Numero Febbraio '06 EDITORIALE Salve a tutti, e benvenuti a quello che è il secondo numero del 2006 di Fuori dal Mucchio, il nostro consueto appuntamento mensile che cerca di fornirvi una panoramica quanto mai varia ed esaustiva – per quanto possibile, visto il numero folle di uscite discografiche – del panorama “emergente, autoprodotto, esordiente, sotterraneo, di culto” italiano. E proprio l’eterogeneità ci pare una delle caratteristiche più rilevanti del sommario di questo mese: dal punk al folk, dal pop al metal, tutti (o quasi) i generi sono rappresentati. Nelle recensioni così come nei live report e nelle interviste, presenti in quantità proprio per permettere di approfondire la conoscenza con alcune delle realtà a nostro avviso più significative e meritevoli. Ma non è tutto, perché già qualche giorno è possibile non soltanto leggere Fuori dal Mucchio – quello nuovo così come tutti gli arretrati – sullo schermo del proprio computer, ma anche scaricarlo in formato .pdf (cliccando sull’apposito link nella pagina del sommario), stamparlo e goderselo comodamente in formato cartaceo, con una nuova e colorata veste grafica. Altre gustose novità, poi, sono allo studio, per rendere il nostro sito ancora più interattivo e a misura di utente, ma di questo parleremo più avanti. Per il momento, quindi, non ci rimane che augurarvi una buona lettura e – soprattutto – buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Dottor Livingstone L’assenza I Presume/Emi È il buongusto la cifra dei Dottor Livingstone. Lo indovini e quasi lo annusi dal libretto, che trabocca di sensuale lingerie femminile – corpetti, bretelline, slip. È pop elettronico, che non è fatto per diventare una suoneria di cellulare, come dicono loro, molto anni ‘80 e certe volte forse volutamente fuori moda. Il gruppo torinese, che qualche osservatore ricorderà a un Sanremo di sette anni fa (“Al centro del mondo”, si chiamava il loro brano), imbastisce un sound estremamente cool attorno alla limpida voce di Anna Basso, qualche timbro in comune con Mara Redeghieri. È ai concittadini Subsonica che si rifanno “Anna” e “Ci sei sempre tu”, mentre “Sulla mia pelle” ha un inciso che respira certe atmosfere degli ultimi Cocteau Twins, quelli più rotondi e pacificati. È invece da “Creep School” il moog che apre “Strega”, e l’apripista “Tutto è relativo” si correda di indianerie coi sitar e i tabla. Bello stile. Il piede non è mai sull’acceleratore: “Mai più”, un po’ più uncinata, poteva essere un singolo di presa, “Le ragazze di Osaka” di finardiana memoria riprende la versione di Alice e ne accentua l’understatement. “Il futuro è un pianeta lontano”, canta Anna; del resto, il secondo lavoro dei Dottor Livingstone, a cinque anni dal primo, sottolinea tutte le sfumature di assenza, distanza, sottotono, trasparenza, perdita, senza per questo risultare rinunciatario, tutt’altro. Un po’ troppo estetizzante, semmai (www.dottorlivingstone.com). Gianluca Veltri Mattia Coletti Zeno Wallace/Audioglobe Sorta di diario sonoro imbastito da Mattia Coletti (Sedia, Polvere, From Hands), “Zeno” rappresenta un percorso di confine volutamente spezzettato e frammentario, dove le chitarre acustiche ed elettriche e la voce si lasciano contaminare da innesti rumoristi ed elettronici e da continue variazioni di prospettiva. In alcuni momenti, i suoni si agglomerano in vere e proprie canzoni: è il caso di “Clessidra Boy”, ospite la voce di Fabio Magistrali, il quale ha pure messo su nastro il lavoro, una marziale melodia folk che evoca fantasmi di Rock In Opposition ed estreme derive canterburiane (e non ci pare casuale la presenza di un brano intitolato “Canterbury Tales”). O ancora di “A”, canzone tenue che si inabissa in un ambiente sonoro tutto rifrazioni elettroniche e suoni ondivaghi. La musica prende sovente la forma di un folk ambientale e impressionista, soffermandosi a tratti a disegnare bozzetti alla Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 chitarra acustica che rimandano a John Fahey e ai suoi allievi – è il caso delle iniziali “Una e due” e “Red, Yellow Circle”, la quale diventa in seguito una canzone stralunata e deviante. Se gli Animal Collective si fossero ulteriormente allontanati dalla forma-canzone, avrebbero potuto incidere un disco del genere. Disco che trova la propria cifra stilistica nell’incertezza delle proprie scelte estetiche, senza mai scegliere una via a discapito di un’altra, ma sempre stimolando l’orecchio di chi ascolta (www.wallacerecords.com). Alessandro Besselva Averame Veracrash The Ghost EP Go Down/Audioglobe Abbastanza lunga e tortuosa la strada che ha portato i milanesi Veracrash all’esordio ufficiale. Prima, con il nome di Duna, la realizzazione insieme a Paolo Mauri di un promo, rimasto però inedito; poi, gli immancabili aggiustamenti di formazione e un concerto di apertura all’ex Kyuss Brant Bjork, a cui peraltro si deve la scelta della nuova ragione sociale. Un incontro tutt’altro che casuale, col senno di poi, visto che il suono di questo EP risente – e non poco – dell’influenza dello stoner, dai Kyuss, appunto, fino ai Queens Of The Stone Age. Ritmiche telluriche, chitarre potentissime, riff travolgenti e una psichedelia corrosiva (ma non troppo dilatata) a fare da contraltare a una urgenza non lontana dal punk: caratteristiche che si ritrovano fin dai primi secondi dell’iniziale “Antwerp”, e che accompagnano per tutta la durata del dischetto, che tuttavia ha il pregio di presentarsi sufficientemente variegato, pur nell’apparente monoliticità. “Cuspide”, per esempio, sfoggia asperità e nervosismi – anche vocali – che rimandano al noise come al post-core fugaziano, mentre “The Ghost In The Shell” si apre su atmosfere acide e desertiche, per poi concludersi con un’accelerazione travolgente. Degno preludio a “Sicario”, che chiude il lavoro in maniera rabbiosa, omaggiando in maniera esplicita i QOTSA. A questo punto, sarà interessante vedere i quattro alla presa con un formato più lungo e impegnativo – e magari fare la conoscenza del progetto parallelo electroclash V:E:R:A (www.veracrash.com). Aurelio Pasini Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Marco Turriziani Bastava che ci capissimo io e i miei Storie di Note Lessico famigliare, in quattordici quadretti. Non è certo di primo pelo, il quarantenne Turriziani – una lunga militanza con i Latte & i Suoi Derivati – e tanto spiega una sorta di sonnacchiosa ed eterna tardo-adolescenza. Quei rimpianti di figlio rimasto a casa troppo a lungo, le ansie di un’agognata e attempata paternità, amori indecisi. Quello di Turriziani è un cantautorato garbato e ingenuo, che punta sulla tenerezza e sull’ironia, sul rimorso leggero. “Il mio cane e io” ha qualcosa di Bersani (come pure “L’ora delle luci magiche”), “Il figlio che” è la lettera al genitore che non c’è più al quale non si è detto tutto, pensandolo eterno; contrappunti di clarinetti e sax decorano “Benedetto amore”, con un ritornello in crescendo urlato alla Rino Gaetano, mentre un piano scalcinato introduce “È già Natale”, che ha un sapore di primo Bennato. È sorprendente “Forse è una strega”, che inciampa in un pazzerello 5/4, sudamericaneggia “Rosa da amar” e fa il verso al Novecento la strumentale “È domenica”. Non originalissimo melodicamente, il suono di Marco è benevolo e teatrale; disarmanti le parole. “Meglio non crescere, è meglio scrivere nuove favole”, canta dichiarando l’intento dell’arte peterpaniana; e addirittura in “Come a mammà” arriva a dichiarare “Voglio una ragazza/che sappia cucire, stirare e far da mangiare come facevi tu/dimmi perché non se ne trova una come te”. L’inno mammone inconfessato di parecchi maschietti italiani (www.storiedinote.com). Gianluca Veltri Elvis Jackson Summer Edition Rude/Venus Potremmo iniziare questa recensione con frasi del tipo “il segreto tenuto meglio del punk in Italia” o simili, ma in casi come quello degli Elvis Jackson anche simili iperboli ci sembrano davvero fuori luogo. Solo un destino beffardo ha infatti cospirato finora alle loro spalle: con all'attivo già un paio di lavori, questa formazione di origine slovena ha, con questo “Summer Edition”, aumentato le proprie possibilità espressive aggiungendo ad un iper-collaudato impianto rock/punk i colori e i sapori del reggae e dei ritmi in levare. E, ascoltando questi dodici brani, non si può non ritornare con la mente ai Sublime, campioni nell'ibridare energia e poesia, chitarre acustiche sulla spiaggia con ruvidezza hardcore, se non altro perché accoppiate vincenti come quella “Hawaiian Club” - “Don't Go Too Far” non si sentono molto spesso in giro. Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Una produzione discreta ma minuziosa completa poi l'insieme, riuscendo a trasporre su disco sia l'impatto sonoro che le varie sfumature di cui i Nostri sono capaci. Che questo sia un lavoro dalla caratura internazionale è poi ulteriormente confermato dalla sua uscita in tutta Europa e dal relativo tour di supporto che vedrà impegnati gli Elvis Jackson per quasi tutto il 2006. Insomma, dopo “Summer Edition” non abbiamo più scuse per ignorarli. Anzi, forse una resiste ancora: la copertina; ma quello è un peccato veniale, il contenuto vale davvero la pena ( www.elvisjackson.com). Giorgio Sala Paolo Di Cioccio - Giovanna Castorina Les signes du zodiaque Domani Musica A pochi mesi di distanza dal delirio neo classico di “Oboe Sconcerto”, l’allegra coppia Di Cioccio/Castorina è tornata in studio per incidere quattordici nuove composizioni – questa volta tutte originali – ispirate all’influenza delle congiunzioni astrali sulla vita terrena. Per quanto l’astrologia sia comunemente assimilata alle più infondate superstizioni popolari, la trattazione è di fatto riconducibile agli approfonditi studi esoterici che da sempre contraddistinguono l’opera musicale e intellettuale del Di Cioccio. Non avendo grosse conoscenze in questo campo, mi è assai difficile comprendere quanto lo spirito di ciascun brano rispetti il carattere del relativo segno zodiacale da cui prende il nome. È invece più semplice, come pure suggeriscono gli autori nelle note di copertina, lasciarsi trasportare dal flusso elettronico che – dalla iniziale “Overture” fino alla conclusiva “Ronde” – scorre fantasioso per circa un’ora. Da un punto di vista prettamente stilistico, il duo recupera con la solita scrupolosa maestria le coordinate espressive dell’elettronica tedesca anni ‘70, riprendendo il filone delle opere soliste del musicista romano, pubblicate a cavallo del millennio. Rock cosmico – qui è proprio il caso di definirlo in tal guisa – eseguito peraltro con strumenti che fanno certo invidia ai cultori del vintage: sintetizzatori e sequencer di ogni tipo (dal Moog al Doepfer A100 modulare), Mellotron, Trautonium, Theremin e organo Hammond (www.domanimusica.it). Fabio Massimo Arati Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Mojito Bistrot Per Margot autoproduzione Tempi strani e confusi per la discografia italiana. Non è certo una novità, ma è bene ricordarlo di tanto in tanto. Prendete questi Mojito Bistrot, attivi dal 2003: hanno alle spalle un mini-CD di esordio, “A due passi dalla luna”, con il quale si sono fatti largo a suon di applausi in varie manifestazioni (citiamo in ordine sparso Sanremo Rock, Il Festival delle Arti, due edizioni del Premio Augusto Daolio ed altri ancora), in virtù di uno stile che avrebbe tutto per farsi largo nelle radio, ma che soffocato dal “troppo” che circola, non trova invece sbocchi. Il quartetto di Scandiano ci riprova oggi con “Per Margot”, forte di una maggiore maturità di scrittura e con le idee più chiare. Uno stile asciutto, che definiamo pop per comodità e serietà, ma che inserisce ombre di folk in un contesto orecchiabile. Scivolano via così i sette brani del CD, più la rilettura per piano e voce della title-track, che nella sua versione estesa apre l’album. Ascoltando appunto “Per Margot”, (l’eroina dei cartoon, ci spia maliziosa sul retro del CD!), “L’ultimo pensiero”, “La vie du bistrot, “Ogni viaggio”, si entra all’improvviso in quei sentieri pop che vorremmo odiare, tra Lùnapop e il Ligabue più addomesticato, di cui invece subiamo il fascino, per quello scorrere sereno tra melodie addomesticate. I Mojito Bistrot non lasciano spazio a voli pindarici, ma sanno scrivere canzoni un passo oltre la banalità, e “Taxi con interni gialli” potrebbe davvero diventare un tormentone radiofonico. Pregio o difetto? (www.mojitobistrot.it) Gianni Della Cioppa Comfort Eclipse Psychotica/Goodfellas L’evoluzione della specie post-rock? Sarebbe riflessione azzardata e riduttiva per i Comfort, ensemble toscano già segnalatosi con dei demo molto promettenti e tramite alcune pregevoli partecipazioni su compilation tra cui il tributo crimsoniano “The Letters ” pubblicato dalla Mellow: indizi a favore di una personalità di rilievo, tutt’altra storia rispetto ai molteplici epigoni del dolente post-rockeggiare sparsi nell’underground. Se il suono di “Eclipse”, ufficiale atto primo pubblicato dall’attiva pugliese Psychotica Records, si è fatto più etereo ed atmosferico rispetto a fraseggi maggiormente aggressivi e nervosi palesati precedentemente, è comunque il frutto di un percorso consapevole, un bisogno di introspezione piuttosto che di scontate esibizioni tecnico-compositive. Un’evoluzione dunque non attribuibile a infatuazioni dell’ultima ora esterofila, bensì dispiegata in sonorità ricercate, caratterizzate dalle puntellature del piano di Leonardo Chirulli in un impianto rock delicatamente Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 free-form striato appena di elettronica. Un linguaggio sonoro che è realmente “avanti” e discretamente “in progress”, senza stupire con estremismi o effetti speciali. Perché in definitiva i sette brani strumentali rivelano una soffusa scorrevolezza, tenuemente sull’orlo del “precipice” avant-pop, parafrasando il titolo in apertura, incidentali ed algide svagatezze neo-canterburyane per un debutto in qualche modo atteso e già annotabile fra le più belle realtà dell’odierno scenario indie nazionale (www.psychoticarecords.com). Loris Furlan Fabryka Testing Toys autoproduzione La passione per certe band, che emerge forte e chiara in un’altra band: è una vecchia storia, non sempre particolarmente eccitante, è vero. Eppure a volte ci si imbatte in progetti che, senza pretese di sorta, espongono le loro proprie ascendenze sonore non per mancanza di talento (tutt’altro), ma per esprimere un opinione ed imprimersi una direzione. È davvero questo il caso dei Fabryka, progetto barese nato nel 2004 e oramai ben nota realtà locale che immerge le sue dita sonore in quel glitch di casa Portished/Lali Puna fino, a ritroso, alla prima Björk. Non è una coincidenza che tutte le band citate siano capeggiate da una donna. E non è neppure una coincidenza che si tratti di formazioni che si reggono su di una sezione vocale d’eccezione in grado di condensarne ispirazione, potenzialità e potenza, suggellando la voluta freddezza degli effetti con tutta l’impalpabilità del cantato femminile di genere. Perché ascoltare “Testing Toys”, primo EP autoprodotto per i Fabryka, implica anzitutto l’entrare in contatto con una voce jazzy – quella di Tiziana Felle – che passa difficilmente inosservata. La tonalità e la curvatura melodica che impone a pezzi come “Handful Of Dust” o “Legoland”, ne farebbero ottimo pane per i denti di casa Morr, ma Kazu Makino non è così distante (fatto del resto palese per via della presenza di una cover dei Blonde Redhead rivisitata in salsa electro, “A Cure”). La maturità piena, un full-lenght e un contratto sembrano solo questione di tempo (www.fabryka.it). Marina Pierri Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Highschool Dropouts Rivalry Wynona A prima vista, complice anche una copertina decisamente “invernale”, si direbbe che gli Highschool Dropouts di questo “Rivalry” siano originari di una qualunque sperduta cittadina svedese. Anche dopo l'ascolto il dubbio resiste; peccato, ma sarebbe più giusto dire per fortuna, che Jimmy e soci siano una realtà italianissima, che guarda all'estero solo quando si parla di influenze musicali. Rock‘n’roll punk che, se da una parte guarda chiaramente ai primi Kiss (apre le danze lo strumentale “Peter Criss” e le chiude una sorpresa a tema), dall'altra ci ricorda quanto sentito in tempi molto più recenti da gruppi come Datsuns e D4. Attiva dal '99 e con una discografia alle spalle comprendente tra l'altro due EP e tre split 7”, la formazione sembra avere trovato stabilità dal 2003, con l'arrivo di Paco (già nei Retarded) e Lennie a dar man forte al titolare Jimmy. Non sappiamo se sia questa raggiunta stabilità, ma “Rivalry” è quanto di meglio da loro fatto finora, e lo è sia quando ti sparano dietro un riff assassino come quello di “Reptile” sia quando rallentano il ritmo con “Maximum Overdrive”, dove troviamo anche la miglior performance vocale. Ed è proprio la voce l'unico tassello che ancora non convince in toto, anche perché quando funziona dimostra di non essere da meno del resto. In ogni caso, gli Highschool Dropouts possono, e aggiungo devono, confrontarsi alla pari con il resto d'Europa, e questo è un risultato di tutto rispetto (www.highschool-dropouts.com). Giorgio Sala Bias! BIAS! Wallace/Audioglobe Giunta all’ottavo capitolo, la serie WallaceMailSeries ospita un incontro tra Xabier Iriondo (ex Afterhours e componente di A Short Apnea, Uncode Duello, Polvere), e