Numero Gennaio '06 EDITORIALE Bentrovati a tutti, e benvenuti a quello che è il primo Fuori dal Mucchio non solo del 2006, ma anche della rimodernata veste grafica del nostro sito Internet. Grafica completamente nuova, quindi, per la ormai consueta infornata di interviste, recensioni e live report dedicati a un mondo, quello degli “emergenti, autoprodotti, esordienti, sotterranei, di culto” italiani, che sembra infischiarsene di una crisi sempre più evidente, vista la quantità sempre maggiore di CD che arrivano ai nostri indirizzi. Convinti, come ogni mese, di offrirvi una panoramica quanto mai esaustiva e variegata di quanto succede nello Stivale, cogliamo l’occasione per anticiparvi che, nelle prossime settimane, Fuori dal Mucchio diventerà ancora più ricco e interattivo, con la possibilità per i gruppi di mettere a disposizione i propri brani in formato .mp3 e per i lettori di votare i loro dischi preferiti. Tutti progetti in fase di studio, e di cui vi parleremo prossimamente in maniera più diffusa. Sono invece già in linea gli arretrati del nostro inserto a partire dal luglio scorso, mentre i rimanenti verranno inseriti a breve. In cambio di tutto questo, vi chiediamo solo un piccolo sforzo: quello di registrarvi nell’apposita sezione del sito. Un’operazione – naturalmente gratuita – che richiede solo pochi minuti, e che permette di accedere a tutta una serie di servizi tra cui, appunto, la possibilità di leggere e scaricare Fuori dal Mucchio. Ciò detto, non indugiamo oltre, e vi lasciamo alla lettura, che ci auguriamo gradevole e interessante. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Rosaluna Musicomio Wild Flower/Venus Inizia con lo scricchiolante rumorìo di Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, il nuovo capitolo discografico dei Rosaluna. Un lavoro che comunica “un’incertezza che si attacca alla pelle”, come recita un verso di “Bologna”, e insieme, curiosamente, una saldezza artistica di chi governa il timone senza flessioni. Soffiando su una tastiera psichedelica cangiante, che abbraccia il tango-punk di “Le parole migliori”, la tarantella elettrica e deformata di “Slide Show”, il post-pop-rock din-don-dante di “Lei vorrebbe esserci” (mixato come il precedente da Lorenzo “Loz” Ori dei Technogod). Il balcan prog-rock di “Žena” è solcato da modulazioni ritmiche e sovrapposizioni di sonorità: qui si segnala la “balkan guitar” del musicista bosniaco Mustafa Muce Cengic, membro dei No Smoking di Emir Kusturica, coinvolto organicamente in tutto l’album, essendone il fonico e il co-produttore artistico insieme a Marco Ambrosi. Quasi tutti i testi sono di Gabriella Ferrise, paroliera dietro le quinte e voce soltanto sul pezzo iniziale “J.B.” (quello col Gatto Ciliegia). La sequenza delle tracce disegna la geografia di un’irrequietezza inevitabile, iscritta in un segreto DNA, secondo la poetica del “musicomio” (“suoni la tua canzone/ senza una via d’uscita”), e come ben illustrato dal brano “Placido”, il più destabilizzante dell’album nella sua esplicita, significativa alternanza tra 4/4 e 5/4. Quarto appuntamento, luna rosa crescente (www.rosaluna.it). Gianluca Veltri Appaloosa Non posso stare senza di te Urtovox/Audioglobe Immaginate le canzoni dei nostrani e mai dimenticati Confusional Quartet eseguite dai Trans Am. O, se preferite, la colonna sonora di qualche poliziottesco dimenticato rimaneggiata dai Devo. O, ancora, i Man Or Astroman che si mettono a fare math-rock. Si potrebbe continuare, ma il concetto è questo: l’impatto dei livornesi Appaloosa – qui al secondo lavoro, adeguatamente ottimizzato in studio da Giulio Favero, demiurgo del suono One Dimensional Man – è di quelli che non possono passare inosservati. Strutture ritmiche implacabili e geometriche, gestite da una batteria precisissima e da un basso il più delle volte distorto, sulle quali si insediano tastiere e sintetizzatori d’epoca, chitarre oscillanti tra surf e funk, inserti elettronici e più raramente sample vocali: una miscela gestita con notevole senso della misura, dato che basterebbe un passo falso per scivolare nell’autocompiacimento o cedere Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 a toni eccessivi. Non accade in nessuno dei dieci brani di “Non posso stare senza di te”, disco teso e coinvolgente lungo l’intera durata. Tra i momenti più riusciti e meritevoli di segnalazione, una “Brigidino” che si fa efficace dichiarazione d’intenti introduttiva, una “Ap(p)ache” dominata da un wah-wah funkadelico, l’azzeccatissima e tortoisiana “4 Women” e la chiusura strepitosa, tra surf, desert-rock ed electroclash di “Metal alle Hawaii”. Un rock strumentale estremamente fisico, che pure non disdegna l’avventura e la ricerca, divertente ed eclettico ( www.appaloosarock.com). Alessandro Besselva Averame Babalot Un segno di vita Aiuola La chiave di lettura del disco la si trova nelle note nel retro di copertina, nelle quali si legge “R.I.P. i Babalot”. Se infatti, pur essendo la ragione sociale strettamente in mano del solo Sebastiano Pupillo, l’esordio “Che succede quando uno muore” (2003) poteva in qualche modo essere considerato un lavoro di gruppo, “Un segno di vita” è in tutto e per tutto un disco solista. E il risultato più evidente è che all’interno di quindici tracce c’è assolutamente di tutto: dal più tipico cantautorato pop lo-fi (“Antifurto”, beckiana fino al midollo) al folk, dal rock’n’roll più sguaiato all’elettronica più povera, sminuzzati e centrifugati con abbondanti dosi di ironia fino a dar vita a un insieme imprevedibile e multiforme, che fa proprio della scarsa omogeneità la sua carta vincente. Del resto, una creatività così straripante come quella del Nostro non può venire imbrigliata e incanalata in percorsi predefiniti, ma deve essere lasciata libera di spaziare a proprio piacimento, ché anche i momenti all’apparenza più sfilacciati e incompiuti nascondono al loro interno intuizioni brillanti e tutt’altro che banali. Come se non bastasse, poi, al termine delle quindici tracce della scaletta si trovano qualcosa come dodici ghost-track, tra cui una cover per chitarra acustica e vocoder di “Uomini” dei Ritmo Tribale, schegge di punk e un remix della già ricordata “Antifurto” a opera di tale DJ Pancetta. Insomma, un CD accattivante proprio perché dispersivo e non sempre a fuoco; se non (ancora) geniale, per lo meno genialoide (www.aiuola.it). Aurelio Pasini Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Verona Aid Concert Verona Aid Concert VideoRadio Non è consuetudine di questa rubrica dare spazio alle raccolte, ma vista lo spirito della proposta abbiamo deciso di fare un’eccezione. La scorsa primavera, grazie ad un’iniziativa di Ruben, artista di cui vi abbiamo riferito in occasione della pubblicazione dei suoi due album, ha organizzato una lunga maratona musicale di beneficenza, per raccogliere fondi, in collaborazione con l’Unicef locale, a favore delle vittime dello Tsunami. Iniziativa lodevole, ma accolta con il solito disinteresse da Verona, città prolifica in fatto di proposte rock (e dintorni), ma soffocata da un provincialismo che da sempre ne limita l’enorme potenziale culturale. Nonostante una scarsa affluenza di pubblico, la manifestazione è riuscita perfettamente e le 33 canzoni, mostrano tanti volti della Verona musicale. Da una sempre più convincente e popolare Veronica Marchi, ai noti Farabrutto, gli outsider Lulù Elettrica, Mr.Wilson, Nonalogica e Regina Mab, i sempre attivi Nuovi Cedrini, passando per Ruben, John Mario e Fabio Fiocco (un musicista che meriterebbe davvero almeno una chance…), fino all’artiglieria pesante di Mothercare e Shelter Of Leech, senza dimenticare Crvna, Poseidon, Maryposh (in coppia con la Marchi), Corky e Modididire. Diversi stili, ma uguale intensità, per una qualità media di indubbio valore. Confezionato con cura, “Verona Aid Concert”, è la fotografia quasi perfetta di una scena musicale in fermento, a cui manca solo un pubblico attento. Problema comune a tante città (www.videoradio.org). Gianni Della Cioppa Synthesis Synthetic History Andromeda Relix/Audioglobe Agli inizi degli anni ottanta il nascente fenomeno della “new wave of British heavy metal” raccoglie l’eredità del declinante hard-rock, in un’accelerazione di riff senza compromessi, asciugato da residue tracce blues e progressive. Anche l’Italia non tarda a seguire la scia con buone rappresentazioni, ed i ternani Synthesis sono fra i nomi basilari di quella brillante stagione degli Eighties (1978 è addirittura il loro anno di formazione) assieme ai vari Vanadium, Death SS, Crying Steel, Revenge, Steel Crown, Dark Lord e tanti altri. Li ritroviamo ora sorprendentemente ancora in sella, “fotografati” in un disco che raccoglie brani dal 1984 (“The Light” è tratto dalla seminale compilation “Metallo Italia”) al 2005. Una storia, la loro, legata ad una chiara matrice stilistica inglese, nonostante il più recente “Liberi e soli”, orgogliosamente coerente e fuori dalle mischie modaiole, in un sovrapporsi di riff Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 incalzanti, ritmi sostenuti, assolo veloci e lancinanti, nel nome del più classico e primordiale heavy-metal, attrezzato di buona tecnica, melodie avvincenti. Strada facendo, la saga metal ha acquisito svariate diramazioni estetiche ed espressioni giustamente