ARTI GRAFICHE APOLLONIO Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Elisabetta CORVI EMOZIONIAMOCI! L’IMPERATIVO DEL TERZO MILLENNIO? Paper numero 103 Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814 e-mail: [email protected] Maggio 2010 EMOZIONIAMOCI! L’IMPERATIVO DEL TERZO MILLENNIO? di Elisabetta CORVI Associato di Economia e gestione delle imprese Università degli Studi di Brescia Indice 1. Introduzione........................................................................................... 1 2. Dal bisogno di avere al bisogno di essere ............................................. 2 3. Le emozioni si comunicano non si comprano ....................................... 4 3.1 Marketing, emozioni e comunicazione ............................................ 7 4. Il web 2.0 e il marketing orientato alla comunicazione ...................... 11 Bibliografia.............................................................................................. 17 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? 1. Introduzione Per anni, i manuali di marketing hanno presentato nei primi capitoli l’evoluzione della funzione commerciale nel tempo: dal fordismo alla postmodernità. Tutti gli Autori hanno sempre concordato sul passaggio da un’attività commerciale orientata al prodotto o alla produzione, ad una orientata alle vendite per giungere poi negli anni ’70 ad un orientamento al marketing nel quale tutte le leve del marketing mix dovevano contribuire in modo sinergico al perseguimento degli obiettivi commerciali dell’impresa. Da quel punto in poi c’è chi ha parlato di impresa orientata al cliente, chi di impresa orientata alla concorrenza, chi di impresa proattiva. Così facendo se da un lato si è in parte recuperata la visione unitaria dell’impresa, dall’altro però si è persa un po’ di specificità funzionale. Osservando l’evoluzione degli ultimi decenni sia nel comportamento delle imprese sia negli studi di marketing, pare di poter affermare che stiamo vivendo un periodo in cui il marketing è orientato alla comunicazione. Nelle pagine che seguono si cercherà pertanto di motivare tale affermazione analizzandone i principali fattori responsabili: l’evoluzione del consumatore, le teorie sull’emozione e le nuove tecnologie (fig. 1). Figura 1 – Lo schema di analisi Evoluzione del consumatore Ricerca del valore simbolico/ emotivo/ludico Marketing Comunicazione Conferma empirica 1 Nuove tecnologie Elisabetta Corvi 2. Dal bisogno di avere al bisogno di essere Sempre più nel mondo occidentale il concetto di utilità razionale del prodotto, di comportamento razionale ha lasciato il posto ai concetti di comportamento emotivo, utilità psicologica e anche l’acquisto diventa un fenomeno che risponde ad altre esigenze: un riempitivo psicologico, una terapia di riparazione di stati emotivi negativi, un modo di affermarsi e così via. Nella società postmoderna, l’attenzione viene centrata sempre più sulle relazioni tra prodotto e consumatore e sulla capacità di fornire spiegazioni psicologiche attraverso questa relazione. Il processo di scelta diventa sempre più un atto comunicativo mediante il quale trasmettere a se stessi e agli altri una data immagine di sé. I beni di consumo comunicano cioè sempre più valori simbolici, rispondendo a bisogni espressivi di rappresentazione sociale della propria complessa personalità: da benestrumento, in sostanza, diventano bene-messaggio. Non è quindi solo l’eccesso di offerta, d’informazioni che porta il consumatore ad utilizzare il proprio istinto, le proprie credenze nelle scelte d’acquisto. Non è solo un problema di tempo, di capacità, di energia che limita l’approccio razionale nel comportamento d’acquisto, ma è la differente motivazione all’acquisto che lascia spazio a scelte più emotive. È noto che nel consumatore postmoderno, i bisogni, come induttori del consumo, lasciano il passo ai desideri e i desideri riguardano le esperienze, le emozioni in grado di far vivere momenti di vero appagamento psicologico. Lo shopping ha assunto quindi una dimensione ricreativa e ludica, un’attività fine a se stessa che deve risultare piacevole attraverso la creatività, l’originalità dell’ambiente, il merchandising; lo shopping cioè deve stimolare tutti i sensi e le imprese devono offrire ricordi e non solo beni. Lo stesso concetto di qualità, già poco definito nell’era moderna, oggi, nel postmoderno è ancor meno definibile essendo fortemente legato alla soggettività di chi valuta, vale a dire al complesso sistema della personalità di ogni singolo individuo. Personalità che è fatta di pensieri, emozioni e azioni. Anche per quanto concerne il concetto di personalità, ovvero d’identità di un soggetto, si assiste in psicologia ad approcci decisamente nuovi rispetto al passato: l’approccio costruzionista (Gergen, 1991) afferma che l’identità non è più unica e stabile, ma molteplice, cangiante e provvisoria! Il Sé della postmodernità può cioè assumere diversi aspetti a seconda del contesto di riferimento. Semplificando, si potrebbe dire che così come le persone hanno nel proprio armadio diversi capi di abbigliamento per le diverse circostanze, ma anche per i diversi stati d’animo, allo stesso modo, il Sé 2 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? dispone di una vasta gamma di possibili equilibrazioni che gli consente di adattarsi in modo socioculturalmente coerente ai diversi contesti situazionali. Non esiste quindi una personalità come unità sempre coerente con se stessa, ma un sistema contesto-personalità-copioni situazionali che muta al mutare della situazione. Se a ciò si aggiunge che i contesti e le situazioni rilevanti per l’uomo postmoderno sono tanti e a tanti livelli (da ruolo pubblico a ruolo privato e nel ruolo privato: ruolo di figlio, genitore, amico, fratello) è facile comprendere l’infinita gamma di identità possibili alle quali è possibile accedere. L’affermazione dell’identità fluida e molteplice (multiple Se lves), ovvero della disponibilità di diversi registri identitari (di diversi Sé) costituirebbe la modalità più efficace di adattamento