l’ex Ulan Bator, ora titolare del progetto Permanent Fatal Error, Olivier Manchion. Inevitabile per i due, al di là di una affinità data dal background che va a pescare in una ricerca a cavallo tra rock e territori attigui, incontrarsi sul terreno di antiche passioni comuni: l’impianto sonoro unisce infatti musica concreta e patchwork strumentali guidati da chitarre ripetitive, rumori e percussioni sparse, facendo venire in mente i Faust del periodo d’oro così come certa sperimentazione di confine attiva nell’ultimo decennio, a cavallo tra improvvisazione, avanguardia e propaggini rock A rendere questo lavoro uno dei più riusciti della serie, una fruibilità che non va mai a discapito della volontà di esplorare il suono in tutte le sue forme, e soprattutto dell’esplorazione incompromissoria di nuovi linguaggi. Il risultato è un’alternarsi di Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 nenie folk dal sapore ancestrale e psichedelico (“Profumo di un’aia”), proto-blues scheletrici e minimali che si dissolvono in echi e riverberi (“Solitarie/duo”), una destabilizzante “Mongol Lesson n° 5” che innesta voci provenienti dal paese asiatico su strumenti a corda che assumono sembianze inquietantemente esotiche. Si sentono l’artigianato della ricerca e il primitivismo di un suono scarnificato. Venti minuti sono sufficienti per dipanare il proprio manifesto sonoro. Notevole ( www.wallacerecords.com). Alessandro Besselva Averame Echran Echran Small Voices-Ebria/Wide Una virtuale installazione, deputata sostanzialmente a generare fragore, ha unito in uno straordinario sodalizio due delle più radicali etichette indipendenti attive sul territorio nazionale (almeno per quanto concerne la ricerca rumoristica): un possente albero di trasmissione che attraversa l’Italia da Desio ad Andria e lascia cadere detriti chimici altamente pericolosi, per le orecchie e per la mente. Il primo di questi sancisce il debutto degli Echran, progetto nato dall’incontro di due navigati manipolatori del suono: Fabio Volpi (già negli Otolab) e Davide Del Col (di cui ricordiamo i cupi scenari allestiti alla fine dei ‘90 con l’acronimo di Ornament). Il loro omonimo CD propone ambientazioni ipnotiche e sinistre, scandite da liriche recitate in lingua francese. Il rumore si diffonde progressivamente – tra allucinate distorsioni e vaghe linee melodiche – fino a pervadere integralmente l’ambiente circostante, fin quando anche il più recondito angolo della stanza si riempie di frequenze disturbate. Abbracciando da un lato le visionarie alchimie del kraut-rock e dall’altro stringendo la mano alle tumultuose pulsioni del primo industrial anglosassone, gli Echran intraprendono un percorso sonoro comunque lineare, senza mai abbandonarsi ad eccessi di sorta, anzi privilegiando arrangiamenti asciutti e minimali. A dispetto dell’inquietudine e delle cospicue dosi di rumore di cui sono pregni, i sei movimenti del loro album risultano dunque fruibili e non scadono mai nella soffocante monotonia che sovente caratterizza anche le più celebrate opere dark-ambient ( www.smallvoices.it). Fabio Massimo Arati Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Garden Wall Towards The Silence Mellow Il precedente “Forget The Colours” aveva tolto di mezzo ogni residua indulgenza prog-Seventies con complicità tastieristica, palesata nelle comunque notevoli prime quattro tappe discografiche. Ora giunge “Towards The Silence” a ribadire quello che sono oggi i friulani Garden Wall: efferata estremità art-heavy senza compromesso alcuno, libera di dar voce alla visionaria e viscerale poetica di Alessandro Seravalle, anima originaria del progetto. E che si tratti di un’anima inquieta, proiettata dagli oscuri labirinti interiori, votata ad una violenza sonora ossessiva, decadente, ineluttabilmente nichilista, lo si può intendere da subito: il breve enigmatico intro di “Please Wait… Forgetting” e poi l’assalto di riff senza tregua, la potente ed ineccepibile macchina ritmica dei tamburi di Camillo Colleluori e del Chapman stick di Pino Mechi, il lancinante chitarrismo di Raffaele Indri, una tensione mai sopita in cui la voce “paranoica”, spesso urlata, di Seravalle trova terreno adeguato alle proprie visioni e strategie. “Caesura”, “Luna”, “Oxymoron”, “Bottom”, “Inadeguato” (titolo magari emblematico), “Cursed Nature (For Caligola)”: tutti poemi estreme-avant-metal, devastanti quanto onirici, cenni di luce da electronic soundscapes e sinistri arpeggi assediati da claustrofobiche oscurità. “Verso il silenzio” dunque, speriamo non fino in fondo per questa band storica e davvero unica nel panorama italiano, con un sito ufficiale appoggiato a una prestigiosa fanzine-web dell’Uzbekistan (www.progressor.net/garden-wall). Loris Furlan Adharma Risvegli Jestrai/Venus Le qualità principale, all’interno dell’universo Jestrai, è senz’altro la versatilità. Dopo alcune uscite in odore di rock and roll, infatti, questo EP di esordio degli Adharma riporta la rotta dell’etichetta bergamasca all’interno di un rassicurante percorso legato al rock d’autore. Gli Adharma, terzetto dalle origini da sarde ma dal presente bolognese, costruiscono un mosaico che lega rumore e suggestione poetica, cantautorato e digressioni oblique. È il caso, per esempio, della coinvolgente “Estate”, che riporta a certi umori cari ai Marlene Kuntz, contaminando una poetica classica con divagazioni zoppicanti e, in un certo senso, free. Certo, anche i cantautori, Francesco De Gregori e Fabrizio De André in primis, sembrano giocare un ruolo importante nelle influenze del trio, ma la sensazione che è, pur restando fedeli a un Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 cantato (in) italiano, i tre abbiano radici più complesse, da cercare nei solchi dei Pink Floyd e dei primi Radiohead. Lo dimostra, fra l’altro, la traccia che dà il nome al dischetto, “Risvegli”: una traccia oscura e decisamente non “allineata”, viene da dire coraggiosa nell’abbandonarsi a un’enfasi tutt’altro che usuale. Piccoli segnali di originalità, quindi; piccoli passi avanti in un processo magari ostico, ma capace, dopo lo spiazzamento causati dai primi ascolti, di farsi sempre più affascinate ( www.adharma.it). Giuseppe Bottero Neronova Memorie di un clown RY Productions/UdU Una grafica semplice ma efficace, un nome altrettanto produttivo e un suono figlio del nuovo rock italiano, se tale vogliamo definire quel piccolo/grande esercito che cerca di farsi largo con l’ossimoro per eccellenza, vale a dire il nostro linguaggio su basi di chitarre elettriche. Dopo un intenso rodaggio sul palco, il quartetto dei Neronova arriva a questo debutto, grazie anche al sostegno dell’associazione Ululati dall’Underground. Sin dal primo ascolto sorprende la pienezza della produzione, grassa e potente, con la voce di Tiziano Panini, anche chitarrista, che si incunea roca nelle viscere dei riff di canzoni con liriche da marciapiede, generate da un senso di disagio e di ribellione. Niente di nuovo, a ben vedere, ma ascoltare i testi in modo così diretto è una sensazione quasi nuova, che gratifica. Più di mille parole dice tutto la cover posizionata alla fine, una “Rebel Yell” di Billy Idol sparata con sudore e convinzione. Gli stessi elementi, con un pizzico di idee, che troviamo tra i solchi di “Memorie di un clown” (la canzone), nell’inserto della voce femminile di “1984”, nel groove funky di “La bestia e il fuoco”, nel refrain caratteristico di “Il circolo delle mosche”, nell’ipnosi metal blues di “Ogni effetto”, in “Cicatrici”, fino all’accusa di “Giuda”. Un po’ Nickelback e un po’ Metallica; All’appello manca qualche frammento melodico, ma niente male davvero questi Neronova ( www.neronova.com). Gianni Della Cioppa Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Nettezza Umana Il teatro dell'assurdo Derotten Con piacere, mese dopo mese, notiamo l'ottimo stato di forma dell'hardcore italiano, stavolta confermato dai Nettezza Umana. A quattro anni da “Allo stremo” ecco infatti ritornare la formazione lombarda con “Il teatro dell'assurdo”. Registrato presso il Living Rhum Studio, questo si è rivelato un lavoro lungo e sofferto, tanto che prima di uscire ha dovuto vedere il cambio di due quarti della formazione, ma che ha saputo tirare fuori il meglio da questi ragazzi. La via italiana all'hardcore ha qui fatto scuola, e, pur non mancando qualche accenno a suoni più attuali alla Skruigners, siamo come atmosfere nel pieno degli anni '80, con solo i testi, decisamente più introspettivi di quelli dei predecessori, a tradire l'effetto d'insieme. L'energia e l'impatto, poi, sono oltre i livelli di guardia, e non mancano bordate come “Disarmo”, brano nobilitato dalla presenza di Mauro “Raw Power” Codeluppi, quasi