black Candy con un disco composito e vario negli umori, dove i riferimenti citati in apertura vengono “sporcati” dall’intervento di fiati e pianoforte, creando deviazioni non pianificate e sterzate che inaugurano nuove traiettorie, e dove, soprattutto, i vari ingredienti interagiscono in modo assai dinamico, senza fossilizzarsi sugli schemi dell’abitudine. Le canzoni? Squarci intimisti tra costruzioni complesse ma mai troppo cerebrali, che raggiungono probabilmente l’apice nella conclusiva “Delikatessen”, dopo aver dato vita a pagine altrettanto convincenti (www.tiogs.com). Alessandro Besselva Averame Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Mushroom’s Patience Water Hau Ruck/Tesco La crescita e la maturazione conseguite dai Mushroom’s Patience negli ultimi cinque anni vanno oltre ogni aspettativa. Il raffronto delle produzioni discografiche parla chiaro: tre album in studio (di cui uno doppio), un live e due singoli contro un solo lp realizzato nei precedenti tre lustri di carriera. Il merito di codesti positivi sviluppi è senz’altro da attribuire al rafforzamento dell’asse Roma-Vienna, ossia all’interscambio artistico tra Raffaele Cerroni - fondatore e unico leader del gruppo capitolino - e l’imprevedibile J. Weber, già titolare del progetto Novy Svet. A questa florida sinergia fanno poi da corollario i preziosi contributi del ben noto rumorista Clau D.E.D.I. (Ain Soph), del trombettista post industriale Flavio Rivabella (DBPIT) e della pittrice frl Tost, la cui ricerca iconografica è divenuta elemento di assoluto rilievo nell’economia espressiva dell’ensemble. Sulla scorta di queste collaborazioni oramai consolidate, “Water” risulta essere l’opera più ispirata e compiuta che i Mushroom’s Patience potessero concepire. Le strategie sonore non hanno certo subito sostanziali variazioni, ma oggi la perversa fantasia psichedelica del Cerroni è più che mai elegante e austera. Senza peraltro rinunciare alla proverbiale impenetrabilità delle sue composizioni, questi coordina con seducente disinvoltura fraseggi acustici e deliri elettronici, rumori e voci, melodie e dissonanze, in uno scenario sonoro a tutto tondo che fugge classificazioni di sorta (www.hauruck.org) Fabio Massimo Arati Blown Paper Bags Arm Your Cameras Suiteside Ai Blown Paper Bags, quintetto genovese femminile quasi per metà, non manca nè l’(auto)ironia, né il talento: tanto vale mettere subito le cose in chiaro e dire che al loro ep di debutto su Suitside non manca praticamente nulla; tutti gli elementi che compongono “Arm Your Cameras” - dal packaging alla produzione e persino al sito della band - sono come dovrebbero essere. L’ascolto, nonostante le influenze chiaramente chiamate in causa (pensate a LeTigre, ai Beastie Boys, a Lydia Lunch, alla no wave, al punk-funk in piccole dosi ed immancabilmente ai Sonic Youth) non richiede orecchie particolarmente resistenti alla dissonanza, perché le canzoni conservano una solida stuttura pop in grado di coordinare le volute cacofonie dei synth e i profluvi di uptempo della sezione ritmica. I titoli, paeraltro, guidano egregiamente all’ascolto di piccoli Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 anthems coaotici come “Spell Athlete!”, “Panda Gang” e “Blown Manifesto”, sorretti da un sound decisamente orientato verso il noise più melodico, mentre l’hip-hop contaminato della sorniona “Pass My Tape (to DFA)” fa l’altro. I Blown Paper Bags suonano come esiliati in patria, come fuorisede sonori che ammiccano alla fascia stretta dell’indie italiano più rumoroso ed eserofilo. “Arm Your Cameras” funzionerà bene, live, sui nostri palchi, ma funzionerebbe altrettanto bene in un fumoso club di Brooklyn, su una pedana scalcinata, tra un’orda di ragazzini americani sudati (blownpaperbags.arecool.net). Marina Pierri Arecibo Audiosfera i3D Dolcezza e aggressività. Impatto e raffinatezza. Questi gli estremi entro cui si muovono gli Arecibo, quartetto varesino guidato da Marilena Anzini (voce) e Giorgio Andreoli (chitarra) formatosi nel 1998 ma solo ora giunto all’esordio sulla lunga distanza, seguito di un omonimo ep autoprodotto datato 2001. Nel mezzo, tanta esperienza dal vivo, quella che ha permesso alla formazione di crearsi una cifra stilistica propria, dalle ascendenze a volte abbastanza chiare (Cristina Donà, per esempio) ma non per questo priva di personalità. Tanto che la proposta del gruppo è immediatamente riconoscibile sia che i ritmi si facciano incalzanti e le chitarre distorte, come nel caso di “Tracce” e “Sorprendimi”, sia che invece sia la componente acustica ad avere la meglio (l’incantevole “Goccia”). Non sorprende, dunque, che la formazione si trovi perfettamente a proprio agio in entrambi i contesti, riuscendo a coniugare leggerezza e spessore, e arricchendo il piatto non solo con qualche leggera spruzzata di elettronica, ma anche con la presenza di strumenti relativamente inconsueti per questi contesti, come il flauto scozzese, il flicorno o il didgeridoo. Questo perché, pur rimanendo quasi sempre entro un alveo strettamente tradizionale, non manca mai il desiderio di cercare soluzioni sempre nuove e oblique. Non a caso, dovendo scegliere il brano migliore, la scelta cada su quello più insolito, vale a dire l’ipnotica ed effettata “Engram”, il cui splendido video rappresenta uno dei bonus inclusi nella traccia ROM del cd (www.arecibo.it). Aurelio Pasini Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 The Marigold Divisional Black Desert Giovani, confusi, convinti e bravi. Così potremmo definire questo trio di Lanciano che in questo suo mini-cd di esordio (trentanove minuti divisi per sei brani con il sesto, “Divisional”, che fluttua e rinasce dopo oltre cinque minuti di spargimenti psichedelici), dimostra che pur nella convinzione che poco si possa inventare ci sono margini per fondere e mescolare ingredienti già noti ma apparentemente inavvicinabili. Prendete “Coercive Mind”: come non riconoscere la spinta emotiva di Kurt Cobain e dei Nirvana, ma anche l’intreccio post punk dei Cure del signore della notte Robert Smith? E il riff fangoso dell’iniziale “The Bodypart” assembla Mudhoney e Tuype O Negative come nessuno avrebbe mai immaginato. Coraggio, ma anche incoscienza, che poi fa rima con incoerenza, la stessa che genera “Nada”, un’armata di riff e distorsioni a un passo dal noise, con innesti di percussioni etniche. Più canoniche invece “Melanie” e “Tried”, versioni aggiornate dello sludge metal partorito anni fa da una costola dello stoner. Spicchi di talento che si innalzano tra la polvere, volano e tornano polvere, con la conclusiva “Divisional” strategico punto di (ri)partenza, verso nuovi e sconosciuti orizzonti. Davvero una piccola ma grande rivelazione, questi The Marigold. Lasciamoli crescere e maturare (www.themarigold.com). Gianni Della Cioppa Neo La quinta essenza della mediocrità FromScratch Attenzione a non farsi ingannare dalla copertina, raffigurante una scatola di cioccolatini, ché di dolce nella musica dei Neo da Terracina non c’è assolutamente niente. Così come non vi è nulla di mediocre, a dispetto del titolo, anch’esso fuorviante, ancorché ironico. Non solo, infatti, la musica del trio - Fabrizio Giovampietro (basso), Manlio Maresca (chitarra, anche negli Squartet) e Antonio Zitarelli (batteria) - non lascia spazio a compromessi, ma colpisce anche da un punto di vista prettamente qualitativo. Tanto per stabilirne l’ambito stilistico, si può dire che i territori battuti siano quelli del cosiddetto jazzcore: in altre parole, una commistione iperveloce e spesso sferragliante di jazz, estetica punk, blues, funk e avanguardia, per un risultato pieno di scarti e spigoli, nervoso quanto aspro e, nei momenti migliori, imprevedibile. Tutte influenze e caratteristiche che si trovano variamente miscelate ne “La quinta essenza della mediocrità”, lavoro vitale e multiforme, che fa della destrutturazione Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 controllata delle forme canoniche la sua arma vincente, senza però che l’aspetto intellettuale prevalga mai sulla sanguigna fisicità, come ben testimoniano i ripetuti cambi di tempo di “Sunday Morning” e “Water”, le pulsazioni industriali di “Incidenti domestici” o la calma solo apparente di “An Unsane Blues For Unhappy Beast”. Non lasciano un attimo di respiro, i tre, e scuotono come si deve le convenzioni di stili e generi, grazie anche all’aiuto di amici come Luca Mai degli Zu, ospite col suo sax in “Terrore vigile” (www.neoneo.it). Aurelio Pasini Paolo Di Cioccio - Giovanna Castorina Oboe sconcerto Domani Musica Il dubbio è amletico: musica classica o pop? Albinoni, Bach, Fasch, Marcello, Vivaldi: i nomi dei compositori non lascerebbero dubbi. Ma stavolta a suonare le loro aristocratiche ed austere partiture non c’è nessuna orchestra, solo un oboe e ben nove sintetizzatori. A prima vista la grafica del cd suggerirebbe comunque l’archiviazione nello scaffale più alto, in mezzo a Chopin, Wagner ed Orff. Poi, osservando meglio il ritratto del Di Cioccio, si scorgono i blue jeans sotto la giacca del frac. Allora è forse più opportuno riporre l’album su un’altra mensola, tra i Descendents e i Dickies. Già nel 1968 Walter Carlos ottenne enorme successo con le sue trascrizioni per Moog delle fughe di Bach (“Swiched-On Bach”); nessun primato di originalità, pertanto. Ma dubito che nel registrare “Oboe Sconcerto” Paolo Di Cioccio e Giovanna Castorina - compagni di vita, oltre che di scorribande artistiche intendessero sorprendere qualcuno o addirittura ottenere sbalorditivi riconoscimenti commerciali. Invero il loro approccio è sostanzialmente arguto e sarcastico, in barba a chi pretende di mantenere distinta la musica popolare da quella colta, relegando quest’ultima sotto asettiche teche di cristallo. D’altro canto il musicista romano maestro di oboe presso il Conservatorio di Vibo Valentia nonché membro dei Theatrum Chemicum e autore di numersi album di rock elettronico - ha sempre manifestato la volontà di riscoprire il senso profondo della musica quale percorso ed esperienza interiore: gioia dell’anima e piacere dell’intelletto. Obiettivo conseguito anche qui, peraltro con sommo divertimento ([email protected]). Fabio Massimo Arati Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Stop The Wheel Morning Madcap Collective Sembra passato un secolo, eppure è successo solo l’altro ieri. Tutto d’un tratto, una generazione che sembrava addormentata si risvegliò abbandonando le camerette ma ricreandone fuori le stesse pigre caratteristiche. Era il momento in cui i primi video dei Belle and Sebastian venivano trasmessi da Mtv, in cui la Svezia sembrava dettare le mode senza timori, in cui addirittura la figura di Nick Drake, fino a quell’istante culto per pochi, sembrò conoscere una diffusione quasi preoccupante per chi lo amava da tempo. Ecco, per questo un album come “Morning”, seconda prova sulla lunga distanza della one-man band che ruota attorno alla persona di Francesco Caldura, può guadagnarsi senza imbarazzi l’aggettivo generazionale: perché rappresenta le contraddizioni e le ansie di chi quel periodo l’ha vissuto da protagonista, incappucciato in felpe troppo larghe o nascosto da sciarpe invernali dall’aria buffa e demodè. È una rappresentazione sfuggevole, quella di “Morning”, eppure assolutamente coinvolgente: alle asperità intimiste di “Bastard He Was” si contrappongono i contorni morbidi di “Emotions Are Priceless” e “Kate”. Il tutto in un continuo gioco di citazioni che vanno da Drake ai Sodastream senza scordare i primi Turin Brakes. Non mancano alcuni stilemi tipici del defunto Nam, evidenziati e coccolati dalla registrazione ambientale, che non nasconde i difetti ma si mostra con sincerità ed entusiasmo. Certo, l’appellativo generazionale è qui usato quasi provocatoriamente, ma l’album, impreziosito da una copertina deliziosa, è fragile e affascinante, orgogliosamente indipendente, riassunto di una scena di songwriting che in realtà potrebbe non essere mai esistita. Ma che meriterebbe di farsi ascoltare ( http://www.maledetto.it/). Giuseppe Bottero Milagro Acustico Poeti arabi di Sicilia Cni Ai tempi della conquista normanna, nel 1091, la Sicilia era una fiorente isola araba. Così splendida che i Normanni e poi gli Svevi non seppero allontanarsi dal gusto moresco, e, pur prevalendo militarmente e politicamente sugli Arabi, ne furono soggiogati dal punto di vista culturale. Quasi tre secoli arabi avevano prodotto, a cavallo dell’anno Mille, arte, musica, architettura, poesia. A quest’ultima espressione - la poesia - attinge il Milagro Acustico, che riscopre il repertorio lirico arabo siciliano, per adattarlo alla lingua di Trinacria e musicarlo con buongusto e Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 sensibilità. Per la trasposizione il