sociale: esattamente come il bambino che, per prepararsi alla vita da adulto, ha bisogno di giocare a simulare ruoli e copioni diversi per sviluppare la propria abilità sociale e la propria competenza relazionale. Mentre, però, nella modernità questo gioco si arrestava nel momento in cui l’adulto assumeva un ruolo definitivo e cercava di limitare i giochi possibili attraverso il principio di coerenza e di costanza, di affidabilità e di solidità nel presidiare il ruolo sociale che lo identificava, nella postmodernità la capacità di mutare sostanzialmente le proprie maschere e i propri repertori comportamentali e sociali diviene indispensabile. Torna allora attuale Pirandello in Uno, nes suno, centomila : nelle relazioni interpersonali non esiste un unico punto di vista, non esiste una sola immagine, ne esistono tante quante sono le diverse interazioni che si realizzano. E ciò non solo perché la percezione è soggettiva, ma anche perché la personalità è fluida e può avere centomila sfaccettature, e si caratterizza per la variabilità e mutevolezza delle autopercezioni. D’altro canto, tale fluida personalità, per essere agita in modo proficuo e coerente nei diversi contesti, richiede una conoscenza di Sé (self-knowledge) di gran lunga superiore rispetto al passato. In altri termini, se era noto alla psicologia e al marketing che in ciascun individuo esistono aree del Sé che non emergono e aree del Sé puramente proiettate e che, quindi, come illustrato nella figura 2, la proiezione dell’immagine reale è un’area variabile data dalla sovrapposizione delle due aree precedenti, oggi nella posmodernità l’immagine proiettata, i comportamenti dichiarati, possono essere reali, veri, anche se limitati al qui e ora, vale a dire a quella precisa circostanza o in quel preciso contesto. Secondo la letteratura psicosociale questo atteggiamento umano, di adattamento della propria identità ai diversi contesti, non avviene solo per gli altri, al fine di migliorare il proprio ruolo o per essere accettati tra i gruppi di persone ritenute importanti per l’individuo, ma viene agito per se stessi, per evitare dissonanze interne o ammissioni dolorose per l’opinione di sé. Il soggetto di domanda postmoderno sembra voler dire: “io non sono 3 Elisabetta Corvi solo quello che dico di essere, ma anche quello che gli altri dicono che io sia e, in particolare, rappresento – attraverso il mio comportamento di consumo – ciò che sono, ma anche ciò che voglio essere e ciò che voglio gli altri percepiscano che sia”. In quest’ottica, il prodotto diviene strumento di proiezione dell’immagine di sé (reale o ideale poco importa), o mezzo per raggiungere obbiettivi strategici di carattere immateriale (potere, seduzione ecc.): in altri termini, anche il prodotto diventa strumento di comunicazione per il consumatore e del consumatore verso gli altri soggetti. 3. Le emozioni si comunicano non si comprano La comunicazione umana è la linfa del sistema complesso che chiamiamo “uomo”, “cultura”, “società”. Una delle componenti principali di questa linfa sono le emozioni che, non solo intervengono a modulare le nostre relazioni con gli altri, il nostro comportamento e i nostri pensieri, ma sono anche la forma di comunicazione più autentica che possiamo avere. La cultura occidentale le ha attribuito un’accezione tutto sommato negativa1. Bisogna aspettare Darwin (The expression of emotions in man and animals, 1872) per cogliere un importante segno di inversione di tendenza; è infatti Darwin che per primo non la considera più uno stato di temporanea perdita di controllo, ma ne mette in luce il valore per la sopravvivenza della specie. Anche se nell’ultimo secolo la psicologia ha prodotto innumerevoli definizioni delle emozioni (Kleinginna, Kleinginna, 1981) un tratto comune ai vari approcci sta nell’aver scoperto come le emozioni siano sempre esperienze vissute soggettivamente che hanno un oggetto, detto antecedente emotigeno, interno o esterno alla persona. Questo antecedente può essere di varia natura: un pensiero, un ricordo, un odore, lo sguardo di qualcuno, un evento inatteso, ecc. In genere l’emozione è il segnale di un cambiamento, nello stato del mondo interno o esterno, soggettivamente percepito e saliente (Villamara e Bracco, 2009, p. 124). La maggior parte delle teorie sulle emozioni definisce l’esperienza emotiva in termini di processi psicologici che hanno un decorso temporale variabile articolati in più componenti (Villamara e Bracco, 2009, pp. 124125): - tonalità endonica ; un’emozione si accompagna alla sensazione di piacere o dispiacere che connota la situazione; ciò crea una 1 Gia i presocratici preferivano fare appello alla ragione oggettiva e stabile considerando l’emozione un annebbiamento della lucida ragione. Proprio su questi pilastri si fonda il pensiero scientifico moderno – da Galileo in poi – che cerca nella quantificabilità dei fatti empirici l’approccio alla conoscenza del mondo 4 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? - - - - marcatura, un ancoraggio che ci permette di memorizzare una rappresentazione affettiva delle situazioni incontrate e di ricercarle o evitarle quando si presenteranno in futuro; la reazione fisiologica; ogni emozione soggettivamente percepita si accompagna a una modificazione fisiologica (neurale o ormonale) di vasta portata2; la valenza adattativi: tutte le reazioni fisiologiche hanno lo scopo di predisporre l’organismo a reagire; la componente espressiva ; ogni emozione è riconoscibile grazie a una certa configurazione facciale e posturale. La comunicazione delle emozioni è codificata a livello genetico: è una naturale competenza che si esercita e si affina; una componente valutativa ; esiste cioè uno stretto legame tra pensieri ed emozioni. Se da una lato un pensiero può generare un’emozione, dall’altro l’emozione a sua volta modifica i pensieri che le seguono; una componente conativa ; l’emozione genera tendenza ad agire in modo meno diretto rispetto alle reazioni fisiologiche e muscolari: essa fa meditare un comportamento che possa risultare utile per ripristinare