Giovanna Lo Sapio MANUALE SULLA DISABILITÀ Dai bisogni educativi speciali ai programmi di integrazione scolastica Con la collaborazione di: C.A. Arcangeli, G. Lazzeri, P. Pasquetti, F. Cerboni, G. Zambelan, S. Fontani, C. Garugliani, S. Solari, S. Aito, G. Lombardi, S. Lera, S. Mazzoleni, C. Ciceroni, F. Mugnai ARMANDO EDITORE Sommario Introduzione di GIOVANNI BOLLEA Prefazione di ALBERTO ZATTI Capitolo 1 Disabilità: definizioni e classificazioni PIETRO PASQUETTI, FABIO CERBONI, GIULIA ZAMBELAN Intervento riabilitativo Bibliografia Capitolo 2 Disabilità evolutive: le principali entità nosografiche SAVERIO FONTANI Disabilità Intellettive Evolutive Disabilità motoria Disabilità uditiva Disabilità visiva Bibliografia 9 13 19 22 25 26 27 37 46 57 65 Capitolo 3 69 I disturbi specifici dell’apprendimento GIOVANNA LO SAPIO - CARMEN GARUGLIANI Dislessia, Disgrafia, Disortografia e Discalculia: diagnosi e trattamento 70 Vissuti psicologici e rapporti scuola-famiglia 72 Bibliografia 74 Capitolo 4 Disturbi da deficit di controllo del comportamento SAVERIO FONTANI Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività Fattori eziologici a componente organica 75 76 78 Fattori eziologici a componente ambientale Comorbidità e disturbi associati Linee guida per l’intervento multimodale Bibliografia Capitolo 5 I Disturbi dello Spettro Autistico SILVANO SOLARI Introduzione La storia I criteri diagnostici secondo il DSM IV Analisi dello spettro autistico La Valutazione Funzionale La Diagnosi Differenziale Gli interventi abilitativi Il modello integrato Bibliografia 81 83 90 98 101 101 102 102 103 107 110 112 119 121 Capitolo 6 123 Disabilità e sessualità: sessualità nell’uomo con lesione midollare SERGIO AITO, GIUSEPPE LOMBARDI Introduzione 123 Disturbi dell’erezione e dell’eiaculazione 123 Riabilitazione iniziale durante il primo ricovero post-lesione midollare124 Bibliografia 129 Capitolo 7 L’intervento integrato in riabilitazione: il punto di vista psicologico STEFANO LERA Il concetto di riabilitazione Integrazione nel vissuto del disabile Integrazione nelle professioni di aiuto L’integrazione come indice di valutazione della qualità dell’intervento, delle procedure e delle dinamiche assistenziali Bibliografia Capitolo 8 Riabilitazione motoria intensa e continuativa - R.I.C. nei soggetti mielolesi CARLO ALBERTO ARCANGELI, GIOVANNA LAZZERI, GIOVANNA LO SAPIO 132 132 135 146 147 148 152 Capitolo 9 Sistemi robotici e meccatronici per la riabilitazione STEFANO MAZZOLENI Introduzione Sistemi robotici per la riabilitazione dell’arto superiore Sistemi robotici per la riabilitazione degli arti inferiori Sistemi meccatronici per l’analisi del movimento e la valutazione funzionale Questioni aperte Conclusioni e sviluppi futuri Bibliografia Capitolo 10 Il ruolo delle associazioni nel processo di integrazione dei disabili GIOVANNA LO SAPIO Le associazioni dal punto di vista giuridico e storico Associazioni e disabilità: contributi rilevanti del diritto internazionale Famiglie e associazionismo Capitolo 11 Il processo di integrazione degli alunni disabili GIOVANNA LO SAPIO Premessa La normativa sulla disabilità Terminologia e modelli di classificazione della disabilità L’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili: percorsi operativi Uno sguardo al futuro: il progetto di vita Bibliografia Sitografia Capitolo 12 L’impiego degli animali con utilità sociale nella disabilità e nel supporto psicologico CARLO CICERONI, FRANCESCA MUGNAI Premessa Gli animali impiegati in attività di utilità sociale Definizioni di Programmi Assistiti Cronistoria della pet-therapy I destinatari degli interventi Le strutture e le figure professionali 159 159 163 168 171 173 174 176 180 180 192 197 210 210 212 222 224 227 238 242 243 243 244 249 251 254 256 Cosa dice la Legge Validazione scientifica Conclusioni Appendice Interviste: “La motivazione nelle sfide della vita” DI GIOVANNA LO SAPIO Intervista al Centro Giusti Conclusioni Bibliografia 258 259 260 264 264 317 319 Introduzione GIOVANNI BOLLEA Nel 1984 in un’intervista al “Corriere della Sera” il Prof. Giovanni Bollea rilasciava alcune chiare ed acute dichiarazioni – di seguito riportate – che appaiono ancora oggi delle pietre miliari per chi vuole avvicinarsi