un imprimatur alla nuova generazione da parte di chi ha fatto la storia di questo movimento. Se volessimo trovare un appunto da fare è che, semmai, “Il teatro dell'assurdo” risulta eccessivamente granitico, e solo in parte le soluzioni di arrangiamento adottate tolgono quest'impressione. All'ascoltatore il giudizio finale; a noi non resta che constatare come in questo momento lo stato di salute del mercato musicale in Italia sia spesso inversamente proporzionale alla qualità della musica prodotta (www.nettezzaumana.it). Giorgio Sala Corde Oblique Respiri Ark Non posso esimermi dal lodare l’impegno e l’intraprendenza della Ark Records, a dispetto degli scarsi mezzi a sua disposizione. A seguito del prestigioso cofanetto biografico dedicato agli Ataraxia, l’etichetta partenopea dispensa un’altra opera di elevato profilo culturale: il primo album realizzato dal chitarrista e compositore Riccardo Prencipe sotto l’acronimo di Corde Oblique. Un progetto che muove dall’esperienza da questi maturata alla guida dei Lupercalia, titolari di due ottimi album tra il 2000 e il 2004. L’ultimo dei due – “Florilegium” – era stato tra l’altro prodotto dalla label portoghese Equilibrium Music e aveva offerto all’artista napoletano l’opportunità di entrare in contatto con alcuni degli ospiti internazionali che contribuiscono alla buona riuscita di “Respiri”; tra questi la cantante Catarina Rospo, voce degli apprezzatissimi Dwelling. La cifra stilistica è quella del folk acustico, invero più legato a una tradizione colta Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 che non ad uno spontaneismo popolare. Che si manifestino impetuose e travolgenti o che seguano la via del malinconico intimismo, le composizioni del talentuoso autore partenopeo godono sempre di arrangiamenti eleganti e compiuti, lasciando alle sue percussioni ed al violino di Alfredo Notarloberti (Argine) il compito di tessere le trame più suggestive. Lodevole è anche l’intento di ampliare gli orizzonti espressivi del messaggio sonoro, dando spazio a stimoli interdisciplinari che vanno dalla poesia all’arte visiva (doveroso menzionare l’opera di Kenro Izu raffigurata in copertina) e che certo innalzano lo spessore artistico del tutto (www.arkrecords.net). Fabio Massimo Arati Giorgio Barbarotta Schegge (di vita propria) GB Produzioni Cantautorato classico, semplice, privo di fronzoli; intimista, scritto con il cuore. Si potrebbe descrivere così la proposta di Giorgio Barbarotta, artista trevigiano che magari qualcuno ricorderà alla testa dei Quarto Profilo. Ma non solo di musicista si tratta, ché negli ultimi anni non gli sono mancati consensi e riconoscimenti anche per l’attività di poeta. Mondi che inevitabilmente si incontrano in questo esordio da solista, un lavoro estremamente curato nella grafica – una nota di merito per la splendida confezione – come nei contenuti. A livello formale, ché l’ensemble di musicisti assemblato dal Nostro (ne fa parte anche Nicola “Accio” Ghedin, batterista degli Estra) è composto da musicisti ottimamente dotati di tecnica e gusto, così come a livello compositivo, visto che i brani proposti si distinguono per la leggerezza del tocco e la solidità di scrittura. Non sempre originalissimi, specie per quanto riguarda alcune tematiche, ma ben lontani dalla banalità e liricamente assai equilibrati. Notevoli, in particolare, gli intrecci tra le chitarre acustiche – con menzione speciale per la sorprendente “Quello che rimane” – e, di tanto in tanto, il violino, ma piacciono anche le sporadiche incursioni in territori appena più elettrificati. Davvero niente male, insomma – basti dire che l’unico difetto che davvero possiamo imputare al CD è l’ora e un quarto di lunghezza totale: un minutaggio forse eccessivo, sebbene la qualità media dei singoli episodi sia piuttosto alta (www.giorgiobarbotta.it). Aurelio Pasini Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Viola A volte una passione cova per decenni intimamente, fino a farsi largo quando meno te lo aspetti. È certamente così per Violante Placido, attrice emergente – beh ormai emersa, si può dire – del cinema italiano, ora anche cantautrice esordiente col vellutato album “Don’t Be Shy” (N3 Music/Self), realizzato con la complicità di Giulio “Giuliodorme” Corda. Abbiamo intervistato l’attrice-cantautrice mentre è impegnata sul set del suo prossimo film. Dopo la pubblicazione del tuo disco, stai già girando un film con Pupi Avati. Insomma, la supremazia del cinema non si discute... La scelta di aver fatto un disco non voleva significare un allontanamento dal cinema. Certo, nel momento in cui si fanno due cose che assorbono molto, bisogna cercare di dare una priorità; finora però il destino ha voluto che un impegno non escludesse l'altro. È stata solo una parentesi o per te è nata una carriera parallela? È stata una sorta di sfida molto personale, da una parte un bisogno interiore di esprimermi e dall'altra un pudore che mi opprimeva e mi frenava, finché ho capito che la parte più sincera era quella che voleva esprimersi. Se sarà una carriera parallela lo capirò con il tempo, da marzo mi dedicherò molto alla musica, visto che è previsto un tour in giro per l'Italia. Con chi ti piacerebbe collaborare musicalmente? Mi viene in mente Zamboni, che ho visto ultimamente insieme a Nada, hanno fatto cose molto interessanti. Con i Marlene Kuntz, per le loro sonorità cupe e suadenti che, anche se non si avvertono quasi per nulla nel mio disco, mi appartengono. Ma anche con Gazzè potrebbe nascere qualcosa di più ironico; credo nell'alchimia di un incontro casuale. Cosa volevi fare da piccola, l’attrice o la cantante? Tutte e due le cose, poi crescendo mi ero un po’ allontanata da questa idea, avevo cominciato uno sport che mi assorbiva completamente. Per me la musica è una compagna di vita. Quando sono io che suono, diventa la possibilità di entrare in contatto con la mia parte interiore, in cui mi perdo, mi conosco e mi ritrovo. Sei attenta alle musiche utilizzate nei film che interpreti? Sì, sono molto curiosa, e se ho un’idea la suggerisco; a volte ho avuto questa possibilità. In ”Che ne sarà di noi” ho potuto scegliere il pezzo dei Vines per la scena in cui ballo al mulino, ne ho suggerito anche uno dei dEUS. In “Ovunque sei”, mentre giravo, in un negozio ho sentito un pezzo di Ludovico Einaudi, volevo proporlo a mio padre perché mi evocava le atmosfere del film. Poi ho scoperto che era stato usato proprio Einaudi. Cosa ti ha convinto a realizzare un disco? Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 È stato un processo lento. È stato anche grazie alle amicizie nate a Pescara e a quella con Giulio Corda (dei Giuliodorme, NdI), persone con cui stavo bene e con cui potevo condividere questa passione e una certa affinità. Da lì ho iniziato a portare sempre una chitarra con me. Negli anni sono nate delle canzoni che poi ho fatto ascoltare a Giulio e insieme a Paolo Bucciarelli (anche lui ex Giuliodorme, NdI) abbiamo deciso di buttarci in questo progetto. Giulio aveva lo studio in casa per poter registrare. Non avrei proposto il mio materiale a una casa discografica con il rischio di essere trasformata in qualcosa che non mi rappresenta. Perché solo due brani in italiano? Non mancano i casi di ottimo rock nella nostra lingua: la Consoli, la Donà, Afterhours, gli stessi Marlene Kuntz... Volevo osare nella mia lingua, ma per me già l'idea di realizzare questo disco rappresentava una prova con me stessa. Non ho voluto forzarmi troppo, rischiando di andare fuori strada. Con l'inglese mi è venuto tutto più naturale e sciolto, ma piano piano spero di familiarizzare di più con la mia lingua. Quali sono i tuoi ascolti preferiti? Da piccola Beatles, John Lennon, Prince, Eurythmics, Suzanne Vega, Police, poi i Nirvana, per tornare ai più classici Billie Holiday, Hendrix, Battisti e altri: Jeff Buckley, dEUS, Damien Rice, Sparklehorse, Devendra Banhart, Fiona Apple. Come ti senti trattata dalla critica musicale? Sorprendentemente bene e questo mi lusinga, ma anche se le critiche fossero state più contrastanti le avrei accettate lo stesso, questo per me rimane un progetto sincero. Sono curiosa di capire se piace anche al pubblico, di solito più istintivo e sincero. Ti faccio dei nomi di cantautrici. L’impressione è che da ciascuna di esse hai preso qualcosa, che traspare dai tuoi pezzi. Cosa pensi di loro e in cosa ti senti vicina a loro? Chrissie Hynde, Edie Brickell, Suzanne Vega, Tori Amos, Beth Orton, Carmen Consoli, Cristina Donà. Grazie per il complimento, sono tutte artiste che stimo, anche se la Orton non la conosco e su Chrissie Hynde non ho mai approfondito. Di Edie Brickell mi conquistò “What I Am” ma anche la sua voce un po’ svogliata e