Rassegna
Diagnostica molecolare in Immunoematologia
Andrea Bontadini, Silvia Manfroi, Roberto Conte
Servizio di Medicina Trasfusionale, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
Introduzione
Uno dei momenti più importanti che hanno rivoluzionato
gli studi di biologia molecolare è stato quello
dell'introduzione nei laboratori della reazione polimerasica
a catena (PCR), che, consentendo l'amplificazione del DNA
in miliardi di copie, ha facilitato l'impiego di metodologie
sempre più avanzate per lo studio del genoma1,2.
Negli ultimi anni le metodiche molecolari, che sono
passate dall'utilizzo degli enzimi di restrizione a quello degli
oligonucleotidi fino ad arrivare alla tipizzazione mediante
sequenza, sono notevolmente migliorate per sensibilità e
riproducibilità, permettendo una sempre più approfondita
conoscenza dei polimorfismi genetici.
Anche in campo immunoematologico la possibilità di
impiegare le metodiche di biologia molecolare ha ampliato
le conoscenze genetiche sui gruppi sanguigni superando
quelli che sono i limiti classici dei test di
emoagglutinazione3,4.
Diverse segnalazioni hanno descritto la corretta
definizione degli alleli eritrocitari dei principali sistemi
gruppoematici nei casi in cui una alterata espressione
dell'antigene sulla superficie della membrana eritrocitaria
può rendere difficile l'identificazione del gruppo sanguigno
utilizzando solamente le tecniche di emoagglutinazione5.
Un'altra importante applicazione della diagnostica
molecolare è stata quella dell'alloimmunizzazione maternofetale, in cui la conoscenza del genotipo fetale da prelievo
di cellule amniotiche o di villi coriali durante le prime fasi
Parte di questo elaborato è stato oggetto di una relazione al XXXIV Convegno Nazionale di Studi di Medicina Trasfusionale (Rimini, 24-28 giugno 2001)
Corrispondenza:
Dott. Andrea Bontadini
Servizio di Medicina Trasfusionale
Policlinico S. Orsola-Malpighi
Via Massarenti, 9
40138 Bologna
della gravidanza ha permesso una diagnostica
immunoematologica precoce rispetto a quella ottenibile più
tardivamente da un prelievo ematico mediante
funicolocentesi6.
Principi di genetica molecolare
Il DNA è costituito da un filamento a doppia elica
caratterizzato da una sequenza nucleotidica in cui si
accoppiano per complementarietà i nucleotidi adeninatimina e guanosina-citosina. I geni consistono in una
sequenza nucleotidica localizzzata in specifiche e costanti
posizioni del genoma.
Le sequenze nucleotidiche che vengono trascritte per
la sintesi proteica e che prendono il nome di esoni, si
alternano a sequenze che non sono invece trascritte
(introni). Ad ogni combinazione di tre nucleotidi (codone)
corrisponde la sintesi di un aminoacido o di un messaggio
necessario per la regolazione del processo di trascrizone.
Per sintetizzare una proteina, l'informazione del DNA deve
essere trascritta inizialmente in RNA primario che contiene
sia gli esoni che gli introni. Gli introni vengono poi rimossi
da un processo conosciuto come RNA splicing che
consiste nella escissione degli introni e nella succesiva
ricongiunzione degli esoni per produrre l' RNA messaggero
(mRNA) che viene poi traslato nella proteina a livello degli
organelli citoplasmatici.
Il codice genetico contiene un certo grado di
ridondanza: usualmente differenti codoni che differiscono
solo per il 3° nucleotide sono in grado di codificare lo stesso
aminoacido. Tuttavia, mutazioni che si incontrano lungo il
codice genetico possono dare origine a diverse situazioni.
Il cambiamento di un singolo nucleotide o "mutazione
puntiforme" può non dare origine a nessun cambiamento
dell' aminoacido (mutazione silente) quando il codone
LA TRASFUSIONE DEL SANGUE vol. 46 - num. 3 maggio-giugno 2001 (139-147)
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A Bontadini et al.
mantiene lo stesso messaggio, oppure determinare una vera
e propria sostituzione aminoacidica all'interno della
struttura proteica.