con competenza, sensibilità ed attenzione allo studio del “diversamente abile”. Chi infatti desidera confrontarsi con il grave problema di ancora così grande urgenza ed attualità, quale quello di aiutare i soggetti svantaggiati a ritrovatre dignità e decoro, non può fare a meno di riflettere sui cinque aspetti fondamentali a cui fa riferimento il Prof. Bollea. Tali elementi possono rappresentare la premessa da cui si sviluppa successivamente il manuale rivolto a tutti gli operatori nel campo che si accingono a conoscere ed usare sempre meglio nuove tecniche, strumenti e strategie. Intervista al Prof. Bollea 1) Prof. Bollea, l’handicappato è più svantaggiato per l’handicap o per il suo significato sociale? Direi che gli handicappati motori, sensoriali e settoriali sono più svantaggiati per il loro handicap sino alla preadolescenza e poi i motori e i sensoriali lo sono di più per il significato sociale dell’handicap, mentre il settoriale, cioè colui che è affetto da ritardo di lettura, scrittura può dalla preadolescenza in poi imparare a convivere con il suo handicap e sviluppare altre vie di appropriazione culturale raggiungendo spesso la sua piena realizzazione come cittadino. L’handicappato psichico, cioè il ritardato mentale (non lo psicotico), è fin dall’infanzia svantaggiato per il significato sociale del suo handicap che porta a non intravvedere (sbagliando quasi sempre e quindi lo sbaglio è spesso dei tecnici stessi) la sua possibilità di recupero sociale. 9 2) In cosa si differenzia, secondo Lei, il problema dell’handicap fisico da quello psichico? L’handicappato fisico in una forte percentuale di casi ha una intelligenza normale o al limite o superiore alla norma e perciò lotterà quasi sempre con successo per migliorare il suo svantaggio; l’handicappato psichico e cioè l’insufficiente mentale medio e grave (e anche lieve) non può da solo migliorare se stesso se l’ambiente non lo aiuta, se non l’aiutano a valorizzare i suoi elementi positivi. 3) A quali iniziative in favore degli handicappati Lei darebbe la priorità? Non ci sono dubbi, al loro inserimento lavorativo – tenga presente dico lavorativo e non sociale. Noi abbiamo impostato bene o male la riabilitazione dell’handicappato, ma poi i nostri sforzi risultano nella maggior parte un fallimento perché la società non apre loro il mondo del lavoro. Tra la società dei cosiddetti normali che è chiusa verso questa piccola minoranza di “veri” handicappati, tra le varie Commissioni che sfornano “falsi” handicappati, occorre adottare quella linea pragmatica che sto diffondendo invano da anni, direi da decenni, in tutti i Convegni, Congressi e Seminari dove si dicono molte parole sugli handicappati e cioè: tutte le aziende con 40 e più dipendenti sono obbligate ad inserire in una attività lavorativa loro o in aziende a loro affiliate i figli handicappati dei loro dipendenti. Quando il genitore non lavora in una tale azienda il Servizio Sociale del Dipartimento materno infantile deve trovare l’inserimento lavorativo nelle piccole aziende del territorio. Tenga presente che il numero di “veri” handicappati è straordinariamente piccolo, siamo nell’ordine delle migliaia!! Ma quanta sofferenza inutile, ma quanto dolore, ansia, angoscia di questi poveri genitori. L’handicappato non è il problema di una famiglia ma è un problema di tutti: la famiglia dovrà essere sempre l’artefice principale della sua riabilitazione ma la società deve farsene totalmente carico perché l’handicappato abbia a pieno diritto la possibilità di raggiungere la dignità di uomo. 4) Ci dica brevemente qual è il suo concetto di riabilitazione dell’handicappato. I principi informativi della nostra Scuola sono: 1) Scrupolosa diagnosi del “bambino a rischio” e inizio intervento solo quando si è sicuri della sua necessità. Avendo per primi insistito sempre sulla diagnosi precocissima oggi dobbiamo iniziare a difendere il piccolo essere da “mani rapaci” troppo facilmente e inutilmente riabilitatrici! 2) Fare un esame esatto del “positivo” che vi è nel bambino, della sua 10 spontanea compensazione del proprio deficit e su questi elementi o partendo da questi impostare il programma di riabilitazione. 