uno stato di equilibrio e di armonia. Schachter e Singer (1962) formularono una teoria dell’emozioni nota come “teoria del juke-box”. In tale modello, affinché si verifichi un’emozione, occorrono due elementi: l’attivazione fisiologica (arousal), come la monetina che si usa nei juke-box, e la cognizione (appraisal) che è relativa a ogni situazione e che rende diverse le varie esperienze emozionali (paura, felicità, rabbia, tristezza, ecc.): la valutazione dell’evento si basa necessariamente su un qualche livello di conoscenza dello stesso; se così non fosse, non saremmo in grado di valutarne la rilevanza e quindi non proveremmo emozioni. Un esponente importante dell’approccio cognitivo è Frijda (1988): la percezione e la valutazione (entrambe soggettive) di un evento permettono di qualificarlo come positivo o negativo, ma sia la percezione sia la valutazione dipendono dalle motivazioni e dagli interessi (Fig. 2). Gli interessi individuali sono cioè considerati come predisposizioni emotive e le emozioni sarebbero processi che consentono di tenere costantemente sotto controllo la congruenza tra interessi e realtà del momento. 2 Le emozioni attivano il sistema simpatico (eccitatorio) oppure quello parasimpatico (inibitorio) e sono riconoscibili grazie a segnali fisiologici come l’accelerazione cardiaca, la dilatazione pupillare, la sudorazione, la tensione muscolare ecc. 5 Elisabetta Corvi Figura 2 – Le determinanti delle emozioni Storia personale Credenze - Conoscenze Interessi Percezione-interpretazione = codifica Realtà del momento Emozioni L’individuo si rapporterebbe non tanto a un mondo (evento) oggettivo, quanto alla sua percezione/interpretazione di esso: è la codifica (percezione/valutazione) individuale dell’evento, determinata anche culturalmente, a definire se un evento suscita emozione e quale tipo di emozione. Nel 1884 William James sostenne, contro il senso comune, che l’esperienza consapevole dell’emozione non era la causa della risposta corporea ma l’effetto. In altri termini se, camminando nel bosco incontriamo un serpente, non viviamo la paura e poi scappiamo, ma il corpo risponde attivandosi e solo la retroazione periferica verso il cervello sarà interpretata come paura. Secondo la teoria di James, pertanto, i cambiamenti fisiologici sono l’emozione e se questi vengono rimossi l’emozione svanirà con essi. Totalmente diversa è la teoria di Cannon e Bard che prevede che lo stimolo giunga al cervello (talamo) e da qui, il percorso neurale si divida in due vie: una verso l’ipotalamo, per la risposta motoria e fisiologica, l’altra verso la corteccia, per l’elaborazione consapevole dell’emozione. Recenti evidenze neurofisiologiche (LeDoux, 1998) hanno ricomposto la diatriba affermando che la risposta emotiva è immediata e precede l’esperienza consapevole, ma come diceva Cannon, esiste una doppia via neurale: una per la risposta immediata, più grezza ma veloce per garantire reazioni funzionali alla sopravvivenza, e una che attraverso le vie corticali va all’amigdala per l’elaborazione consapevole. È l’amigdala, posta sotto l’ippocampo e collocata all’interno del sistema libico, la vera centrale del comportamento emotivo (Villamara e Bracco, 2009, p. 134). 6 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? A ben vedere, la pubblicità gioca fondamentalmente su meccanismi simili quando, con ripetute esposizioni, associa il valore positivo che noi attribuiamo a un testimonial famoso a un prodotto di per sé neutro, oppure lega il prodotto a valori e mode particolari (se quel dopo barba è utilizzato da un uomo che non deve mai chiedere, chi lo acquista farà proprie quelle caratteristiche). Come sanno bene gli esperti di comunicazione, le emozioni hanno inoltre un ruolo importante nella memorizzazione degli eventi che ciascun individuo vive: affinché un messaggio sia ricordato, è importante creare le giuste condizioni emotive nel pubblico obiettivo. Probabilmente in molti ricorderanno cosa stavano facendo quando hanno ricevuto la notizia dell’attacco alle torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001. L’emozione non è comprensibile in quanto tale se non viene studiata in rapporto alla percezione, all’attenzione, alla memoria, alla motivazione, all’azione ecc. Pertanto non è possibile affermare che l’emozione determina un certo tipo di comportamento, perché il comportamento è la risultante di una serie di costrutti che sono contemporaneamente all’opera in modo interdipendente. Come ha detto Kagan (1984), l’emozione può essere paragonata al tempo atmosferico, il quale è la risultante di diversi fattori (pressione, umidità, vento, ecc.) che talvolta, a seconda della loro combinazione, chiamiamo tempo piovoso, assolato o tempesta. Acquisire intelligenza emotiva significa allora cambiare punto di vista su di sé e sugli altri: capire, cioè che “l’essenziale è invisibile agli occhi” (Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe). Anche nell’ambito della comunicazione aziendale l’emozione ha conosciuto una notevole rivalutazione: l’emozione, la componente affettiva è cioè importante non solo nelle relazioni tra due persone, ma anche all’interno dei rapporti con gli oggetti e i prodotti di consumo. 