Ulteriori mutazioni puntiformi rappresentate dalla
delezione o dalla inserzione di una base nucleotidica
determinano uno scorrimento della lettura di tutta la
successiva sequenza nucleotidica del gene con
conseguente traslazione di una sequenza aminoacidica
differente da quella originale e l'introduzione di un codone
stop che blocca la produzione completa della proteina7.
Metodiche di biologia molecolare
L'approccio diagnostico in biologia molecolare ha visto
il suo maggiore sviluppo nell'ultimo decennio grazie
all'introduzione della reazione polimerasica a catena (PCR)1.
Questa tecnica permette di amplificare in modo selettivo
miliardi di copie di una piccola regione genomica delimitata
da due sequenze nucleotidiche conosciute e specifiche. Il
principio sul quale si basa la PCR è quello di denaturare il
DNA e di allineare ai singoli filamenti due oligonucleotidi
sintetici di circa 20-30 basi che agiscono da primer per una
serie di reazioni di sintesi del DNA catalizzate da una
polimerasi che prende il nome di Taq polimerasi. I primers
sono sintetizzati in modo tale che l'estremità 5' resti esterna
al DNA da amplificare mentre l'estremo 3' funga da innesco
dei nucleotidi per la sintesi di un filamento complementare
a quello originario. Questo processo si ripete per 20-30
volte e i prodotti della prima reazione agiscono da stampo
per la sintesi di nuovi filamenti, in modo tale che il DNA a
doppia elica di una singola cellula possa essere amplificato
fino a 108 volte.
L'amplificato ottenuto da questo processo viene
controllato su gel di agarosio colorato con bromuro di etidio
e, in seconda istanza, studiato con metodiche che
presentano principi diversi, ma che sono in grado di
verificare se ibridizza con particolari oligonucleotidi, se
contiene il sito per uno specifico enzima di restrizione
oppure se sua la sequenza nucleotidica differisce da quella
del nostro consensus8.
La PCR-RFLP (polimorfismi di lunghezza dei frammenti
ottenuto per digestione con enzimi di restrizione)
rappresenta uno dei primi metodi descritti nello studio dei
gruppi sanguigni9,10. L'amplificato di una sequenza
nucleotidica polimorfica per il gruppo sanguigno in studio
viene cimentata con appositi enzimi di restrizione. Gli enzimi
di restrizione sono di origine batterica e possiedono la
capacità di tagliare il DNA a doppia elica in punti specifici,
laddove riconoscono una determinata sequenza di basi che
è diversa per ciascun enzima, e di frammentare il genoma
140
con precisione e in maniera assolutamente riproducibile.
Poiché un certo numero di mutazioni cade nei siti di
restrizione degli enzimi, è possibile sfruttare le loro proprietà
per riconoscere se particolari sequenze nucleotidiche del
DNA amplificato vengono riconosciute e tagliate in
frammenti con uno specifico peso molecolare.
La PCR-SSO (Oligonucleotidi a sequenza specifica)
utilizza una amplificazione generica di uno o più esoni che
vengono analizzati con un certo numero di oligonucleotidi,
ognuno dei quali riconosce una specifica sequenza
nucleotidica. Gli oligonucleotidi marcati con una molecola
di digossigenina, che riconoscono sequenze nucleotidiche
complementari, si legano in modo specifico all'amplificato
complementare e vengono rivelati mediante un complesso
costituito da un anticorpo anti-digossigenina marcato con
fosfatasi alcalina. La successiva reazione della fosfatasi
alcalina con il proprio substrato permette di evidenziare le
sonde positive11.
Un'alternativa è rappresentata dalla PCR-SSP (Primer a
sequenza specifica) che prevede, invece, l'impiego di una
serie di mescolanze di primers che amplificano in modo
specifico un allele o un preciso gruppo di alleli12-14.
L'avvenuta reazione di PCR di una o più mix di primers
testimonia la presenza di un allele o di un gruppo di alleli e
può essere rivelata immediatamente su un gel di agarosio
colorato con bromuro di etidio.
Una delle metodologie più moderne che ha permesso di
aprire nuovi orizzonti negli studi di biologia molecolare è la
reazione di sequenza (PCR-SBT). Questa può essere
eseguita o in modo manuale oppure mediante l'utilizzo di
apparecchiature denominate "sequenziatori" che,
impiegando gel di acrilamide o capillari, sono in grado di
studiare tutta la sequenza nucleotidica del template
(stampo) ottenuto con la PCR.