Milagro si è avvalso della collaborazione di Sharifa Hadj Sadok e della scrittrice siciliana Daniela Gambino. Perché riscoprire quell’incrocio virtuoso, oggi? Troppo facile la risposta, sballottati come siamo in queste nuove orribili guerre di religione, armate con armi, persone e parole odiose e intolleranti. Al suo quarto lavoro, il gruppo di Bob Salmieri - autore di tutte le musiche - si affida alle malìe del ney di Turker Dinletir, che veste d’un sole mattutino desiderato “Luci di lu iurnu”, al kaval di Volkan Gucer, che spruzza melodie struggenti su “Stanno arrivannu”. Ben quattro poesie sono del poeta Ibn Hamdis, vissuto nella fase finale del periodo arabo-siciliano, le cui liriche contagiano la musica di nostalgia per l’esilio forzato e per la perdita di un paradiso pieno di luce e grazia. Le voci femminili, i canti arabi, le percussioni registrate sul campo, gli strumenti tradizionali del Mediterraneo, tutto fa di “Poeti arabi di Sicilia” un progetto meritevole e serio (www.cnimusic.it). Gianluca Veltri The Preachers Voodoo You Love Teen Sound/Misty Lane Rifacendosi ad una filosofia anni ’80 che vede come massimi esponenti i Fuzztones, i Preachers concepiscono un disco che raccoglie gli stilemi del garage psichedelico di quegli anni: estetica horror, pedali fuzz, santini dei Sonics nel portafoglio, Phantom Guitars. Ma c’è molto altro nell’esordio dei piemontesi: in queste dieci canzoni - otto autografe più due cover di Fred Neil e Burt Bacharach - i Preachers toccano gli anni ’60 dei Doors (la conclusiva “The Preacher”), il glam dei T-Rex di “Electric Warrior” (la trascinante “Sex Rules”) e certe atmosfere psych-rock’n’roll alla Kula Shaker (“Kill Jims Jay”, “Try To Joke”). È però nei territori garage fuzztonici che i Nostri sanno dare il meglio: l’iniziale “Ants Room”, con il suo organo alla Piccoli Brividi e le sue risate sataniche, porta Bettlejuice in studio con i Kingsmen, mentre “Shaker Your Bones”, nel suo breve assalto distorto e nel suo invito ad unirsi alla festa, è un pezzo che ti aspetteresti di trovare tra gli scarti di “Here Are The Sonics”. Sono solo trentatré minuti, ma è la giusta durata per un lavoro così. Nessuna pausa, nessun tempo morto. Un disco da toga party che fa muovere la testa a tempo e fa passare in secondo piano la palese derivazione del sound della band. Siamo d’accordo che non è niente di speciale, ma di questi tempi un lavoro come “Voodoo You Love” va preso per quello che è: una dichiarazione d’intenti senza punti deboli e, nonostante una personalità non ancora definita, trascinante. Per i cultori del genere, una nuova scoperta da non perdere. Per gli altri, un gruppo che colpisce esattamente dove deve colpire (www.the-preachers.net). Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Hamilton Santià Zoldester Se Cadaveri & Papere Come si dice, anche l’occhio vuole la sua parte. Che, siamo d’accordo, alla fine quel che conta è la musica, ma una veste grafica di un certo livello rappresenta per un cd un valore aggiunto di tutto rispetto. E, venendo a noi, la confezione di “Se” è veramente, veramente bella. Opera di Francesco De Napoli, che non a caso è accreditato come titolare del progetto Zoldester insieme a Fabrizio Panza (per entrambi un passato nei Quarta Parete), cantante e chitarrista acustico, nonché autore o co-autore di tutti e nove i brani qui contenuti. Che, come il loro corrispettivo visivo, sono realizzati con una cura che non ci pare così esagerato definire artistica e un’attenzione per i dettagli di scuola artigianale: soffici, ma anche amari e dolenti, e forti di melodie che avvolgono e conquistano. Lungo i ventisette minuti del dischetto, ballate pop-folk ricche di sfumature (grazie anche alla presenza degli archi), facili da assimilare (“Dietro i se”, “Ninna nanna della fine”) ma tutt’altro che accomodanti, si alternano a episodi più propriamente rock, non privi di occasionali ed efficacissime dissonanze (“Attraverso”). Quel che ne risulta è un ascolto piacevole e tutt’altro che monocorde, la cui portata emotiva è ribadita da testi che sanno essere poetici e introspettivi senza cadere nell’ermetismo fine a se stesso. Volendo fare un paragone si potrebbero chiamare in causa i Valentina Dorme: non tanto nei suoni, quanto piuttosto nella capacità di parlare del quotidiano trascendendone i confini e i limiti (www.zoldester.com). Aurelio Pasini Sannidei Andare via autoprodotto Un album di esordio dedicato a Ivan Graziani, il successivo che omaggia Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e in questo terzo capitolo il rifacimento di “Ti bevo liscia”, presa dal repertorio del primo Renato Zero. Ce già abbastanza materiale per stimolare la curiosità ma anche per unirsi in un ideale abbraccio con questi quattro ragazzi piemontesi che giocano con la materia basilare del rock - ovvero riff, ritornelli ed energia - come pochi sanno fare in Italia. Solari, vivaci, sempre pieni di Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 brio ed entusiasmo, capaci di trarre linfa vitale per i loro testi positivi e intrisi di vita quotidiana anche da sconfitte in amore, le canzoni di questo “Andare via” (seguito ideale, ma più maturo di “Dove Nasce il sole” e “Liberamente”) regalano oltre quaranta minuti di eccitazione, condensati in nove canzoni che hanno i vertici nell’iniziale title track dal groove funky rock, “Casa comoda” che sforna un refrain ammaliante, l’altalena melodica di “Strade del sole” fino alla delicatezza di “Fragile”, passeggiata di note che scopre i nervi del pop rock tricolore. Senza forzare sul piano della tecnica strumentale, i Sannidei dimostrano di saper addomesticare il pentagramma rock, scrivendo brani efficaci e coinvolgenti. Lascia invece interdetti scoprire che il gruppo sia ancora costretto all’autoproduzione (www.sannidei.it). Gianni Della Cioppa Marcilo Agro e il Duo Maravilha Tra l’altro Room Service Ci sono dischi che, nonostante piacciano da subito, presto escono dal lettore per non farvi quasi più ritorno. Altri, invece, si rivelano compagni di viaggio fedeli e duraturi. Per quanto ci riguarda, questo primo ep di Marcilo Agro e il Duo Maravilha appartiene senza dubbio alla seconda categoria, visto il numero ormai elevatissimo di volte in cui, nelle ultime settimane, abbiamo provato il desiderio di ascoltarlo, nello stereo di casa come in macchina, in città e in vacanza. Ovunque ci trovassimo, ci