3) Fatto importante, ricordarsi sempre che il bambino portatore di un handicap è un soggetto e non un oggeto da riabilitare, quindi impostare un progetto terapeutico basato sulla più precoce possibile partecipazione attiva del bambino. Una rieducazione passiva dopo i due-tre anni non serve a niente e facilita anzi l’insorgenza di reazioni comportamentali con base inibitoria che aggrava e non favorisce l’intervento riabilitativo. 5) La tecnologia che ruolo può avere nell’handicappato? La tecnologia spesso anche sofisticata può essere estremamente utile a rafforzare o meglio rendere possibile la realizzazione di certe autonomie di vita partendo da ridotte e qualche volta minime possibilità di azione motoria o sensoriale o settoriale. Noi oggi possiamo bombardare di stimoli specifici l’emisfero più valido o quello meno valido, possiamo valorizzare una via sensoriale rispetto ad un’altra, possiamo facilitare un tipo di comunicazione grafica quando quella verbale è difficile e così via. Spesso non si conoscono tutte queste possibilità e forse sarebbe necessario che ci fosse un Centro di informazione solo per questo settore. Intervista del 27 luglio 1984 11 Prefazione ALBERTO ZATTI C’è un grande bisogno in questi tempi di un manuale sulle disabilità. Molte sono infatti le forme di “abilità differenti” e sempre più importante si fa quindi la necessità di conoscerle approfonditamente, oltre che di curarle e assisterle. “Abilità differenti” è una formula linguistica che si è ormai imposta per denominare situazioni che un tempo venivano troppo sbrigativamente rubricate sotto l’etichetta di handicap. Più opportunamente, infatti, la disabilità va interpretata come un “modo diverso di aprirsi al mondo”, piuttosto che un elenco delle mancanze psicofisiche che stabiliscono un certo ammontare di deficit. Un manuale come quello curato da Giovanna Lo Sapio consente invero di mettere a disposizione, contemporaneamente, in un solo libro, i saperi delle discipline scientifiche che si occupano quotidianamente di disabilità: la medicina, la psicologia, la pedagogia. Nella prima parte del volume viene data grande importanza alla diagnosi, a cui la neurologia e le altre branche mediche danno un apporto fondamentale. “Conoscere le cause” è una tensione implicita in ogni processo conoscitivo: dia-gnosi deriva infatti dal greco dia, che significa “attraverso”, e gnosi, conoscere. Conoscere, quindi, al di là di ciò che immediatamente appare. Individuare le abilità presenti insieme a quelle assenti, farne un bilancio e ricondurre al funzionamento dei sostrati organici o piuttosto alle vicende psicologico-relazionali con cui sono state associate è un compito preliminare per ogni operatore che il volume ben illustra. Alla diagnosi viene inoltre molto saggiamente affiancata, nel volume l’assessment della disabilità, perché il compito dell’operatore che lavora con le persone è non solo quello di inquadrare, bensì anche di potenziare e sviluppare sia le abilità presenti che quelle da rinforzare o recuperare. Ecco che allora il lettore di questo libro potrà farsi un quadro complessivo delle problematiche presenti nel lavoro con la disabilità: dal piano diagnostico a quello 13 della valutazione del potenziale, dall’assessment dell’ambiente sociale che “ospita” la persona con disabilità, fino all’analisi delle istituzioni che sono coinvolte, dalla scuola ai contesti lavorativi, alle organizzazioni di assistenza e cura, ecc. Questo libro, scritto a più voci e soprattutto con l’apporto poliedrico di discipline fra loro complementari, consente di farsi un’idea a tutto tondo della disabilità. Il discorso medico consente ad esempio non solo di ricondurre a possibili cause biologiche curabili gli eventuali deficit, bensì fa anche emergere l’idea di un soggetto portatore di diritti di cura ed assistenza, da cui una società civile non può prescindere. È in ultima analisi il medico a certificare il diritto della persona disabile a richiedere tutta l’assistenza e il supporto che una società è in grado di dare. È proprio a questa presa di coscienza civica da parte dei soggetti che si occupano di disabilità – dal medico all’educatore, dall’assistente sociale allo psicologo, ecc. – che gli autori richiamano i lettori e gli operatori del settore. Un volume collettaneo e con più prospettive consente