La PCR viene eseguita utilizzando una mix di primers
che amplificano in modo specifico un allele o un preciso
gruppo di alleli. L'amplificato viene poi denaturato ed i
singoli filamenti vengono cimentati singolarmente con
ognuno dei due primers utilizzati nella reazione di PCR.
Durante questa fase di sequenza si utilizza una miscela di
nucleotidi composta da nucleotidi "normali" necessari per
la replicazione del filamento di DNA e da nucleotidi
"particolari" (dideossinucleotidi), ognuno dei quali è
coniugato con un fluorocromo che emette luce con una
propria lunghezza d'onda: questi dideossinucleotidi hanno
la particolarità di bloccare la reazione di sequenza. Essendo
questa reazione di tipo casuale, il risultato finale è quello di
avere una serie di filamenti terminanti con un nucleotide
fluorocromato e di dimensioni sempre più lunghi di un
nucleotide rispetto al precedente per coprire tutta la
sequenza del singolo filamento del template originale.
Diagnostica molecolare in Immunoematologia
Figura 1: mutazioni nucleotidiche dei principali gruppi sanguigni del sistema ABO confrontate con la sequenza
nucleotidica di consensus del gruppo A1. Nell’ambito del gruppo B solo le mutazioni nucleotidiche sottolineate
sono responsabili del cambiamento aminoacidico
Mediante l'applicazione di un campo elettrico, questa
miscela di filamenti correrà in modo ordinato, dai segmenti
più corti a quelli più lunghi, lungo il gel di acrilamide o il
capillare ed il sequenziatore sarà in grado di verificare la
luce emessa dall'ultimo nucleotide che ha bloccato la
reazione di sequenza. La trasmissione dei dati a un software
di analisi permetterà di ordinarli e di intepretare la sequenza
nucleotidica del template sotto forma di un tracciato che
prende il nome di elettroferogramma il quale verrà
confrontato con la sequenza consensus della library per
valutare i punti di mutazione8.
Genetica molecolare del sistema ABO
Gli antigeni eritrocitari del sistema ABO rappresentano
sicuramente quelli di maggiore importanza storica e clinica.
Sono dei carboidrati e come tali non possono essere
sintetizzati direttamente dai geni, ma vengono assemblati
sulla membrana eritrocitaria dall'azione di transferasi la cui
attività è quella di apporre molecole carboidratiche ad una
struttura preformata nota come sostanza precursore.
La sostanza H rappresenta la sostanza precursore
per i gruppi ematici A e B.
Le transferasi α1-3Nacetilgalattosamintransferasi e α13 galattosiltransferasi sono necessarie per addizionare una
molecola di N-acetilgalattosamina e una di galattosio alla
sostanza H, rispettivamente per la sintesi delle strutture A
e B sugli eritrociti. La glicosiltransferasi per il gruppo
sanguigno A è stata isolata dal tessuto polmonare dopo
diversi tentativi sul plasma. La possibilità di conoscere la
struttura aminoacidica dell'enzima ha permesso a Yamamoto
e collaboratori di clonare e sequenziare il gene della
transferasi A partendo dal cDNA di un carcinoma gastrico
di un soggetto di gruppo A15,16. La comparazione delle
sequenze nucleotidiche delle regioni che codificano gli alleli
del sistema ABO ha permesso di identificare le delezioni o
le mutazioni responsabili delle differenti specificità e attività
delle transferasi (Figura 1). La sequenza nucleotidica della
glicosiltransferasi A è costituita da 1.062 nucleotidi disposti
su 7 esoni con interposti 6 introni per un totale di 19.514
paia di basi. Gli ultimi 3 nucleotidi localizzati sul 7° esone
(1.060-1.062) sono rappresentati da un codone stop (TGA)
che è in grado di bloccare la trascrizione del DNA17,18.
La sequenza nucleotidica della glicosiltransferasi A
rappresenta ad oggi la sequenza consensus (ABO* A101)
con cui si confrontano le mutazioni o le delezioni
nucleotidiche osservate e responsabili del polimorfismo
141
A Bontadini et al.
