Numero Marzo '06 EDITORIALE Benvenuti a tutti nel nuovo numero del nostro inserto virtuale dedicato al panorama “emergente, autoprodotto, esordiente, sotterraneo, di culto” italiano. Un appuntamento che, come da abitudine ormai consolidata, vuole fare il punto su quanto di più interessante succede in ambito tricolore, soffermandosi con attenzione su quei nomi che solitamente vengono ignorati dagli organi di informazione, per così dire, istituzionali. A tal proposito, noterete che questa volta, oltre alle consuete interviste e a un reportage live dei Northpole, le recensioni sono presenti in un numero particolarmente alto. Questo perché, in barba a un mercato sempre più contratto, negli ultimi mesi le produzioni sembrano essere cresciute esponenzialmente. Il che, se da un lato è un positivo segnale di vitalità, dall’altro ci porta a un lavoro di selezione “a monte” ancora più attento e scrupoloso. A tal proposito, per facilitarci (e facilitarvi) ulteriormente le cose, vi invitiamo a spedire copia del vostro CD agli indirizzi di entrambi i curatori di questo spazio (li trovate seguendo il link “Per invio materiale”) e, se possibile, ad almeno uno dei collaboratori, magari quello che trovate maggiormente in sintonia con quella che è la vostra proposta. E, anche se – per evidenti questioni di tempo e spazio – non tutto potrà essere recensito, vi possiamo garantire che ogni disco sarà ascoltato e vagliato con la massima attenzione. Ciò detto, ci sarebbero da segnalare molte altre cose, a partire dalla possibilità per voi lettori di esprimere – tramite un semplice sistema di voto – il vostro apprezzamento per ognuno degli articoli presenti sul sito del Mucchio, ma lo spazio è tiranno, quindi approfondiremo il discorso in uno dei prossimi editoriali. Per il momento, non mi rimane che augurarvi buona lettura e, naturalmente, buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Bob Corn Songs From The Spiders House Fooltribe Tiziano Sgarbi è una persona che, ogni volta che la si incontra, sa trasmettere una serenità tutta particolare. Appassionato, entusiasta, ma anche incredibilmente umile – tanto che, durante il festival “Musica nelle valli” da lui organizzato, non lo si vede nel backstage a pavoneggiarsi, ma fuori a fare il parcheggiatore. Senza mezze misure, è grazie a persone come lui che la musica realmente alternativa ha saputo guadagnarsi un certo seguito anche da queste parti. Non stupisce, allora, che la sua musica sia esattamente come ce la si aspetta, conoscendolo: onesta, genuina e sostenuta da una forza inarrestabile – la forza dei sentimenti veri. Armato ancora una volta di una sola chitarra acustica, e aiutato da un pugno di amici tra cui Giulio “Ragno” Favero, Tiziano – anzi, Bob Corn, come si fa chiamare quando sale sul palco – ha composto e interpretato una raccolta di ballate minimali e toccanti, in cui la semplicità della forma non fa che sottolineare ulteriormente la nuda sincerità dei contenuti. Canzoni scritte pensando a delle ragazze, come esplicita l’autore stesso, esattamente come quelle contenute nel precedente, splendido “Sad Punk And Pasta For Breakfast” (2004), del quale rappresenta la naturale prosecuzione. Ora come allora non possiamo che chiudere la recensione con un invito: non limitatevi ad ascoltare – e, inevitabilmente, ad amare –“Songs From The Spiders House”, ma consigliatelo anche a chi vi è più caro. Vi (e li) conquisterà con la delicatezza di un sussurro (www.fooltribe.com). Aurelio Pasini Mr. Henry Mr. Henry & The Hot Rats Suiteside-Pulver & Asche/Goodfellas Lo potremmo definire un indie bluesman molto sui generis Mr. Henry, all’anagrafe Enrico Mangione, cantautore catapultato da chissà quale luogo dello spazio-tempo nella provincia di Varese. Giunto a pubblicare il seguito di “Lazily Go Through”, debutto di un paio di anni fa su Ghost cui prendeva parte una buona parte della scena varesina, Mr. Henry omaggia allo stesso tempo Frank Zappa e la band che lo accompagna (Francesco Scalise e Paolo Grassi dei Midwest) nel titolo di questo disco. Una voce, la sua, che rimanda a certo cantautorato arrochito, da Tom Waits in poi (“No Sense # 91276”, marcetta polverosa, è effettivamente uno sfacciatissimo quanto riuscito omaggio al musicista statunitense), e che si inerpica attraverso canzoni che paiono essere state assemblate (“No-Sense # 69” è d’altra parte una Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 sorta di valzer farcito di campionamenti) rovistando nelle pagine più oscure e disturbate della musica d’autore americana degli ultimi quarant’anni. Ma sempre facendo affidamento ad una apprezzabilissima vena anarchica che gli consente di passare dal garage acido di “No-Sense # 5” ad una “No-Sense # 74” che rimanda a Mark Lanegan, dalla inaspettatamente funk “No-Sense # 1258” alla quasi appalachiana “No-Sense # 479”. Chiudono le danze i sette minuti di una “No-Sense # 0” che sa di deserto e di psichedelia fuori tempo e che gradualmente si trasforma in una sorta di composizione tra l’ambient e la musica concreta, prima di tornare alle sparse note iniziali. Trenta minuti sono più che sufficienti per lasciare il segno ( www.suiteside.com). Alesssandro Besselva Averame El Tres Folk And Roll TRS El Tres è la nuova creatura dell’underground torinese ideata e guidata dall’estroso chitarrista Mario Congiu (già al fianco di Mao, Lalli e Stefano Giaccone) e Roberto Bovolenta (Amici di Roland, fucina di talenti sabaudi in cui militarono anche tali Samuele Romano e Davide Di Leo) con l’aiuto di Vito Miccolis (percussionista: Tribà, Fratelli di Soledad, Mau Mau e Persiana Jones), il bassista “Lallo” Mangano (anche lui ex Amici di Roland) e il cubano Juan Sanchez (altre percussioni). La musica proposta dall’ormai quintetto è – appunto – un folk’n’roll che subito potrebbe addirittura ricordare le primissime cose di Adriano Celentano immerse in canzoni che derivano le proprie immagini dalla vita quotidiana in una città come Torino. Ne sono emblemi “All’aria aperta”, “Cuore spezzato” e “DJ”. Il gruppo dimostra di saperci fare e il merito può essere individuato nella grandissima esperienza delle forze chiamate in causa e di una scritture frizzante ed ironica che ben si mescola alle sornione trame musicali a metà tra i Violent Femmes e una banda di mariachi ubriachi che si ritrova alle Cantine Risso a suonare fino alla mattina. Se poi El Tres diventerà l’ennesimo – godibilissimo – fenomeno legato agli usi e costumi della città di Torino sarà il tempo a dircelo. Per quello che riguarda la musica in senso stretto, “Folk And Roll” è divertimento allo stato puro (certo, a volte affiora un po’ di malinconico realismo come nella già citata “Cuore spezzato”), e la band ha certamente la caratura per sapersi trovare il proprio spazio all’interno del panorama musicale. Per lo meno sotto la Mole – che non è poco (www.eltres.it). Hamilton Santià Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Nicola Alesini F.D.A. il manifesto Mica facile rifare Fabrizio De André. Sì, perché “F.D.A.” questo significa. E quando l’originale ha troppa personalità, l’interprete ha molto da perdere. Ma Nicola Alesini ha scelto questa scommessa perché non ama le scorciatoie. Le melodie faberiane sono patrimonio di tutti come l’aria; occorreva una sensibilità elusiva, che le trattasse con rispetto non retorico. Alesini ribalta la voce del grande genovese nei suoi sassofoni, con accompagnamento di campionamenti elettronici ambientali, regalando nuovi scorci e risonanze inedite. Convinto dal biografo di De André, Luigi Viva, Alesini – trascorsi con Sylvian, Roedelius, Harold Budd – ha messo mano al catalogo, con esiti decisamente interessanti e assai poco scontati. Il repertorio faberiano è attraversato da fasci di luce nordici: attesa e sospensione in “La ballata degli impiccati/Inverno”, tappeti di stridore in “Il testamento di Tito”, deferente ma ben distante da una riconoscibilità esposta. “La canzone di Marinella” non l’avete mai sentita così: la celebre melodia ondeggia su dissolvenze liquide, galleggia su armonie irrisolte; così pure il medley “La ballata del Miché/Via del campo” e “Il concerto di Aranguez” (che nel repertorio deandreiano diventava “Caro amore”) si compongono di pattern ritmici e armonici che non assecondano la linea del canto, creando un effetto straniante. Quattro inediti puntellano questo viaggio in solitudine nel primissimo De André; in uno di essi, “Per F. & L.” (L. è Luigi Tenco), ad accompagnare Alesini nell’unico brano non solo strumentale ci sono i Radiodervish (www.nicolaalesini.com). Gianluca