3.1 Marketing, emozioni e comunicazione Il cambiamento in atto nel modo di essere del soggetto di domanda, la complessità dei desideri che cerca di vedere realizzati anche attraverso l’atto d’acquisto, il prevalere della ricerca di emozioni, del piacere rispetto alla ragione, ha reso particolarmente arduo per le imprese la segmentazione dei propri mercati in gruppi omogenei e coerenti (Fabris, 2003). Ma se il consumatore di oggi è sempre più eclettico e apparentemente incoerente nelle sue scelte, il marketing non può più essere rigido e strutturato, ma deve riuscire a proporre soluzioni flessibili (reali o virtuali), adattabili alle mutevoli esigenze di ogni singolo soggetto di domanda. Considerando le leve del marketing mix, la più flessibile, quella che meglio si presta a una 7 Elisabetta Corvi differenziazione e personalizzazione efficace, ma anche efficiente dal punto di vista economico è la comunicazione, soprattutto quella interattiva. Ecco allora che il marketing del terzo millennio è un marketing orientato alla comunicazione perché solo così facendo è possibile consentire al consumatore di co-costruire significati e valore. Come ha osservato recentemente anche Invernizzi (2009), il nuovo marketing deve essere di tipo bottom-up, vicino al mercato, basato sullo sviluppo con il consumatore di “conversational relationship” di lungo periodo. Tutto ciò può avvenire solo attraverso un dialogo continuo e lo sviluppo di tecniche e strumenti di comunicazione innovativi (Stokes, 2000) in grado di stimolare l’engagement del consumatore (Bowden, 2009). Gli sforzi gestionali delle imprese più lungimiranti si sono infatti concentrati negli ultimi anni non tanto sulla differenziazione del prodotto quanto sui punti di incontro, di contatto (touch-points) fisici o virtuali con il consumatore (Prahalad-Ramaswamy, 2004): punti vendita, piazze o strade cittadine, siti web, web community, blog rappresentano tutti canali di comunicazione interattivi capaci di stimolare la partecipazione del consumatore e l’attivazione dello stesso a diffondere il messaggio della marca all’interno dei suoi gruppi sociali. È d’altro canto vero che il termine stesso “comunicazione” è di per sé molto ampio includendo qualsiasi evento, oggetto, comportamento che modifica il valore di probabilità del comportamento futuro di un organismo. Ma, a ben vedere, se si analizzano le tipologie di risposta che attraverso la comunicazione di marketing ci si sforza di ottenere (risposta cognitiva, affettiva, comportamentale), sembra possibile affermare che stiamo vivendo nell’era della ricerca della risposta affettiva. Almeno per quanto concerne le attività che rientrano nel cosiddetto business to consumer, sembra che ormai i bisogni informativi possono essere soddisfatti navigando in Rete, e che pertanto una risposta comportamentale (acquisto o riacquisto) possa derivare solo da maggiori sforzi nella direzione affettiva. Ma tale dimensione, che può declinarsi dalla semplice simpatia, all’infatuazione, alla passione sino all’amore per un brand, richiede una conoscenza profonda dell’identità del consumatore o almeno degli aspetti rilevanti della sua self image per poter veicolare significati intimamente connessi alla realizzazione degli obiettivi personali di ciascun individuo. In principio dominava il prodotto artigianale, fortemente differenziato e non riproducibile. Poi venne la produzione industriale e con essa nacque il marchio registrato: creato per distinguere il prodotto industriale dalla concorrenza, il trademark divenne il valore legale di riconoscimento e di proprietà, la dichiarazione ufficiale di unicità garantita dalle istituzioni. Ma il solo marchio registrato non fu sufficiente a garantire a differenziare i prodotti nella mente dei nuovi consumatori. Il marchio dovette perciò 8 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? evolversi nella marca, il brand: non più solo un nome per identificare un prodotto, ma anche immagini, idee e valori caratterizzanti legati indissolubilmente all’azienda e alla sua esperienza. Il brand è perciò un sistema complesso, in grado di veicolare una grande quantità e ricchezza di messaggi, tanto da obbligare il marketing a parlare di “personalità di marca” e “identità di marca”. Analisi di questo tipo si soffermano però solamente sulla natura individuale del brand, senza osservarlo in relazione all’ambiente di riferimento. Ma se la marca ha una propria identità è allora possibile parlare di rapporto tra il brand e il consumatore, di relazione. Se si condivide questa affermazione diviene plausibile immaginare che gli ingredienti che creano un legame tra marca e consumatore, esattamente come in un rapporto di coppia, siano il mistero, l’intimità e la sensualità. Il mistero è rappresentato dalla storia della marca e dall’esperienza dell’azienda, dalle conquiste ottenute, dagli obiettivi perseguiti: è la componente che “affascina”; si pensi al ruolo del fondatore dell’azienda e all’aura di fascino che spesso tale personaggio è riuscito a creare attorno alla marca. La sensualità indica il punto di contatto tra il brand e il consumatore: è attraverso i sensi che vengono esplorate percettivamente le qualità del brand. Il contatto con l’oggetto è spesso la prima fonte di innamoramento. Infine, l’intimità rappresenta l’unicità del rapporto con il consumatore. Nonostante il prodotto abbia diffusione globale, ciascun consumatore percepisce una relazione intima con il lovemark3: la componente dell’intimità ha perciò l’arduo compito di ravvivare il rapporto perché questo non si esaurisca. Il passaggio da brand a lovemark si traduce nel passaggio da consumatore ad adepto che ha, come totem, l’oggetto stesso, attorno a cui si raccoglie la tribù di appassionati. I lovemark sono infatti “oggetti sociali”, vale a dire pretesti per avviare un qualche tipo di relazione. 3 Kevin Roberts (2005), amministratore elegato della Saatchi & Saatchi, ha coniato il termine lovemark per indicare un nuovo livello di interazione dei brand, totalmente centrato su un approccio emozionale. Il lovemark si posiziona lungo due coordinate fondamentali: amore e rispetto. Se una marca non è particolarmente amata né rispettata, siamo di fronte a un semplice prodotto indifferenziato. Se il livello di amore è alto, ma non c’è il rispetto, si tratta di una moda passeggera. Se il rispetto è elevato, ma non esiste un legame emotivo,si tratta di un brand che ha già un forte carattere distintivo, ma che non è in grado di coinvolgere sentimentalmente il consumatore: è il caso di quei prodotti, come i detersivi più famosi o alcune marche di birra, che vengono scelti anche in presenza di numerose alternative, ma il cui valore non è tale da essere considerati insostituibili (Villamara e Bracco, 2009, pp. 196-97). Infine, se una marca è fonte di amore e di rispetto da parte del consumatore, allora si può parlare di lovemark, ovvero di una marca insostituibile nella mente e nel cuore di un individuo, come Coca Cola o Nutella. 