Figura 2: elettroferogramma del tratto della sequenza nucleotidica in cui è localizzata la delezione del nucleotide in
posizione 261. L’elettroferogramma in alto rappresenta la sequenza di consensus (*A0101), mentre quella in
basso dell’allele *0101 caratterizzata dalla delezione della guanina in posizione 261
del sistema ABO19,20. La clonazione e la sequenza delle altre
transferasi hanno dimostrato omologie di sequenza
superiori al 90% con quella di consensus. Le principali
sostituzioni e delezioni nucleotidiche responsabili del
polimorfismo sono localizzate sul 6° esone (pb 240-374) e
7° esone (pb 375-1062) . La sequenza genomica del gruppo
O differisce da quella di gruppo A per la delezione di una
singola base a livello del nucleotide 261 sul 6° esone. Tale
delezione determina uno scorrimento di tutta la struttura
nucleotidica del DNA (frame-shift) successiva al nucleotide
261, il cui risultato è quello di uno stop prematuro a livello
del codone 349-351, con la conseguente trascrizione di una
proteina di soli 115 aminoacidi, funzionalmente inattiva.
La sequenza nucleotidica del gene che codifica la
transferasi B è identica per il 99% a quella della specificità
A e differisce per le mutazioni di solo 7 nucleotidi, di cui
uno è localizzato sul 6° esone e gli altri sei sul 7° esone.
Tuttavia, solo le sostituzioni di 4 nucleotidi (C526G, G703A,
C796A e G803C) sul 7° esone sono responsabili della
modificazione aminoacidica nel dominio catalitico con
conseguente diversa specificità della transferasi19. Anche
i diversi sottogruppi del sistema ABO sono associati a
mutazioni puntiformi o a delezioni a livello del 6° e 7° esone
del gene21. Il polimorfismo del gruppo eritrocitario O è
142
dovuto a diversi alleli. L'allele O2 perde la caratteristica
delezione a livello del nucleotide 261, ma presenta tre
sostituzioni nucleotidiche A297G, C526G e G802A, di cui
solo l'ultima è responsabile della sostituzione aminoacidica
(glicina-arginina) con presumibile inattivazione enzimatica22.
La frequenza di questo allele osservata nella popolazione
caucasica è circa del 4%. Sempre nell'ambito del sistema
ABO, sono state descritte un certo numero di varianti
minori23,24. Tra queste, l'allele O3 è caratterizzato dalla perdita
della mutazione predominante G261, ma dalla
contemporanea acquisizione delle mutazioni caratteristiche
degli alleli A2 e Ael. Questo è indicativo del fatto che qualsiasi
mutazione dei principali alleli delle transferasi A e B è in
grado di inattivare la funzione enzimatica con possibile
generazione di un allele O. Per quanto riguarda l'allele A2
sono state descritte sia la sostituzione C467T con
conseguente sostituzione aminoacidica (prolina-leucina),
che una delezione di una delle tre C tra le posizioni 10591061 con conseguente produzione di una transferasi di 21
aminoacidi più lunga25. Tuttavia, è stato osservato che
questa transferasi, oltre ad una differenza qualititiva, ha
una riduzione della sua attività fino a 5-10 volte rispetto a
quella dell'allele A1. La nostra esperienza nell'ambito degli
studi genomici del sistema ABO è quella dell'applicazione
Diagnostica molecolare in Immunoematologia
Figura 3: differenze tra i geni RHD e RHCE. Polimorfismo del gene RHCE sul secondo e quinto esone. Le sostituzioni
nucleotidiche sottolineate sono quelle responsabili del cambiamento aminoacidico
della sequenza nella tipizzazione genomica del polimorfismo
localizzato sul 6° e 7° esone. Utilizzando due coppie di
primers descritti da Anan et al.26 e impiegati per PCR-RFLP,
abbiamo amplificato la sequenza nucleotidica del 6° e 7°
esone in cui sono localizzati la maggior parte delle mutazioni
responsabili del polimorfismo del sistema ABO. Gli
amplificati ottenuti di 254 o 255 pb per il 6° esone e di 513
pb sul 7° esone sono stati successivamente sequenziati
mediante un sequenziatore automatico a capillare. Questa
moderna tecnica genomica integra le metodiche di
emoagglutinazione nei casi in cui la definizione del gruppo
sanguigno appare di incerta risoluzione. In un caso venuto
alla nostra osservazione, un paziente affetto da sindrome
mieloproliferativa cronica aveva sviluppato una
modificazione del fenotipo eritrocitario da A1 a O durante
l'evoluzione della malattia dalla fase cronica a quella
accelerata.