ha accompagnato e riscaldato con le sue note. Fosse uscito qualche anno fa in Inghilterra, ora “Tra l’altro” sarebbe giustamente annoverato tra le pietre miliari del New Acoustic Movement; trattandosi invece di un prodotto autoctono - nonostante i nomi esotici, i suoi autori provengono da Novara - ci si deve accontentare di qualche recensione sparsa e del passaparola degli appassionati. Questo però non toglie nulla alla grazia e alla delicata bellezza dei cinque brani che lo compongono, piccoli gioielli dal grande valore, ballate senza tempo interamente giocate sugli intrecci dei plettri e delle voci. L’iniziale “Terra”, per esempio, che parla di amore e fiducia con una grazia rara; oppure la più veloce “Un sorriso da indossare”, con il suo tappeto di archi, o ancora i doppi sensi sottilmente ironici e i virtuosismi di “Zanzara”. E poi una “Tra le mani” per la quale i Kings of Convenience pagherebbero una fortuna, e “Arpa birmana”, scandita dal battito lontano delle tablas. Una meraviglia - anzi, una Maravilha - da procurarsi assolutamente (www.marciloagro.com). Aurelio Pasini Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Tv Lumière Tv Lumière Tele Noise Art/Venus Gli umbri Tv Lumière sono nati nel 1999 dall’amore per gruppi come Swans, Sonic Youth e Ulan Bator. In questo debutto omonimo, registrato un paio di anni fa proprio con l’aiuto di Amaury Cambuzat degli Ulan Bator - che produce, mixa e interviene di tanto in tanto mettendoci chitarre, piano e violino - la genesi del progetto è piuttosto evidente. Ma anziché limitarsi ad approfondire il lato più squisitamente sonico delle proprie influenze, il quartetto ( i fratelli Federico e Ferruccio Persichini, chitarristi e cantanti, Irene Antonelli al basso e alla voce, Yuri Rosi dietro ai tamburi) cerca di trovare una via noir al genere, attraverso parti vocali che evocano scenari crepuscolari e decadenti, lavorando sul formato canzone più che sui suoni, che sono comunque curati con grande perizia. Un tentativo apprezzabile, soprattutto in pezzi come “I gatti (parte 1)”, convincente nonostante il forte ascendente degli Ulan Bator, e la darkeggiante “Riflesso”, quasi una via di mezzo tra i CSI e gli Swans. Tuttavia va detto che gli spazi di crescita sono ancora piuttosto ampi, e non sempre i brani sono alimentati da una sufficiente tensione. Il gruppo è comunque meritevole di attenzione, e ci sono tutti i presupposti affinché si possa assistere alla costruzione di un vocabolario più personale (www.tvlumiere.it). Alessandro Besselva Averame Father Murphy Six Musicians Getting Unknown Madcap Collective Tutti in ginocchio, signori, il reverendo Murphy è qui per catechizzarvi, rivoltarvi l’anima, guidarvi verso la salvezza. Il tutto, naturalmente, passando attraverso quella lente deformante che si chiama indie rock, materia che i Father Murphy affrontano con piglio obliquo e artigianale, senza spazio per melodie ammiccanti e cadute nell’ovvio. È un calderone di riferimenti, quello in cui sguazza la band trevigiana, che a una passione per i suoni d’oltreoceano aggiunge uno sguardo timido alla tradizione autoriale. L’effetto è quello di un Devendra Banhart ubriaco di grappa, alla prese con il pre-war folk ma svincolato da riferimenti temporali, dal country, insomma, dalla terra. Alla seconda prova sulla lunga distanza, Federico F. Zanatta, Chiara Lee e Vittorio Demarin riempiono il gap che li separava da realtà più organiche e complesse, giocando a volti scoperti e con una ingenuità che a tratti lascia sbigottiti. Ma “Six Musicians Getting Unknown” - da abbinarsi possibilmente alla lettura di “Brevi routine e sei racconti + un come”, libretto edito sempre dal collettivo Madcap, Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 è un album davvero singolare, non lontano da certe atmosfere dei Midwest eppure originale, fuori fuoco e sofferente, che si fa amare anche per i suoi difetti e per le sue mancanze, per i vagiti slowcore e per i cambi di regime improvvisi e non previsti. Una divertita anomalia, quindi, che si lega ad un monito da tenere a mente: state attenti, gente, liberate le anime (www.maledetto.it). Giuseppe Bottero Camera 237 Vectorial Maze autoprodotto Il post rock: una vera e propria croce per il recensore, a questo punto della storia. Già, perchè il celeberrimo (non) genere sembra essersi ormai fissato su parametri rassicuranti e sentieri frequentati fino alla nausea, esiste ormai una robustissima tradizione nel campo, è sempre più difficile vedere qualcosa di nuovo all’orizzonte nell’apposito settore e quindi chiunque rivendichi una appartenenza all’idea può essere tacciato di conservatorismo o maniera. Poi però ci si imbatte in dischi come questo, che sono indubbiamente post rock (tracce strumentali, intrecci di chitarre, cambi di tempo, esplosioni ed energie trattenute) ma che, grazie al gusto per i particolari, alla cura dei suoni (l’ubiquo Fabio Magistrali, anche qui), alle sfumature, trasmettono ben di più di quanto le soluzioni utilizzate e i riferimenti facilmente individuabili potrebbero far pensare. “Vectorial Maze” racconta poche novità, ma le racconta bene, sa amalgamare a dovere intuizioni sperimentali e vena improvvisativa con costruzione millimetrica e bravura strumentale. Non è detto che si debba sempre essere degli innovatori e a volte, proprio come in questo caso, il percorrere strade conosciute riesce comunque a coinvolgere e a trasmettere emozioni (www.camera237.com). Alessandro Besselva Averame Auticada Aurea VideoRadio Gli Auticada non sono una novità per “Fuori dal Mucchio”, visto che sono stati ospiti della versione cartacea della rubrica in occasione della pubblicazione di un demo. Dopo un lungo periodo di silenzio, interrotto da sporadiche apparizioni, sembravano Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 però destinati a seguire la scia di tanti colleghi, mai arrivati a concretizzare su album anni di passione. Ma, quasi a sorpresa, il quintetto mantovano ha prodotto questo “Aurea”. Il cd, che non si presenta nel migliore dei modi a causa di una copertina davvero brutta, prosegue il discorso interrotto dal demo: ovvero un rock sontuoso, sorretto da chitarre e tante tastiere, con il nodo scorsoio del cantato in italiano. Nulla da dire sulla voce di Riccardo Roverso, ma è l’insieme che fatica a decollare, in rimandi a pomp rock e melodia italiana, anche se la parte strumentale è