9 Elisabetta Corvi In quest’ottica, la comunicazione deve essere interattiva: il consumatore può diventare un partner aziendale se si sviluppa reciprocamente un sentimento di rispetto, affetto, di interesse esplicito. Ecco allora che trovano spazio ed enfasi nelle iniziative aziendali gli strumenti e i mezzi interattivi, vecchi e nuovi, in grado di trasmettere emozioni e di far vivere esperienze uniche e memorabili. Lo stesso punto vendita non è più considerato, ormai da tempo, solo un canale di vendita, un luogo fisico preposto alla disponibilità del prodotto al fine di favorire l’incontro della domanda e dell’offerta: la store loyalty cresce e si sviluppa grazie soprattutto alla “conversational relationship” che si realizza “in store”. Atmosfera del punto vendita, atteggiamento del personale di vendita, inserimento del prodotto in un evento, luci, colori, suoni, profumi sono tutte componenti comunicative più che performative dell’offerta aziendale. In altri termini, i consumatori, di fronte alla crisi e all’oggettivo riconoscimento di non aver bisogno di beni tangibili, acquistano questi ultimi se, attraverso l’atto di acquisto, riescono a soddisfare bisogni psicologici di tipo relazionale. La centralità della comunicazione nelle strategie di marketing e nelle conseguenti scelte di marketing mix è testimoniata anche dalle diverse declinazioni e sfaccettature che il marketing stesso ha assunto negli ultimi anni. Parlare di marketing esperienziale, estetico, olistico, di guerrilla marketing, di emotional marketing, retro-marketing, marketing non convenzionale, o di marketing interattivo, di one to one marketing, mobile marketing, marketing tribale, participation marketing, viral marketing non significa infatti proclamare la nascita di un nuovo marketing, ma semplicemente affermare la centralità della comunicazione, nelle sue più svariate declinazioni, nel marketing mix delle imprese. Tutti gli approcci citati enfatizzano, infatti, la ricerca di un piacere estetico e sensoriale, talvolta nostalgico, ma pur sempre riconducibile al bisogno di evasione, di divertimento e di alimentare una relazione affettiva da parte del consumatore. 10 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? 4. Il web 2.0 e il marketing orientato alla comunicazione Quanto sin qui osservato è il risultato di due forze fra loro combinate: una derivante dai mutamenti nella domanda (demand push), l’altra dall’evoluzione della tecnologia (technological push). Senza l’evoluzione tuttora in corso dell’ambiente web e della tecnologia digitale, infatti, non si sarebbe potuto parlare di web marketing, marketing interattivo, mobile marketing e così via. In particolare, dal punto di vista della comunicazione, possono essere individuate due fasi successive che hanno caratterizzato lo sviluppo di Internet: una prima fase che segna la nascita e l’affermazione dei browser e delle attività commerciali, il cosiddetto web 1.0; una seconda fase, recentissima, che vede la crescita dei siti social networking e la nascita di una vera e propria cultura partecipativa sulla rete, denominata web 2.0. Dal punto di vista aziendale, il valore aggiunto del web 1.0 non è tanto attribuibile alla maggiore interattività che consente rispetto al passato, quanto alla multimedialità: la natura digitale del mezzo fa sì che, in linea di principio, un contenuto possa essere modificato, immagazzinato e riprodotto da chiunque in qualsiasi istante; uno stesso file può contenere testo, immagini, video e link che permettono di ampliare le possibilità di esplorazione del contenuto proposto, rendendo il destinatario direttamente partecipe della sua fruizione. Con l’avvento del web 1.0, tuttavia, la comunicazione permane principalmente di tipo broadcating, cioè confezionata a monte e trasmessa al pubblico secondo precisi palinsesti; tuttavia, essendo la rete un ambiente prevalentemente informativo, il web 1.0 ha comportato una produzione sistematica di contenuti adeguati per stimolare continuamente la domanda di riferimento. È solo con l’avvento del web 2.0, ovvero con l’affermazione dei social media digitali che l’approccio alla comunicazione diviene di tipo partecipativo e conversazionale. Il web 2.0 fa perno infatti sul concetto di user generated content, ovvero di contenuto che può essere prodotto direttamente dagli stessi utenti: in questo modo, alla dimensione informativa si affianca quella relazionale. Non solo, con il web 2.0 i contenuti tendono a farsi crossmediali possono cioè essere veicolati attraverso molteplici canali di comunicazione (televisione, Youtube, console di gioco) ed assumere differenti forme (Mp4 per iPod, DIVX per PC e così via), in base alla tecnologia di trasmissione utilizzata e alle esigenze di colui che fruisce del contenuto. Come ha osservato Di Bari (2007), il web 2.0, pur continuando a utilizzare la medesima tecnologia su cui si basa il web 1.0, si differenzia dal primo per un nuovo approccio caratterizzato da: 11 Elisabetta Corvi - - - - Semplicità: vengono utilizzate interfacce sempre più interattive e facili da usare anche per gli utenti meno esperti; i contenuti sono sempre più condivisi e modulati in programmi intuitivi; Funzionalità: i siti web tendono a divenire fonti di contenuti e servizi personalizzati e il web si alimenta di un flusso incessante di informazioni avvicinandosi alla definizione di intelligenza fluida utilizzata in campo psicologico; Socialità: sempre più persone trasferiscono parte della loro vita on line partecipando alla creazione di blog e di contenuti da condividere all’interno di un social network. Flessibilità: nel web si diffondono codici open source che consentono di modificare le applicazioni, di sviluppare servizi e di mixare un programma con un altro arricchendo le potenzialità di internet, il cosiddetto mashup4. Tutto ciò ha permesso un flusso di comunicazioni multidirezionale e partecipativo dove ciascun soggetto ha le capacità non solo di fruire dei contenuti degli altri, ma anche di crearne di nuovi e condividerli con tutta la sua comunità di riferimento. Youtube