Veltri Lubjan 1 [OneUno] Faier/Venus Due piccioni con una fava, direbbe qualcuno. “OneUno” segna infatti un duplice esordio: quello di Giovanna Lubjan, giovane cantautrice veneta da più parti additata come la next big thing italiana, e quello della Faier Entertainment, l’etichetta discografica messa su da Davide Sapienza, Paolo Pelandi e Tullio Lanfranchi. Come tutte le next big thing che si rispettino, anche Lubjan è destinata a dividere: di fronte ai ritornelli facili di “I Lose My Way” e “Hesitation” e alla produzione a tratti fin troppo patinata affidata all’ex Cousteau Davey Ray Moor, molti si chiederanno il perché di tanto clamore; per gli stessi motivi qualcun altro sarà pronto a tesserne le lodi, con le radio e il grande pubblico pronti a premiarne la scelta in un futuro neanche troppo remoto. “OneUno” ricorda infatti da vicino l’esordio di Elisa, non Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 soltanto per la voce di Lubjan, e l’impressione è che l’autrice padovana possa ripercorrerne le tappe. Dentro il suo debutto, infatti, c’è lo stesso mix di innocenza, sfrontatezza e ingenuità che se da un lato le permette di scrivere canzoni bellissime come “There’s No Rain” e “What Is Past Can Hurt No More”, dall’altro rende ancora incerto il passo circa la direzione da affidargli. I brani di Lubjan attingono dal folk e si vestono di pop, proprio come quelli di Suzanne Vega, dei quali possiedono il respiro largo e le melodie aperte, ma non (ancora) l’eleganza e la sensualità. Siamo sicuri, tuttavia, che è solo questione di tempo e che di Lubjan sentiremo ancora parlare, non soltanto sulle pagine delle riviste specializzate (www.lubjan.com). Enzo Zappia Thomas Hand Chaste Uno nessuno centomila New LM/Masterpiece Sono passati quasi tre decenni da quando Thomas Hand Chaste muoveva i primi passi artistici nei Death SS, band pesarese salita poi alla ribalta della cronaca grazie a un rock occulto e ossianico, dominato dalle personalità del chitarrista Paul Chain e del cantante Steve Sylvester, quest’ultimo ancora oggi leader assoluto della formazione. Thomas ha poi attraversato gli anni ’80 e ’90, contribuendo a numerosi progetti, incluse le carriere soliste dei due suddetti compagni d’avventura, e scoprendo successivamente la seduzione degli studi di registrazione, tanto da aprirne uno, il Four Sticks, dove collauda, filtra e scopre, nuovi mondi sonori. Da questo magma di esperienze e da una rinnovata vitalità compositiva prende spunto questo esordio a proprio nome, quasi interamente assemblato dal titolare, salvo pochi interventi esterni. Undici tracce completamente strumentali, salvo rari inserti sussurratati; suoni ora scarni, ora voluttuosi che si intrecciano tra rimandi di elettronica, dark-wave apocalittica e piccoli assembramenti di free jazz, in un girovagare tra la storia, “quella con S maiuscola”, recita la biografia, “prima che tutto accadesse, prima del bagno di sangue, prima degli orrori e degli errori”. Definizione enigmatica e criptica, che titoli come “Electra”, “Concerto di fabbriche”, “Caporetto” o “Zang Tumb Tumb” non chiariscono di certo, ma che senz’altro lascia la porta aperta a più interpretazioni. Un lavoro cupo e affascinante (www.crotalo.com). Gianni Della Cioppa Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Gruppo Elettrogeno Varietà di ricette per una sana alimentazione Core-T-Zone/Edel Gruppo Elettrogeno, ovvero come riuscire a trasformare la musica in un pranzo completo, con tanto di primo, secondo, contorno, frutta e dolce. Una “Varietà di ricette per una sana alimentazione” capace di stimolare l’appetito con spruzzatine di funk, far aumentare la salivazione grazie a condimenti sintetici, riempire lo stomaco con un brodo caldo di buon vecchio rock bollito e liberare il ruttino finale dopo una scorpacciata di disco music. Stili differenti che si trasformano in una trottola dal moto perpetuo con lo scopo dichiarato di deridere i puristi; suoni limpidi pronti a scandalizzare gli amanti del lo-fi e al tempo stesso solleticare la fantasia; un menu a base di piatti elaborati ma mai troppo cerebrali. A rendere merito alle potenzialità tecniche degli “elettrogeni” pensano brani come “Il circo di Barnum” dove chitarre in distorsione, beat e melodie appiccicose sputano adrenalina a palate, “Solo 1 cosa”, sospesa tra coretti alla Michael Jackson e ritmiche da Studio 54 o “A.c.r.onimi”, esperimento dalle forbite tessiture strumentali e liriche. Un morphing autoreplicante che rende omaggio ai guru del genere Elio e le Storie Tese in “Chissà” – brano a cui lo stesso Elio presta la voce –, chiama a raccolta Eugenio Finardi nella “spaziale” “Omino” o si concede un rispettoso inchino davanti alla “Spaghetti a Detroit” di Fred Bongusto ( www.gruppoelettrogeno.it). Fabrizio Zampighi Gerson Il Miracolo Tube/Venus Chissà a quale “miracolo” si riferiranno i Gerson che così hanno voluto intitolare il loro secondo disco; difficilmente si tratta di un omaggio ai Queen, sbeffeggiati con un artwork che ricorda, e ridicolizza, il loro omonimo album, ed è altrettanto improbabile che alludano alla “felice” situazione italiana. Molto più probabilmente si tratta invece dell'ennesima stilettata, simile a quelle di cui son pieni gli undici pezzi contenuti all'interno. Punk rock grintoso ed irriverente fin dall'iniziale “Tua madre è preoccupata”, con testi in italiano sagaci e mai banali per una registrazione senza fronzoli ad opera di Steve Colla e Andrea “Grunt” Giudici. Ecco allora che si riscopre il piacere di una sezione ritmica secca e senza fronzoli e dei classici tre accordi con “Trappola per topi” – con un testo che non possiamo non condividere – e “Overdose da tubo catodico”, il cui titolo dice già tutto. Si rifanno a vent'anni di rock stradaiolo ma, proprio per questo, riescono ad avere Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 un sound proprio (merito anche della voce abrasiva di Paolo), e “Il Miracolo” mette a frutto i due anni spesi sui palchi d'Italia risultando molto più coeso e riuscito dell'esordio. Non cambierà il mondo, ne ha la pretesa di farlo, ma forse un piccolo miracolo, con la minuscola, i Gerson son riusciti a farlo (www.tuberecords.it). Giorgio Sala Fr Luzzi Happiness Is An Overestimated Value Arab Sheep L’attenzione degli indies verso cantautrici come Cat Power e Françoiz Breut ha riacceso - ormai da quasi un lustro - l'attenzione verso un tipo di musica che ha sempre saputo offrire abilissime paladine. Non sono molte invece le ragazze che, in Italia, hanno abbandonato la gentilezza della lingua di Dante per cimentarsi con la più internazionale parlata d’Oltremanica. Ma il successo di Violante Placido (se per effettivi meriti artistici o per altro non sta a noi deciderlo) può aprire spiragli a cantautrici di talento che rischiano di restare nel sottobosco dei soliti quattro gatti: Francesca Luzzi da Udine, ad esempio. Il tocco gentile di un folk-pop vellutato, venato di malinconia, che rimanda alle delicatezze di Isobel Campbell e Nina Nastasia è la materia fondamentale di “Happiness Is An Overestimated Value”, esordio della Luzzi per Arab Sheep, interessante collettivo friulano dedito alla promozione di musica low profile. Infatti, i trentaquattro minuti di questo disco, sono all’insegna della discrezione e della “sottrazione”: ogni arrangiamento e ridotto al minimo e i toni non sono mai più che sussurrati. Sia quando dipingono frizzanti acquerelli tropicalisti (“Human Race”, “Sugar Family”), sia quando fanno i conti con una tensione elettrica che rimanda addirittura a Shannon Wright (“The Ferry Sea”). Un intimismo che quasi dispiace infrangere, ma che saprà regalare i suoi buoni momenti di coinvolgimento. Francesca Luzzi ha appena cominciato il suo percorso ma sembra già conoscere la sua strada (www.arabsheep.it). Hamilton Santià Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Ianva Disobbedisco! Il Levriero/Audioglobe Il rischio di essere fraintesi è davvero dietro l’angolo. Ma di fatto è uno degli album più belli e controversi, che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi. Il progetto Ianva, guidato da Mercy (Malombra, Helden Rune, Il Segno Del Comando e Zess) e Stefania T. D’Alterio, la dama dietro i ben accolti Wagooba, muove infatti la memoria verso un tempo che, in Italia, è sempre arduo affrontare. Anni di guerra e dolore, di sogni, utopie e voglia di cambiare, tra desideri irrealizzabili e ingenuità. Era l’Italia futurista, dove esistevano manuali per sedurre donne, per danzare e per creare arte. L’interpretazione musicale è competente e i