di far conoscere ai vari specialisti della disabilità cosa facciano gli altri colleghi. Avere in un manuale l’insieme dei punti di vista non è qualità da poco, in un periodo storico che sembra ammettere soltanto specialismi. È bene che i differenti operatori conoscano le filosofie degli altri: il medico quella dell’educatore, lo psicologo quella del medico e viceversa e via dicendo. Questo perché la visione integrata del soggetto disabile parte proprio dalla capacità di ogni operatore con cui lavorerà di percepirlo nella sua complessità individuale, ma anche personale e soggettiva: un manuale multidisciplinare è già di per sé un prodotto dell’integrazione della persona con disabilità. Vero è anche che il soggetto è sì individuo detentore di diritti ma anche persona in grado di interagire attivamente nello scenario sociale. Ecco che quindi la persona disabile può essere pensata anche come “superiore alla cintura protettiva dei diritti” e diventare a pieno titolo cittadino con proprie attese, ma anche obblighi e servizi che può offrire alla società nel suo insieme. A questo programma quasi utopico dell’integrazione della disabilità nella scuola o nel lavoro sono ispirate le parti del libro dedicate all’inserimento sociale del disabile, che non ha soltanto bisogno di un’accoglienza favorevole da parte della società. Anche quest’ultima, infatti, può “approfittare” delle provocazioni della disabilità per prendere coscienza delle proprie possibilità e dei propri limiti. La scuola, ad esempio, è il luogo elettivo della formazione del cittadino futuro. Non è un caso che il libro se ne occupi ampiamente in termini legislativi, ma anche pedagogici e psicologici. L’inclusione a scuola, come in tutti gli altri spazi sociali – quali il lavoro, i servizi pubblici, gli spazi urbani, ecc. – della persona disabile consentirebbe in verità all’uomo e alla donna 14 cosiddette “normali” di prendere in considerazione l’esistenza delle alterità, fisiche, psicologiche, ma anche etniche, linguistico-comunicative, ecc. Il disabile, riconosciuto quale persona, è tutto sommato la risorsa a disposizione della società pluralista per ammettere dentro di sé la grande varietà di “modi di stare-al-mondo”. Nella lettura del libro emergono anche chiaramente quelli che sono i confini a cui la ricerca scientifica è giunta nell’occuparsi della disabilità. Molto onestamente gli autori ricorrono ad espressioni caute rispetto alla dialettica fra cause organiche e cause psico-sociali, com’è tipicamente nel caso dei disturbi dell’apprendimento. In tempi come gli attuali, in cui le frontiere della conoscenza del sistema nervoso si stanno allargando sempre più, quello che possiamo dire è soltanto che per ora le neuroscienze non hanno ancora rintracciato la configurazione nervosa che causa un determinato disturbo nel campo dell’apprendimento. La natura interdisciplinare dell’opera promossa e curata da Giovanna Lo Sapio consente tra l’altro di non rinchiudersi in visioni un po’ ingenue e riduttiviste secondo le quali, scoperta una causa organica, avremmo conseguentemente a portata di mano la soluzione del problema. In realtà, la persona disabile va affrontata nella sua complessità globale: biologica, umana e sociale. Anche quando la psiconeurologia arriverà ad individuare la configurazione neurologica “deviante” di una certa sindrome disabilitante, resterà sempre presente e attiva la necessità di trasformare i luoghi del vivere sociale in senso più accogliente, anzi e forse soprattutto per chi è portatore di una differenza. La curatrice dedica inoltre un intero capitolo alle vicende sociali e legislative che nei decenni a partire dagli anni ’70 hanno caratterizzato l’emersione della disabilità dalla sfera privata a quella pubblica. L’Italia si caratterizza nel panorama europeo, infatti, anche per una legislazione particolarmente “avanzata”, secondo i criteri dell’integrazione delle persone disabili nei contesti educativi. Come scrive l’autrice “L’Italia, infatti, ha realizzato, almeno dal punto di vista giuridico, una scelta d’integrazione totale nella scuola ordinaria che possiamo ritenere unica rispetto agli altri paesi europei, dove, nonostante sperimentazioni in questa direzione, prevale ancora una scolarizzazione