più evolute, ma non di rado ci sorge il sospetto che l’interpretazione più genuina ed efficace rimanga quella degli inizi, quando la ritmica serrata e il duellare delle due chitarre erano ancora l’immediatezza di una canzone rock, e a far la differenza poteva bastare una voce epica ed elegante come quella di Roberto Casini (www.andromedarelix.com). Loris Furlan Tomviolence Tomviolence Black Candy/Audioglobe Che succederebbe se metteste su un bel disco pop e lo suonaste al rallentatore? Gli squittii delle trombe suonerebbero come un lamento; gli archi, da festosi, si farebbero estenuanti e malinconici; la voce adolescente che intrecciava versi tra capriole vocali e saltelli narrativi prenderebbe la forma del parlato e il timbro profondo del crooner; le chitarre si (di)storcerebbero in una smorfia. E il tutto risulterebbe molto simile al debutto dei Tomviolence. Se il post-rock in Italia assume sempre più nitidamente le coordinate di un movimento e se questo movimento declina di volta in volta il genere in direzioni leggermente differenti, allora il sestetto in questione non fa eccezione, ma forse possiede una marcia in più. Le nove tracce del self-titled, infatti, attingono non tanto al solito stock Slint – June Of 44 – Mogwai, quanto a quella setta di formazioni d’eccezione come Dirty Three o primi Low, band in grado di mutare il pop in un esercizio di pena e pazienza. Così il sound dei Tomviolence, attraverso episodi come “Too Steaming To Impress” oppure “To Set Something Convivial” evoca un atmosfera molto vicina allo slow core più armonioso e piuttosto distante dal post rock classico; certo, i crescendo full-sound e i ricami distorti delle chitarre non mancano (come in “Quite Good Not Song”), ma, anche qui, è più facile che ci si trovi nelle terre della pop-psichedelia del nordovest americano, che nella geografia immobile di Louisville. E, sinceramente, va davvero bene così (www.tomviolence.it). Marina Pierri Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Psycho Sun Silly Things Urtovox/Audioglobe Il curriculum dei salentini Psycho Sun ci presenta una band dal passato non privo di soddisfazioni. Partecipazioni al Tora! Tora! e due pubblicazioni Oltremanica precedono questo “Silly Things”, vero e proprio secondo disco: 37 minuti di puro rock'n'roll con punte di garage (“Corvette” e “Blonde”), psichedelia anni '80 (“About Your Man” - dal retrogusto Paisley – o “Ben And Cicely”, ispirata a “La banda dei brocchi” di Coe) e un appeal melodico che li avvicina a certo power-pop (soprattutto nell'eco Weezer dell'iniziale “Lovers”). Alla luce di questo, possiamo tranquillamente affermare che se il disco continuasse con la qualità proposta nelle prime due canzoni - la già citata “Lovers” e “What’s Going On” - ci troveremmo davanti a un capolavoro pop. In questi estratti l'armonia è irresistibile e le distorsioni non fanno altro che potenziarne l'impatto. Purtroppo così non è per gli altri. Perché accanto ad episodi davvero ispirati (“The King”, “Blonde”) troviamo degli esercizi di stile nemmeno troppo riusciti come “Something Is Happening”, rockettino senz'arte né parte, la title-track - una ballata acustica decisamente fuori contesto - e il conclusivo “Walzer Nice Plan”, indecifrabile electro-walzer buttato lì quasi per caso. Bicchiere mezzo pieno, quindi. Gli Psycho Sun dimostrano qualità e talento melodico ma non riescono ancora a focalizzare in tutto e per tutto i loro obiettivi. Non mettessero troppa carne al fuoco sarebbero dei fenomeni, e le prime due canzoni di “Silly Things” sono qui a dimostrarcelo (www.psychosun.it). Hamilton Santià Stefano Maria Ricatti Ad ore piene Storie di Note Ribellandosi alle scontate catalogazioni, Stefano Maria Ricatti da compositore e musicista si fa cantautore. Dopo una carriera gloriosa col Nuovo Canzoniere Italiano e sodalizi con Ernesto De Martino, Gualtiero Bertelli, jazz e folklore progressivo, a 50 anni è giro di boa che rappresenta anche vita nuova e nuove scommesse, non soltanto somme e consuntivi. Bilanci fa rima con slanci, e al musicista è tornata la voglia di guardare avanti, “ancora bello dritto in piedi”. Accompagnato dal RicattiEnsemble, che da decenni traduce in suoni le sue intuizioni, Ricatti sforna dodici episodi di canzone d’autore artigianale, di ricercata semplicità. Sono canzoni riscaldate da una vena di pietas sorridente, rivolta a un gran bel viavai di umanità, “chi coltiva un gran deserto/ chi si occulta a viso aperto”, il single illanguidito dalla Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 solitudine (“la sera svuota, rimani tu”), il fuggiasco (“cancella ogni traccia e gli occhi di un padre”). Al di là dell’ottima qualità cameristica degli arrangiamenti e delle soluzioni melodiche, sorprendono le liriche, la capacità di Ricatti di costruire con pochi tratti situazioni pregne e vivide. In “Ulissi di mari in eclissi” racconta la retta piena di incertezze di un cammino che non è mai univoco (“la cultura la si acquista metro a metro”); in “Chi”, senza voler atteggiarsi a moralista, ricorda a ciascuno di noi le false libertà che ci impoveriscono, “dove tu non conti niente, dove tutto ti è concesso” (www.storiedinote.com). Gianluca Veltri Tributo italiano a Joe Strummer Tributo italiano a Joe Strummer Radioclash È una questione di cuore, questa. Si, perché quando ormai tre anni fa Joe Strummer se ne è andato una fredda mattina di dicembre, ha lasciato un vuoto che difficilmente potrà essere colmato in futuro. Ecco quindi che da un paio d'anni i ragazzi di Radioclash organizzano “10.000 giorni di rock‘n’roll”, il tributo italiano alla voce – e mente – dei Clash. La prima edizione, datata dicembre 2004, ha visto riuniti sul palco dell'Estragon di Bologna Gang e Yo Yo Mundi, Tupamaros e Klasse Kriminale, Klaxon e Linea in un ideale abbraccio: nessuna star, nessun ordine d'importanza, ognuno ha semplicemente interpretato qualcosa di Joe alla propria maniera, per ricordarlo e ricordare soprattutto le sue idee. Va da sé che la serata è stata indimenticabile, talmente bella che pareva assurdo non immortalarla in un disco, ovviamente autoprodotto e disponibile sui siti Internet www.radioclash.it e www.punkadeka.it. Dentro ci troviamo di tutto, da una commovente “Garageland” acustica a opera Gang fino a “White Man In Hammersmith Palais” firmata Radio Brixton, ma anche “Police And Thieves” e “Stay Free”, rispettivamente appannaggio di Linea e Klasse Kriminale. Il risultato non è sempre omogeneo, ma in operazioni del genere l'importante è lo spirito, e ci fa piacere che venga fuori così potente da questa musica. Ah, dimenticavo: i proventi andranno a Strummerville, l'associazione benefica creata dei suoi amici per ricordarlo nella maniera migliore. Criminale sarebbe lasciarsi sfuggire il frutto di tanta passione (www.radioclash.it). Giorgio Sala Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Ganaian The Thomas Sankara CD il manifesto Ci sono opere necessarie, e “The Thomas Sankara CD” è una di queste, e non lo diciamo per l’affanno di stare sempre dalla parte giusta. È necessario come un dovere morale e civile, prima ancora che artistico. Perché questo è l’album di un’esistenza scritta da un grande uomo con le parole pronunciate durante la sua vita breve e importante e spazzata via, fissata in un ipnotico incastro sonoro di parole e musica. L’uomo è Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, il presidente più povero e incorruttibile del mondo, assassinato a 38 anni da un commando militare a Ougadougou nel 1987. Il disco di Alfonso Anagni alias Ganaian scaturisce dalla lettura del libro di Marinella Correggia “Thomas Sankara, il presidente ribelle”. I discorsi coraggiosi e innovatori di Sankara sono stati incastrati nei suoni di Ganaian. Ne è nato un lavoro vibrante, fosco, di elettronica lenta, a metà strada tra ambient ed etnica, privo di retorica, in cui la cronaca si fa drammatica storia. Un atto politico di denuncia oggettiva contro il neocolonialismo, senza sbavature terzomondiste: quando si sente la voce del presidente ammazzato dire ”ogni volta che un africano compra un’arma lo fa per usarla contro un altro africano” e, presumibilmente respingendo al mittente laute offerte, “non si può essere dirigenti ricchi di un paese povero”, un brivido corre lungo la schiena. Special guest Eugenio Finardi in “Set da people free”. Un disco emozionante (http://musica.ilmanifesto.it). Gianluca Veltri John Mario Viaggiare! Ustioni Edizioni Non è un debuttante, John Mario, ma solo recentemente è entrato nei reticolati del business nazionale, scoprendo i semplici meccanismi che permettono di diffondere la propria musica. La sua apparizione al festival “Verona Aid Concert”, ne ha certamente aumentato la visibilità, non solo locale. Ma prima un po’ di storia: John Mario nasce ventisei anni fa a Chievo, la frazione di Verona che da qualche anno ha restituito il sorriso all’Italia pallonara con il suo misto di purezza, bel gioco e semplicità. Il Nostro studia chitarra e canto, contribuisce ai gruppi Home e Vinciperdi, raccogliendo anche alcune soddisfazioni. Nel 2001 debutta in proprio con il CD “Les Moods”, dove finalmente può dare sfogo a tutto il suo amore per la canzone d’autore americana, in bilico tra Dylan, Springsteen e John Cougar Mellancamp. Dopo una serie di concerti