brani avanzano rievocando tratteggi sonori del periodo, con la tradizione italiana addobbata di malinconia dark, con le voci di Mercy e Stefania che si scambiano il proscenio, con delicata armonia, con interventi di tromba, fisarmonica e flauto. I testi sono figli di una documentazione notevole, come palesano alcune introduzioni ricavate da notiziari radiofonici dell’epoca e come dimostra il booklet, ricco di notizie e foto ricavate da vecchi archivi. Non ci sono schieramenti o posizioni negli Ianva, c’è un avanzare malinconico e bellissimo, che sembra pesare sulle coscienze di tutti noi, trascinato da canzoni, che raramente ho sentito così vicine ai fatti. Prova ne sono “La Ballata dell’ardito”, “XX – IX MCMXIX: di nuovo in armi”, “Il tango della Menade” (dove Gabriele D’Annunzio è interpretato dall’ospite Andrea Chimenti, nella presentazione di Elettra Stavlos), “Traditi”, “Sangue morlacco”, fino a “Muri d’assenzio”. Un concept album avventuroso, che forse farà discutere e per questo assolutamente da non trascurare (www.illevriero.it). Gianni Della Cioppa Runaway Totem Pleroma Musea Se non fosse per i testi in italiano sarebbe assai improbabile identificarne la provenienza: il cult project almeno decennale Runaway Totem, misteriosa entità aliena debitrice degli impareggiabili francesi Magma (fatalmente francese è anche la storica label Musea che pubblica “Pleroma”) non ha eguali nell’ambito rock nazionale, fatta eccezione per l’altrettanto fascinosa confraternita dell’Universal Totem Orchestra, ensemble più recente proveniente dallo stesso humus. Non sveliamo dunque l’arcano dietro gli pseudonimi di Cahal de Betel (voce, chitarre, basso, synth, sampler, sequencer) e Tipheret (batteria, tastiere): lontano anni luce dalle trite schermaglie rock, una volta varcata “La porta del Duat”, primo brano di Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 oltre diciotto minuti, ha inizio il viaggio dell’anima disgiuntasi dal corpo, attraverso gli inferi de “Il lago di fuoco”, protesa nell’ascesa purificatrice verso i Campi Elisi. Voci austere, chitarre sabbathiane ulteriormente allucinogene, oscure e filmiche enfasi tastieristiche, citando “Il libro dei morti degli antichi egiziani” (“Abisso delle acque”), accompagnano un viatico solenne ed esoterico, in un susseguirsi di rabbrividenti scenari – caleidoscopio vorticoso, ossessivo, tenebroso, mai frenetico. L’effetto è davvero rapente: un coinvolgente magnetismo che riesce a mantenere vive tensioni e suspence per oltre un’ora come potrebbe accadere con un buon film dall’analogo contenuto. La dimensione audio regge straordinariamente il confronto con quella visiva. Un piccolo miracolo (il quinto per i Runaway Totem)… tuttavia all’italiana ( www.runawaytotem.com). Loris Furlan Mircomenna Ecco Storie di Note Alla seconda prova Mircomenna conferma una cifra cantautorale felicemente indecisa tra attrazioni popolaresche e scrittura ricercata. Intanto canta Genova (un’altra “Genova”?) senza tentazioni sloganistiche. Merito anche di Fernanda Pivano, che introduce la suite “Lacrime e sole” solcando i campi con la lapidarietà dei poeti non pentiti, tra “idee troppo nuove per essere chiare” da una parte e “idee troppo ostili alla vita e all’amore” dall’altra parte. Tiè. L’album è sprizzante, salta dallo scherzo in levare di “Normale” alle “Audaci rotte”, che sembra un incontro tra De André, Boccaccio e il Parto delle nuvole pesanti. Parto che arriva davvero, infine, in “Sull’ultime soglie”, una sorridente filastrocca di sensi e numeri sulle “ultime volontà”, che probabilmente è l’ultimo documento di Peppe Voltarelli col suo ormai ex-gruppo. Poi c’è anche una ballata andina in 5/4 (“Santa non è”), una suite – “Il volo di Icaro” – che si divide tra un brano tiraneggiante (con una “n”) con quintetto d’archi, “Quanto ci vuole”, e l’amareggiata “L’oro dei fessi”; il quasi-fado di “Beghine”, che cita Stefano Benni (“è vero la gente è cattiva/ ma non tanto più cattiva di noi”) e i fiati bandistici d’introduzione a “La sfinge in cui si sta”, un arguto swing tropicale con un coro di dieci voci ( che canta “nel momento più bello il lupo accusa l’agnello”). Le notturne “Fantasmi solamente”, che profuma d’Argentina, e “Maldiluna”, ispirata a Pirandello, ci svelano un volto musicalmente più intimista di Mircomenna (www.storiedinote.com). Gianluca Veltri Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Sunday Morning Take These Flowers To Your Sister… Midfinger/Venus Riuscito ibrido tra twee pop, slowcore atmosferico e impennate epiche che fanno venire in mente certe cose dei primi Coldplay, la musica dei cesenati Sunday Morning approda per la prima volta su album dopo l’assaggio di un EP disponibile gratuitamente sul sito della Midfinger, i cui quattro brani sono ora inclusi su questo “Take These Flowers To Your Sister…”. Un lavoro che punta tutto sui dettagli sonori e su una scrittura lineare ma ricca di spunti interessanti. L’iniziale “Riding Place” delimita subito il territorio musicale in cui ci si muove, con una ambientazione vagamente elettronica che apre la strada ad una voce tenue ma decisa, struggente senza cadere nella buca della stucchevolezza, e una batteria precisa e spaziosa su cui si adagiano arpeggi e veli di distorsione psichedelica dal vago sapore shoegaze. Emotivo l’impatto, buona la scrittura e suggestive le atmosfere. Il tenore dei brani non subisce significative variazioni in seguito, anche se meritano senz’altro una citazione la più movimentata “Ellis”, con chitarra battente, voce maschile e femminile che si rincorrono su un tappeto di tastiere e fiati che rimpolpano il tutto, la folkeggiante “From The Basement”, che prende quasi subito le movenze di un blues disperato guidato dall’Hammond, scheggia Sixties insinuatasi senza colpo ferire nel corpo dell’album, e ancora la pianistica e conclusiva “Like You Do”, torch song alla Radiohead che si perde in uno spazio irrealmente dilatato, “exit music” di grande suggestione (www.midfinger.net). Alessandro Besselva Averame Deadwalk Super Boring Music Derotten Bisogna ammettere che ci vuole una certa dose di humour, e autoironia per intitolare un disco “Musica super noiosa”. Responsabili di questa scelta i Deadwalk, ovvero quattro ragazzi dell’hinterland Cremonese che, dopo un esordio datato 2002, approdano alla Derotten con questo “Super Boring Music”. Salta subito all’orecchio il gioco di rimandi tra le due voci, quella maschile di Marce e quella femminile di Pat, purtroppo però quello che poteva essere un punto a loro favore è vanificato dal fatto che la vocalist ha ormai abbandonato la band, come apprendiamo dal (curato) booklet. Quello che rimane è un misto eterogeneo di riff hard, ritmiche altalenanti tra hardcore e rock e qualche accenno al metal, soprattutto per quanto riguarda certe sonorità chitarristiche; la parentela più prossima potrebbero essere i Gorilla Biscuits, cui prendono in prestito anche l’intro di “Empty Head, Empty Words”. La Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 registrazione, targata West Link di Pisa, è impeccabile, e personalmente apprezzo la grinta del vocalist e la precisione del resto del gruppo. Rimane però irrisolta la questione-personalità: in questi quattordici episodi non ne troviamo poi molta, eccezzion fatta per “Bad Violins” e “No More Broken Dreams”, giocata su ritmi più lenti e lirici; il resto del lotto non riesce invece a emergere e, pur non essendo affatto noioso, il disco non decolla. Non ci resta quindi che sospendere il giudizio, in attesa di una prova futura che – crediamo – possa cancellare ogni appunto mosso in questa sede (www.deadwalk.net). Giorgio Sala Hana-B Camera obscura Operà Studio/Venus Siamo fermamente convinti che la ricerca di un certo tipo di visibilità da grandi numeri senza per questo compromettere la propria credibilità sia una delle sfide più insidiose che un gruppo pop-rock possa intraprendere. Per ogni Subsonica che ce l’ha fatta ci sono infatti tanti Velvet o Le Vibrazioni che hanno sì venduto tanto, venendo però considerati dalla critica come fenomeni commerciali più che artistici. Ne sembrano perfettamente consci i piemontesi Hana-B, che per il loro debutto hanno fatto le cose veramente per bene: suoni accattivanti e potenti al punto giusto, cura per i dettagli (anche grafici) e, ad arricchire ulteriormente il piatto, una serie di ospiti prestigiosi come Fabrizio Bosso (tromba), Fabio Gurian (archi) e, in un paio di episodi, il produttore Roberto Vernetti. Di conseguenza, “Camera obscura” si rivela sì orecchiabile – a tratti persino ammiccante – ma non scontato. Intrisi di una malinconia non troppo opprimente, e a tratti attraversati da una certa vena di epicità chitarristica, molti dei brani al suo interno paiono guardare apertamente al mondo dei grandi network radiofonici, e onestamente le varie “La stanza” (nonostante un cantato un po’ troppo alla Francesco Renga ultima maniera), “Nervi”, “In vortice” o “Autoemozionalità” vi farebbero una discreta figura. Alla sensibilità di ognuno decidere se si tratti di un merito o di una colpa, senza comunque mettere in discussione l’onestà degli intenti. È invece da dimenticare in fretta una “Eleanor Rigby” che tradisce completamente lo spirito dell’originale (www.hana-b.it). Aurelio Pasini Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Outisider Waiting Inside Midfinger/Venus Ci sono varie versioni sulla libertà artistica e sono tutte abbastanza valide. Insomma, non saremo certo noi ad impedire a dei ragazzi di suonare la musica che preferiscono, soprattutto quando sembrano essere davvero convinti dei loro mezzi. L’unico problema è che a volte i dischi bisogna giudicarli. Insomma, non c’è niente che non va in “Waiting Inside” degli Outisider, ma è anche vero che coi mezzi e il bagaglio storico-musicale di cui oggi si dispone è quasi più difficile fare un disco veramente “brutto” che uno davvero bello. Questo per dire che il suddetto lavoro si può senza problema instillare nella colonna dei “senza infamia e senza lode”, ma non ambisce ad altro. Perché proporre la solita minestra riscaldata di post-grunge e metal “intellettuale” non solo non aggiunge niente all’esperienza d’ascoltatore del pubblico, ma non lo smuove, non lo invoglia a perseverare ed entrare dentro alla sue emozioni. E non è un discorso di genere, ma proprio di scrittura. Martellare un canovaccio ormai vecchio e abusato cercando di spremere gli ultimi spicchi che esso può offrire si rivela controproducente. Manca la personalità, insomma. Manca quel quid che rende un disco - seppur di maniera - gradevole e, in qualche modo, speciale. Insomma, impacchettare bene non serve quando la sorpresa non è del livello che si immagina e anche nel rock, destreggiare con sapienza le briglie tecniche di una forma espressiva non diventa vincolo automatico di qualità quando è l’ispirazione a mancare (www.outsidertheband.com). Hamilton Santià Jolaurlo D’istanti Tube/Venus Per capire a fondo chi e cosa sono gli Jolaurlo è necessario partire dal fondo. Prestando attenzione, una volta tanto, alla traccia ROM contenuta in “D’istanti”, infatti, si riesce a capire l’essenza di questi cinque ragazzi della provincia barese che non si fanno problema alcuno a giocare coi generi più disparati. Proprio questo è il segreto: mettere in un brano tutto quanto viene in mente, dai campionamenti alle chitarre in levare, senza porsi limite alcuno. Un segreto che i Nostri vanno divulgando dal 2000 e che, prima di questo esordio discografico, aveva già colpito i molti gruppi con cui hanno avuto modo di suonare - in particolar modo i partenopei Bisca che li hanno addirittura voluti in studio per una collaborazione artistica. Merito anche delle capacità di frontwoman di Marzia Stano: voce che potrebbe ricordare una Gwen Stefani incazzata e carisma impensabile per un’esordiente. Ma è tutto il Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 gruppo a passare l’esame, dimostrando in nove brani una maturità artistica già acquisita e idee a non finire, passando dalla rabbia dell'iniziale “Lasciami” ai cambi d'atmosfera di “Missione sottomissione”. Un disco ispirato, prodotto e registrato a Napoli da Vinci Acunto, e che speriamo non passi inosservato. Ci si potrebbe anche sbilanciare identificando negli Jolaurlo i più accreditati eredi di quella Napoli che musicalmente guarda al futuro, sostituendo alla militanza di 99 Posse, Bisca e compagni grandi quantità di disincanto. Ottimi (www.jolaurlo.it). Giorgio Sala Clark Nova So Young Ghost-Tube/Venus Ha una attitudine narcotica e lievemente febbricitante che ricorda i primi Flaming Lips questo album di debutto dei varesini Clark Nova, gruppo attivo con vari mutamenti di organico e di direzione musicale da una decina di anni, stabilizzatosi infine a quintetto cinque anni fa. Attitudine evidente in pezzi come “Mickey Mouse Was An FBI Agent” (una menzione particolare al suggestivo titolo cospirazionista), dove le chitarre si inseguono e la voce si sdoppia e si deforma, sullo sfondo una sezione ritmica pulsante e una serie di disturbi elettronici non identificati, e, su un versante più pop, l’efficacissima “The Poser”, che pare chiamare in causa i Placebo – ma è una semplice suggestione – per poi sporcarli di incrostazioni psichedeliche e chitarre disordinatamente fragorose, pronte a esplodere in mulinelli di distorsione ed effettistica assortita. La voglia di sperimentare non manca, a volte ci pare – ma è la primissima impressione – un po’ approssimativa ma è proprio questo suo essere approssimativa e instabile a renderla adatta ad intaccare il tessuto melodico dei pezzi, un contrasto che dà ottimi risultati, in particolare nella distorta e quasi bandistica “Diagonal 461, Barcelona”, impreziosita dall’intervento destabilizzante di una tromba. Se proprio volessimo trovare un difetto in questo disco dovremmo parlare di una certa uniformità nelle melodie, ma è una osservazione che passa decisamente in secondo piano rispetto all’efficacissimo linguaggio psichedelico dispiegato (www.clarknovatheband.com). Alessandro Besselva Averame Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Mardi Gras Drops Made autoprodotto/Goodfellas È “fatto di gocce” l’esordio sulla distanza lunga (diciamo media: 31 minuti) dei Mardi Gras. Dopo un EP pubblicato solo in Irlanda (“The Moon EP”, 2000) e un altro anche in Italia (“Ballads”, 2001), il duo si è fatto quartetto con l’innesto di una classicissima sezione ritmica: Davide Iacoangeli al contrabbasso e Alessandro Fiori alla batteria. Il progetto è ancora più compatto e la messa a fuoco certa: il cuore sonoro dei Mardi Gras è nella traslucenza cristallina, la voce di Silvia “Six” Olivares trasmette schiettezza e dolce determinazione, la naturalità risale dalle chitarre acustiche di Fabrizio Fontanelli e della stessa Six. Potrebbe essere una via italiana al New Acoustic Movement, anche se italiana per modo di dire, visto che la band romana si esprime nella lingua di Willy the Shake. Dispensa confidenzialità “Conversation”, presente anche in alternate version, ricerca verità nette “Untitled”. “High Alive” è filologicamente luddista nella riproposizione del vinilico fruscio, mentre “The Wait”, che racconta la pena di un condannato a morte, è stata eseguita a una conferenza di Amnesty International davanti a esponenti del governo americano. Gli accordi della chitarra si percepiscono senza veli – tutte le corde – come sulla spiaggia o, meglio ancora, nella stanzetta. Eterna testardaggine degli adolescenti, che rifugge da schermi e filtri come fossero il demonio. Qui si situa l’eterno dilemma: corre un capello tra sincera e spontanea freschezza da un lato, scontato e ingenuo candore dall’altra. Camminare su quel filo è affare da entusiasti equilibristi (web.tiscali.it/mardigras). Gianluca Veltri Marco Anzovino Canzoni ad occhi chiusi Artesuono La dimostrazione che è possibile essere cantautori classici sapendo guardare avanti arriva dal secondo album di questo ragazzo friulano. Marco Anzovino, dopo i primi consensi regionali dell’esordio che porta il suo nome, ha raggiunto importanti traguardi, guadagnandosi anche la stima di Gino Paoli, che ha definito il suo brano “Viaggiando su Marta” (vincitore del concorso “RadioRaiuno” nell’ambito del premio Recanati 2001), una canzone ricca di fantasia e buon gusto (qui in versione live come bonus). Mentre è storia recente la sua partecipazione a Brescia, ad una manifestazione in compagnia di personaggi del calibro di Umberto Tozzi e Irene Grandi. A metà tra la poesia di Fabi e Concato e la musicalità acustica di Cristiano De André (di cui possiede il medesimo approccio vocale, intenso e pacato allo Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 stesso tempo), il Nostro disegna dodici canzoni in bilico tra romanticismo e un tocco di ironia e giovinezza che fugge via – con ritornelli godibili, docili e mai banali, snelliti da arrangiamenti rotondi. La chitarra acustica è lo strumento guida, che si modella sinuosa sul cantato, di tanto in tanto appare l’incanto di un sax, di un contrabbasso, di una fisarmonica, di un pianoforte, per un insieme vellutato, di sicura emozione, come testimoniano “Fiore dal mare”, “Splendida”, “Lettera” e la sarcastica “D.J.”