grintosa. Di Suzanne Vega molte canzoni e la voce semplice e trasparente ma incisiva. Con Tori Amos vengo trascinata in atmosfere più viscerali e passionali, soprattutto dal vivo sembra in contatto con qualcosa di profondo e quasi soprannaturale. Carmen Consoli in Italia è l'artista femminile più rivoluzionaria e con più personalità, una grande musicista anche come autrice dei testi. Di Cristina Donà apprezzo la grazia e le atmosfere sonore. Di calcolato non c'è nulla sicuramente mi avranno influenzato, dato che i loro mondi mi hanno emozionato. Gianluca Veltri Contatti: www.violanteplacido.com Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Fratelli Di Soledad I Fratelli Di Soledad sono tornati a calcare le scene da alcuni anni (risale al 2003 il live “Sulla strada in concerto”), ma “Mai dire mai” (il manifesto) è il primo album di brani originali da quel “Balli e pistole” che, dieci anni fa, sanciva momentaneamente la fine di una delle formazioni torinesi storiche. I nuovi Fratelli guardano al passato, recuperando sonorità calde di origine giamaicana e omaggiando i Clash, ma lo fanno lasciando da parte la nostalgia. Ecco, nelle parole del chitarrista Giorgio “Zorro” Silvestri, il presente del gruppo sabaudo. Siete tornati in attività da alcuni anni, e la prima testimonianza del nuovo corso documentava il vostro ritorno sui palchi. C'è voluto qualche anno prima di avere tra le mani un disco di inediti. Immagino che vi siate presi un po' di tempo per sedimentare nuove storie e nuovi spunti. Come sono nati i brani del nuovo disco? I brani del nuovo disco sono nati col tempo, alcuni erano delle bozze scritte in questi ultimi anni, anche durante i concerti, altre risalgono ad un periodo in cui io mi sono dedicato esclusivamente alla scrittura. Sono stati arrangiati insieme in sala prove, dopo che li avevo proposti in versione chitarra e voce. Alcuni sono nati con piano e voce, con l’aiuto di Gianluca (Vacha, NdI). Racchiudono bene o male tutto quello che ho vissuto. Parlo in prima persona perché la maggior parte dei testi, tranne un caso, li ho scritti io: tutte le esperienze, tutti i vissuti di nove anni lontani dalla sala di registrazione. C’è anche stata, probabilmente, una maturazione nei testi, dovuta alla crescita e anche ad un diverso approccio agli argomenti. Ad esempio si parla della morte, tema mai apparso prima nei testi dei Fratelli. Il nuovo disco mi pare un ritorno al passato, non nel senso nostalgico di un "come eravamo", ma piuttosto nel senso di un ritorno alle origini musicali, i Clash e Joe Strummer ad esempio. Contemporaneamente non vi siete sentiti in dovere di suonare nuovi e al passo coi tempi a tutti i costi. Questo riallacciarsi al punto di partenza, alla scintilla iniziale, è testimoniato anche da una ghost-track che credo risalga alle primissime fasi della band. Effettivamente c’è un ritorno agli inizi. In modo più ricercato, probabilmente, siamo andati a recuperare le origini della nostra musica. Com’è inevitabile, durante tutti questi anni i nostri ascolti si sono perfezionati: partendo dal revival ska ci siamo appassionati allo ska giamaicano degli anni ’60, cercando di riprodurne i suoni. Si può parlare di ritorno riveduto e corretto, nel senso che abbiamo utilizzato suoni quanto più possibile originali, qualsiasi stile adottassimo. Io penso che sia fondamentale per la crescita di un gruppo ascoltare quanta più musica possibile, non chiudersi, non avere paraocchi. Abbiamo cercato di riprodurre determinate timbriche perché volevamo rendere omaggio agli artisti che ci hanno insegnato ad ascoltare la musica. La ghost-track è una dedica al primo cantante in assoluto dei Fratelli, Adriano, scomparso lo scorso anno. Abbiamo pensato che il modo migliore Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 per ricordarlo fosse inserire un brano cantato da lui, tratto dal primo nostro concerto in assoluto, ad Imperia Come i precedenti, anche questo è un disco molto legato a Torino, e non potrebbe essere altrimenti. Dagli spunti di attualità forniti dalle vicende della Fiat (“Taca Borgnu”, che però si riallaccia alla tradizione, ad una storia tramandata), a un brano come “I ragazzi escono a piedi”, sembra che vogliate raccontare una Torino che cerca di sopravvivere ad un momento non felicissimo, orgogliosa ma non autoghettizzata. Tutto questo in un contesto preolimpico un po' irreale che a volte invita allo scetticismo. È una impressione corretta? Sì, lo scetticismo c’è perché comunque l’Olimpiade dà una visione di Torino forse troppo influenzata da sponsorizzazioni e business olimpici. A noi piace la Torino di due ragazzi che, come in quel brano, escono a piedi e la raccontano attraverso una nottata passata tra un locale e l’altro, nelle vie della città. Il racconto di “Taca Borgnu” vuole essere una visione romantica della vita difficile dell’operaio. Una storia tramandata, che ci ha colpiti. Ci piaceva raccontare la Fiat in quel modo. Lo strumentale “MCQ3188” è l'ennesimo omaggio al cinema: Steve McQueen in questo caso, laddove in “Balli & pistole” si omaggiava Gian Maria Volonté. Un certo tipo di cinema che appartiene da sempre al vostro immaginario. C’è anche un secondo brano strumentale, già eseguito in concerto, dedicato a Julio Velasco... Il cinema appartiene da sempre all’immaginario dei Fratelli, e Steve McQueen è sempre stato un personaggio fuori dagli schemi. Abbiamo cercato di omaggiare una figura al di fuori dei cliché hollywoodiani, che ogni tanto prendeva moto e sacco a pelo e andava a vivere dai suoi amici indiani nelle riserve. Come gli Skatalites, che erano soliti dedicare brani strumentali a personaggi più o meno famosi, noi abbiamo voluto fare lo stesso con Steve McQueen in “MCQ3188”, che era il suo numero al riformatorio, e con Julio Velasco. “Velasco” ha parecchi anni, è nata dopo l’appassionante finale olimpica perso con l’Olanda. Ho deciso di intitolarla così pensando ad un personaggio anch’esso fuori dagli schemi, un allenatore che era solito regalare libri ai suoi giocatori. Un personaggio atipico anch’esso, e quindi non retorico. Alessandro Besselva Averame Contatti: www.fratellidisoledad.it Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 PuntoG Li avevamo conosciuti circa tre anni fa, grazie all’album d’esordio “5 gradi di escursione”, uscito a nome PuntoG Blu. Ora, maturati e con una diversa formazione, i PuntoG sembrano decisi ad intraprendere una nuova strada, che lascia da parte le sonorità più ruvide e si muove con disinvoltura fra suggestioni new-wave e impeto beat. All’indomani della pubblicazione di “Esplode il Mondo Pop” (Terzo Millennio/Self), ne abbiamo parlato con Gianluca Romele e Sergio Maggioni, rispettivamente voce e chitarra della band. Sono passati quasi tre anni dal vostro esordio. Cosa è successo nel frattempo? (G) Beh, sono stati anni di assestamento. La formazione ha subito dei cambiamenti, abbiamo perso qualche membro per strada. La difficoltà è stata proprio lì, nell’affrontare una serie di difficoltà che proprio non avevamo previsto, e che credo siano le difficoltà tipiche che una band italiana si trova a vivere. Ci siamo trovati davvero spiazzati, soprattutto i ragazzi che stavano lavorando hanno un po’ accusato il colpo. Superato questo periodo, che è davvero quello di gavetta, possiamo affermare di essere molto più maturi. Non è un luogo comune: ci sentiamo realmente fortificati, sereni, carichi e credo che questo possa essere considerato, in qualche modo, il nostro vero primo album. Anche musicalmente sembra che ci sia stata un’evoluzione. (G) Questo disco, secondo noi, ha una qualità: la compattezza. Ci sono quattro persone, nella band, ed ognuna ha contribuito in modo determinate. Questo si sente, ora il nostro sound è maggiormente riconoscibile, maggiormente efficace. Addirittura, l’ordine delle tracce, rispecchia quasi fedelmente l’ordine di composizione. Non significa nulla, forse, ma è significativo per rendersi conto dei passaggi che hanno portato “Esplode il mondo pop” ad essere quello che è. Anche i nostri ascolti si sono un po’ spostati, per esempio verso la new-wave di fine anni settanta: credo che in un pezzo come “Quorinrivolta” l’influenza di Pop Group, Virgin Prunes e altre band della stessa ondata sia chiaramente percepibile. Naturalmente questo parziale ampliamento delle nostre passioni ha segnato in modo netto la stesura dei nuovi brani. (S) Poi, ovviamente, ha giocato la sua parte anche il rinnovato interesse verso quei gruppi stranieri che si rifanno con molta continuità alle band di quel periodo. Penso agli Zutons, ai Mando Diao… Credo che, nonostante la piega un po’ triste che ha preso fenomeno, diventano praticamente di puro revival, da questo calderone di new rock‘n’roll, siano uscite delle realtà veramente molto interessanti. È stato uno stimolo importante, abbiamo trovato una strada già aperta, ci siamo lasciati entusiasmare. Tutto qui. L’impressione è che, nonostante il tono sempre molto vivace delle vostre canzoni, in realtà ci sia come una seconda chiave di lettura, ricca di chiaroscuri. Penso soprattutto ai testi di alcuni pezzi, che sono carichi di insoddisfazione. Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 (G) Sì, e mi piace che questa cosa salti all’occhio. C’è un grande lavoro intorno ai testi, che mi piace considerare introspettivi ma sociali. E non può esserci nessuna soddisfazione, analizzando e rappresentando questa realtà: assolutamente volgare, contraria alla cultura. Sono sensazioni che avevo dentro, sono uscite da sole, così, mentre scrivevo. Eppure, nonostante questo, c’è un forte uso della componente ironica, che emerge chiara in pezzi come “Zombie a brandelli”. Quindi c’è un certo sconforto… (G) Non potrebbe essere altrimenti. Ci si sente spesso soli. Quando si esce, quando si accende la TV. C’è un vuoto, c’è una sensazione forte di essere veramente ad un punto di rottura. E io sono convinto che potrà nascere qualcosa di nuovo solo rompendo questa situazione terribile. L’Italia si è involuta in modo pauroso, e non mi stupirebbe un ritorno alla violenza. Non è che mi auspichi questo ritorno, ma purtroppo lo vedo come una cosa quasi inevitabile. Una particolarità del vostro lavoro è la cura che avete riservato all’artwork, e in generale a tutto l’aspetto grafico. (G) Sì, crediamo sia importante. È estetica, fa parte del complesso. E abbiamo scelto il fucsia e il nero, per rappresentarci. Non a caso. Ci sono dei gruppi che sentite particolarmente vicini, per attitudine e sensibilità? (G) Potrei dirtene molti, ma la maggior parte di questi sono davvero sconosciuti. Penso che il panorama italiano abbia un difetto sostanziale, ovvero la mancanza di comunicazione con un pubblico che non sia quello degli “addetti ai lavori”. Mi sembra quasi inutile suonare davanti a una platea composto esclusivamente da musicisti. Questo, insieme ad una certa autoreferenzialità, mi sembra sia il limite principale del mondo indie. È inutile preoccuparsi di fattori inutili, come l’etichetta che licenzia il disco, o la provenienza dei musicisti. È molto meglio cercare di avere una portata più ampia, tentare in qualche modo di arrivare ad un numero maggiore di persone. Penso che la vostra partecipazione alla campagna sulla sicurezza stradale promossa dalla Renault si inserisca in questo discorso. Ci raccontate come è andata? (G) È stato tutto molto semplice. Ci hanno chiesto un pezzo, noi abbiamo accettato. Poi sono subentrate delle complicazioni. Ho dovuto presentare sei progetti diversi, visto che avevamo idee decisamente differenti. Non volevo che il nostro messaggio fosse il solito monito, ma che riproducesse in modo reale la situazione. Quando ho deciso che la stesura era quella definitiva, non c’è stato verso di farmi cambiare idea. Però si è trattata di una esperienza molto stimolante, soprattutto sotto il profilo artistico. Anche perché quel pezzo, “Segnali di vita”, in qualche modo può essere considerato il primo del nostro nuovo corso. Giuseppe Bottero Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Contatti: www.puntogblu.com Rosolina Mar Già con l’omonimo debutto pubblicato poco più di due anni fa i vicentini Rosolina Mar avevano messo in campo l’efficacia del loro rock strumentale e spigoloso, emissione di due chitarre e una batteria perfettamente affiatate. I tre – Enrico Zamboni e Bruno Vanessi alle chitarre, Andrea Belfi alla batteria – si sono spostati, in occasione del nuovo “Before And After Dinner” (Wallace/Audioglobe), dalle iniziali suggestioni math-rock e noise per abbracciare una visione più ampia, comprendente forme funk e rock trasfigurate da una curiosità onnivora e mutante. Abbiamo parlato con il gruppo di questa evoluzione, e dei presupposti da cui è nato il progetto. Il vostro legame con certe influenze di matrice indie americana (diciamo post e math-rock, per prenderla molto alla larga) resta molto forte ma, al di là di suoni ed approcci compositivi, il concetto che sottende “Before And After Dinner” mi pare: “questo genere di musica può (deve?) essere anche divertente e non va preso troppo sul serio”. Non vi siete fatti nessun problema a inglobare, questa volta, colori funk e svisate rock che riportano nel pieno degli anni Settanta, con gli eccessi più "stradaioli" smorzati da un velo di ironia. Mi pare che, in questo senso, vi siate molto divertiti a scompaginare i luoghi comuni. Questa domanda contiene già la sua risposta. Influenze post e math-rock ci sono nella misura in cui chi si muove oggi nei territori del rock indipendente non può prescindere da quei suoni e da quei gruppi. Sarebbe una mancanza di curiosità e di attenzione. Detto questo, siamo convinti di non avere più, ormai, un riferimento preciso. Si può essere indie senza ricalcare gli stilemi del genere. Siamo musicalmente onnivori, ci nutriamo di qualsiasi materiale che stimoli interesse e creatività. In generale, amiamo la musica “primitiva”, i generi colti nel momento in cui sono nati, come espressione viscerale e originale di un luogo, di un'epoca e di una cultura. Il nostro intento è di trattare gli strumenti con la freschezza e l'energia delle origini tenendo i piedi ben saldi nella contemporaneità. Riallacciandomi alla domanda precedente, un'altra chiave di lettura del disco sta nell'attitudine cannibale, nel modo in cui avete inserito nel flusso continuo della vostra musica momenti del passato, citazioni appena accennate. Quasi come se voleste trasformarvi in una sorta di amplificatore dell'immaginario musicale collettivo, un amplificatore saturo di distorsione però, che fornisce un'ottica straniante. Un rapporto occasionale e non protetto con il nostro disco può dare l'idea di un patchwork di generi. Possiamo assicurare che nessun pezzo è nato a tavolino e a mente fredda. Ce li siamo sudati in sala prove provando e riprovando strutture che Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 sono nate attraverso l’improvvisazione. I cambi di umore e di “genere” sono arrivati fisiologicamente, come parti di un unico racconto. Nonostante l'assenza del basso, mi pare che con “Before And After Dinner” siate riusciti a dimostrare come il groove non sia una questione tecnica ma attitudinale. È così? I Rosolina Mar esistono prevalentemente come gruppo live. Abbiamo un bel po’ di concerti alle spalle, e l'esperienza ci ha portato a sviluppare energia e dinamicità indipendentemente dal volume prodotto. Non basta mettere in linea fuzz e distorsori per suonare forte: bisogna mettere in gioco il proprio corpo totalmente e dare tutto. “Volume è potere”, ma si può suonare piano ad un'altissima intensità. Visto lo schema relativamente libero del vostro approccio compositivo, immagino che i brani del disco dal vivo siano una sorta di canovaccio sul quale sviluppare nuove strade e nuovi innesti. L'approccio di cui parli ha caratterizzato il periodo che ha preceduto e seguito la nascita del precedente lavoro. I brani di “Before And After Dinner” hanno una struttura più rigida e precisa, e non sempre è possibile divagare. Dal vivo dipende dall'umore, da come ci si sente sul palco, dalla risposta del pubblico... un insieme di fattori inspiegabili che crea le condizioni ottimali per la sinergia e per l'ascolto tra di noi. Da dove proviene il gusto surreale - che però rispecchia molto spesso i toni della musica - per i titoli delle canzoni? Un modo per ovviare all'assenza di parole e, allo stesso tempo, non dare loro troppo peso? Alcuni titoli hanno il loro significato, la loro storia, pur non essendo didascalici. Altri, i più, rispecchiano la nostra voglia di giocare anche con le parole, con la loro triplice natura di segno/suono/senso. Questo disco rappresenta una evoluzione del vostro percorso, si sono già manifestate possibili nuove strade, considerate questo disco il punto di partenza per una nuova ricerca? Che musica faranno i Rosolina Mar tra un paio d'anni? Il nostro percorso assomiglia ad una spirale molto stretta. Siamo al secondo giro e ci avviciniamo al punto di partenza, l'amore per l'improvvisazione. La prossima tappa è il punto equidistante tra cuore, pancia e cervello. Alessandro Besselva Averame Contatti: www.rosolinamar.com Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Acustimantico Dopo una trilogia e un ancora recente live (“Disco numero 4”, il manifesto), gli Acustimantico hanno costruito un canone di musicalità forbita e sincera, trasversale ai generi, appassionata e ricca di spunti artistici (teatro, letteratura, cinema). Attitudine