arriva la folgorazione: il passaggio al Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 cantato in italiano, una via immediata per raccontare le piccole grandi storie che sgorgano dalle sue canzoni. Storie che quasi sempre hanno un’anima malinconica (“Temporale” e “X maggio”), tra nostalgie di un’infanzia lontana e felice (“Ciliegie”) e le ombre del futuro, tra strada (“Notte”) e sentimenti (“Momenti di un’estate III”) tutti da decifrare. In possesso di una buona vocalità, John Mario addobba il proprio repertorio con arrangiamenti semplici e indovinati, con intarsi di soffuse tastiere, senza mai appesantire la struttura, per un risultato finale gradevole e incoraggiante, a cui manca solo un pizzico di personalità. Restiamo sintonizzati (www.johnmario.it) Gianni Della Cioppa Macromeo Macromeo Aiuola L’omonimo EP di esordio del bolognese Macromeo (al secolo Michele Stefani) rappresenta la sintesi riuscita di due visioni distinte – ma evidentemente complementari – di intendere la materia pop: quella di altrettante realtà discografiche. Da un lato, l’Aiuola, l’etichetta “piccola ma curata” che lo ha pubblicato, e che si muove lungo la linea che divide la tradizione italiana con le istanze tipiche della scena indie. Dall’altro, la Riotmaker, con tutto il suo bagaglio di hip hop, tecnologia più o meno povera e riferimenti sonori e tematici – alti o bassi, poco importa – agli anni ’80. Un approccio, quest’ultimo, ben rappresentato dagli Amari, che non a caso hanno partecipato a vario titolo alla realizzazione del dischetto in questione. Il quale, venendo finalmente al dunque, contiene cinque canzoni nel senso più classico del termine, registrate in un contesto prettamente casalingo e all’insegna di un techno-pop immediato e, insieme, estremamente curato, in cui i tappeti di gommosi sintetizzatori e i battiti sintetici ben si sposano con melodie appiccicose (in senso buono, s’intende) e liriche intrise di stupita dolcezza, sensibilità e ironia. Difficile giudicare lo spessore di un artista da un quarto d’ora di musica, ma anche così l’impressione è quella di un autore dotato e in grado di mescolare con buona perizia gli ingredienti a sua disposizione, dando vita a quadretti sonori piacevolissimi e variegati, dall’intimismo di “Tutto inutile” alla divertita “Tutto è così semplice” fino alla notevole “Gommarosa” (www.aiuola.it). Aurelio Pasini Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Groove Squared Groove Squared Evolution Music Europe Groove Squared è una sigla che raduna gli sforzi congiunti di Dj Paco, alias Paco Terio, dj barese con due album alle spalle, attivo da più di un decennio nei circuiti dell’acid jazz italiano e della house, e del tastierista Paolo Achenza, fondatore del quotato Paolo Achenza Trio. Abbiamo detto acid jazz, ed effettivamente il principale mondo sonoro di riferimento è quello, ma il merito del progetto è quello di riuscire a far risuonare una tradizione consolidata e ormai conservatrice attraverso un senso del groove che attinge principalmente alla house e alla techno ma che si colora di tanto in tanto di quegli umori che caratterizzano la scuola mitteleuropea del downtempo. A dare manforte al duo, altri personaggi di primo piano della scena pugliese,come il fiatista jazz Gaetano Partipilo e la cantante Stefania Di Pierro, già al lavoro con Nicola Conte. Il Fender Rhodes di Achenza sottolinea i momenti più efficaci e diretti, come “Porn-O-Funk” e “Iena”, gli interventi di Partipilo e della Di Pierro, in brani come la sinuosa e appena un po’ patinata “Music For A Film” o “Thanks Duke”, offrono al disco la necessaria varietà di registri per farne qualcosa di più di una semplice compilation di groove-oriented music. Se amate l’acid jazz, la scuola viennese e chiunque si ponga l’obbiettivo di insinuare calore umano nelle macchine senza limitarsi a gestire tappezzerie musicali da aperitivo, questo potrebbe essere il disco che fa al caso vostro (www.pacodj.com). Alessandro Besselva Averame Ex-P Ancora Saigon Fratto 9 Under The Sky/Goodfellas “Ancora Saigon”, ancora Fratto9 Under The Sky, ancora post-rock. Oppure, post-apocalisse, oppure semplicemente altro. In vita dal 2004, il trio che va sotto il nome di Ex-P porta avanti una formula sonora ai limiti del tribale, del dilaniato e, a tratti, del programmaticamente sgradevole. Per sparpagliamento apparente e disordine regolato si fanno paragonare a dei Larsen Lombriki scarnificati, ai lavori del Mike Patton più sperimentale o a dei Bachi da Pietra senza cantato. Due bassi in prima linea, assenza quasi totale di chitarre, percussioni che preparano a un rituale indefinito che si conclude col sacrificio della melodia: le parole chiave sembrano essere improvvisazione, jazz-noise, caos in punta di piedi. E di questo, le due parti della title-track parlano chiaramente, spingendo l’ascoltatore – specie se avvezzo agli stilemi del caso – a confrontarsi con l’affermazione perentoria, ma quasi non decrittabile, che passa per il clarino Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 inquieto della interessante “Ho scritto t’amo sulla spiaggia”. Appena più tardi, il banjo di “Punto interrogativo” serpeggia fuori contesto sul dialogo accorato di basso e batteria, per poi ricomparire mascherato in “Zaratustra Reprise”, per undici minuti finali che suggellano una tracklist solo formalmente divisa in otto parti (realmente “Ancora Saigon” assomiglia a un’unica suite). Gli Ex-P si tirano fuori dal cerchio del post-rock con un piede solo ma con un gesto deciso. E appaiono, con ben poco margine di dubbio, un progetto di qualità ( www.fratto9.com). Marina Pierri MoRkObOt MoRkObOt Lizard-Airbag/Audioglobe Una biografia che pare un racconto di fantascienza. Guidati da Lin, Lan e Len, i MoRkObOt dicono di provenire da una delle più antiche galassie del cosmo e sono qui per sottomettere anche la Terra al suono delle loro note sadiche a base di deliri psichedelici. Credeteci o no, questo esordio suona proprio come i tre presunti extraterrestri raccontano: un rock liquido e magmatico, dove il suono si fa confuso e caotico e procede tra note fangose, accordi colloidali e improvvisi raggi di luce, se non melodici, perlomeno umani. Immaginate un incrocio tra i primi e più allucinati Black Sabbath, dove il blues si fa primordiale, gli Hawkwind con il loro incedere lisergico e un fragoroso tocco di moderno noise, con Tool, Shellac, God e i recenti Black Mountain nel cuore – ovviamente nero. Il compito di amalgamare questa lava fusa di influenze tocca al noto Fabio Magistrali, che sembra aver stabilito un dialogo costruttivo tra due linguaggi – terrestre ed extra – apparentemente incomprensibili. Se a un primo ascolto il CD suona assai violento anche per chi ha dimestichezza con queste timbriche, già dal secondo si aprono squarci di linearità, per poi approdare ad un senso costruttivo emozionale, quasi a testimonianza che il rock, in tutte le sue forme, rimane comunque una musica fatta di sensazioni, più che di logica. Intelligentemente, i MoRkObOt evitano di dilungarsi e sintetizzano le loro dieci tracce – non chiamiamole canzoni – in poco meno di quarantacinque minuti, mossa vincente che conferisce all’album una vitalità altrimenti a rischio ( www.morkobot.com). Gianni Della Cioppa Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Zetazero Ripartire da zero Blend’r/Self Pop scanzonato e leggero, canzoncine da tre minuti o poco più con lo scopo (dichiarato) di attaccarsi addosso come il chewing-gum sotto le scarpe, ritornelli a presa rapida che puntano a stupire attraverso giochi di parole, (mal)celate pretese intellettuali e buffi nonsense ad effetto. Che l’album d’esordio degli Zetazero sia un prodotto studiato per piacere a un pubblico più ampio dei quattro gatti che bazzicano di solito il sottobosco dell’indie italiano è innegabile fin dalla scelta del primo singolo: “Amore al buio” è una filastrocca ballabile, ruffiana e divertente, che in un colpo solo si fa beffe di Subsonica e Bluvertigo trasformandoli in un allegro fenomeno da baraccone. I più snob certamente storceranno il naso all’ascolto dell’elettro-pop senza pretese del duo siciliano, di fronte ai suoni puliti e senza troppi spigoli delle trame chitarristiche e alla voce chiara e spesso carica d’effetti; ma canzoni come “C’est la vie” e “Confondimi” sembrano uscite dalla penna del Max Gazzè più ispirato. A ben vedere, quindi, non è né nelle (legittime) velleità commerciali né nei riferimenti al synth-pop (XTC e Todd Rundgren, mica Duran Duran e Spandau Ballet!) che risiede il limite di “Ripartire da zero”, bensì in una ricerca melodica che non sempre riesce a piazzare il guizzo vincente ma che, grazie alla produzione attenta di Mario Conte, non scade mai nella noia. Insomma, se tutto ciò che si chiede alla musica sono una cinquantina di minuti di svago, il disco svolge egregiamente il suo mestiere e val bene un ascolto (www.blend-pme.com). Enzo Zappia Hello Daylight Gemma Acid Soxx Potremmo cominciare questa recensione dalla fine, occupandoci di "Cuore di cane", il video di Diego Lazzarin allegato a "Gemma". In parte perché il suddetto video - obiettivamente piuttosto inquietante - merita più di un'occhiata distratta, data l'originalità e la pregevole fattura; in parte perché lo stesso ci pare ben rappresentare la