curata. Le difficoltà di incastro tra musica e parole sono evidenziate dai pezzi strumentali, che invece funzionano bene. Scelta consapevole e coraggiosa ma non facile da realizzare, quella degli Auticada, che invece dal vivo appaiono meno rigidi e più coinvolgenti (www.auticada.it). Gianni Della Cioppa Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Slugs Sono tornati gli Slugs, e lo hanno fatto con un disco - “Bob Berdella Bizarre Bordello” (Black Candy/Audioglobe) - che conferma il loro approccio anticonvenzionale alla materia rock mescolando hard, melodia, respiri acustici e psichedelia. Di questa nuova avventura abbiamo parlato con Martino Pompili, che della band emiliana è il cantante e chitarrista. Da “Slugs” a “Bob Berdella Bizarre Bordello” sono passati due anni e un cambio di etichetta. Cosa avete fatto in tutto questo tempo? Fondamentalmente abbiamo suonato: concerti e sala prove. Abbiamo lavorato ai nuovi pezzi che si sono sviluppati anche in relazione al live. Com’è nato il matrimonio con la Black Candy? È stato Leonardo a contattarci, circa due anni fa, per fare un concerto alla festa dell’Unità di Firenze. Andammo, suonammo, e lui subito ci fece una proposta, anche perché eravamo già praticamente orfani: Gammapop non aveva più tempo per noi. Erano troppi i problemi... L’evoluzione del vostro sound lo rende scarsamente definibile in un contesto “rock”: infatti, mescola diverse scuole di pensiero che vanno dai Primus ai McLusky. C’è un’idea dietro tutto questo? Non c’è un’idea precisa. È piuttosto legato ad un flusso di sensazioni, a un sentire che non ha niente a che vedere con le categorizzazioni o i generi. È un insieme di tanti piccoli dettagli generati dalla nostra stessa complessità e dalle nostre singole esperienze. Tutto ciò non ha premeditazione. Nonostante un’atmosfera “tirata” troviamo comunque momenti in cui si respira un’aria più rilassata e acustica, oltre che melodica. “I Could Have Been A Contender”, ad esempio, si basa su questo rapporto tensione/calma che sembra sfogarsi per tutto il disco. Stato d’animo o avete semplicemente assecondato quello che “jammavate” in sala? Stato d’animo legato all’azione creativa, direi. I pezzi li compongo generalmente da me, a casa, in solitudine, con un quattro tracce che ora si è pure rotto. Ne compongo molti e, nel tempo, seguono l’andamento del mio umore: raramente si ispirano a riflessioni consapevoli. Poi, in una seconda fase, ci riuniamo in sala prove, o in studio di registrazione, e lavoriamo tutti insieme. Ed ecco che i pezzi assumono diversi significati, si tramutano rispetto alla loro genesi e diventano testimoni di una sinergia di stati emotivi differenti. Tra l’altro, alcuni brani, come lo stesso “I Could Have Been A Contender” sono stati composti parecchi anni fa. Leggendo gli organi di informazione si rileva che il disco ha avuto un’ottima accoglienza. Ora che un po’ di attenzione si è creata, cosa dobbiamo aspettarci dagli Slugs? Concerti sempre più interessanti e coinvolgenti. La nostra è una musica volubile ed Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 è molto difficile da rendere con la dovuta intensità. Insomma, vogliamo lavorare in una direzione che ci porti a suonare. Nel vero senso del termine. Come vedete la situazione musicale italiana? Da un lato sembra che ci sia un gran movimento, ma dall’altro ci si continua a lamentare... Da una parte c’è un gran potenziale di idee e di tendenze, dall’altra c’è una profonda ignoranza che si alterna a uno snobismo assurdo e provinciale. Non starò a parlare di mercati o strategie perché, comunque, non possono prescindere dall’atteggiamento generale di chi fa, scrive di e ascolta musica. Ognuno tende a proteggere con paura quello che ha conquistato e manda a puttane tutte le possibilità di condividere, alimentare e arricchire la passione per la musica. Molti dei musicisti che conosciamo qui a Reggio Emilia viaggiano su binari paralleli e si nascondono dietro atteggiamenti e scelte autoimposte che vanno a scapito della loro possibilità di godere della vita stessa. Insomma, è abbastanza una merda. Ma suonare e comporre pezzi è fantastico: questo non potrà mai impedirtelo nessuno! E per il futuro? Avete programmi o vi affidate al fato? Il solito: suonare sempre di più e in luoghi sempre migliori. Fare altri dieci dischi e quello che dovrà essere, sarà. Hamilton Santià Contatti: www.slugs.it Marco Ongaro È piacevole discorrere con Marco Ongaro, un artista poliedrico e in più una persona ironica e autoironica, consapevole e arguta. Inr realtà Ongaro meriterebbe una doppia intervista: ha appena pubblicato due dischi in uno, “Archivio Postumia” e “Eptalogia”, con una peculiarità: le registrazioni risalgono ai primi anni ’90. Il cantautore veronese ci spiega com’è nata questa insolita operazione. Domanda introduttiva obbligatoria: come mai hai pubblicato due dischi incisi nel 1990 e nel 1991? Perché il primo, ”Archivio Postumia”, era destinato a non essere pubblicato prima di cinque anni dalla sua registrazione. Dopo quindici, sia il produttore Venturiero che io avevamo stabilito che di tempo ne fosse passato a sufficienza. Il secondo, “Eptalogia”, avremmo voluto vedesse la luce già nel 1991, ma per questioni dipendenti dalla volontà del produttore anch’esso è finito nel medesimo cassetto. ...ma perché non pubblicasti allora “Archivio”? Il motivo rientra nel campo della sperimentazione di mercato. Nel 1990 era appena statopubblicato il mio lp “Sono bello dentro”. Ero esasperato dalla lentezza con cui Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 la piccola etichetta indipendente Rossodisera metteva in cantiere progetti che io partorivo con facilità. Mi ero definito “il primo cantautore postumo ancora in vita”. In “Sono bello dentro” gli arrangiamenti non mi soddisfacevano minimamente. Il tentativo benevolo del produttore era quello di rendere le mie canzoni appetibili a un vasto pubblico, non riconoscendo il loro intrinseco elitarismo. Così mi son deciso a incidere a mie spese i brani più attuali che avevo, rivestendoli con gli arrangiamenti che in quel periodo usavo nel proporli dal vivo. Venturiero ha voluto partecipare alla produzione a patto che il disco non uscisse per un po’. Avevamo in programma di pubblicare in futuro la suite ciampiana “Eptalogia - Delle colpe e del perdono”, quindi cinque anni d’attesa erano una previsione sensata. Poi