è l’esempio più eclatante in questo senso, in quanto è la prima grande vetrina al mondo degli user generated content che hanno a oggetto i filmati video. Ma come tutte le innovazioni, anche il web 2.0 comporta non solo vantaggi, ma anche un aggravio nell’attività di ascolto. Infatti, se prima bastava utilizzare i motori per far arrivare ai consumatori le informazioni più rilevanti e le call to action più accattivanti per convertirli in contatti o in clienti, oggi occorre monitorare costantemente anche cosa dicono gli altri, nel Web, della marca e dei prodotti che stiamo promuovendo. E ponderare in tempi rapidissimi quale influenza sul business potrebbero avere eventuali voci negative, lavorando al contempo per concretizzare il sogno di molti direttori marketing: far diventare i clienti i migliori testimonial di prodotto e di marca, augurandosi che si siano trovati talmente bene da scriverne sul loro blog, nei forum, su Facebook, su Twitter… Ma perché i social network hanno successo? Perché stanno avendo più successo delle cosiddette community? Bisogno di allargare gli orizzonti, insoddisfazione nei confronti delle relazioni dirette, bisogno di partecipare, di conversare, di socializzare: nei social network, infatti, il focus non è sul contenuto, ma sull’atto comunicativo, sulla relazione tra gli individui. Forse è tutto questo, forse c’è dell’altro, forse il popolo del web sta sviluppando, grazie alla tecnologia, 4 La tecnica del mashup si basa sull’uso delle API, ossia su programmi funzionanti in rete che consentono di interconnettere tra loro piattaforme differenti di software 12 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? quelle attitudini che Wilson (1981), biochimico zoologo dell’università di Berkeley, ha teorizzato essere responsabili di una maggiore accelerazione nel processo evolutivo degli organismi viventi: innovazione, propagazione sociale e mobilità. L’innovazione, ovvero l’abilità di sviluppare nuovi comportamenti, tanto a livello individuale che collettivo (è questa capacità che permette di sfruttare l’ambiente in cui ci si trova); la propagazione sociale, ovvero la trasmissione di queste nuove capacità attraverso processi di comunicazione tra i suoi membri; la mobilità, cioè la tendenza allo spostamento collettivo, a radunarsi muovendosi in massa piuttosto che a rimanere stanziali in condizione di maggiore isolamento. Wilson dim ostrò le s ue teor ie attrav erso lo stud io de i comportamenti delle cinciare lle in Gran Bretagna. Nel Regno Unito il latte veniva portato ogni giorno sulla soglia della porta di casa. Prima del xx secolo, le bottiglie non a vevano il ta ppo, diventando cosí una bevanda allett ante non solo per gli esseri umani, ma anche per d ue specie d i uccelli, la cincia rella e il pettirosso, che avevan o imparato a prelevar e il la tte d alla bottiglia e il cui appar ato digestivo si era subito adatta to a questa nuova dieta. In seguito le b ottiglie ven nero munite di tappo d’alluminio e solo le cinc iarelle si adattarono a questa nuova situazione imparando a beccare e perforare la capsula di alluminio. Intorno al 1950 l’intera popolazione delle cinciarelle, grazie al p rocesso di p ropagazione sociale e mobilità, a veva imparato a rompere la lamina di alluminio sigillante. La cinciarella aveva innovato il proprio comportamento adattandosi a un cambiamento dell ’ambiente, il pettirosso no. La spiegazione risiedeva, appunto, nel processo di propagazione sociale delle cinciarelle che hanno esteso l’abilita dal singolo a tutti i me mbri della specie. Infatti le cinc iarelle si radunano in gruppi caratter izzati da un alto livello di mobilità , mentre il pettirosso è molto piú individuale e territoriale, tendendo a comunicare con i co mponenti della sua specie con modalità prevalentemente antagonistiche. Sulla base di questo studio Wilson osservò com e quegli uccelli che si radunano in stormi sembrano apprendere piú velocemente e quindi si evolvono piú rapidamente incrementando di fatto la loro possibilità di sopravvivere. Tutto ciò premesso, è certo che il popolo del web 2.0 ha la capacità, la voglia e gli strumenti per decretare il successo o il fallimento di ogni iniziativa reale o virtuale che sia. Il passaparola che tale popolo alimenta 13 Elisabetta Corvi sulla rete è infatti dotato di elevata credibilità all’interno del network di riferimento: immettere sul mercato un prodotto scadente può generare un effetto boomerang di proteste e commenti negativi capaci di trovare nei social media un fertile veicolo di diffusione virale. Nell’ambiente digitale, il passaggio dal word of mouth al word of mouse (Reichheld e Shefter, 2000) comporta un ampliamento esponenziale del ruolo del passa parola sul processo di formazione delle preferenze, nel bene e nel male, ma anche la possibilità di studiare e monitorare tale processo in tempo reale. Ovviamente il popolo del web non rappresenta la domanda globale, ma un target particolarmente qualificato per la comunicazione commerciale delle imprese essendo caratterizzato da età giovane e livello socioculturale più elevato della media. È allora evidente che sul web, sebbene le teorie di marketing rimangano immutate, il marketing management deve essere adattato alla nuova complessità di gestione indotta dallo strumento virtuale. Se in passato abbiamo assistito a un marketing orientato al prodotto, alle vendite, al mercato, oggi il marketing deve essere orientato alla comunicazione intesa però non come semplice attività di promotion, ma come condivisione di informazioni, conoscenza ed emozioni. Anche l’ambiente, del cui ruolo sul comportamento delle persone ha spesso parlato Lewin (1936), padre della psicologia sociale, è sostituito nel Web dall’interfaccia, il substrato tecnologico, che deve essere in grado di abilitare le persone a fare qualcosa che non potrebbe essere fatto, con la stessa facilità, nel mondo fisico. Tutte le applicazioni web di maggior successo sono caratterizzate da un attento studio dell’interfaccia che, spesso, è in grado non solo di facilitare gli obiettivi delle persone che