musica degli Hello Daylight. Una musica intensa, colorata, talvolta piacevolmente caotica, che parte dal concetto di psichedelia e indaga le numerose variabili stilistiche proprie del genere, spingendo talvolta sul pedale dell'elettronica, espandendo in qualche caso le trame acustiche e le voci, giocherellando spesso con tastiere e campionamenti. Dal calderone ribollente del gruppo spunta fuori il nome di Björk quando si parla di linee melodiche sintetiche, dei Blues Explosion nel momento in cui si affronta il tema Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 "ossessioni post-industriali", della new-wave e di certo pop mainstream anni Ottanta in occasione delle virate armoniche più impostate. Il tutto abilmente mixato in una formula dal forte impatto emotivo. L'esperienza d'ascolto passa dai toni decisamente "high" di "Soft Medea" alle reiterazioni ritmiche di "Big Mistake" e "Mr. Nowhere Song", dalle pacatezze eteree e scratchate di "Winters Tale" ai suoni minacciosi di "National Gallery", dai vaghi sapori rétro di "Urethra" alle contorsioni stilistiche della ghost-track conclusiva, dando vita ad un otto volante stilistico dal cuore caldo e dall'inaspettata immediatezza (www.hellodaylight.com). Fabrizio Zampighi The Vendetta Terror Nation Brutus Partiamo subito dalle dolenti note: purtroppo “Terror Nation” consta solo di sei brani per diciotto striminziti minuti di musica; gli unici a guadagnarci sono i nostri padiglioni auricolari, già messi a dura prova in così poco tempo. L'esordio discografico dei Vendetta è però talmente bello ed ispirato che gli si perdonerebbe quasi tutto. Ma andiamo con ordine: nato come Bloodline nel 2002, il gruppo cambia formazione e nome un paio d'anni fa, perdendo per strada anche la propria identità individuale, con tanto di sostituzione dei nomi dei componenti con anonime sigle e il passamontagna calato ai concerti. Musicalmente, siamo in un vasto territorio che comprende la furia hardcore e il sound dei Judas Priest, l'Oi! ed il punk white trash, un mix molto energico ma ben congegnato e che fa sì che brani come “I Hate You” e “Tonight” siano praticamente perfetti per un concerto in cui mettere a dura prova ossa e corde vocali. Considerata anche la natura di esordio di “Terror Nation”, il suo ascolto mette in luce capacità rare di questi tempi, e non è un caso che i Vendetta abbiano condiviso un tour in compagnia dei torinesi Woptime, altra forza della natura di cui andare orgogliosi, e che abbiano già in programma tour europei e non solo. Continua, dal basso, la riscossa del movimento punk italiano: siamo davvero in buone mani (www.brutusrecords.com). Giorgio Sala Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Stefano Panunzi Timelines ReS/Silenzio Accompagnato da uno stuolo di importanti e rinomate collaborazioni, il tastierista romano Stefano Panunzi si presenta con un disco di rara eleganza e finezza espressiva. L’ex Japan Mick Karn, col suo lirico fraseggio di basso, è l’ospite di rilievo, tuttavia solo un tassello di un mosaico ricco di policromie, intessuto di delicate essenze ed atmosfere post-new-vave, tanto care alla frangia più colta e creativa riferibile, tanto per citare dei nomi illustri, a David Sylvian e Tuxedomoon. Impressiona favorevolmente Panunzi perché musicista vero, con una pregevole concezione compositiva e dell’equilibrio sonoro, con un tastierismo mai protagonista, bensì mirabile fondale luminoso nell’evidenziare i tratti solistici del sax e clarinetto di Nicola Alesini (“Everything 4 Her”, “Forgotten Story”), della splendida tromba di Mike Applebaum (“No Answer From You”, “The Moon And The Red House”, “Tribal Innocence”, Something To Remember”, “I’m Looking For”). Tessiture lievi ed eclettiche, impreziosite anche dalla melodiosa presenza vocale di Sandra O’Neill (“Timelines”) e della giapponese Haco (“Web Of Memories”), nel contesto di un disco sempre coerente, intimistico, dalle soffuse inclinazioni jazz. Potremmo parlare altresì di una nobile attitudine pop dalla straordinaria raffinatezza e leggerezza che vorremmo talvolta ascoltare anche dai canali divulgativi più visibili, e che la trevigiana ReS ha avuto il merito di condividere e proporre, quale fiore all’occhiello della sua recente avventura discografica (www.res-net.org). Loris Furlan Flora Flora Lizard-Airbag/Audioglobe Tenaci e convinti, Paolo Nicastro e Fabrizio Lusitani, rispettivamente bassista/cantante e chitarrista dei Flora, hanno sempre creduto nelle loro possibilità, tanto da tenere alta la tensione anche nei momenti difficili, nel girovagare di musicisti che entrava ed usciva dal gruppo. Oggi, dopo ben sette anni di frenetica attività, i Flora sono un quintetto stabile che meritatamente arriva alla meta dell’esordio discografico ufficiale. Un traguardo raggiunto dopo il premio come miglior gruppo al concorso “Muzak”, la cui giuria era composta da personaggi come Manuel Agnelli e Cristina Donà. Oggi i Flora, si definiscono post-rock/jazz, dove il primo termine fluttua tra armonie arpeggiate e il secondo si fa largo, in un’ottica moderna, attraverso sonorità vorticose ma sempre dominate da una melodia di fondo che rende l’ascolto costantemente gradevole. Cosa non mi convince nei Flora Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 è l’utilizzo della voce, che appare fuori registro, anche per una timbrica incostante. Va però detto che il CD è quasi interamente strumentale, e che gli interventi vocali sono ridotti al minimo. Meglio allora perdersi nei fraseggi di tastiere e vibrafono che si alternano un po’ ovunque o nel sassofono sensuale che tratteggia una superba “15/8”, sorta di colonna sonora per un’alba nebbiosa che comunque, finalmente arriva. Non ci sono virtuosismi nei Flora, ogni nota sembra scritta perché necessaria, ed è questa la forza di “Bianco, Baltico e Florakiki” e dell’intero album, frutto maturo di un’esperienza ancora in divenire (www.lizardrecords.it). Gianni Della Cioppa Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 L’Enfance Rouge Teoria e pratica di una rivoluzione autarchica. L’Enfance Rouge di François Régis Cambuzat e Chiara Locardi, ensemble da un po’ di tempo allargato a trio con l’ingresso in pianta stabile di un batterista atipico e versatile come Jacopo Andreini, fa uscire con “Krško – Valencia” (Wallace/Audioglobe) quello che è probabilmente il suo disco più rock. Un rock che comunque mantiene addentellati avanguardistici e sperimentali, e che soprattutto non addomestica il proprio linguaggio ruvido, lacerante. Ecco alcune considerazioni di François e Chiara, poco accomodanti ma trasparenti come la musica alla quale sono associate. Ancora una volta avete scelto come titolo la partenza e l'arrivo di un itinerario geografico che poi, a ben vedere, è anche esistenziale. Rispetto alle precedenti tappe del vostro continuo viaggio nomade, che genere di tappa, una tappa che raccoglie più di due anni di esperienze, è quest'ultima? Krško è in Slovenia, Valencia nella Catalunya spagnola. Sono due città che abbiamo amato, anche se ormai tutto l’Occidente ci sembra uguale. Potevamo anche chiamarlo “Vilnius-Siviglia” o “Stockolm-Trapani”: ci si trovano lo stesso dentifricio e la stessa mentalità. Ed è questo che ci fa impazzire: dal nord al sud dell’Occidente pensano tutti solo ai propri interessi, a quello che si potrà finalmente comprare. Siamo tuttavia degli ottimisti, crediamo nella gente, ed ovviamente auspichiamo l’autodeterminazione dei popoli. La nostra fortuna è quella di viaggiare tanto, soprattutto fuori dall’Italia del “no future”. Così scopriamo tante sacche di resistenza, da Valencia a Krško, da Swinoujscie a Tunisi. E poi c'è la libertà: guadagnare poco, essere parco, ma poter vivere come si vuole, come si deve. “Libertà” è la parola. È un disco più compatto, più rock dei precedenti. Da quando è entrato in formazione un batterista solido e creativo come Jacopo Andreini è cambiato l'assetto musicale del gruppo, il vostro modo di interagire e di lavorare sul materiale? L’Enfance Rouge è un gruppo rock, con tutto l’impegno fisico che implica questa parola. E’ stato difficile trovare un compagno stabile. In passato tutti i batteristi provati, dopo un solo mese di tour, rimpiangevano il baretto sotto casa o la precarietà della vita, se non il proprio letto o la pasta della mamma. Dei veri “pain in the ass”, come si dice in inglese. Jacopo è curioso, creativo, amabile, positivo, dolce, colto, preparato, aperto, anarchico ed è anche un batterista. La musica si fa, allora, da sé. Sul vostro sito parlate di questo lavoro tirando in ballo l'eventualità che possa essere il vostro ultimo "disco politico". Che intendete dire? Mi pare che la vostra musica abbia sempre trattato la politica dal punto di vista di una pratica quotidiana, senza proclami, parlando spesso dei luoghi non apertamente politici in cui si muove. Inoltre, da un certo punto di vista, è possibile, come fate voi, tentare di rovesciare certi schemi anche attraverso il Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 potere eversivo del linguaggio e del suono. O non è più così? Siamo in guerra. Tutto il resto è provocazione. Avete inciso per molte etichette, ora siete approdati alla Wallace. Come mai avete scelto di affidarvi a loro? La dedizione di Mirko Spino è unica. Il suo catalogo è il più