il tempo si è triplicato. Non temevi che gli arrangiamenti scadessero, nel frattempo? No, perché il jazz suonato con strumenti veri rimane sempreverde e i pezzi, come immodestamente ritenevo, poggiando sul linguaggio dei classici della canzone, conservavano in sé il sapore di tale classicità. Il mio pensiero fu qualcosa del genere: “vediamo se sono un artista definitivamente fuori dal tempo o se semplicemente lo precorro”. Il gioco interattivo con la caducità e la preveggenza artistiche mi ha sempre molto interessato. Cosa ti ha influenzato maggiormente? L’atmosfera canora di qualche valore, all’epoca, era intrisa di jazz, da Conte al nascente Capossela, da Max Manfredi - col suo smontaggio del linguaggio compositivo cui partecipavo personalmente in un rapporto privilegiato di amicizia e confronto - allo swingante Caputo, all’appariscente Baccini. Per non parlare del lascito immenso dell’ultimo Piero Ciampi e di Tenco. Chi volesse usare ironia e disincanto doveva passare per forza di lì. Che segno avrebbe lasciato sul suo tempo, quindici anni fa, questo repertorio rimasto finora inedito? Ci sono brani che anticipano un gusto poi assai in voga nel decennio successivo. Questo è il nodo dell’esperimento. Un esperimento rischioso e decadente. Sapevo che “Archivio Postumia” così concepito non avrebbe forse lasciato alcun segno. Gli anni Novanta ci avrebbero abituati a ben altro decadentismo, fatto di residui di tastiere, rap e giovanilismo esasperato. Potevo sperare nella nausea che finalmente è affiorata nel gusto degli italiani nei confronti di playlist delle radio, appiattimento culturale del linguaggio canzone, potevo sperare solo in un ricorso. Per questo ho sospeso la mia dubbia carriera nel 1995 con “Certi sogni non si avverano”, un disco dal sapore rock ancora più decadente. Non era ancora passato sufficiente tempo. Il pubblico non aveva ancora smesso di credersi ossessivamente “giovane e moderno”. E ora? Esiste una sintonia tra il disco e il gusto corrente? Il mio snobismo critico ha avuto la meglio. Se suona attuale a chi ora lo ascolta, suona attuale anche a me. Ho aspettato il cadavere del nemico sul fiume come in ogni vendetta che si rispetti. Ammesso che qualcuno se ne accorga. Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Il disco si è purtroppo rivelato “postumo” per il tuo produttore... Venturiero aveva già cominciato a dirmi che dischi così non se ne fanno più. Poi che forse stanno cominciando a farne. Ma gli anni passavano. Finché siamo giunti all’istante buono. Appena in tempo prima che l’amico, il fratello Renato Venturiero dolorosamente ci lasciasse. Il giorno prima di morire mi ha detto per telefono, come ultima frase, “Il disco è in stampa”. Che io sappia, non esiste un cd nella storia della canzone italiana tanto carico di significato extratestuale. Sei un artista vulcanico, ti dividi tra teatro, rock, libri, canzone. Cosa farai adesso? Ho appena scritto il mio secondo libretto d’opera lirica, “Kiki de Montparnasse”, per il compositore Andrea Mannucci. Per la primavera prossima il debutto sarà pronto. Intanto guardo girare in teatro l’opera buffa (sempre Mannucci/Ongaro) “Il cuoco fellone”, che ha debuttato in marzo, e me la rido. A proposito di libri. Ci racconti della tua opera letteraria “Fughe”? Com’è possibile acquistarla? Non ve la racconto perché trattandosi di una raccolta di racconti vi sciuperei il gusto della lettura. Chi volesse leggerla senza dover prendere per il collo un libraio può collegarsi al mio sito, dove si trovano dettagliate istruzioni. Gianluca Veltri Contatti: [email protected] Kech Non troppo tempo dopo l’esordio “Are You Safe?”, i Kech si sono rifatti vivi con “Join The Cousins”, edito questa volta dalla Black Candy: un album lavoro fondamentalmente pop fondato su leggerezza e creatività, ma soprattutto godibile e raffinato, opera di musicisti che - per una volta - amano anche ascoltare la musica di altri invece di pensare solo alla propria. Alle nostre domande ha risposto Giovanna, la cantante. Siete arrivati al secondo album. Due parole sui vostri inizi? Noi siamo brianzoli e perciò anche un po’ campagnoli: ci teniamo a dirlo. Abbiamo notato, girando per l’Italia, che il milanese non è proprio simpatico a tutti. Abitandoci vicino, abbiamo approfittato di quanto Milano poteva offrirci a livello di concerti, ma ci teniamo ad avere un’identità diversa. Ci siamo conosciuti suonando e abbiamo scoperto una passione comune per il rock in tutte le sue sfumature. Formato il gruppo e provate tante volte le canzoni in cantina, abbiamo deciso di registrare con un amico che aveva un po’ più di esperienza e un’etichetta molto sperimentale, la Ouzel; da lì è nato il nostro primo cd “Are You Safe?”. Poi, pian piano, abbiamo Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 incontrato un sacco di altra gente. Cosa vi piace di più dell’attività live? Solo da gennaio a oggi abbiamo fatto più di sessanta concerti. Siamo sempre in movimento e avendo anche altri lavori non è molto facile... però è bellissimo, perché al di là dello stare insieme come gruppo siamo diventati come una piccola famiglia. Inoltre, conoscere sempre gente e vedere posti in cui non eravamo mai stati è un’esperienza impagabile. Come siete capitati alla Black Candy? Avevamo vinto un premio della Diesel, nel 2003: non era ancora uscito il primo disco, né niente. Il premio consisteva in un concerto a Firenze e forse di spalla ai Perturbazione, che per noi era come suonare con gli U2. E invece, passato tanto tempo, non succedeva nulla, finchè gli organizzatori ci hanno chiesto se volevamo fare una data vicino Firenze, ma da soli. Abbiamo accettato. La serata era organizzata da Leo della Black Candy, che alla fine del concerto ci ha proposto di pubblicare il cd successivo. Sulla copertina di “Join The Cousins” c’è una mongolfiera. Chi ci è salito? Non saprei, ma mi fa piacere potere parlare della copertina. Nel primo cd il disegno fatto col mouse raffigurava una finestra dall’esterno: guardando verso la casa avresti potuto vedere un mondo all’interno. Adesso, invece, le persone che stavano in quella casa guardano fuori, per cui è un po’ il seguito della precedente. Mi ricordi Shirley Manson dei Garbage. Quali sono i vostri gruppi di riferimento? A parte il primo album, che trovo bellissimo, in generale i Garbage non mi piacciono, anche se trovo lei un personaggio