separata”. Nell’inciso di quel “almeno dal punto di vista giuridico” si riscontra tutta l’attualità della legislazione italiana in materia, ma anche la sua non ancora piena realizzazione, nonché il fatto che il margine di attuazione varia molto nelle diverse aree geografiche dei distretti scolastici italiani. Il richiamo doveroso, ancorché conciso, alla recente storia della visibilità sociale della disabilità, contrassegnata da stigma e vergogna nei primi decenni del secolo scorso, che proprio per merito delle politiche dell’integrazione è potuta “uscire fuori” dalle famiglie per diventare preoccupazione dell’intera società, consente al lettore di ravvivare, per così dire, l’istanza etica che sem15 pre accompagna i discorsi sulla disabilità nelle sue diverse forme. Di fatto, il disagio e la disabilità, come anche la fragilità e la malattia, non sono soltanto questioni di pertinenza esclusiva del singolo individuo. Tali fenomeni investono tutta la società perché le persone sono per lo Stato, in primo luogo, dei “cittadini”. È merito di una società che si voglia chiamare “civile” fare della solidarietà uno dei principi fondatori della convivenza umana, come recitano, appunto, i primi articoli della Costituzione Italiana. Nella nostra Costituzione, infatti, troviamo chiaramente espresso come il principio di solidarietà sia un cardine dell’organizzazione della società democratica, di cui la Carta è il documento fondamentale. All’articolo 2 della Costituzione viene detto che «a ogni cittadino italiano si richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, e sociale» (art. 2 Costituzione Italiana). Il cittadino viene in tale articolo richiamato ad un dovere da adempiere di solidarietà individuale, a cui fa da contraltare il corpo collettivo dei cittadini, lo Stato, come espresso nell’articolo 3 della Costituzione stessa. In esso si dichiara che lo Stato si assume il compito «di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese» (art. 3 Costituzione Italiana, capoverso II). Secondo tale principio, i singoli individui, a cui sono riconosciuti, come detto nella frase appena prima, capoverso I, «i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si realizza la sua personalità», devono essere guidati, dalle leggi dello Stato, a perseguire l’eguaglianza di tutti i membri della collettività, all’insegna delle pari possibilità di realizzare se stessi, in quanto contributori della società. Il passaggio dalla “fase dell’integrazione” a quella propria di questi ultimi vent’anni, detta “dell’inclusione”, è rappresentabile come la transizione da un “abbraccio” (l’integrazione) d’accoglienza e sostegno del disabile ad uno stadio successivo in cui la “normalità” degli scambi fra le molteplici e diversamente abili componenti della società fa da sfondo a una dinamica delle relazioni personali e delle interazioni istituzionali, in cui anche il disabile può diventare risorsa attiva del corpo sociale. Per attuare un’integrazione capace di andare oltre la semplice accoglienza, Giovanna Lo Sapio fornisce anche gli strumenti concettuali e “tecnici” della didattica coi quali costruire dei percorsi di insegnamento adatti per le persone disabili. La progettazione curricolare personalizzata costituisce il punto di riferimento per le insegnanti che si occupano dei bambini e delle bambine differentemente abili, ma questi approcci pedagogici consentono di vedere maggiormente nel dettaglio anche i bisogni educativi di tutti quanti i bambini 16 di una classe. Ecco che allora la cosiddetta “insegnante di sostegno” potrebbe diventare l’occasione per l’équipe degli insegnanti di vedere tutta una classe secondo l’ottica della valorizzazione delle risorse di un bambino. Nessuno è uguale, se visto da vicino. Così come tutti noi, e non solo le persone disabili, vorremmo essere rispettati proprio in ciò che più ci differenzia e caratterizza rispetto alla massa di tutti gli altri. Ogni uomo e ogni donna sono detentori di diritti ma anche di doveri sociali nei confronti delle molteplici componenti di uno stato democratico. La pienezza della cittadinanza si attua non solo nel momento in cui si riceve sostegno o assistenza, bensì anche, e soprattutto, quando si è nella condizione di poter dare il proprio contributo alla costruzione della civiltà umana. È giunta l’ora che tutte le componenti sociali, con la loro differente potenzialità contributiva, possano godere del piacere e dell’orgoglio di essere membri attivi di una società. Questo è, fondamentalmente, il messaggio che Giovanna Lo Sapio vuole consegnarci con il suo importante contributo alla conoscenza della disabilità in Italia. 