vasto e interessante che si possa trovare in Italia, e rispecchia la sua mentalità. La carta è bianca ed i meccanismi non sono commerciali. Siamo tutti liberi. La vostra musica attinge ad un background musicale vastissimo, è sufficiente leggere l'elenco di fonti di ispirazione, che appare sul vostro sito, per rendersene conto. Tra le righe, nell'andatura rock'n'roll di “Palais Bourbon”, e in alcuni passaggi del testo di “Pantocrator”, mi pare di aver colto dei riferimenti a Serge Gainsbourg. Una icona pop francese ma, a modo suo, un sovversivo e un anarchico... Gainsbourg scriveva stupendamente, ma preferiamo Abdurahman Waberi. Un commento sull’Italia odierna? Un paese dove l’arte non conta. Figuriamoci la musica. Fare il musicista non è mai stato considerato un mestiere, da tua nonna come dal governo. La maggioranza dei locali o club non sono pensati per la musica, hanno una acustica ed un equipaggiamento quasi sempre pessimi e al di sotto dello standard europeo, ma anche di quello bosniaco. Ad esempio ci sono forse cinque club italiani all’altezza dell’Abraševic di Mostar, in un paese 50 volte più povero del nostro. In Italia, tra una pizza e un concerto, si sceglie ovviamente la mozzarella. Sembra che qui gli assessorini provinciali o regionali pensino di più ai loro cinquemila euro di stipendio mensile che ad una vera politica culturale. L’aggregazione e lo sviluppo sociale è tutt’altro che una priorità in questo paese di soli bianchi. Qualche idea sui prossimi vostri spostamenti (musicali, geografici…), oppure la tabella di marcia è, come immagino sia, su base rigorosamente quotidiana? No, la tabella non è su base rigorosamente quotidiana, tutto il contrario. Siamo indipendenti ed anarchici, due cose che presuppongono una organizzazione ferrea e a lungo termine. Siamo costretti a definire ed pianificare le tournée con almeno sei mesi di anticipo. Ora siamo finendo il booking per la nostra tournée promozionale in Europa: più di novanta date in buone condizioni (logistica e cachet) dalla Spagna alla Svezia, fino al prossimo maggio. Per aprire i nostro concerti abbiamo invitato Justin Broadrick (Napalm Death, Godflesh, Jesu, Final). Abbiamo appena firmato con una delle più grosse agenzie francese, la Soyouz. Suoniamo da cinque anni nei locali europei più importanti e nei più grossi festival europei, come quello di Dour in Belgio, che arriva a fare 350.000 spettatori, e la fortuna non c’entra niente. L’Italia franata è solo una piccola base e di per sé non può essere e non sarà mai un mercato unico. La resistenza non si può improvvisare. Alessandro Besselva Averame Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Contatti : www.enfancerouge.org Rosaluna Incontro con Marco Ambrosi, chitarrista dei Rosaluna, all’indomani dell’uscita di “Musicomio” (Wild Flower/Venus), quarto episodio nella parabola del gruppo calabro-bolognese. Una chiacchierata che svela nuovi propositi e non maschera le amarezze, come vedrete. In cosa consiste la poetica del “musicomio”? La parola è presa in prestito da un romanzo di Massimo Carlotto, in cui l’autore racconta di un negozio di dischi con questo nome. Non avendo mai trovato un modo per definire la nostra musica abbiamo cominciato a dire che il nostro genere musicale era un musicomio… Abbiamo iniziato facendo post-rock, continuato con il folk, siamo passati per la canzone d’autore e il pop e siamo finiti nel progressive, senza mai aver deciso nulla prima. Suonate la “musica d’autore che deve ancora venire”? Pensiamo che la nostra musica racchiuda tanto già detto in passato, ma che non esista nessun artista uguale a noi. Abbiamo sempre pensato fosse un pregio ma credo che, in questo panorama artistico, sia solo un difetto. Ho trovato molto interessante “Placido”. È spiazzante, deviata. È punk’n’roll con la fisarmonica, è cattivella, ritmicamente ha una modulazione sul ritornello. Sono contento che citi questo brano. Insieme a “Zena” e “Rumori di nebbia” è, secondo me, quanto di più vicino al musicomio. È un pezzo punk senza neanche una chitarra elettrica e poi c’è quella fisarmonica! È stato il nostro modo di descrivere con i suoni gli eventi bellici degli ultimi quattro anni. Parliamo delle collaborazioni presenti in “Musicomio” che contribuiscono a dare al disco la sua fisionomia. Com’è nato il lavoro insieme a Mustafa Cengic dei No Smoking? Muce è prima di tutto un amico e poi un collaboratore… lo conosciamo da anni e ci ha insegnato tanto. È un peccato che un tale artista non abbia anche qui da noi la popolarità che ha nella ex-Jugoslavia. E con Gatto Ciliegia? Siamo andati a trovarli a Torino e tra un bicchiere di vino e chiacchiere hanno accettato di farci questo regalo. Per me sono uno tra i migliori gruppi italiani e sono fiero di averli avuti nel nostro musicomio. Due brani sono stati remixati da Lorenzo “Loz” Ori e Y:DK dei Technogod. Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Cosa gli avete chiesto? Lorenzo ha mixato insieme a me e Muce alcuni brani del disco e in studio gli abbiamo chiesto di metterci un po’ delle sue “diavolerie”. Dopo questa esperienza è nata un’amicizia sia con lui che con George, il suo socio artistico… Adesso stiamo per terminare insieme un nuovo progetto etno-elettronico che si chiama “RàmSazìzz’”. Quali sono i musicisti che vi piacciono? I gruppi storici degli anni ’70, i grandi del jazz. Ascoltiamo dalla musica popolare calabrese ai gruppi di tradizione africana. Amiamo tutti a dismisura De Andrè e andiamo a vedere i Motorpsycho ogni volta che suonano in Italia. Siete arrivati al vostro quarto album. Siete diventati grandi, la vostra vita è ormai matura. Non è più un gioco, se mai lo è stato… La risposta è complicata. Nel panorama indipendente italiano la musica è un lavoro senza salario e, dunque, agli occhi di tutti è un gioco. Noi siamo diventati grandi di età, ma non come artisti, perché anche se la media di età del nostro gruppo è 25 anni, si è maturi solo quando si diventa famosi, e noi non lo diventeremo mai. La parabola dei Rosaluna dopo questo album non è sicuro possa continuare, non perché ci siamo stancati. Solo perché abbiamo finito i soldi. I musicisti, fino a un certo livello, non li paga nessuno e le etichette indipendenti non guadagnano niente. Siete calabresi, di stanza a Bologna. Che succede a Bologna? Che idea hai della polemica in cui è coinvolto Cofferati? Bologna è cambiata tantissimo e a quanto ci dicono i nostri amici è cambiata ancora di più se pensiamo agli anni ’70 o ’80, in cui era un mito per migliaia di giovani. Bologna, malgrado quello che si possa dire, è una delle città più “chiuse” d’Italia. È una città borghese e quanto è successo con Cofferati era inevitabile perché chi lo ha votato vuole sicurezza per la sua bella vita. Quando si è candidato Cofferati siamo stati contenti, più volte il suo entourage ci ha invitato a suonare, rigorosamente gratis, per sostenerlo, ma una volta eletto non abbiamo visto nessun cambiamento né per noi e né per la “musica” a Bologna. Comunque non è la nostra città. Noi, in quanto calabresi, abbiamo problemi molto più gravi da risolvere… In Calabria è sempre vivo, in chi è rimasto lì, un senso di rimpianto e rimprovero verso chi se n’è andato. Il senso è in breve: perché non si rimane tutti a cambiarla, la Calabria, anziché fuggire via? È vero! Noi torneremo in Calabria e, se ce lo faranno fare, creeremo uno spazio per fare musica e per dare ai ragazzi le possibilità che noi abbiamo avuto stando fuori dalla nostra terra. La vita non ha senso se stai fuori dal tuo vero mondo, è giusto partire per vedere e conoscere come funziona fuori, ma bisogna tornare e provare a cambiare le cose per sentirsi veramente realizzati. Questa è la vera sfida, riuscire a fare quello che sappiamo fare in Calabria, perché a noi non è mai interessato suonare per diventare famosi o guadagnare montagne di soldi, ma solo vivere per suonare. Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Gianluca Veltri Contatti: www.rosaluna.it PAY Rocambolesco in certi casi è un eufemismo. Altre volte no: per esempio, è senza dubbio rocambolesco riuscire a strappare quattro chiacchiere con i PAY, nella persona di Ariel, il primo giorno dell'anno. Abbiamo così approfittato della loro gentilezza per parlare di “Federico Tre” (Punkrocker’s/Venus), la prima – e unica – punk-rock opera italiana: una folle avventura, di quelle che solo loro avrebbero potuto intraprendere, e che solo loro avrebbero potuto scrivere e suonare così bene. Ecco quanto è venuto fuori. Partiamo dalle cose più ovvie ma necessarie: perché un concept-album? L'idea di raccontare una storia in musica ci girava in testa da parecchio tempo: è uno di quei progetti un po' folli e un po' da sbruffoni che a noi piace intraprendere. È stata un'impresa molto interessante da affrontare; a metà lavorazione ci siamo anche un po' “spaventati” perché abbiamo temuto che fosse un'idea al di sopra delle nostre possibilità, ma con un paio di aggiustamenti siamo riusciti a portarla a termine. Ti dirò di più: il risultato finale ci ha convinti a tal punto che, per il futuro, non ci dispiacerebbe portare avanti il concetto di proporre una storia in ogni disco. Com'è nata la storia del dittatore Federico Tre? E com'è stato per te scrivere una “sceneggiatura” da svilupparsi brano dopo brano? Prima