confermata dal nuovo lavoro, “EM”, ancora solo teatrale, in cui il gruppo allargato che accoglie nuovi (e meno nuovi) partner. Ne abbiamo chiacchierato con Stefano Scatozza, chitarrista e autore delle musiche del gruppo. Gli altri componenti di Acustimantico sono Raffaella Misiti, Carlo Cossu, Marcello Duranti, Paolo Graziani, Massimiliano Natale e Danilo Selvaggi. Impegno e poesia, teatro e musica. Gli Acustimantico non scelgono, non escludono. Anzi rilanciano. A chi ci diceva: “Ma come, fate uscire un disco (“Disco numero 4”) a solo un anno dal precedente”, noi abbiamo risposto scrivendo un lavoro nuovo subito dopo. A volte siamo un po’ “secchioni”, non lo nego, e ce ne infischiamo delle tanto decantate logiche di mercato. “EM”, vostro nuovo spettacolo, è un recital tematico, un concept teatrale, poetico e musicale. Ce ne parli? Danilo Selvaggi, autore dei nostri testi, ci ha fatto conoscere un personaggio straordinario vissuto tra la fine dell’800 e la metà del’900. Un poeta italiano, Emanuel Carnevali, diventato nei pochi anni di vita da migrante in America, uno degli esponenti più grandi della “lost generation” americana del primo ‘900. Da questo interesse è nata la canzone “Emanuel Carnevali va in America” (su “Santa Isabel”, ndr) e poi “EM”, un lavoro che potremmo definire un “reading teatrale con orchestrina dal vivo”. Acustimantico è accompagnato da Andrea Satta (voce narrante), Luca De Carlo (tromba), ambedue dei Têtes De Bois, Andrea Pagani al pianoforte, e Andrea Avena al contrabbasso. Da questa esperienza nascerà un disco? È presto per dirlo. “EM” è un work in progress. Dopo la molto incoraggiante anteprima all’Auditorium di Roma, io e Danilo ci rimetteremo al lavoro di matita e gomma per migliorarlo. Per il momento è un evento “live”, lo “sviluppo teatrale di una canzone”. Anche il vostro ultimo album, “Disco numero 4”, è un live. Di solito i dischi dal vivo rappresentano delle cesure in una carriera artistica. Per voi ha segnato la fine dell’autoproduzione e l’inizio di un rapporto con una scuderia. Certamente stiamo vivendo una transizione e desideriamo esplorare nuovi territori. “EM” è uno di questi. Ci sarà un quinto disco che aprirà forse una seconda trilogia. L’argomento che tratterà è dei più appassionanti ma, come puoi immaginare, è segreto. Ci piacerebbe che il rapporto con il Manifesto continuasse per una nuova produzione insieme. Ci siamo trovati piuttosto bene, hanno un grande rispetto per l’autonomia degli artisti, merce rara di questi tempi. Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Ci racconti come avviene il momento della composizione, con te principale responsabile delle musiche e un paroliere “esterno” come Danilo Selvaggi? Danilo è tutt’altro che “esterno”. È esterno al palco, ma per il resto partecipa attivamente alla vita del gruppo. Non ti nascondo che spesso abbiamo adottato idee arrangiative venute in mente a lui. Pur non suonando, ha una cultura musicale vasta ed eclettica. La composizione è frutto di un lungo lavoro di gestazione in cui io e lui ci confrontiamo. Essere molto amici ci aiuta a trovare uno sguardo comune sulle cose, pur nella diversità di carattere e gusti. Si mette sempre in fila una catasta di generi, quando si parla di voi: folk, balcanica, klezmer, tango, etno-world, autore, teatro-canzone, jazz, pop d’avanguardia. Se dovessi inventare un genere per gli Acustimantico, cosa diresti? Esiste uno in Italia che è riuscito a trovare una definizione assolutamente azzeccata, “musica obliqua”. Il caso vuole che quell’“uno” sei tu. Perché dovrei rimetterci le mani? Scelgo “musica obliqua”. Si può? Accordato. Sapresti indicare qualcuno che vi ha indicato il cammino, in questi primi otto anni di carriera? Molti, e non solo musicisti. Da De André a Battiato, a Björk e Sainkho ma anche Daniele Sepe per il desiderio di ricerca, a Pasolini, Borges, Carnevali, per la poesia e l’impegno sociale, a Mercedes Sosa, Silvio Rodriguez, Astor Piazzolla e Victor Jara per ragioni diverse ma ugualmente sudamericane, a Marina Abramovic e alla tragica allegra follia delle sue performance, al tanto cinema visto e discusso insieme. Quali sono gli ascolti preferiti di ciascuno di voi? Ascoltiamo tutti cose diverse e un po’ di tutto. Di musica meravigliosa ce n’è talmente tanta che mi dispiace sintetizzare: è più facile che ti dica cosa non ascoltiamo sicuramente: Gigi D’Alessio, Max Pezzali, Eros Ramazzotti, Laura Pausini… ne vuoi altri? No, basta così! Si parla spesso dell’apporto che la musica può dare alla società, di quale incidenza può avere una canzone sulla realtà. Qual è la tua esperienza e la tua opinione? Una cosa molto bella è leggere e rispondere alle e-mail che ci arrivano all’indirizzo [email protected]. Una cosa piccola come una canzone può muovere energie profonde. In questo sono importanti il testo quanto la musica, la voce di Raffaella (Misiti, NdI) e i suoni di ognuno. Il fatto che molte persone conoscano i brani a memoria e li cantino con noi nei concerti mi fa sentire responsabile e mi impone riconoscenza e attenzione. La cultura è tutto ciò che ci resta, dopo l’affossamento di economia, politica, sensibilità sociale, e ahimé, democrazia. Chi fa arte ha la possibilità di ri-attivare micro-pezzettini dell’anima collettiva, ma non deve stupirsi se il mercato, dominato da pochi monopolisti e dai pubblicitari, lo emarginerà e censurerà. Ci vuole un po’ di follia e cocciutaggine, e anche un grande amore per la musica e la libertà. Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Gianluca Veltri Contatti: www.acustimantico.it Appaloosa Dopo il debutto omonimo nel 2002 e un cambio di etichetta, esce ora per la Urtovox (con distribuzione Audioglobe) “Non posso stare senza di te”, secondo album degli Appaloosa. È un peccato non riuscire a rendere l’accento e i modi colorati attraverso i quali Niccolò Mazzantini, che della band livornese è bassista e chitarrista, parla delle origini del gruppo e dell’evoluzione del suo suono, assestatosi attorno ad una formula strumentale nella quale alle suggestioni tipiche del post-rock si sono aggiunte quelle provenienti dall’elettronica. Poco male, comunque, perché per divertirsi bastano le dieci tracce contenute nel disco, dove agli intellettualismi tipici di una proposta del genere si sostituisce una fisicità debordante e un groove che non potrà fare a meno di spingervi ad alzare i culetti dalle sedie e – ma sì! – mettervi a ballare. La storia degli Appaloosa passa attraverso vari cambi di formazione e altrettanti mutamenti nella vostra proposta musicale. Puoi riassumercela brevemente? Non è mica facile! Siamo partiti in quattro, con il classico assetto chiarra-basso-voce-batteria, tipico di ogni rock band. Eravamo piccini, avevamo diciassette anni, e il nostro sound era molto influenzato dal grunge. Poi abbiamo iniziato ad avvicinarci a gruppi come i Primus, cominciando a usare la voce soltanto per alcune parti recitate all’interno delle canzoni, fino ad arrivare ad abolirla completamente nel 1998, quando siamo rimasti in tre. Nel 2000 è entrato nel gruppo il nostro attuale batterista, Marco Zaniniello, e nel 2002 abbiamo pubblicato il nostro primo disco grazie a Ondanomala, l’etichetta che fa capo ad Arezzo Wave. …ma non finisce qui! Assolutamente no! Due anni fa si è aggiunto a noi Simone di Maggio, che si occupa principalmente delle parti elettroniche. Il nostro scopo è quello di costruire pezzi d’impatto, fondendo la componente fisica del rock con quella elettronica, e con il suo ingresso nel gruppo il nostro suono sta assumendo un’identità sempre più precisa. E a tutti quelli che hanno già catalogato gli Appaloosa alla voce math-rock cosa rispondete? Gli Appaloosa sono un gruppo rock, niente di più e niente di meno. Il fatto è che le nostre canzoni, spesso, sono costruite “a blocchi”: otto giri, poi dodici, poi ancora otto, e via così. Ecco, forse questo si chiama math-rock, ma il punto è che io del math-rock non conosco neanche la definizione! E se me la dici, non saprei indicarti neanche un gruppo che suona math-rock. Mica è roba tipo i Couch? Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Tra le vostre influenze citate NoMeansNo, Shellac, Kraftwerk e Aphex Twin. Nessun riferimento a nomi come i Rapture, protagonisti dell’attuale revival della scena dance-rock. Non potrebbe essere altrimenti visto che, anche se è stato registrato a maggio, questo disco bolle in pentola da quasi due anni. I Rapture mi piacciono, ma li ho scoperti da poco. Musicalmente le nostre influenze provengono dagli anni ‘70 di Zappa e del prog-rock meno deleterio (Soft Machine, King Crimson), e da band più moderne come i Fugazi, piuttosto che dalla attuale scena electro-rock. I nostri pezzi nascono in sala prove, a partire dall’improvvisazione, e non ci poniamo il problema di appartenere a una scena o a un genere preciso. Cerchiamo di sviluppare un sound tutto nostro, anche se – è ovvio – non si tratta di inventare niente di nuovo. I nostri brani sono molto diversi tra loro, per questo è facile quindi trovarci dentro le influenze più disparate. Trovo sia bello, però, riuscire a far convivere canzoni diverse tra loro anche all’interno dello stesso album. Come descriveresti allora il suono degli Appaloosa, senza tirare in ballo paragoni ingombranti? Direi che cerchiamo di costruire un tappeto dinamico sul quale gli strumenti a corda si sovrappongono, passano uno sopra all’altro e si intrecciano per riempire di colori e di pennellate diverse ogni singolo brano. Ogni pezzo nasce con l’intento di trasmettere una sensazione precisa, anche se poi ogni persona deve potersi identificare al suo interno come più gli piace. È raro ascoltare musica dalla struttura “geometrica” come la vostra associata a un suono così caldo e naturale. Il nostro problema più grande è sempre stato quello di riuscire a mettere su disco il suono che tiriamo fuori dal vivo. A tal proposito, è stato importante entrare in studio di registrazione dopo aver abbondantemente provato i pezzi in sala prove, in modo tale da averne la completa padronanza. I bassi e la batteria del disco sono stati registrati tutti in presa diretta, e soltanto nei pezzi più elettronici le tracce di organo e synth sono state sovrapposte in un secondo momento. Anche in quei casi, però, abbiamo cercato di filtrare tutti i suoni attraverso degli amplificatori valvolari. Avere Giulio Favero in cabina di regia, in questo senso, è una garanzia. È come prendere i tuoi soldi e metterli in banca, al sicuro. Finalmente, si può dire che dentro questo disco c’è il suono degli Appaloosa, in tutta la sua ruvidità e in tutte le sue sfumature. Molti dicono che l’ironia degli Appaloosa sia da ricercare nel contrasto tra la musica che propongono e i titoli di canzoni come “Brigidino” e “Metal alle Hawaii”. Io, però, ascoltando “4 Women” non posso fare a meno di pensare a un b-movie degli anni ‘70 con Tomas Milian… Certo, noi l’ironia proviamo a mettercela anche dentro le canzoni! I titoli, poi… beh, quelli sono casuali. “La Roby”, per esempio, è una tipa che vive a Livorno. Forse è straniera, non lo so con precisione. Lei è una punkabbestia assurda, ed è una persona ignorantissima. La chiamano tutti “la Robbby”: devi pronunciarlo proprio così, con tre “b”, la voce aggressiva e una mano che graffia. Ecco, poiché il nostro è un pezzo molto dolce, abbiamo pensato di dedicarglielo con tutto il cuore! Durante i Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 nostri concerti, usiamo delle videoproiezioni per ogni canzoni. Si tratta di video realizzati dal nostro amico Martino Chiti e da Marco, il nostro batterista. Il video de “La Roby”, ad esempio, è la storia-documentario di un gabbiano che arriva in Piazza della Repubblica, a Livorno, e si mangia un piccione vivo, svuotandolo come un uovo di Pasqua. Bello, no? Enzo Zappia Contatti: www.appaloosarock.net Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 (P)itch Centro Sociale Spartaco, Ravenna, 13/1/2006 Per un gruppo come i (P)itch, spentosi in gloria dopo appena due dischi, la data del Centro Sociale Spartaco poteva essere una buona occasione per riprendere le fila di un discorso iniziato con le giuste premesse nel ‘97 e interrottosi inaspettatamente due anni dopo. In parte perché la dimensione live si era rivelata in più di un’occasione un asso nella manica per i suoni anoressici ma coinvolgenti della band, in parte perché il materiale proposto, pur nella sua semplicità, aveva saputo conquistarsi, nel tempo, consensi sempre maggiori. Quale sorpresa quindi, nell’apprendere che la re-entry dei (P)itch, oltre a non prevedere alcuna incursione in “Bambina atomica” o “Velluto”", sceglie coscientemente di abbandonare la lingua di Dante schierandosi a favore di dichiarate passioni anglofone. Una scelta – temporanea? – accompagnata da una netta sterzata nei suoni, che nello specifico, donano nuova dignità ad un’attitudine noise presente anche in passato nelle corde del gruppo ma sempre soffocata in favore delle più marcate inclinazioni punk. Geometrie strutturate, elargizioni generose di dissonanze, brani sopra i tre minuti, smaccata propensione al dialogo tra i musicisti: questi sembrano essere i punti fermi dei nuovi (P)itch, che si debba parlare per il gruppo di vera e propria rifondazione o semplice reunion. Una seconda vita artistica di cui è impossibile valutare i pro e i contro nell'immediato, né garantire il lungo corso, ma che sembra comunque dimostrare una ritrovata armonia e voglia di mettersi in gioco. Fabrizio Zampighi Amari Jail, Legnano (MI), 20/1/2006 Una band sulla bocca di tutti, gli Amari. Nonostante il recente “Grand Master Mogol” sia il loro quarto disco, è il primo che li sta davvero facendo conoscere in giro per l’Italia. Merito sì del tam-tam mediatico che dalla scorsa estate ha investito nell’ordine blog, webzine e riviste, ma anche di un lavoro sorprendente per qualità di scrittura e nitidezza sonora. Il risultato è un Jail non pienissimo ma discretamente popolato da un’attenta platea di appassionati di indie nostrano, pronta a cantare e ballare per l’ora abbondante di concerto proposto dai cinque friulani. Ovviamente, “Grand Master Mogol” domina la scaletta, con buona parte di quei brani che i presenzialisti spillettati già mandano a memoria: “Bolognina Revolution”, “Conoscere gente sul treno”, “Tremendamente belli”, “La prima volta”. Quello che stupisce, nonostante l’acustica non certo magnanima del Jail, è la padronanza con Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 cui la band gestisce il proprio ricco patrimonio sonoro. Ogni canzone viene replicata in ogni sua piccola sfumatura: dalle chitarre distorte ai fruscii figli di una certa indietronica alla 13&God. Ma, alla fine, che musica fanno gli Amari? Definirlo hip-hop solo per le parti rappate sarebbe riduttivo, perché gli arrangiamenti sono figli della musica indipendente a tutto tondo che include sicuramente degli elementi di certo rap oltranzista (tipo cLOUDDEAD), ma toccano anche territori cari a un post-rock prima maniera (la bellissima “Whale Grotto”). E il tutto viene riproposto con efficienza e consapevolezza dei propri mezzi. Forse troppa. L’unica cosa che si può contestare agli Amari è appunto una mancanza pressoché totale di ingenuità e naïveté, che genera un certo distacco col pubblico – che non sono certo le centinaia di palloncini presenti sul palco a diminuire. Hamilton Santià Der Bekannte Post-Industrielle Trompeter Linux Club, Roma, 11/1/ 2006 Der Bekannte Post-Industrielle Trompeter: era senz’altro ironico il leader dei Der Blutharsch, Albin Julius, quando attribuì l’epiteto di notorietà al nostro Flavio Rivabella. In effetti, considerate le deliranti sperimentazioni a cui si sarebbe poi prestato il trombettista nei propri percorsi da solista, tutto gli sarebbe potuto capitare ad eccezione del diventar famoso. Che poi l’artista romano si sia un po’ montato la testa è un altro paio di maniche. Fatto sta che da due anni a questa parte le sue allucinate visioni hanno trovato estimatori un po’ ovunque: dal Canada, dove è stato prodotto il suo ultimo album intero (“The Outstanding Story Of Mr. Mallory”), alla Germania. Recentemente proprio sul mercato teutonico sono stati immessi due split con la band di Brema F.T.B.D.: un primo su vinile a 45 giri e un altro a tiratura limitata su doppio cd a 3”, peraltro realizzato con una confezione sbalorditiva studiata appositamente per mandare i collezionisti fuori di testa. Ma il Bekannte ha saputo raccogliere anche la benevolenza dei suoi colleghi più istrionici, aprendo il progetto ad ogni sorta di collaborazione: tra le note dei suoi dischi, infatti, ricorrono spesso i nomi di Lendormin, Novy Svet, Mushroom Patience, Marco Deplano, ClauDEDI, Madrigali Magri, ecc. Per il concerto al Linux – piuttosto gremito, se non altro per l’intervento di amici e colleghi – la line-up godeva della presenza di Consuelo, già voce di Pulcher Femina, per l’occasione conciata con un toppino artigianale sostenuto da nastro isolante nero (ingegnosa soluzione fetish non proprio adeguata alle forme longilinee della ragazza). Il Rivabella ha indossato il suo ultimo modello di occhiali psichedelici e ha iniziato a dispensare storture minimali per circa un’ora. Bisognava starci. E in fondo, nel bene o nel male, è stato divertente. Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '06 Fabio Massimo Arati Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it