17 Capitolo 1 Disabilità: definizioni e classificazioni PIETRO PASQUETTI*, FABIO CERBONI**, GIULIA ZAMBELAN* Per meglio comprendere l’evoluzione del ruolo della riabilitazione e le modificazioni metodologiche e organizzative che si sono susseguite è opportuno fare riferimento alle classificazioni sviluppate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel corso degli ultimi decenni. L’OMS nel 1980 ha pubblicato la Classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, ICIDH), successivamente ristampata nel 1993 con una nuova prefazione. Questo documento permette di definire come una persona, in seguito ad un evento lesivo (trauma o malattia) possa subire una menomazione (definita come perdita di sostanza o alterazione di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica). Una menomazione a sua volta può determinare una disabilità (qualsiasi limitazione o perdita delle capacità di compiere un’attività nel modo o nei limiti considerati normali per un essere umano). L’impatto tra la disabilità e gli ostacoli posti dall’ambiente architettonico, psicologico e economico, genera l’handicap (condizione di svantaggio sociale che in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale in relazione a età, sesso e fattori socioculturali). L’handicap riguarda il valore attribuito ad una situazione quando essa si allontana dalla norma; è dato da una discordanza tra la condizione dell’individuo e le aspettative dello stesso e del gruppo a cui appartiene. È considerato quindi come la socializzazione della limitazione, il risultato dell’incontro di quest’ultima con le barriere, in gran parte dovute a carenze organizzative della comunità, deficit di servizi, mancanza di ausili adeguati, non rispetto di normative vigenti. Da qui nasce * Medicina riabilitativa – Az.Osp.Univ. Careggi Firenze. Medico Medicina Generale – Cerreto Guidi (FI). ** 19 la necessità di un intervento in più direzioni, per limitare lo svantaggio tramite politiche di supporto e abolizione di barriere fisiche e culturali. Dopo quasi due decenni l’OMS ha operato una revisione di tale classificazione, alla luce di cambiamenti culturali, di sensibilità e acquisizione di nuove conoscenze scientifiche. Questo lavoro di elaborazione è durato alcuni anni e ha portato alla pubblicazione nel 2001 di un nuovo strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità nella popolazione, l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), attualmente riconosciuto ed applicato in ambito mondiale, che classifica il funzionamento a livello del corpo/parte del corpo, sia della persona valutata nella sua globalità, sia della persona stessa, considerata inserita nell’ambito del contesto sociale. Questa versione descrive le conseguenze delle malattie ma con una visione maggiormente in positivo delle abilità residue dell’individuo colpito, così da sostituire la dimensione di “disabilità” dell’ICIDH con quella di “attività”, così come “handicap” con “partecipazione”. Oggi l’ICF è adottata come standard internazionale per classificare salute e malattia. Rappresenta un potente strumento di lavoro efficiente e versatile, nonché il punto di partenza di un nuovo linguaggio per la sanità, a servizio della clinica, della ricerca, della statistica e quindi anche della programmazione sociosanitaria. Nella Medicina Riabilitativa l’ICF è andata ad integrarsi con le numerose scale di valutazione già esistenti per misurare i diversi aspetti della vita dell’individuo. Lo scopo generale della nuova classificazione è di facilitare l’uniformità di linguaggio e creare un modello di riferimento per descrivere il funzionamento e le disabilità dell’uomo in quanto componenti della salute. Tutti i soggetti hanno livelli di salute diversi, nei diversi momenti ed età della vita, è così possibile classificare chiunque in base al suo stato di salute, al suo funzionamento. Mentre