Lo studio genomico in sequenza ha evidenziato il
genotipo AB0*0101,*A101 che è caratterizzato sia dalla
delezione G261 sul 6° esone (allele *0101) che dalla
sequenza consensus della glicosiltransferasi A (*A101)
(Figura 2).
Genetica molecolare del sistema Rh
Il sistema gruppo ematico Rh viene codificato dai geni
RHD ed RHCE. L'ordine dei due geni sul cromosoma 1
risulta essere RHCE-RHD, sebbene un recente studio della
regione intergenica abbia presupposto un ordine inverso,
RHD-RHCE. I due geni presentano una omologia di
sequenza pari al 96% per un totale di 1.251 pb distribuiti su
10 esoni27-29
Le principali differenze tra i due geni risiedono in 41
sostituzioni nucleotidiche distribuite lungo i 10 esoni e nella
delezione di un tratto genomico di 649 pb del IV introne nel
gene RHD30-32 (Figura 3).
L'alto grado di omologia tra le due regioni codificanti fa
ipotizzare la loro origine dalla duplicazione di un gene
ancestrale. Gli studi genomici di soggetti con fenotipo D
negativo (in particolare cde) hanno evidenziato la mancanza
143
A Bontadini et al.
del gene in confronto a soggetti con fenotipo D positivo,
ipotizzando una delezione dell'intero gene RHD33,34. Studi
più recenti hanno evidenziato in soggetti con fenotipo dCce
appartenenti a popolazioni non caucasiche la presenza del
gene RHD senza tuttavia l'espressione dell'antigene sulla
membrana cellulare35,36.
In alcuni casi, in cui non sono state evidenziate
alterazioni genomiche, è stata ipotizzata la possibilità di un
gene silente, mentre in altri più recenti l'osservazione di
mutazioni genetiche permette di ipotizzare blocchi della
trascrizione della proteina.
In particolare, in 2 soggetti di origine caucasica con
fenotipo dCce sono stati osservati, in uno una mutazione
che ha determinato uno scorrimento di tutta la sequenza
nucleotidica con formazione di un segnale stop sul codone
41 del 1° esone, mentre nell'altro ridotta espressione
dell'antigene sulla superficie eritrocitaria39,40.
Un recentissimo studio molecolare su 170 soggetti con
D a bassa espressione pubblicato nel 1999, ha invece
evidenziato la presenza di sostituzioni nucleotidiche
dislocate sui 10 esoni permettendo di identificare ben 16
alleli: questa nuova visione ha aperto l'ipotesi che i D a
bassa espressione siano la conseguenza di una ridotta
trascrizione nell'ambito di un polimorfismo allelico41.
Gli studi di biologia molecolare nei soggetti con D
"parziale" hanno permesso, poi, di constatare che diversi
meccanismi di mutazione possono essere causa di questi
particolari fenotipi.
Alcuni fenotipi D "parziali" sono dovuti a mutazioni
puntiformi del gene RHD, mentre altri sono la conseguenza
di riarriangiamenti tra i geni RHD e RHCE, che si formano
durante il processo di meiosi. L'alta sequenza di omologia
tra i due geni facilita la formazione di ibridi che possono
essere caratterizzati da delezioni o da vere e proprie
sostituzioni di sequenza nucleotidica che interessano tutti
gli esoni dei geni RH27, 38.
Genetica molecolare dei sistemi Kell, Duffy e Kidd
Il sistema Kell è codificato da un gene di 21.500 pb
localizzato sul cromosoma 7 ed è costituito da 19 esoni42,43.
Caratteristico di questo gene è l'organizzazione degli esoni
nella traslazione della proteina.
Il 1° esone codifica il solo codone della metionina
necessaria per l'inizio della traslazione; il 2° codifica il
dominio citoplasmatico della molecola mentre il 3° quello
intramembrana.