di mettermi all'opera ero convinto che sarebbe stato un compito lungo e difficile, ma una volta che ho avuto la storia in testa si è rivelato più facile del previsto. Non sono dovuto intervenire troppo sull'idea di fondo, e questo mi ha semplificato il lavoro, tant'è vero che, a parte qualche dettaglio, come ti dicevo sono molto soddisfatto del risultato finale. Sulla nascita della storia non c'è molto da dire: è nata e me la sono trovata in testa. La cosa interessante è che io ho pensato a Federico come a un nazifascista, ma mi sono accorto che ognuno ne ha una propria chiave di lettura: c'è chi lo vede nel medioevo e chi lo vede fortemente agganciato alla nostra attuale situazione. È bello scoprire che quello che hai scritto ha una vita propria e si può adattare a molteplici interpretazioni. Ho trovato questo disco molto “teatrale”, se mi passi il termine: credi sia dovuto più alla scrittura o agli ospiti presenti? Il risultato finale credo sia stato molto influenzato dalla presenza di Freak Antoni e di Alberto Camerini. L'idea di chiamare proprio loro per questo disco era legata agli anni '70, quasi ad avere un collegamento con l'epoca d'oro dei concept-album, e abbiamo discusso molto sulla reale possibilità di inserirli, per poi farci convincere definitivamente da Olly. Devo dire che si è rivelata la scelta giusta: sono due Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 personaggi geniali che, per il loro essere e la loro storia, si sposano alla perfezione con quello che sono e che vorremmo fossero i PAY. Non so quanto questo abbia influito o meno sulla teatralità del soggetto, ma è certo che ha dato un valore aggiunto al nostro lavoro. Hai accennato ad Olly prima: qual è stato il suo ruolo? Per la prima volta nella storia dei PAY, io e Mr. Pinguino abbiamo permesso ad una persona esterna di intervenire direttamente nella fase di registrazione, con possibilità di modificare quanto da noi pensato: Olly si è assunto questo compito e si è comportato alla grande. È stato utile avere costantemente un parere che non fosse il nostro: ci ha fatto vedere le cose da diverse angolazioni, e inoltre ci ha tolto dall'impasse in qualche occasione. È un ragazzo eccezionale che dà l'anima in tutto quello che fa, e si è rivelato molto importante per noi. Qual è stata la vostra reazione quando avete visto che “American Idiot” dei Green Day, oltre che essere un'opera rock, era un successo mondiale? Si può vedere questa situazione in due modi: pensare alla sfortuna di qualcuno che ti “ruba” un'idea di pochi mesi oppure ragionare che, a Varese come in America, forse questo era il momento giusto per mettere in piedi una cosa del genere. L'intuizione che abbiamo avuto, con modi radicalmente diversi, è stata che non serve essere gli Who o i Pink Floyd per raccontare una storia lunga tutto un disco. E che il momento fosse positivo per questo genere di cose lo dimostra il fatto che, negli ultimi mesi, questa carta sia stata giocata da P.F.M. ed Edoardo Bennato, solo per rimanere dalle nostre parti. Il mercato è in crisi perenne, ma quello che vedo è una generale mancanza di idee: non credi che siano operazioni come queste a ridare speranza al futuro della musica? Non sono tanto d'accordo, anche perché le leggi di mercato dimostrano che la domanda cresce quando l'offerta è semplificata e facilitata. Ciò che so, però, è che i PAY, e io personalmente, hanno la coscienza a posto: abbiamo fatto qualcosa che va in una direzione diametralmente opposta, zeppo di idee e denso di significati, qualcosa di oggettivamente fighissimo (risate generali, NdI) e di cui siamo orgogliosi. La reazione della gente al momento ci soddisfa in pieno, per cui non so che altro potrei volere di più da quello che faccio. Giorgio Sala Contatti: www.ammore.net Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 (P)neumatica Per il loro secondo album, “Ultimi attimi” i cagliaritani (P)neumatica si presentano più incisivi, più colorati, con un altro produttore, con un nuovo chitarrista; solo l’etichetta è rimasta la stessa. Il disco esce infatti nuovamente per la label sarda Desvelos (con distribuzione Audioglobe). Per saperne di più, ecco il resoconto di una chiacchierata con il cantante e chitarrista Maurizio Rocca. Vogliamo ricordare ricordiamo come è nata la band? Ci siamo incontrati in birreria col bassista e abbiamo deciso di provare a formare il gruppo. Qualche anno fa, abbiamo partecipato al concorso regionale “Sottosuoni” vincendolo. Poi, nel 2003 François Cambuzat è stato il produttore del nostro primo disco edito da Desvelos, mentre “Ultimi attimi” è stato prodotto da Giorgio Canali. Tra una cosa e l’altra, esistiamo ormai da dieci anni anche se l’unico componente presente dall’inizio sono io. Si sono susseguiti degli avvicendamenti e alla fine quest’ultima è una formazione che esiste da già da sei anni circa, a parte l’innesto dell’ultimo chitarrista. Ecco, come mai avete cambiato chitarrista? Perché, purtroppo, Riccardo Chessa ha dovuto lasciare per problemi familiari. Gli è subentrato un nome storico della scena hardcore cagliaritana, Davide Ragazzo, che quindi viene da un giro musicale molto diverso da quello che noi facciamo. Sorprendentemente però si è adattato benissimo, lasciando sentire la sua impronta in “Ultimi attimi”. Confrontando la grafica dei due cd, le copertine rivelano il vostro cambio d’immagine. Se sul primo disco omonimo c’era una finestra con le inferriate sul nero, in “Ultimi attimi” c’è il disegno colorato di un bambino sul bianco. Quanto siete cambiati? Hai centrato il punto. Sono due dischi completamente diversi sia come produzione che come concezione e, ovviamente, come grafica. Il primo è molto più introspettivo e anche la produzione risulta più cupa, quindi quel tipo di copertina andava bene per quel tipo di suono. Poi, tutti i gruppi, ci siamo evoluti. Nel primo disco parlavamo d’amore nel suo modo più brutto di manifestarsi, dalle delusioni alle ansie. In questo secondo album invece, la tematica principale è il tempo. Le sonorità sono più solari ed energiche, grazie anche al supporto di Giorgio Canali, e l’argomento principale è il rendersi conto del tempo che passa. Per la copertina, abbiamo chiamato un’illustratrice cagliaritana secondo me molto brava, Giorgia Atzeni, che ha disegnato un bambino quasi satanico con un chiodo piantato nella testa. Tra l’altro, l’ha realizzata interamente con la mano sinistra pur non essendo mancina. Quali sono state le differenze di produzione artistica? Cambuzat e Canali sono due produttori completamente diversi, soprattutto tecnicamente. Tieni conto che il primo disco del 2003 è stato registrato in una casa di campagna, i suoni sono ambientali perché François predilige le riprese di quel tipo. Quindi si sono sfruttati tutti gli ambienti delle stanze che c’erano a disposizione. Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Inoltre, è stato fatto completamente in analogico e a tracce. Di contro, “Ultimi attimi” è stato registrato in studio in presa diretta, per avere un suono più duro e aggressivo, e completamente in digitale. Era quello che cercavamo: avevamo l’esigenza di un taglio completamente diverso. Una volta finito di registrare, abbiamo rivisto ogni singola canzone e vi ho trovato come delle fotografie, gli ultimi scatti che abbiamo deciso di fermare del nostro periodo musicale. Come avviene la ricerca della melodia? Lavorate insieme finché non viene fuori la canzone? Siamo uno di quei gruppi che quasi vive in sala prove. Ognuno porta un’idea e si cerca di svilupparla tutti assieme. Può partire da un giro di batteria, da un giro di chitarra o da un ritornello, poi ognuno cerca di inserirsi mettendoci la sua parte migliore e si cerca di sviluppare il brano e di strutturarlo. Molto spesso i testi sono giù scritti precedentemente, quindi cerco di adattarli oppure di usare il testo più consono all’umore della musica che si sta suonando in sala. A che cosa ti ispiri visto che sei tu a occuparti delle liriche? Se ti dicessi che scrivo testi riguardanti gli altri sarei un bugiardo. Solitamente si tratta d’esperienze vissute in prima persona, e la musica tutta dovrebbe essere così. Mi reputo una persona normalissima con un determinato tipo di esperienze da trentenne che cerco di mettere su carta e poi in una canzone sperando vengano condivise da chi mi ascolta. Ma c’è una canzone italiana che avresti voluto scrivere tu? Ce ne sono molte. Forse, più di tutte, “Precipito” di Giorgio Canali. Come vivete la musica nella vostra regione? In Sardegna c’è molto fermento ma il nostro problema principale è quello di venire “in continente” – come dicono alcuni di noi – a suonare. Ci sono molti gruppi che secondo me meriterebbero più attenzione. Fare il disco non è difficile ma avere la possibilità di andare in tour è sempre un grosso problema per le band sarde. Con Desvelos quali sono i rapporti contrattuali? Desvelos è un’etichetta fatta dai gruppi per i gruppi! Conosco Giuseppe Pionca da quando avevamo cinque anni e giocavamo insieme nello stesso oratorio. Quindi direi che non ci sono rapporti contrattuali in senso stretto: siamo un gruppo di amici appassionati di musica rock. Chi paga però? Organizziamo collette e ci arrangiamo con pochissimi soldi. Nasce tutto dal volontariato. Ad esempio, abbiamo fatto il