il modello dell’ICIDH prevedeva una sequenza pressoché lineare dei domini di impairment, disabilità e handicap, che ha portato ad un’interpretazione di tipo causale e unidirezionale di cambiamenti in successione nel tempo, il percorso di revisione e crescita che si è concretizzato nell’ICF ha sottolineato gli aspetti multidimensionali della disabilità, vista come un fenomeno dinamico, complesso, interattivo e in evoluzione, tra salute e fattori contestuali. I fattori contestuali sono riconosciuti come elementi fondamentali nel determinare il livello di partecipazione sociale del soggetto e si possono distinguere in fattori ambientali e fattori personali. I primi sono esterni all’individuo e riguardano l’ambiente umano e sociale, la comunità con i valori e le leggi, le istituzioni. Mentre i fattori della persona condizionano il modo in cui un individuo percepisce, elabora e vive l’alterazione della funzionalità. 20 La riabilitazione, ed in particolare la Medicina Riabilitativa – o fisiatria – che ne è la parte sanitaria, nasce all’interno di correnti di pensiero basate sul concetto che l’individuo è portatore di diritti, e lo è anche quando a causa di malattia, trauma o avanzare dell’età, ha una riduzione delle sue capacità che lo rendono “fragile”, portatore di invalidante malattia, diversamente abile. La fisiatria opera sulla persona, in senso globale, per aumentarne le capacità funzionali nelle attività della vita quotidiana. La riabilitazione in ambito sanitario è partita come il risultato dell’unione, che si è verificata circa un paio di secoli fa, dell’antica terapia fisica intesa come applicazione di energie esterne (termica, meccanica, elettrica, elettromagnetica), con la ginnastica medica, che sfrutta il movimento come mezzo terapeutico. Il termine riabilitazione, associato a quello di medicina, è stato introdotto alla fine degli anni Quaranta negli Stati Uniti nell’ambito dei programmi di recupero per i numerosi soldati feriti nella Seconda Guerra Mondiale e per i pazienti colpiti da esiti delle grandi epidemie di poliomielite. Questo è stato il momento in cui si è verificato il passaggio dalla terapia fisica alla Medicina Fisica e Riabilitazione, concetto in cui le due componenti si integrano, potenziandosi reciprocamente e creando una forte sinergia che ha come obiettivo finale il mantenimento e/o il ripristino delle capacità funzionali dell’individuo in relazione alla malattia e alle sue conseguenze. Con il passare degli anni l’aspetto riabilitativo ha assunto sempre maggiore importanza, sia dal punto di vista teorico sia nelle applicazioni pratiche, e da sinonimo di recupero funzionale del disabile, correlato con le ripercussioni economiche della disabilità, ha raggiunto un significato più ampio, alla luce dei diritti fondamentali dell’individuo e della dignità della persona. Gli orizzonti di applicazione si sono allargati e ad oggi sono numerosissimi i campi in cui si fa ricorso alla riabilitazione, dalle patologie ortopediche, neurologiche, cognitive, a quelle cardiologiche, respiratorie, fino all’ambito oncologico. Con il passare degli anni si è assistito ad una riduzione della durata dei trattamenti e dei ricoveri per le patologie in fase acuta e un crescente numero di pazienti “cronici” che riferiscono problemi nella gestione della vita quotidiana legati agli esiti, anche in relazione ad una aumentata sopravvivenza a malattie un tempo mortali, all’aumento della durata media della vita e alla presenza di comorbilità. La crescita della domanda riabilitativa, in forma di richiesta di salute, di cure, di ripresa dell’autonomia e dell’autosufficienza ha reso quindi necessari lo sviluppo qualitativo e quantitativo dei servizi e il miglioramento delle conoscenze scientifiche per intervenire in modo efficace nello sviluppo delle varie competenze in ambiti sempre più ampi, diversificati e complessi. 