. Marco Anzovino, guidato dal produttore Stefano Amerio e da collaboratori qualificati, ci crede e spera di trovare un suo spazio artistico, ma a leggere i suoi testi, alcune volte leggermente ingenui, sembra comunque che si stia divertendo un mondo ( www.marcoanzovino.it). Gianni Della Cioppa Psychocandy Chiusi dentro autoprodotto Nonostante sia passato molto tempo da quando ho iniziato a scrivere di musica, non mi è ancora chiaro se “derivativo” sia un aggettivo dispregiativo e denigratorio oppure se, avvicinato al titolo di un qualsiasi album, serva – puramente e semplicemente – a descrivere quell’opera accostandola a un genere/artista più famoso. Mi piace pensare, nel momento in cui rifletto sulla circostanza che “Chiusi dentro” è un mini album (in totale cinque brani) appunto derivativo, alla seconda delle alternative: in effetti, il nuovo lavoro degli Psychocandy – il primo demo, “Scream Again”, raccoglieva quattro composizioni – riporta, anche a un ascolto distratto all’epopea del grunge, all’inizio degli anni Novanta, ai camicioni di flanella, a etichette come la Sub Pop e la Sympathy For The Record Industry, ai Nirvana, ai Soundgarden e a Tad. Il loro è un suono voluminoso, ricco, compatto, che trae il proprio ritmo dal vigore delle chitarre, che riescono a salire in maniera eccellente fino a raggiungere un vortice di rumore che, tutto sommato, si riesce a tenere sotto controllo. Con la conseguenza che, per una volta, la distanza che separa la provincia brindisina dalle luci dello stato di Washington non è poi così abissale ( [email protected]). Gabriele Pescatore Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Nino Bruno e le 8 Tracce Nino Bruno e le 8 Tracce Toast Un tuffo indietro nel tempo, col corpo immerso fino al collo e la testa che spunta fuori a scrutare l’orizzonte, per non perdere di vista quello che ha davanti a sé. Questa è l’impressione che si ha ascoltando le quattro tracce che compongono l’EP d’esordio di Nino Bruno, figura storica (e inafferrabile) dell’underground partenopeo, passata nel corso degli anni dal glam-rock en travesti dei Von Masoch – dei quali non resta traccia, se non su un introvabile vinile a tiratura carbonara – al recupero di un suono vintage figlio tanto del beat italiano di inizio ’70 quanto della psichedelica inglese che proprio in quegli anni accendeva gli spiriti al di là della Manica. Non fosse sufficiente l’elenco dettagliato degli effetti usati (Roland space echo, Davoli Universal spring reverb, Solton echomate) riportato all’interno del CD, per convincervi basterebbe l’intreccio di organi Farfisa che domina il finale di “La luna”, dal sapore sinistro e vagamente barrettiano. Gli archi arrangiati da Tony Esposito fanno invece librare nell’aria la melodia de “I bucanieri”, leggera eppure maestosa e imponente come si confà soltanto a ciò che ha la statura del classico. E che di vero classico si tratta lo conferma il confronto con “Amico di ieri”, vecchio successo de Le Orme che chiude il programma, omaggio esplicito a quelle origini di cui un attimo prima i coretti di “Canta sirena”, con rispetto e ammirazione, si facevano beffe. Difficile a dirsi e anche a farsi, ma è un giochetto che a Nino Bruno e le sue 8 Tracce riesce benissimo (http://www.toastit.com/). Enzo Zappia Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 La Camera Migliore Scoperta e lanciata da Carmen Consoli, la band toscana ha dato un seguito all’omonimo debutto del 2003 pubblicando “Cari miei”, ottima seconda prova all’insegna di un pop-rock sfaccettato e intelligente, in grado di far collimare melodie acchiappa-orecchie, idee anticonvenzionali e sfumature brillanti. Incontriamo Georgia Costanzo, Marco Balducci e Francesco Fanciulacci in occasione di un interessante show-case svoltosi proprio nel capoluogo fiorentino. Perché “Cari miei”? GC: Il titolo è tratto dalla canzone “I cuochi”. Prima di tutto, è un’espressione del testo che ci ha colpito e ci è rimasta subito in mente. Rivolgersi direttamente agli ascoltatori ci sembrava un pensiero intelligente. In seguito, queste due parole sono diventate importanti perché la lavorazione dell’album è stata accompagnata da vari cambiamenti ed è stata fondamentale la collaborazione di parecchia gente. Il disco è inoltre popolato da innumerevoli personaggi, così “Cari miei” racchiude idealmente sia i protagonisti dei brani sia quanti hanno contribuito alla realizzazione del disco. Qual è la genesi dei pezzi? GC: La lavorazione dell’album è iniziata quasi tre anni fa, poco dopo l’uscita del nostro esordio, ed è durata molto. Alcune tracce erano almeno in parte già esistenti - per esempio, “Testa d’aglio” o “Mancano i colpi” - e sono state successivamente elaborate in maniera diversa, mentre i brani del tutto nuovi non sono poi tantissimi. Talvolta il materiale a disposizione non viene utilizzato subito e diviene più adatto a distanza di tempo, quando lo riprendi in mano e finisci per sentirlo maggiormente tuo. Insomma, a volte capita di scrivere canzoni che sono più avanti di te e allora ci vuole del tempo per poterle digerire. Che differenze ci sono state nella messa in opera di “Cari miei” rispetto a quella del vostro esordio? GC: Prima ci trovavamo ogni giorno e facevamo tutto assieme. Stavolta è andata diversamente: ci siamo divisi e abbiamo lavorato alle nostre idee separatamente, per poi riunirci e registrare i provini. Non abbiamo avuto nessuna paura nell’inserire quello che ci andava di mettere. Per il disco precedente, al contrario, ci sentivamo più timorosi perché eravamo entrati in un mondo nuovo senza sapere come funzionasse. Immaginavamo ci fossero meccanismi sconosciuti e che per far combaciare tutto bisognasse comportarsi in un determinato modo, sulla cui base fare delle scelte che a volte risultavano giuste e a volte sbagliate. Oltre a un uso singolare della voce, spiccano sonorità acustiche e sintetiche, archi, mandolini e campionamenti: un connubio fra modernità e classicità, accessibilità melodica e ricercatezza. GC: Nessuno di noi ha tabù musicali. A casa abbiamo lavorato col computer utilizzando anche le batterie elettroniche. La parte più acustica, invece, è venuta fuori in studio: in realtà, avevamo inizialmente utilizzato strumenti finti, ma alcuni Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 arrangiamenti sono piaciuti talmente tanto che si è deciso di fare un investimento per inserire un vero quartetto d’archi. I cantati sono molto intimi perché li ho registrati sotto una coperta. Riflettendo su episodi come “Franz” (ispirato a “Il processo” di Kafka), “Mancano i colpi”, “La verità che adesso tace” o “Tito”, sembra trasparire un forte desiderio di giustizia. GC: Più che altro, desiderio di giustezza. Non ci siamo posti limiti nei confronti di quello che volevamo dire. Raccontiamo noi stessi, esprimendo anche quello che a nostro avviso è giusto o sbagliato. Le situazioni vissute solo di riflesso possono infastidire e toccare ugualmente. Del resto, siamo di fronte a una pesante caduta di quello stile che in origine salvava l’Italia. Anche se nella povertà e nel disagio totale, un tempo si poteva rintracciare una cultura seppure paesana che elevava le persone e che adesso viene soppressa. C’è un impoverimento incredibile. Viaggiando e facendo concerti, possiamo accorgercene facilmente. MB: Per “Franz” si tratta prevalentemente di una sensazione di disagio. Per diversi anni, ci siamo posti il problema che tutte le nostre canzoni contenessero espressioni solari come “sorridere”. Via via, si impara a esprimersi provando a vedere le cose da un punto di vista differente. “Cari miei” pare orientarsi verso la ricerca del pop - va da sé, di spessore perfetto. Non è forse un caso che il singolo “Il fannullone” sia calato negli anni in cui per l’appunto “andava la musica pop”. GC: La semplicità e la capacità di trasmettere leggerezza vincono sempre. Abbiamo pensato di utilizzare il termine rock, ma siamo più contenti di avere scritto “andava la musica pop”. Gli amanti del rock sono solitamente snob, e noi oggigiorno non lo siamo per niente: preferiamo essere pop. Col passare del tempo, al vocabolo “popolare” è stato attribuito un significato aggiunto e il pop è stato etichettato come una forma d’arte di poco valore, ma in realtà non è così. Dipende da come lo vivi. È come dire che il pane è la cosa più buona del mondo, anche se è composto semplicemente da acqua e farina. Comunque, sono gli altri che tendono a inserirti in una determinata categoria. Noi speriamo di fare qualcosa che arrivi al maggior numero di persone possibile, oltre che ai coetanei con i nostri stessi interessi. MB: Ci rivolgiamo a chi piace ascoltare con attenzione. Cosa mi dite del caleidoscopio di personaggi che contraddistingue le vostre originalissime liriche? MB: Sono personaggi veri. Traggo spunto dalle storie inimmaginabili che mi raccontano le persone anziane, che in passato non consideravo a causa della differenza d’età. Per quanto riguarda le ispirazioni letterarie, ora come ora rileggo solo Terra! di Stefano Benni. Lavoriamo di fantasia: per dare vita ai vostri personaggi, chi vedreste dietro la macchina da presa? GC: Tim Burton. MB: Wes Anderson o Terry Gilliam. Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Il bel set elettronico che avete proposto durante il recente tour nelle librerie Feltrinelli dimostra quanto siate ricettivi verso qualsivoglia stimolo. Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro? MB: Probabilmente ci saranno vie inedite da sperimentare. GC: Tendiamo a entusiasmarci e appassionarci facilmente: quando proviamo a fare qualcosa di nuovo e riusciamo nel nostro intento, è una conquista davvero importante e siamo stupiti e felici. Il pregio del gruppo è sicuramente il fatto di apprezzare quello che viene e non dare niente per scontato. Elena Raugei Contatti: www.lacameramigliore.it Sux! Quarto album per i milanesi Sux! capitanati da Giorgio Ciccarelli, da anni prezioso collaboratore live degli Afterhours, dopo “Contatto cuore-stomaco” (1998), “Di fronte al civico 13” (2001) e “Lucido” (2003) . “Dentro la città” (Bagana-V2/Edel) è un’opera che racconta la convivenza con la metropoli e le sue contraddizioni, con un omaggio esplicito ai Thin White Rope e un equilibrio formale che allinea con la consueta fluidità chitarre aspre e formato pop. Ecco come ce lo descrive Giorgio. Tra le pieghe del disco affiora il tema della città come luogo di disagio, alienazione e fonte di bisogno di fuga, a partire dall'immagine di copertina, un minaccioso grattacielo visto dal basso. Un concept album, in un certo senso. L'idea è nata strada facendo? Il disco avrebbe dovuto chiamarsi “Il momento giusto”, dall’omonimo brano presente nel CD il cui testo, uno dei primi scritti, rispecchiava bene l’atmosfera da “resa dei conti” tra me e la mia città, Milano. Poi l’argomento mi ha preso letteralmente la mano ed il fatto di vedere la città come una entità viva con la quale confrontarsi e dalla quale difendersi, con la quale avere magari anche una storia d’amore, ha aperto una valvola. Alla fine, siccome l’immaginario narrativo del disco riguardava la città, la scelta del titolo è stata naturale. Questa volta hai deciso di occuparti da solo della produzione: come mai? All’inizio era una mera questione di assenza di quattrini da devolvere al produttore di turno. Ho quindi preso in considerazione l’eventualità di occuparmene io stesso, vista l’esperienza accumulata in questi anni. Il risultato è stato molto gratificante da un lato, ma fisicamente e psicologicamente spossante dall’altro, per cui credo proprio che non ripeterò l’esperienza. Il suono del disco è molto diretto e immediato, anche se c'è un gran lavoro sulle chitarre. Mi pare ci sia un buon equilibrio tra essenzialità e definizione Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 del particolare. Come avrai capito ci ho messo l’anima nel curare ogni particolare del disco e sono contento che si noti il lavoro svolto. Per me la cosa più difficile da ottenere è un equilibrio credibile tra tutti gli elementi ed una certa coerenza nelle scelte produttive, che faccia sì che anche tra pezzi molto diversi ci sia un filo conduttore, e tenere la barra dritta durante tutto il lavoro è stato complicato. Si hanno a disposizione tante soluzioni diverse, ma in qualche modo ti devi limitare, soprattutto se credi che l’essenzialità sia una caratteristica da evidenziare. È importante scegliere una direzione e seguirla e in questo sono stato aiutato anche dal fonico dello studio in cui abbiamo mixato, il Just Recording Studio, ovvero Massimiliano Lotti. La scelta di una cover dei Thin White Rope in chiusura mi sembra particolarmente indicativa del suono spoglio e potente di questo disco, e mi sembra che anche l'approccio vocale sia, con le dovute differenze, in qualche modo legato a quello di Guy Kyser, dilatato e lacerante se vuoi, qui più che in passato. Una influenza importante, quindi. Onore a te perché dopo decine di recensioni e interviste sei il primo a pronunciare quelle tre paroline, Thin White Rope. Sì, decisamente, i Thin White Rope sono stati un influenza importante per me, direi quasi fondamentale, reputo “Moonhead” un album seminale, amo quel loro modo di suonare le chitarre senza mai un assolo, o, volendo, sempre in assolo, quella voce unica e quella sensazione di malinconia minacciosa sempre presente. Hanno avuto su di me lo stesso impatto del primo dei Velvet Underground, di “Unknow Pleasures” dei Joy Division o “Jeopardy” dei Sound. So che sto parlando di archeologia musicale, ma la mia carta d’identità parla chiaro, c’è scritto 1967. Tempo fa Stefano dei Gea ci chiese di partecipare ad un album tributo ai Thin White Rope. Scelta la canzone, “The Clown Song”, e registrata, della compilation non se n’è fatto più nulla, ma il pezzo ce lo siamo portati dietro ed è diventato parte integrante del disco I testi hanno un respiro molto narrativo, quasi avessi voluto creare una sorta di ciclo, costruito attraverso immagini e scene. C'è stato un lavoro specifico in questa direzione? Questa volta c’era l’intenzione specifica da parte mia di essere più narrativo, di raccontare più che lasciar libero sfogo alle parole, ed in qualche occasione credo di esserci riuscito. Come ti dicevo prima, mi sono lasciato prendere la mano da questa visione della città viva e pulsante che ho cercato di guardare da più punti di vista: quello dello sconfitto in “Metropolitano”, quello dello sradicato in “Niente di me” e del disilluso in “A Milano”, e ancora quello di “Verso la città”, uno dei testi che mi soddisfa di più. Attraverso il titolo, poi, si crea effettivamente una sorta di ciclo per immagini e scene, con la città come soggetto centrale. Sux! non è, naturalmente, “il dopolavoro del chitarrista live degli Afterhours”, ma neppure un gruppo troppo legato alla routine disco-tour… Non abbiamo contratti da onorare per cui non siamo costretti a fare uscire obbligatoriamente dei dischi, né dobbiamo far tour per portare a casa la pagnotta. Christian, Davide e Piero hanno tutti dei lavori, la musica è una passione di cui i Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Sux! sono il risultato. Sforniamo più o meno un disco ogni due anni, sempre noi quattro e sempre con l’urgenza di esprimere qualcosa. Può sembrare un discorso romantico e banale, ma la nostra è una storia di onestà musicale di cui vado particolarmente orgoglioso. Certo, qualche concerto in più ci sarebbe d’aiuto, ma ci stiamo lavorando. Alessandro Besselva Averame Contatti: www.sux.it Mattia Coletti “Zeno” è il debutto solista di Mattia Coletti – già apprezzato chitarrista che si appresta a diventare anche discografico (Ame Records) – da poco uscito per Wallace/Audioglobe. Un disco che scuote diverse corde dell’animo, si giostra tra frammenti desertici, assenze, suoni cupi e elettroacustici movimentati dalle voci ora agre ora cavernose. Ho detto "questo disco è bellissimo" al primo ascolto. Non succede sempre. Mattia gentilmente ci risponde. Dopo tanti progetti e collaborazioni sei riuscito a fare questo disco solista. Visto però che quando s’ inizia a suonare sei solista, per forza di cose, com’è stato il tuo primo approccio? Effettivamente da quando ho iniziato a suonare, facevo delle cose da solista quindi è la prima forma espressiva provata come musicista. In realtà il discorso è nato per caso perché da sempre compongo a livello chitarristico e non solo, quindi questo disco viene dalla volontà di registrare tanti mesi o magari anni d’intuizioni chitarristiche che m’interessava curare. Suonando con gruppi o progetti non potevo chiaramente perché in quei casi (e anche quello è il bello) devi mescolarti comunque con gli altri. Ecco. Adesso ci puoi elencare magari tutti i tuoi progetti? I Sedia, gruppo rock di cui faccio parte; 61 Winter’s Hat; il progetto a due con Fabio Magistrali; Polvere, un duo con Xabier Iriondo, elettroacustico; con il batterista dei Sedia i From Hands; un duo con Andrea Belfi dei Rosolina Mar per il quale abbiamo registrato un disco che è appena uscito su Frame Records e poi un altro registrato in ottobre e in uscita questa estate. Poi, ancora, un collettivo con tre dei Bron Y Aur – ovvero Fiè, Luca Ciffo e Fabio Cerina – e alla batteria Jacopo Andreini e alle percussioni Diego Sapignoli degli Aidoru. Questo è un collettivo d’improvvisazione che forse uscirà tra qualche mese però è un progetto abbastanza aperto. Ultimamente sto suonando elettroacustica con Claudio Rocchetti e Alessandro Calducci, batterista dei Sedia. E l’ultimissima cosa, un duetto con Yo Yo che però ancora bisogna capire come andrà avanti e se andrà avanti. Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Questo è il tuo disco delle riflessioni, delle attese, momenti che s’intrecciano attraversati dalla tua chitarra. Come è venuto fuori? In maniera naturale in quanto, avendo uno studio di registrazione per lavoro, l’ho composto, strutturato e missato nell’arco di sei, sette mesi; quindi è stata una procedura molto lenta e graduale e svolta nella stanza in cui vivo in maniera totalmente conscia di quello che avevo di fronte. Il che è completamente diverso dal fare un disco in studio in una settimana di seguito chissà dove. Per quanto riguarda le strutture non c’è un canovaccio dietro: di base ci sono pezzi più o meno scritti sopra i quali ho improvvisato, anche insieme a Fabio Magistrali; però sono delle strutture musicali scritte nell’arco di questi sei o sette mesi ed elaborate a forza di ascolti e riascolti. Visto che l’hai citato: Fabio Magistrali è l’unico che hai fatto “entrare” nel tuo disco. Come mai proprio lui? Veramente c’è anche il mio caro amico Francesco Vilotta che suona in un pezzo e dà la voce a “Parole d’ocra”. Fabio comunque è una persona molto importante per me, dal punto di vista creativo e umano. È stato spontaneo per me dargli il materiale ancora prima di capire se questo disco potesse uscire o meno, perché per me rappresenta un’impronta dinamica ed espressiva. Gli ospiti sono scelti dal punto di vista di vicinanza umana piuttosto che artistica. Ecco, tu comunque hai diverse anime musicali: ascoltando “I letti di Procuste” dal tuo CD sembrano mille. Cosa ne pensi? Credo sia bello. È importante che arrivi questo all’ascoltatore: qualcosa di non decifrabile in maniera semplicistica, nel senso che ascoltando un progetto minimale d’elettroacustica si può cadere in soluzioni che magari si ripetono. Invece se questo è diversificato a seconda delle voci o delle strutture composte credo sia un bene. L’obiettivo era quello di creare una sorta di racconto, di brevi scenari che si susseguono ma che hanno comunque delle note diverse magari più scure o più aperte o più giocose. Adesso hai una nuova etichetta che debutterà tra un mese, raccontaci allora i tuoi intenti? La Ame Rec. è nata con Mirko (Spino, NdI), e la Wallace si occuperà della distribuzione con i suoi stessi canali. L’idea è di pubblicare progetti, gruppi o artisti che magari con la Wallace non avevano modo di uscire e in un numero di copie che cambierà per ciascun progetto. Ad esempio, le prime uscite saranno: The End of Summer (che è un quartetto con Alessandro Calducci, Xabier Iriondo, Paolo Cantù ed io), e ne farò centocinquanta/duecento copie; l’altra uscita è Glinding Clerks (con Mirko Spino e Fabio Magistrali), e saranno altre duecento. Cambia molto perché poter fare un disco con meno di cinquecento copie, vuol dire che puoi fare con mille copie di tiratura dieci progetti diversi e non due. Ame Rec., poi, avrà uscita seriale con le copertine tutte uguali per ogni pubblicazione e cambierà solo l’intervento che il gruppo deciderà di fare. Ci sarà una fustella di colore ocra con il logo Ame e il logo Wallace e il gruppo magari ci andrà ad attaccare una cartolina o un timbro o una foto. Sulla stampa del disco ognuno farà la grafica che vuole, però la copertina Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 dovrà essere uguale, come se si trattasse di una specie di collana insomma. Inoltre, come la Wallace, sarà molto selettiva. Non c’è una linea comune a tutti i dischi, fondamentalmente se mi piacciono sarò felice di pubblicarli. Qual è il tuo sogno come musicista? Di continuare a fare quello che sto facendo cioè di collaborare con tante persone diverse che mi danno tantissimo soprattutto a livello umano. E che i miei dischi e tutto ciò che faccio venga accolto nella maniera giusta, quindi che sempre più gente possa comprendermi musicalmente. Ma non hai paura di stancarti ad un certo punto? No, perché sono già stanco: ho ventitre anni e me ne sento quaranta. Solo che non riuscirei a fare a meno della musica. Mi viene naturale. Non lo faccio perché ho tempo libero perché non ne ho. E’ la mia forma espressiva, già dopo la parola per me viene la musica quindi è difficile che io non voglia più comunicare. Francesca Ognibene Contatti: www.wallacerecords.com Transex I capitolini Transex sono come uno se li può immaginare: schietti e sinceri, in tutto. Simpatici anche. Telefonando per parlare del gruppo e dei suoi progetti a Luigi – il chitarrista – e, in meno di mezz’ora, si ride e si scherza come ci si conoscesse da sempre. Merito delle loro origini certo, ma anche della musica a cui entrambi siamo devoti: il rock’n’roll. Si finisce così per parlare di “Domino” (Tre Accordi/Self), il loro ultimo e folgorante disco, ma anche di tutto quello che ci sta attorno. E non solo… Non possiamo iniziare non parlando di “Domino”, secondo e ultimo vostro album. Mi sembra, per iniziare, che sia un bel passo in avanti rispetto all’esordio: come lo vedete, a qualche mese dalla sua uscita? Concordo in pieno con te, e del resto era logico e naturale aspettarsi un qualche miglioramento. Abbiamo avuto una produzione migliore e dei fonici bravissimi a disposizione, e già questo vuol dire moltissimo in termini di risultato finale. A livello di gruppo invece sono stati fondamentali la maggiore sintonia tra di noi, gli ascolti e l’esperienza fatta suonando in giro, tutte cose che si sono riflesse dentro al disco e che ce lo fanno ancora piacere parecchio a distanza di mesi dalla sua realizzazione. Unica nota negativa forse è stato l’abbandono del formato LP. Purtroppo si. La scelta è stata dettata dal fatto di poter lavorare con Tre Accordi, un’etichetta eccezionale con cui collaboriamo in maniera eccellente ma che si dedica solo al formato CD: è comunque nostra intenzione realizzare, prima o poi, Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 anche la versione LP di “Domino”, anche se i costi, soprattutto per la masterizzazione, sono davvero proibitivi. Avete registrato alcune parti in analogico, mentre altre in digitale: budget o scelta precisa? Credo sia un misto di entrambe le cose, anche perché dipendesse soltanto da noi registreremmo sempre tutto in analogico. Stavolta abbiamo invece registrato le chitarre e la voce in digitale, abbiamo così potuto trattarle con più precisione e amalgamare tutto quanto–questo si in analogico– senza troppi problemi ottenendo però il risultato che avevamo in testa. E che mi dici dei testi? Devo assolutamente complimentarvi con voi per titoli quali “Holiday In Beslan”. Eh si (risate, NdI), sono il nostro atto d’amore, viscerale, per questo mondo. Pierpaolo (il cantante, NdI) ama la storia di personaggi come Stalin, Pol Pot e così via, logico quindi che qualcosa di queste sue passioni filtri anche in quello che canta. Non solo storia e storie, ma anche donne nelle vostre parole, “come nessuno fece dai tempi del Dolce Stilnovo e Gino Paoli” per citare la cartella stampa. Assolutamente (risate generali, NdI)! Del resto parliamo pur sempre d’amore, anche se è tutto filtrato dal nostro punto di vista, un punto di vista magari non troppo convenzionale ma comunque sincero. E per ritornare al discorso dei titoli dei brani quale esempio migliore di “White Girls, Black Cocks”, sul nostro primo disco? Verissimo. In questa direzione quindi va anche la fresca collaborazione con la star dell’hard Roberta Cavalcante? Si, senza dubbio. Siamo molto contenti di iniziare un sodalizio con Roberta; innanzitutto perché è stata lei a cercarci e questo ci ha fatto molto piacere, e poi perché non abbiamo la minima idea di cosa combineremo con lei. Al momento ci siamo soltanto sentiti, e le proposte sono molteplici: da spettacoli dal vivo sul palco fino ad ipotizzare anche qualche duetto canoro. Insomma non vedo l’ora di vedere come si realizzerà questa situazione. Staremo a vedere. La vostra musica guarda forse più al passato che non al presente: ma c’è qualcosa della musica di oggi che ti interessa? Si, forse