video di “Goodbye Charlie” con un amico che ha portato una telecamera, un altro amico che lavora nel cinema, e un teatro che ha collaborato. Volontariato a tutti gli effetti. Purtroppo a volte non paga nessuno perché non ci sono soldi e ognuno mette quello che può. Francesca Ognibene Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Contatti: www.p-neumatica.it Tuma Cantautore atipico con DNA tropicalista, un’anima pop, devote dediche a Fred Neil in repertorio e infiltrazioni elettroniche negli arrangiamenti, il salentino Giorgio Tuma ci perla del suo notevole album d’esordio pubblicato da L’Amico Immaginario (distribuzione Audioglobe), “Uncolored (Swing’n’Pop Around Rose)”, e dei suoi progetti futuri. Non credo che all’origine di tutto ci sia un semplice rigetto del contesto musicale in cui sei cresciuto, però mi chiedo che ruolo abbia avuto la presenza di una musica salentina in qualche modo “istituzionalizzata” (dalla taranta ai Sud Sound System) nel far emergere esperienze come la tua, quella di Populous e Studio Davoli. Nessun ruolo. Credo che la mia musica, e vale anche per Populous e Studio Davoli, nasca semplicemente dall’amore sconsiderato per i miei dischi di formazione. Magari l’oppressiva presenza di certe musiche avrà fatto sì che mi dedicassi ancor più al mio immaginario musicale. Il Salento è alla periferia dei circuiti musicali, abbiamo grandi difficoltà ad organizzare eventi e molte volte la risposta del pubblico è sconfortante. Questo induce a rintanarsi nel proprio mondo e a rimasticare nel miglior modo possibile la realtà circostante. La mia impressione è che il disco funzioni, al di là dei riferimenti quantomeno eclettici e ben amalgamati, grazie alla leggerezza con cui sei riuscito a trattare le canzoni. I brani sono stati rivestiti di strumenti ed elettronica, ma sempre in un'ottica di sottrazione. È vero. Anzi, oggi toglierei ancora più elementi. Ci tengo a precisare che non mi riconosco più di tanto in questo disco perché avrebbe dovuto uscire nel 2003. Le canzoni hanno quattro anni e tante cose mi sembrano ingenue. Comunque credo di essere riuscito, nonostante gli scarsi mezzi, ad esprimere, in un lessico pop a me vicino, il dispiacere e la gioia di un amore non corrisposto. “Uncolored” è un amore senza colore che, in quanto non corrisposto, provoca dispiacere. E la mia musica è un’altalena (“Swing’n’Pop”) di gioia e dolore. Ringrazio L’Amico Immaginario per aver dato una possibilità a questo disco, che rischiava di non venire mai pubblicato. Siccome hai ribattezzato il gruppo che ti accompagna Os Tumantes, immagino che i Tropicalisti siano stati un punto di riferimento decisivo. Tu però arrivi da ascolti ben diversi, che cosa ti ha spinto a rallentare il passo e togliere peso alla musica? È stata una cosa naturale, un bisogno di dare una mia versione, spuria, di tutta la musica ascoltata e assimilata fino a quel momento. È successo tutto per gioco: ero follemente innamorato di una ragazza, la Rose del titolo, e ho iniziato per gioco a Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 scrivere canzoni su di lei. Con l’aiuto dei miei amici (Studio Davoli e Os Tumantes) è diventato un disco. Se fosse uscito nel 2003, il mio tentativo di far colpo su di lei sarebbe andato in porto. Per quanto riguarda il mio riferimento al Tropicalismo, è vero, amo il Brasile e ho ribattezzato il mio gruppo così proprio perché come gli Os Mutantes cerco di mischiare samba, bossa, folk e soul. Ora sono molto più brasiliano di tre anni fa, e ho un gruppo meraviglioso. Il mio grande sogno è di fare uscire un disco nuovo con le canzoni di oggi. In un brano come “Shu Panda”, nonostante la scelta dell'inglese, si sente una eco del Morricone più lounge, e qua e là serpeggia una certa atmosfera da Studio Uno, ovvero quello che era l'easy listening italiano al suo meglio, un approccio artigianale al pop che si è un po' perso. In questo senso “Uncolored” è un disco dalle radici italiane... Assolutamente sì. Amo alla follia Piero Piccioni, Piero Umiliani, Armando Trovajoli. Ho cercato per anni dischi di colonne sonore italiane che, paradossalmente, trovavo in Germania e Giappone. Sono rimasto stupito e affascinato da quei suoni modernissimi e fuori dal tempo. Jazz, elettronica, pop e bossa venivano mischiati con un gusto unico e italiano. Bastano tre note per riconoscere Piccioni, e sono enormemente dispiaciuto del fatto che alla fine tutto quel fenomeno di riscoperta della library music e della cosiddetta incredible strange music – ho sempre odiato il termine lounge – si sia rivelata per molti una moda passeggera. Il mio intento era, all’epoca, di mischiare i suoni italiani con la mia forte passione per Nick Drake, Tim Buckley, Tim Hardin, Fred Neil e Jobim. Poi mi hanno influenzato molto compositori come Bernard Hermann ed Henry Mancini, ma anche sperimentatori e visionari come Les Baxter, Juan Esquivel, Raymond Scott, Brian Wilson, Van Dyke Parks e i Free Design. Il SudEst studio, dove è stato mixato il tuo disco, è anche una sorta di quartier generale per molti gruppi e musicisti, quasi una factory musicale. È così? Il SudEst è parte fondamentale della nostra musica. Conosco Stefano (Manca, NdI) dai tempi del liceo, quando entrambi suonavamo punk rock. Lo studio è arrivato quattro o cinque anni dopo. Lui aveva questo casolare dismesso che insieme ad altri ragazzi di Campi ha rimesso in sesto. È qualcosa di più di un semplice studio. Senza l’aiuto fondamentale di Stefano e di Populous il mio disco non sarebbe mai stato mixato, gliene sarò sempre grato. Concerti? Ho fatto una sola data questa estate con gli Os Tumantes, al Give Me Indie Festival. Non faccio quasi niente da “Uncolored”, solo canzoni nuove che mi piace definire “indie samba”. Ho constatato con dispiacere che suonare in Italia è quasi impossibile, ma con molta fatica sono tuttavia riuscito ad organizzare qualche data per la fine di febbraio, a Roma, Milano e Torino. Alessandro Besselva Averame Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Contatti: www.tumamusic.com Dilaila I Dilaila sono recentemente saliti sugli altari della critica con il secondo disco, "Musica Per Robot" (Ilrenonsidiverte/Audioglobe). Del loro sound ipnotico e del loro stile abrasivo ma poetico, a metà tra l'ultima Nada e i Radiohead di "The Bends", abbiamo già parlato qualche mese fa su queste stesse pagine virtuali. Le parole della band invece, ci introducono nel loro mondo e tutto quello che gli gira attorno: dalla nuova etichetta discografica ai nuovi progetti multimediali. Non particolarmente logorroiche ma sicuramente non banali, ecco le risposte alle nostre domande e curiosità. Le vostre nuove canzoni sembrano molto più ragionate rispetto agli esordi. I contorni sono più definiti. Cos'è cambiato nel gruppo nei tre anni che separano "Amore + psiche" da "Musica per robot"? Abbiamo imparato a conoscerci ancora meglio. Sentivamo da tempo l'esigenza di fare musica senza compromessi, che rispecchiasse solo ed esclusivamente il nostro gusto. Con "Amore + psiche" ci eravamo riusciti solo in parte. Questi tre anni sono serviti a trovare il coraggio per farlo fino in fondo ed è così che è nato "Musica per robot". Come siete entrati in contatto con Ilrenonsidiverte? E come si è sviluppata la collaborazione? Ilrenonsidiverte nasce dall'esigenza di pubblicare due dischi: il nostro e "Bailamme generale" dei Gea. Un progetto comunque spontaneo, fatto di persone e indipendente nel vero senso della parola. Possiamo tranquillamente affermare che “Il re “vive sulle affinità, non soltanto musicali, tra tutti quelli che ci lavorano, dal primo dei responsabili all'ultimo dei musicisti. Con questo secondo disco veicolate un certo messaggio. Molto scuro e introverso. Com'è stata la reazione del pubblico? Qualcuno potrebbe intimidirsi dal senso di claustrofobia che sembra attanagliare le canzoni. Le persone dall'animo claustrofobico sono più di quante si pensi, in realtà. Abbiamo voluto fare un disco che parlasse a loro e per loro, ben sapendo comunque che gli amanti di atmosfere più solari o grintose ci avrebbero detestato. Non vorremmo che questo fosse interpretato come una forma di snobismo: niente di tutto questo. Soltanto un modo di esprimerci per condividere un certo tipo di umore e riconoscersi tra simili. Come nascono le vostre canzoni? La componente personale sembra fortissima. Ciò che hai avvertito non riguarda uno di noi in particolare. Negli anni abbiamo Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 sviluppato una sorta di personalità di gruppo che affiora nelle canzoni. Detto questo, non abbiamo metodi particolari se non quello di parlare moltissimo, per ore ed ore, al fine di definire suoni e arrangiamenti. Le due tradizioni musicali cui vi rifate (da un lato, un rock-pop che volge all'Inghilterra dei Radiohead, dall'altro una canzone d'autore introspettiva e tendente al pessimismo, mi viene in mente l'ultima Nada) non sono state coniugate da molti gruppi italiani. Che rapporto avete con la cosiddetta “scena”? Vi ci trovate? Vi ci riconoscete? Normalmente siamo piuttosto critici nei confronti della realtà italiana e spesso diciamo un po' provocatoriamente che non esiste alcuna scena e ci chiamiamo fuori. L'impressione è che gli artisti interessanti siano casi isolati e che manchi in Italia una