partecipano alla community, ma anche di mettere in atto tutte quelle spinte cognitive ed emotive che rendono l’esperienza d’uso piacevole e appagante. Come già aveva osservato Herbert Simon, al crescere della disponibilità delle informazioni, la risorsa che diventa scarsa è l’attenzione. L’obiettivo è, quindi, quello di far raggiungere all’utente uno stato flow, ovvero uno stato mentale altamente focalizzato, durante il quale tutte le risorse attentive sono convogliate verso un unico oggetto (Csikszentmihalyi, 1995). A tal fine spesso si parla di playful user experience ovvero della possibilità di mettere in atto meccanismi ludici nel corso della fruizione dell’interfaccia in modo tale da offrire all’utente un’esperienza più appagante e profonda. Non è un caso, quindi, che molte applicazioni web puntino oggi alla componente ludica oltre che all’usabilità, che rimane un punto fermo. Immagini, suoni, giochi sono solo alcuni stimoli sensoriali indirizzati ai consumatori e ciascuno di essi rappresenta un potenziale interruttore di un’emozione, positiva o negativa. 14 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? La convergenza verso il ruolo della comunicazione nelle politiche di marketing è stata pertanto favorita dallo sviluppo dell’information and communication technologies (Ict), ma – a parere di chi scrive - è soprattutto il risultato dell’evoluzione dei bisogni dei soggetti di domanda: on line o off line ciò che si richiede è una maggior ricchezza nelle interazioni tra i soggetti. È infatti possibile osservare che, nonostante gli strumenti tecnologici (email, telefonini, social network) ci portino a socializzare in modo più rapido, tutta questa velocità tende a svuotare di percezione più che di significato, la compagnia e la solidarietà reciproche. La stessa amicizia è sempre più virtuale; non a caso su Facebook la parola “amico” viene utilizzata per definire qualsiasi tipo di contatto autorizzato ad accedere alle informazioni del proprio profilo. Questo comporta da un lato l’illusione di una grande quantità di persone che potenzialmente potrebbero aiutarci, ascoltarci, essere realmente amici, ma dall’altro lato mostra chiaramente quanto i rapporti personali si stiano progressivamente diluendo, fino a far percepire un nuovo senso di solitudine che parte dal mondo virtuale ma finisce in quello reale. A questo punto sarebbe interessante verificare attraverso una ricerca empirica quanto sin qui affermato, ma al momento, al fine di sottolineare ulteriormente la portata che la variabile comunicazione ha non solo in campo aziendale, concludiamo in termini un po’ ironici riportando un divertente esempio di framing5 (tratto da Balsekar, 1996). “Due giovani monaci studiavano in seminario ed entrambi erano incalliti fumatori. L’educazione religiosa richiedeva lunghi periodi di preghiera che, nonostante la fede, si traducevano per loro in una sofferenza a causa dell’astinenza dal fumo. Poiché ciò causava in loro grave turbamento, decisero di risolvere il problema alla radice chiedendo il permesso di fumare durante le preghiere. Si rivolsero pertanto ai rispettivi superiori. Più tardi, uno chiese all'altro che cosa gli avesse detto il superiore. "Sono stato rimproverato aspramente solo per aver parlato del fatto", disse il primo. "Ed il tuo superiore, cosa ti ha detto?". "Il mio è stato molto compiaciuto", disse il secondo. "Anzi ha detto che facevo benissimo. Ma dimmi, tu che domanda gli ha fatto?" "Gli ho chiesto se posso fumare mentre prego." "Te la sei voluta tu. Io gli ho chiesto se potevo pregare mentre fumo." 5 Il framing è una classe di bias cognitivo; in particolare si riferisce al quadro complessivo all’interno del quale vengono inquadrati fatti e messaggi per influenzarne il significato percepito (molto importante nel contesto dei media in cui quasi sempre le notizie sono presentate in modo da incoraggiare certe interpretazioni e scoraggiarne altre). 15 16 Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio? Bibliografia Balsekar R., 1996, La coscienza parla, Astrolabio. Bard P. (1928), A diencephalic mechanism for the ex pressione of rage with special reference to the sympathetic nervous sys tem, in Kandel E., Schwartz., 1985, Principi di Neuroscienze - Ambrosiana, Milano. Bowden J.L., 2009, The process of customer engagement: a conceptual framework”, in Journal of Marketing Theory and Pra ctice, vol. 17, n. 1, pp. 63-74. Cannon W.B. (1927), The James-Lange theory of emotiom: A criti cal examination and alternati ve theory , in D’Urso V., Trentin R., 1990, Psicologia delle emozioni - Il Mulino Csikszentmihalyi M. (2008), Flow. The psycology of optical experience , Harper Collins, New York. Di Bari V., 2007, Web 2.0, Il Sole 24 Ore Libri, Milano. Fabris G., 2003, Il nuovo consumatore: v erso il postmoderno, Franco Angeli, Milano. Frijda N.H., (1988), Emozioni, Il Mulino, Bologna. Gergen, K.J.,1991, The saturated self. New York, Basic Books. Gergen, K., 1999, Realities and relationships, Harvard University Press, London Invernizzi E., Gambetti R., Romenti S., 2009, Comunicazione, processi decisionali strategici e marketing, in “Impresa Progetto”, Rivista ondine del DITEA, n. 1. James W. (1884), “What is an emotion?”, Mind, n. 9, pp.188-205. Kagan J. (1984), The nature of the child, Basic Books, New York. Kleinginna Jr, Kleinginna A.M. (1981), “A categorized list of emotion definitions, with suggestions for a consensual definition”, Motivation and Emotion, n. 5, pp. 345-79. LeDoux J. (1998), Il cerve llo emotivo , Baldini e Castoldi, Milano Prahalad C.K., Ramaswamy V., 2004, The Future of Competition. Co-creating unique value with customers, Harvars Business School Press, Cambridge, (MA). Reichheld F.F., Schefter P., 2000, E-loyalty, in “Harvard Business Review”, 78 (4), pp. 105-113. Roberts K. (2005), Lovemarks: the future beyond brands, powerHouse Books, New York. Schachter S., Singer J.E. (1962), “Cognitive, sociale and physiological determinants of emotional state”, Psychological Review, n. 69, pp.379-99. 