suoniamo un po’ retrò, ma non ascoltiamo soltanto cose d’annata. Ad esempio personalmente apprezzo molto i White Stripes, anche se dipendesse da me cambierei batterista e prenderei un bassista serio (risate, NdI). Non ho ancora capito se mi piacciono gli Strokes ma, soprattutto, stiamo riscoprendo tutti quanti il grunge. Ecco, forse il problema è che siamo cogliamo la musica nuova nell’aria con dieci anni di ritardo. Quindi il rock non è morto, è soltanto difficile proporlo in Italia. Abbastanza, ma in Italia è difficile fare qualunque cosa esca un po’ dai canoni. Del resto non abbiamo certo iniziato a suonare sperando di diventare delle star, lo Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 facciamo soltanto perché è la nostra passione. I casini sono tantissimi: date che saltano, pochi locali che fanno suonare, ma a noi piace suonare. Ci accontentiamo delle piccole soddisfazioni che i Transex ci danno, ci basta già così. Giorgio Sala Contatti: www.petrosh.it/transex Psycho Sun Nel Salento non ci sono solo il reggae e la taranta. Dal 1994 gli Psycho Sun sbandierano la loro attitudine rock non solo con il gruppo, ma districandosi con determinazione nell’organizzazione di concerti, nel creare clubbing e parlando di musica tramite la cooperativa CoolClub (www.coolclubbing.it). Dopo l’esordio ufficiale su Magenta Records nel ’97 e mille avventure tornano ad incidere e si ripresentano più solari, pieni di coretti e vestiti da Urtovox (distribuzione Audioglobe). Risponde per tutti il cantante e chitarrista Tobia Lamare, alias Stefano Todisco. Quali dischi vi hanno ispirato tanto da farvi mettere su gli Psycho Sun? Dieci anni fa ci ha unito innanzitutto la passione comune per i Velvet Underground e avevamo consumato i dischi degli Stone Roses e dei Lush. Considera però che il batterista e il bassista all’epoca erano molto più giovani di noi, infatti avevano quindici anni e venivano da esperienze più sul grunge. Crescendo i nostri ascolti sono cambiati ancora e siamo passati ad amare il garage o tutti i gruppi nord svedesi o ancora Jon Spencer, i Sebadoh, i Pavement e tutta la scena alternativa indipendente con delle chitarre distorte. Avevate iniziato, quando uscì “Ever Ready” un po’ più distorti rispetto alle canzoni che troviamo in “Silly Things”: cos’è successo? È una questione di ascolti che cambiano. Su questo disco ci sono delle canzoni che sono state scritte qualche tempo fa, che abbiamo voluto inserire in una versione più ‘spinta’ rispetto all’originale. Non mancano le ballate che effettivamente ci hanno sempre accompagnato, però nella realizzazione di quest’album in particolare sono aumentate; soprattutto per la scoperta negli ultimi anni di band molto morbide che ci hanno spinto a rallentare con il distorsore. Anche se poi dal vivo tutto finisce con l’avere una spinta e una dinamica diversa. Nel 2000 siete passati a scrivere le canzoni in italiano. Come mai e perché siete tornati subito dopo all’inglese? Quella è stata una parentesi divertente. Non so come ci è venuta, però adesso possiamo dire che ci abbiamo provato. Alcuni pezzi ci sono riusciti, altri non andavano. Poi con estrema naturalezza siamo tornati all’inglese. Forse perché ci Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 appartiene molto di più, viste le nostre sonorità; invece, quando cantavo in italiano facevo riferimento a Mal dei Primitives e quindi mi veniva un accento estremamente inglesizzato. Avete avuto anche un’esperienza all’estero. È successo nel 2002 quando abbiamo fatto un piccolo tour in Inghilterra grazie all’etichetta londinese Nophaseintime, che ha inserito un nostro brano nella sua prima compilation. È stata una bellissima esperienza che ripeteremo in primavera. Cosa c’è da dire riguardo a “Silly Things”? Queste canzoni sono il frutto degli ultimi anni, quindi del tour inglese sino ad adesso. “Silly Thing” e “Ben And Cicely” parlano entrambe dei protagonisti del libro “La banda dei brocchi” di Jonathan Coe. È stato un disco abbastanza naturale. Abbiamo cambiato sala prove e ci siamo messi a suonare nella casa dove attualmente viviamo il batterista ed io che è una casa in campagna isolata da tutto. Di cosa parlano le vostre canzoni? Alcune parlano di storie d’amore tratte da esperienze personali, altre sono solo fantasie. Sono bene o male tutto questo. Anche quelle un po’ più tirate e più punk. I coretti sparsi nelle varie canzoni da dove saltano fuori? Anche gli altri membri della band adesso cantano? No. Sono sempre io, infatti dal vivo uscirà tutto più melodico e asettico. Com’è la scena indipendente a Lecce in questo periodo? C’è una scena molto fervida. Ci sono gli Studiodavoli, che sono un grandissimo gruppo partito dalla lounge per trovare una propria via personale, nel mettere in relazione le sonorità di Stereolab e Cardigans. C’è Populous, grandissimo compositore di musica elettronica e poi ci sono una serie di altri gruppi che vanno dal noise al rock. Nel Salento il rock supera il reggae come composizione. Il disco è uscito per Urtovox. Vi piacciono i vostri compagni d’etichetta? Speravo potessimo uscire per la Urtovox. L’ho conosciuta per gli A Toys Orchestra, un gruppo che mi piace dall’anno scorso. E quindi il fatto di uscire per la stessa etichetta ci ha resi estremamente felici. E poi ha dei bellissimi artisti come Goodmornigboy. Com’è avvenuto il contatto per produrre il vostro disco? In maniera abbastanza semplice. Abbiamo spedito il promo del CD e poi Paolo ci ha richiamato. Ci siamo messi a chiacchierare per mezz’ora sui Television e alla fine ci siamo incontrati a Firenze. Oltre al gruppo avete da fare anche con Cool Club. Cool Club è una cooperativa nata tre anni fa e cura eventi alternativi, concerti, letteratura, quindi molte situazioni di clubbing. È anche un giornale il cui direttore è il nostro batterista e ci lavora dentro Cesare, il chitarrista come organizzatore Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 generale. Non manca niente: recensioni, musica, film, interviste. È l’altra faccia del Salento, quella più rock’n’roll. Avete anche partecipato a un cortometraggio… Sì, l’abbiamo girato l’anno scorso. S’intitola “Fumo” ed è diretto da Ippolito Chiarello, che è un nostro grande amico oltre ad essere un bravissimo attore leccese. Parla di un sogno. Un viaggio nel tempo di coltivatori di tabacco che dalla provincia di Lecce si spostano nella provincia di Taranto. Praticamente i protagonisti del corto siamo noi del gruppo insieme a due bambini che fanno i fantasmi. È stata un’esperienza molto bella che diventerà un lungometraggio l’anno prossimo. Otto canzoni del corto sono le nostre. Ha girato già un po’ di festival: “Italian Los Angeles Film Festival”, “Festival di Bellaria”… Insomma, lo stiamo presentando in giro. Francesca Ognibene Contatti: www.psychosun.it Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '06 Northpole Hiroshima Mon Amour, Torino, 9/2/06 Da un gruppo di emergenti non si aspetta altro che una prova sul palco abbastanza convincente da non cadere nell’idea di trovarsi davanti a dei dilettanti allo sbaraglio. I Northpole però non possono avvalersi di questa scusante in quanto sulle scene da orma parecchi anni con pubblicazioni clandestine e attenzioni da parte di quel John Peel che dal ciel ci guarda. Che il loro disco omonimo del 2005 sia l’esordio ufficiale sulla lunga distanza è un dato puramente accessorio, perché non appena i quattro veneti salgono sul palco fanno capire di essere dotati di una marcia in più rispetto a ben più blasonati colleghi. Le canzoni si vestono di un abito maggiormente concentrato sulle chitarre, portando ad arpeggi distorti e divagazioni strumentali figlie di un certo indie americano che la band sembra conoscere alla perfezione. Poi ci sono le canzoni. Quelle che su disco sembrano qualcosa tipo “la salvezza per la musica leggera italiana”, nei club dimostrano la loro potenza lirica e il realismo minimalista di certi testi – “Luca Marc”, “La distanza” - guadagna intensità grazie ad un potente lavoro strumentale. Ma non tutto oro è quel che luccica. La presenza scenica dei Northpole non è di quelle che ti rimangono impresse e qualche volta sembrano un po’ intimoriti (o semplicemente intimiditi?) di trovarsi davanti a così tanta gente quando per molti anni sono stati affare per pochissimi. Compensando questi punti “negativi” con le ottime capacità musicale - in fondo di cosa stiamo parlando? - ne deriva che i Northpole, alla fine, valgono la pena di essere visti. Hamilton Santià Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it