Tutto ll polimorfismo del sistema Kell con i suoi più di
20 antigeni è disposto invece sui restanti esoni (dal 4° al
19°) che codificano la parte extracellulare della proteina.
144
Il polimorfismo degli antigeni K (KEL1) e k (KEL2),
localizzato sul 6° esone, è dato da una sola sostituzione
nucleotidica C701T, così come quello per gli antigeni Kpa
(KEL3) e Kpb (KEL4), localizzato sull'8° esone, è
caratterizzato da una singola sostituzione nucleotidica
C961T.
Gli antigeni Jsa (KEL6) e Jsb (KEL7) sono codificati dalla
sequenza nucleotidica localizzata sul 17° esone, che è
caratterizzata da una mutazione T1910C con sostituzione
aminoacidica e da una seconda che è invece silente
A2019G44,45.
Il polimorfismo del sistema Duffy (Fya, Fyb e Fyx) è
dovuto a singole sostituzioni nucleotidiche,
rispettivamente per Fya e Fyb in posizione G131A, mentre
per Fyx in posizione C286T46,47. Alquanto caratteristico è
invece il fenotipo Fy (a-b-), particolarmente presente nelle
popolazioni nere, in cui la sequenza nucleotidica è identica
a quella dell'allele Fyb (adenina in posizione 131): tuttavia,
l'assenza dell'antigene sulla membrana eritrocitaria è dovuta
ad una sostituzione T46C nella regione promotore specifica
per gli eritrociti (GATA-1) con conseguente stop immediato
della trascrizione e relativo gene Fyb silente. Questa
mutazione genetica spiega sia perchè la glicoproteina viene
comunque espressa in altri tessuti che la mancanza del
riscontro di alloanticorpi in soggetti politrasfusi con questo
fenotipo48,49.
I due principali antigeni del sistema Kidd sono il
prodotto di due alleli caraterizzati da una singola
sostituzione nucleotidica G844A, localizzata sul 9° degli 11
esoni costituenti il gene50. La possibilità di studiare questo
polimorfismo, oltre all'utilizzo della metodica in PCR-SSP, è
stato descritto recentemente anche mediante l'applicazione
della sequenza da Irshaid e colleghi51.
Nella nostra esperienza abbiamo riproposto una
sequenza della regione nucleotidica in cui è localizzata la
sostituzione nucleotidica, utilizzando due primers da loro
descritti, il Jk 781F3 in forward e il Jk 943R3 in reverse.
L'amplificato di 378 pb è stato successivamente sequenziato
per verificare il nucleotide responsabile del genotipo.
Abbiamo applicato questa metodica nella determinazione
immunoematologica del gruppo sanguigno Duffy in un
paziente politrasfuso con globuli rossi concentrati.
Mentre la valutazione in emoagglutinazione evidenziava
un fenotipo Jk (a+b+), lo studio genomico mediante sequenza
mostrava nell'elettroferogramma la sola presenza di una
adenina in posizione 844 responsabile del genotipo Jkb.
Il modello quindi proposto da Irshaaid et al. è risultato
ripetibile e di possibile applicazione in particolari casi
immunoematologici in cui si voglia definire il fenotipo del
sistema gruppo ematico Kidd dopo multiple trasfusioni o
in corso di malattia emolitica autoimmune.
Diagnostica molecolare in Immunoematologia
Applicazioni della diagnostica molecolare
in Immunoematologia
Una delle applicazioni più descritte in letteratura della
diagnostica molecolare è quella in corso di
alloimmunizzazione materno-fetale.
La possibilità di eseguire una tipizzazione eritrocitaria
del genotipo fetale durante le fasi precoci di gravidanza da
un prelievo di villi coriali o di liquido amniotico permette
una rapida diagnosi della presenza o meno dell'antigene
sugli eritrociti del feto verso il quale è diretta la specificità
dell'anticorpo materno.
Diversi lavori descrivono questo possibile approccio
diagnostico in corso di MEN evidenziando i vantaggi di
una diagnostica precoce per una migliore valutazione
clinica della gravidanza che impieghi tecniche di prelievo
ostetrico meno cruente della funicolocentesi52-56.