meraviglioso, istrionico, nonché una cantante dalla timbrica incredibile. Il bello del nostro gruppo è che nessuno ha gli stessi gusti: quando dobbiamo mettere la musica in furgone litighiamo sistematicamente perché non ci troviamo mai d’accordo. Abbiamo veramente gusti molto diversi: dai Velvet Underground ai Pavement e ai Pixies, da Paul Weller al country folk o cose più british, o i Marlene Kuntz di cui il nostro batterista è un fanatico. Quest’estate avevamo però dei tormentoni che si ripetevano come Kings of Leon che piacevano a tutti o i Coral. Insomma da un emisfero all’altro. Scrivi tu i testi che canti? Sì. I testi e le melodie del cantato sono miei. E di cosa parlano? L’inglese dà la possibilità di creare delle immagini molto suggestive con parole semplici. Ad esempio, “Clifford” è una storia d’amore ambientata in un saloon. Però mi piace moltissimo partire dalla letteratura perché io leggo abbastanza e anche in inglese, per cui mentre magari mi imbatto in nomi che mi rimangono in mente m’invento un'altra storia su questi personaggi. Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Le tue canzoni, quindi, sono ispirate dai libri? Un po’ sì. Non a caso ci hanno invitato a Milano nella Biblioteca del giardino. La nostra sala prove si trova nella cantina della cascina ed è piena di libri che vi sono abbandonati. Frequentandola spesso abbiamo iniziato a portarne anche di nostri per sentirci più a casa, e così ogni tanto mi piace improvvisare leggendo una riga da una parte e una dall’altra con cose senza senso. Magari da lì deriva lo spunto per inventarne altre, di righe. E cos’altro c’è in cantina? L’abbiamo insonorizzata con della gommapiuma rosa, e quindi la chiamiamo “la sala prove di Elton John”. C’è la libreria di tutti e poi abbiamo appeso i poster dei concerti con il nostro nome scritto male. Molto divertente. Oltre a questi dischi, avete altre collaborazioni da segnalarci? Ce n’è stata una molto carina con MusicBoom per la compilation tributo ai Velvet Underground scaricabile dal sito http://www.musicboom.net/. Il nostro contributo è “Afterhours”, una canzone che sento tantissimo e che dal vivo spesso facciamo. È molto semplice ma altrettanto divertente. In quanto tempo avete registrato il disco e dove? Abbastanza in fretta. Nel dicembre scorso eravamo a Milano. Avevamo già provato i pezzi live e quindi abbiamo deciso di inciderli. Tra l’altro siamo stati fortunati, perchè il tecnico Max Lotti, che è amico del produttore Paolo Mauri si è offerto di fare dei mix a titolo amichevole. È stato molto bello. Abbiamo registrato durante tutto il periodo natalizio del 2004. Avete usato strumenti particolari? Dal vivo avevamo suonato con un amico che suona la tromba, e quindi abbiamo pensato di chiamarlo. Il nostro bassista studia al conservatorio ed è un polistrumentista, così abbiamo potuto aggiungere il violoncello e un po’ di pianoforte. Io suono anche lo xilofonino della Barbie e l’armonica. E tra tutti abbiamo anche il citofono. Avete spedito copie del cd all’estero? No. Non abbiamo fatto un bel niente, siamo molto pigri ma pensiamo di muoverci meglio con il prossimo. In effetti il giro indipendente italiano è parecchio limitato... quest’estate, quando abbiamo suonato a “Frequenze Disturbate”, guardando tra il pubblico mi sono resa conto che ci sono sempre le stesse tremila persone. Rispetto all’America o all’Inghilterra è un mercato davvero inesistente. Francesca Ognibene Contatti: http://www.kechworld.com/ Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Valery Larbaud Prendono il nome da un critico letterario. Hanno sogni, ambizioni e idee chiare. E la cosa bella è che tutto questo non è una contraddizione. Dopo tre demo e un mini-cd, apprezzati da pubblico e critica e supportati da molti concerti, sono arrivati al vero esordio con “Altro non è rimasto”, curiosa e vivace sintesi di indie rock e pop adulto. I Valery Larbaud sono Umberto Bellodi al basso, Manuel Landi alla batteria, Paolo Ciuchi alla chitarra e Davide Ciuchi al piano, ma ci racconta tutto Diego Pallavera, voce e cuore del gruppo. Chi sono i Valery Larbaud? Cinque individui ombrosi amanti allo stesso modo del cantautorato italiano quando diventa spudoratamente poesia, del rock anni ‘70 e della sua attualizzazione nel grunge (con tutte le controversie che questo termine porta perennemente con sé). A queste influenze principali, con diversa passione per ciascuno di noi, si affiancano il blues malato dei Bad Seeds e Tom Waits, la new wave, il furore dei Fugazi e altri ancora. Il vostro nome è un omaggio al critico letterario francese che ha dato fama internazionale a Italo Svevo. La letteratura vi è cara? La scelta di quel nome è stata fatta perché sembrava rappresentare una nobile decadenza. Ci piaceva usare un nome e cognome di persona per chiamare la band, quasi a voler dire che dall’unione delle cinque sensibilità dei componenti se ne crea una sesta che le racchiude e completa reciprocamente. Inoltre non a caso il nome appartiene al mondo della letteratura che per noi è componente fondamentale della giornata, a prescindere dalla necessità di accrescere lo stimolo artistico in fase di composizione. È prima di tutto un bisogno di capire il senso delle cose. La letteratura è dove stanno le risposte. La sua potenza sta nell’impedirci di fermare questa ricerca. Cosa pensate della nuova scena indie rock italiana, che da anni è in fermento e pronta al grande salto internazionale? Pensate che adesso ci siano i presupposti per dare una visibilità concreta a quanto di buono viene prodotto da noi? Il primo pensiero va a gruppi come Yuppie Flu, Giardini di Mirò, One Dimensional Man, che con le proprie produzioni sono riusciti a suonare all’estero riscuotendo a quanto pare un buon successo e rispetto da parte del pubblico straniero. In questi ultimi due/tre anni, poi, vari artisti stranieri di indiscutibile spessore artistico, hanno collaborato con dichiarato entusiasmo a produzioni italiana. In sostanza, mi sembra che in passato una commistione così forte fra stranieri e italiani non ci fosse mai stata, e non a caso a queste collaborazioni stanno seguendo concrete operazioni di promozione all’estero dei loro lavori. Vedi la distribuzione mondiale per Cristina Donà prima e per gli Afterhours tra poco. Tradotti in inglese, è vero, ma sono comunque canzoni che nascono in italiano e poi vengono tradotte per renderle più