vera tradizione rock. In questo senso non ci sentiamo parte di alcun movimento. Immagino siate soddisfatti del vostro lavoro. Come è stata l'accoglienza del pubblico, degli addetti ai lavori e dei colleghi? L'accoglienza ci ha davvero emozionato: tolte pochissime persone, che non sono riuscite ad instaurare alcun rapporto con il disco ma che non biasimiamo, tanti hanno dichiarato di essere rimasti quasi sconvolti dall'ascolto, altri hanno scomodato il titolo di "disco dell'anno" e altri ancora addirittura dicono di essere stati in qualche modo "cambiati" da "Musica per robot". Pensavamo di aver fatto un disco intenso per noi - e sì, ne siamo molto soddisfatti - ma non ci aspettavamo certo di avere un impatto così grande sul lato più intimo delle persone. E' stata una bella soddisfazione. Non fate moltissime date. E comunque sempre circoscritti alla vostra zona. Come mai? Noi amiamo suonare dal vivo, ma ci piace farlo quando esistono determinate condizioni. Spesso in Italia ti viene proposto di tenere degli showcase, magari in forma acustica, e per una band dalle tinte psichedeliche come la nostra non è facile adattarsi a questi contesti. Rischiare di snaturare il tuo sound non è esattamente il massimo. Ma stiamo comunque studiando un modo per proporci, laddove serve, in formazione ridotta senza perdere il nostro carattere sonoro. Avete in cantiere qualcosa in particolare? So che avete pubblicato un EP scaricabile da Internet, ne state preparando un altro e state lavorando a un video. Esatto! Per quanto riguarda il video, siamo ancora in una fase embrionale e il progetto vedrà la luce, probabilmente, in primavera. In questo momento siamo invece molto concentrati sui brani che andranno sul nuovo EP. Hanno un compito arduo: avere ancora un sound alla "Musica per robot" e nel contempo iniziare a definire quale sarà la direzione sonora futura... Vedremo. Hamilton Santià Contatti: www.dilaila.it Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 Società del Caveau Un linguaggio multiforme, quello della Società del Caveau, capace di unire post-rock, jazz e progressive, ben esemplificato dal debutto “Anice” (autoprodotto/Audioglobe) Musica che sul palco si trasforma in un’esperienza fascinosa, forte di una cooperazione tra chi suona – Brian, Matteo, Gelo, Fabio, Michele – e chi si occupa di trasporre le note in immagini (Fanto). Cosa potete dire a proposito della ragione sociale del gruppo? MATTEO: La prima formazione aveva optato per il nome "caveau". Poi scoprii quasi casualmente le "società del caveau" originali, nate in Francia nel 1729. Una sorta di associazioni all’interno delle quali gruppi di persone si ritrovavano per fare musica e recitare poesie. FABIO: Oltretutto, il termine "società" ci sembra molto adatto alle dinamiche interne al gruppo, dal momento che non esiste un leader e tutto è frutto di un lavoro corale. Società del Caveau rappresenta uno spaccato di musica piuttosto sperimentale, che riesce a conciliare post-rock ed elementi riconducibili ad una certa tradizione cantautorale, pur non perdendo minimamente in credibilità. Quanto è frutto di un ragionamento preciso e quanto invece è da imputare all’istinto? BRIAN: L'istinto è sicuramente essenziale perché non comporta filtri, mentre alla ragione è riservato il compito di mediare tra il contributo dei singoli e il lavoro del gruppo. FABIO: In realtà non si tratta di un ragionamento preciso. Suoniamo quello che ci piacerebbe ascoltare e che più o meno consciamente proviene dai nostri differenti retroterra culturali. Per Gombrich (Ernst, storico dell'arte austriaco, NdI) si tratta solo di capire quando l'opera che si sta creando è "a posto", quando ha raggiunto quella sua specifica "simmetria". Un' esperienza che non è interamente esprimibile a parole. FANTO: L'istinto è la molla naturale che spinge ogni componente del gruppo ad esprimersi: la videocamera è il mezzo che io in particolare utilizzo per raccontare come il ragionamento "vede" questi nostri istinti lasciati liberi di agire. Una caratteristica del suono a marca Società del Caveau è una parte ritmica mutante, capace di adottare con facilità stili differenti anche all’interno dello stesso brano. Sembra quasi che in sede di scrittura tutto nasca dall’interazione tra batteria e basso… GELO: In parte è vero. Prima c'è la creazione dei riff e della struttura base, e solo successivamente l'arrangiamento. La prima fase parte nel 90% dei casi da session improvvisate tra me, Matteo e Fabio. Attraverso un successivo lavoro di finitura creiamo la prima versione del brano, che ancora è "nuda" ma comunque dalla struttura compiuta. Con Brian completiamo la quasi totalità dell'arrangiamento e Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 infine, con Michele, inseriamo quelle parti che andranno a dare colore dove necessario. BRIAN: Questa è la particolarità del gruppo che, a mio modo di vedere, mantiene l’attrattiva maggiore. Nonostante richieda a volte uno sforzo non indifferente da parte mia, riesco comunque a contribuire grazie a suoni di synth o parti di cantato. Volenti o nolenti rappresentate una città, Ravenna, che in passato si è distinta per una scena musicale a metà strada tra le facilonerie di un punk melodico senza troppe pretese - capace tuttavia di produrre buoni risultati come la felice esperienza dei Pitch - e un movimento hardcore in grado di guadagnare consensi anche all’estero. Come vi ponente nei confronti del territorio che vi ha dato i natali e come si è evoluto, a vostro modo di vedere, il rock ravennate? BRIAN: Mia madre è scozzese, quindi il mio sangue non è solo ravennate. Rientrare nella scena cittadina sarebbe stato seguire un'onda, cosa che credo abbiano fatto in molti. Per quanto mi riguarda non mi sono mai sentito rappresentato fino in fondo dai gruppi locali. FABIO: La nostra musica è molto distante dalle sonorità "solite" delle band ravennati, sonorità in cui evidentemente non ci riconosciamo. Ritengo che il problema maggiore del nostro territorio sia la mancanza di attenzione per forme musicali nuove o insolite. Lo dimostra il fatto che le soddisfazioni maggiori le abbiamo raccolte fuori da Ravenna – Bergamo, Ferrara, Crema, la Sicilia… Cosa dobbiamo aspettarci in futuro dalla Società del Caveau? Sofismi per un elite di estimatori della complessità applicata alla musica, semplificazioni formali che riconducano il suono del gruppo sui binari di un rock più immediato o magari l’adozione a oltranza di un modello espressivo sulla falsariga di quello già ascoltato in “Anice”? BRIAN: Sicuramente l'anima di "Anice" è ancora viva e non rimarrà certo in disparte, pur nell’ottica di una implementazione del suono con nuovi elementi. FABIO: Stiamo lavorando ormai da un anno sui nuovi pezzi e abbiamo registrato un nuovo promo. Il suono è mutato e questo era inevitabile, anche solo per il consolidarsi dei rapporti tra i musicisti. Credo che il risultato sia comunque una musica fruibile, lontana da sperimentazioni fini a se stesse o stereotipi. GELO: In "Anice" i pezzi racchiudono molte identità e lo stesso dicasi per i nuovi brani. Lo stile della Società emerge comunque dal nuovo materiale benché lo stesso evidenzi anche suoni inediti. La formula musicale che ci contraddistingue ci consente comunque di evolvere, senza mai abbandonare la strada maestra. MATTEO: Di certo continueremo a sviluppare la nostra musica in una direzione lontana dalla consueta forma-canzone. Fabrizio Zampighi Contatti: www.societadelcaveau.it Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Gennaio '06 The Green Man + The Well Of Sadness Linux Club, Roma, 21/12/2005 Anche per coloro che hanno perso memoria degli antichi riti pagani, è stato possibile celebrare l’ultimo solstizio d’inverno presenziando al concerto dei Green Man al Linux Club di Roma. Eppure, a dispetto delle attitudini esoteriche del gruppo milanese, il pubblico accorso sembrava assai più interessato a mostrare il proprio look post-punk che non a ricerche spirituali di sorta. Ad ogni modo, il Linux Club sta divenendo un piacevole punto di ritrovo per tutto il popolo nerovestito della capitale. Non a caso il locale ha messo in cartellone nomi d’eccezione dell’underground post-industriale: tra gennaio e febbraio sono infatti attesi Circus Joy, DBPIT, Deither Craft e Spectre. La serata del 21 dicembre si è aperta con un breve set di The Well Of Sadness, acronimo dietro cui si nasconde il giovane Daniele Giustra, per l’occasione spalleggiato dal percussionista dei Green Man. L’impronta stilistica – sia del concerto, sia del recente CD-R “Tarantella For The Death” – è indubbiamente quella dei Death In June: basi preregistrate con campionamenti e tastiere, tamburi marziali, testi declamati con enfasi, in italiano e inglese. Nulla di innovativo, dunque, benché emerga un certo carattere, a mio avviso foriero di un’imminente maturazione artistica. Inizialmente i The Green Man non cambiano registro; poi, per fortuna, imbracciano la chitarra acustica e lasciano emergere le radici più propriamente folk del loro stile. E mostrano ancor più inventiva quando al forte impatto guerresco si sovrappongono alcune divagazioni di gusto orientale, che ben si sposano con i surreali filmati proiettati sullo sfondo. Fabio Massimo Arati Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it