Ulteriori segnalazioni riguardano lo studio del genotipo
in pazienti affetti da grave malattia emolitica autoimmune
per una corretta definizione del fenotipo sia a scopo
trasfusionale che per la ricerca di emazie fenotipicamante
identiche, necessarie per le valutazioni
immunoematologiche di assorbimento degli autoanticorpi
nello studio di eventuali alloanticorpi.
Sempre in campo immunoematologico, la diagnosi
genomica è stata utilizzata nella corretta definizione di alleli
eritrocitari dei sistemi gruppoematici ABO, Rh, Fy, in cui
forme acquisite o congenite possono determinare una
alterazione della espressione degli antigeni di membrana
degli eritrociti.
In particolare, in corso di trasfusione massiva, il fenotipo
originale diventa difficilmente diagnosticabile quando
invece la sua conoscenza potrebbe essere di grande aiuto
in caso di alloimmunizzazione eritrocitaria.
Anche se raramente, in corso di malattie
mieloproliferative o nelle varianti deboli di origine genetica,
si può avere una modificazione del fenotipo eritrocitario
con discordanza tra il risultato dei test globulari e di quelli
sierici: le metodiche di biologia molecolare hanno permesso
di superare i limiti delle metodiche di emoagglutinazione,
ottenendo una definizione del gruppo sanguigno fino a
livello allelico26,56.
La particolarità del gene Fyb silente nelle popolazioni
nere è stata oggetto di numerosi studi, sia per una migliore
conoscenza immunoematologica sia per una necessità
trasfusionali in soggetti con fenotipo Fy (a-b-) in cui la
produzione di alloanticorpi con specifictà anti-Fyb
limiterebbe il reperimento di sangue compatibile47,48.
Tuttavia, anche per le metodiche di biologia molecolare
esistono i risultati falsi positivi o negativi che possono
dare conseguenze di gravità variabile, a seconda delle
situazioni. In corso di diagnosi prenatale, un risultato falso
positivo nella definizione del genotipo del feto dà adito ad
un monitoraggio aggressivo nella madre durante la
gravidanza, mentre un risultato falso negativo darà invece
un effetto contrario, con sottovalutazione della gravità
dell'alloimmunizzazione e conseguente grave danno del
feto.
La tipizzazione di donatori di sangue con sottogruppi
eritrocitari rappresenta un'altra applicazione in cui un
risultato falso positivo porta a un utilizzo non ottimale del
sangue, mentre un risultato falso negativo può determinare
la trasfusione di sangue incompatibile con le relative
conseguenze nel ricevente.
La stessa applicazione nella tipizzazione dei pazienti
porterà invece alla possibilità di trasfusione con sangue
incompatibile e grave rischio per il paziente in caso di
risultato falso positivo, mentre un risultato falso negativo
porterà ad una trasfusione non ottimale, ma difficilmente
dannosa.
Conclusioni
L'applicazione della biologia molecolare in campo
immunoematologico ha notevolmente cambiato le
conoscenze della genetica dei gruppi sanguigni.
La scoperta della sequenza consensus da parte di
Yamamoto e collaboratori nell'ambito del sistema ABO
all'inizio degli anni ‘9015,16 ha sicuramente aperto la strada
nella definizione dei diversi sottogruppi con un
miglioramento diagnostico in tutti quei casi, acquisiti o
genetici, in cui limiti delle tecniche di emoagglutinazione
non riuscivano a completare la determinazione del gruppo
sanguigno.
La definizione della genetica del sistema Rh ha portato
ad una migliore conoscenza dei polimorfismi responsabili
dei diversi antigeni che lo compongono e ad avanzare
nuove ipotesi sulla loro ereditarietà.
La possibilità di applicare, poi, lo studio in biologia
molecolare alla diagnostica precoce prenatale in corso di
alloimmunizzazione materno-fetale apre la possibilità di un
monitoraggio meno aggressivo di queste gravidanze, a
seconda della presenza o meno sugli eritrociti fetali
dell'antigene verso cui è diretto l'anticorpo materno.
Tuttavia, le metodiche di emoagglutinazione rimangono
al momento ancora estremamente valide nella diagnostica
quotidiana dei gruppi sanguigni e nei laboratori di
Immunoematologia difficilmente verranno sostitutite da
quelle di biologia molecolare che rappresentano al momento
una metodologia da applicare solo in casi particolarmente
selezionati.
145
A Bontadini et al.
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