fruibili a un mercato anglofilo per tradizione e col quale per ora è ancora necessario scendere a compromesso. Ricordiamoci che negli anni ’60 in Italia era esattamente Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 l’opposto: canzoni inglesi o americane tradotte in italiano (con risultati per lo più patetici). A questi movimenti perciò guardiamo con molta speranza. È altrettanto vero però che sotto questi gruppi che possiamo definire storici, c’è poi un gap incredibile che li separa dalle band emergenti sulle quali nessuno investe più come dovrebbe, e che si vedono costrette a vivacchiare di concerti anche in location disastrose pur di portare a casa una data in più, utile a far rientrare le spese e fare un po’ di promozione... nel caso ci sia un pubblico attento a seguirle. Non dimentichiamo che anche il pubblico ha una bella fetta di responsabilità sulla crescita musicale di una scena, e considerando il numero di band che compaiono negli elenchi dei portali informatici, se tutti quelli che suonano in un gruppo andassero a seguire i concerti delle altre band emergenti le presenze medie di un concerto si triplicherebbero. Nel vostro stile confluiscono più temi artistici: rock, pop, persino tracce di hard e tocchi new wave. Con una punta di cattiveria, verrebbe da dire la classica band degli anni 2000, brava in tutto ma incapace di scegliere. Come nascono invece le vostre scelte stilistiche e compositive? È sempre un gioco di equilibri e compromessi o remate tutti dalla stessa parte? Non c’è un solo nostro brano che non sia nato dalla jam session di tutto il gruppo in sala prove fino alla sua definizione completa nella struttura e negli arrangiamenti. Questo mi porta a dire che non si tratta di compromessi, bensì di una volontà di esprimere al meglio l’individualità di ciascuno e miscelarla a quelle degli altri. Siamo convinti che solo in questo modo riusciamo a caratterizzare il nostro suono al punto da renderlo personale. Non si inventa più niente, ma se si riesce ad imprimere il più possibile la propria attitudine compositiva al brano siamo convinti che ciò lo renda riconoscibile come un nostro pezzo, a prescindere poi dagli echi dei vari generi che ci hanno preceduto, e che chiunque con un minimo di memoria storica musicale è in grado di cogliere. Per altro scusa, ma ritenerci bravi in tutto è già un errore e di conseguenza lo è anche ritenerci la classica band del 2000. La proprietà transitiva offre possibilità incredibili. Il vostro curriculum parla chiaro, siete un gruppo che suona molto dal vivo. Sul palco le canzoni assumono nuovi connotati? Come reagite davanti ad una platea indifferente? Fin nei primi anni di attività live ci è sempre stato detto che rispetto al disco i brani e il suono risultano sempre più graffianti, nervosi. In parte ce ne accorgiamo anche noi. Questo è poi forse accentuato da un mio modo di stare sul palco molto fisico, che mi porta ad accompagnare i testi e le sfumature degli arrangiamenti con posture e gesti che rendono il concerto forse più sanguigno. In ciò vengo aiutato dal fatto che scrivendo le liriche e mettendo in esse molto del mio vissuto, sono inevitabilmente portato ad interpretarle senza troppi calcoli di rappresentazione e ciò arriva al pubblico come una maggior carica del live che non su disco. Anche per le suddette ragioni abbiamo deciso di registrare “Altro non è rimasto” al nuovo AcidStudio di Cremona, dove c’era la possibilità di registrare in diretta tutte le session musicali e sovraincidere solo la voce. Ci pare che l’obbiettivo sia stato raggiunto. Con la dovuta consapevolezza che c’è comunque molto da migliorare. Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 La platea indifferente ci fa incazzare non poco, quindi forse suoniamo anche meglio... un pubblico attento e vivo, comunque, ci piace di più. Gianni Della Cioppa Contatti: www.valerylarbaud.it Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Settembre '05 Musical Box Urbino, 7/8/2005 Per la prima volta nella sua storia “Musical Box”, rassegna urbinate organizzata dall’associazione Notturno Musicale e ormai giunta alla quinta edizione, è stata inglobata nel programma del concomitante festival “Frequenze Disturbate”, con la conseguente opportunità di utilizzare la suggestiva Piazza Duca Federico come teatro dell’esibizione dei cinque gruppi finalisti, selezionati tra i duecento iscritti al concorso. Un’ubicazione suggestiva che oltre ad aver fatto gridare allo scandalo secondo lo scoop giornalistico di quart’ordine di un noto quotidiano bolognese - un Sergio Cofferati in visita turistica presso la città marchigiana, non ha purtroppo risparmiato problemi meteorologici: la manifestazione è infatti stata più volte messa in dubbio dal clima autunnale e dalle minacce di pioggia, poi concretizzatesi in poche ma snervanti gocce. Il considerevole ritardo si è infine risolto nella decisione di procedere nonostante tutto, e, dopo una esibizione che prevedeva tre canzoni per ciascuno (decurtate a due per sopravvenute carenze di tempo), si è finalmente giunti al verdetto appena in tempo per non invadere lo spazio riservato al concerto di Niki Sudden, in coda al programma pomeridiano. Ad aggiudicarsi il premio, un assegno di duemila euro, sono stati i parmensi Reflue (nella foto), artefici di un pop tentato da ricordi beatlesiani, cantato in inglese, elegante e ricco di trovate. Sul secondo gradino del podio i torinesi Là-bas, che hanno proposto un rock d’autore in italiano, emotivo, intimista e orecchiabile, promettendo ottime cose per il futuro. Terzi, i cremonesi Jenny’s Joke, tra indie-rock e riferimenti alla tradizione cantautorale angloamericana più fragile e tenue. Fuori classifica, gli Heza da Rovigo, con un rock in italiano di grande impatto dotato di melodie di ampio respiro, e i Masquerada, ancora incerti nel destreggiarsi tra pop, derive post-trip hop ed elettronica: un buon lavoro sui suoni, il loro, ancora da definire e calibrare la presenza di una nuova cantante da poco entrata in organico. Nonostante le difficoltà, e gli imprevisti in agguato fino all’ultimo, la vetrina di Urbino ha mostrato una crescita visibile, confermata dalla qualità crescente (gli inascoltabili erano in minoranza rispetto a coloro che oltrepassavano più o meno la sufficienza) degli aspiranti vincitori. Alessandro Besselva Averame Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it