17 Elisabetta Corvi Stokes D., 2000, Entrepreneurial marketing: a conceptualisation from qualitative research, in Qualitative Market R esearch: An International Journal, vol. 3, n. 1, pp.47-54 Vicari S. (a cura di), 2001, Economia della virtualità, Egea, Milano. Villamira M.A., Bracco F., 2009, Comunicare. Elementi di psicologia della comunicazione, FrancoAngeli, Milano Wilson E.O, Lumsden C.J., 1981, Genes, mind, and culture: The coevolutionary process, Harvard University Press Cambridge, MA 18 DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2007 AL 2010: 61- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, Brand Ext ension: l’impatto della qualità relazionale della marca e delle scelte di denominazione, marzo 2007 62- Francesca GENNARI, Responsabilità g lobale d ’impresa e b ilancio in tegrato, marzo 2007 63- Arnaldo CANZIANI, La ra gioneria i taliana 1841-1922 da t ecnica a s cienza, luglio 2007 64- Giuseppina GANDINI, Simona FRANZONI, La responsabilità e la ren dicontazione sociale e di genere nelle aziende ospedaliere, luglio 2007 65- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Ottavia PELLONI, La valu tazione d i un’estensione di marca: consonanza percettiva e fattori Brand-Related, luglio 2007 66- Marco BERGAMASCHI, Crisi d ’impresa e tecn ica legisla tiva: l’istitu to giuridico della moratoria, dicembre 2007. 67- Giuseppe PROVENZANO, Risparmio…. Consumo….questi sconosciuti !!! , dicembre 2007. 68- Elisabetta CORVI, Alessandro BIGI, Gabrielle NG, The European Millennials versus the US Millennials: similarities and differences, dicembre 2007. 69- Anna CODINI, Governo della con correnza e ru olo d elle Au thorities n ell’Unione Europea, dicembre 2007. 70- Anna CODINI, Gestione strategica degli approvvigionamenti e servizio al clien te nel settore della meccanica varia, dicembre 2007. 71- Monica VENEZIANI, Laura BOSIO, I princip i contabili internazionali e le imprese non quotate: opportunità, vincoli, effetti economici, dicembre 2007. 72- Mario NICOLIELLO, La natura economica del bilancio d’esercizio nella disciplina giuridica degli anni 1942, 1974, 1991, 2003, dicembre 2007. 73- Marta Maria PEDRINOLA, La ri strutturazione del de bito dell’impresa sec ondo l a novella dell’art 182-bis L.F., dicembre 2007. 74- Giuseppina GANDINI, Raffaella CASSANO, Sistemi g iuridici a confronto: modelli di corporate governance e comunicazione aziendale, maggio 2008. 75- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Michela APOSTOLO, Dominanza del la marca e successo del co-branding: una verifica sperimentale, maggio 2008. 76- Alberto MARCHESE, Il rica mbio generazionale n ell’impresa: il pa tto d i famig lia, maggio 2008. 77- Pierpaolo FERRARI, Leasing, f actoring e credi to al co nsumo: b usiness mat uri e i n declino o “cash cow”?, giugno 2008. 78- Giuseppe BERTOLI, Globalizzazione d ei mercati e svilu ppo dell’econ omia cin ese, giugno 2008. 79- Arnaldo CANZIANI, Giovanni Demaria (1899-1998) nei ricordi di un allievo, ottobre 2008. 80- Guido ABATE, I f ondi comun i e l’a pproccio multimanager: mod elli a co nfronto, novembre 2008. 81- Paolo BOGARELLI, Unità e co ntrollo economico n el g overno dell’impresa: il contributo degli studiosi italiani nella prima metà del XX secolo, dicembre 2008. 82- Marco BERGAMASCHI, Marchi, i mprese e soci ologia del l’abbigliamento d’alta moda, dicembre 2008. Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al seguente indirizzo internet http://www.deaz.unibs.it 19 83- Marta Maria PEDRINOLA, I gruppi societari e le loro politiche tributarie: il dividend washing, dicembre 2008. 84- Federico MANFRIN, La natura eco nomico-aziendale d ell’istituto so cietario, dicembre 2008. 85- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, La diffusione delle ICT n ei sistemi produ ttivi locali: una riflessione teorica ed una proposta metodologica, dicembre 2008. 86- Giuseppina GANDINI, Francesca GENNARI, Funzione di c ompliance e responsabilità di governance, dicembre 2008. 87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009. 88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand ext ension, counterextension, cobranding, febbraio 2009. 89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009. 90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liq uidità n elle ban che: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009. 91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merge r Acco unting be Reconsidered?: A Discussion B ased on the C hinese Approach to A ccounting f or Business Combinations, maggio 2009. 92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi fin anziaria o crisi dell’eco nomia rea le?, maggio 2009. 93- Arnaldo CANZIANI, Le ri voluzioni z appiane— reddito, eco nomia a ziendale — agli inizî del secolo XXI, giugno 2009. 94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009. 95- Marco BERGAMASCHI, Analisi ambientale della Cina e stra tegie di localizzazione delle imprese italiane, novembre 2009. 96- Alberto FALINI, Stefania PRIMAVERA, Processi d i risa namento e f inalità d’impresa nelle procedure di amministrazione straordinaria, dicembre 2009. 97- Riccardo ASTORI, Luisa BOSETTI, Crisi eco nomica e mo delli d i co rporate governance, dicembre 2009. 98- Marco BERGAMASCHI, Imitazione e c oncorrenza nell’abbigliamento di m oda: un’interpretazione economico-aziendale della normativa vigente, dicembre 2009. 99- Claudio TEODORI, Monica VENEZIANI, Intangible asset s i n a nnual re ports: a disclosure index, gennaio 2010. 100- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970, febbraio 2010. 101- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Roberto GRAZIANO, La determina zione del “Royalty Rate” negli accordi di licenza, marzo 2010. 102- Antonio PORTERI, La crisi, le banche e i mercati finanziari, aprile 2010. 20 ARTI GRAFICHE APOLLONIO Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Elisabetta CORVI EMOZIONIAMOCI! L’IMPERATIVO DEL TERZO MILLENNIO? Paper numero 103 Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Contrada Santa Chiara, 50 - 25122 Brescia tel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814 e-mail: [email protected] Maggio 2010