21 La risposta si compie attraverso la riabilitazione “medica”, che si occupa della prevenzione, dell’eliminazione o del contenimento della limitazione dell’autonomia, e della riabilitazione “sociale”, che ha il compito di affrontare le barriere e gli ostacoli alla partecipazione alla vita sociale. Dal semplice recupero funzionale dopo un danno biologico, si è passati alla prevenzione della disabilità e alla presa in carico dei problemi psicologici e sociali che essa può generare, cercando di prevenire o superare anche lo svantaggio che si viene a creare nell’impatto fra le difficoltà della persona e le varie barriere che l’ambiente offre. L’obiettivo è quello di conservare o fare acquisire alla persona con disabilità di origine diversa, il massimo grado di attività e partecipazione alla vita della comunità, in relazione alle caratteristiche e alle aspettative personali e sociali. Intervento riabilitativo Gli interventi della Medicina Riabilitativa possono essere raggruppati in tre diverse categorie: – interventi terapeutici, con lo scopo di modificare il danno e la disabilità; – interventi assistenziali, volti a mantenere le migliori condizioni permesse dalla malattia; – interventi educativi, rivolti alla persona interessata e/o ai familiari riguardo la gestione della disabilità. Nell’ambito della Medicina Riabilitativa è indispensabile il lavoro del team riabilitativo composto da una pluralità di figure professionali che include medici specialisti, infermieri professionali, fisioterapisti, psicologi, terapisti occupazionali, assistenti sociali; altri operatori vengono coinvolti qualora il progetto li preveda (logopedista, tecnico ortopedico, educatore) a seconda del tipo di patologia da trattare. Il team deve costituire qualcosa di più di un insieme di persone con differenti competenze che lavora intorno ad un paziente, così come lavorare in gruppo rappresenta qualcosa di diverso dalla semplice somma dei compiti svolti dai singoli componenti: il team va interpretato come un gruppo di persone che operano in modo coordinato per raggiungere obiettivi comuni, prendendo in carico il paziente e valutando i risultati non tanto e non solo in funzione del successo o insuccesso del singolo intervento, ma in relazione alla realizzazione del progetto riabilitativo e al livello di abilità funzionale e di reintegrazione sociale che ci si era proposti di ottenere. Per raggiungere un buon risultato è fondamentale che i diversi attori con22 dividano valori e obiettivi dell’intervento riabilitativo e che operino in maniera coordinata dopo una pianificazione che individui i membri dell’équipe con la definizione del ruolo e delle responsabilità di ciascuno, obiettivi di progetto chiari e ben compresi, piano di lavoro realistico con scadenze precise, regole riguardo al flusso delle informazioni. Un elemento importante è la capacità di comunicare in modo efficace a tutti i livelli, tra professionisti e fra tecnici ed utenti, in modo tale che più soggetti che lavorano insieme abbiano la stessa idea su ciò che si sta compiendo e con quale motivazione. L’operare in una squadra rende necessario dotarsi di adeguati strumenti di lavoro da applicare nella quotidianità della clinica riabilitativa, per quanto riguarda la valutazione (scale di misura), la progettazione di interventi (progetto e programmi riabilitativi), la comunicazione e documentazione (riunioni di équipe, cartella integrata). La formazione del piano terapeutico in ambito riabilitativo corrisponde alla presa in carico del paziente e si realizza attraverso la definizione del progetto riabilitativo individuale che si compone di diversi programmi di recupero e riabilitazione delle abilità funzionali. Il progetto riabilitativo individuale è stato definito come insieme di proposizioni, elaborate dall’équipe riabilitativa per un determinato paziente che: tiene conto in maniera globale dei bisogni, delle preferenze della persona, delle sue menomazioni, disabilità e abilità residue e recuperabili; definisce quali siano gli esiti desiderati globali e funzionali; definisce nelle linee generali i tempi previsti, le azioni e le condizioni necessarie al raggiungimento degli esiti; è comunicato a tutti gli operatori coinvolti e costituisce il riferimento obbligato per ogni intervento svolto dall’équipe riabilitativa. Il progetto riabilitativo individuale (PRI) ha quindi come caratteristica la completezza, mira cioè all’autonomia massima possibile del paziente come requisito del suo reinserimento; esso rispetta la centralità della persona e si modifica periodicamente nei momenti di verifica del raggiungimento, o meno, degli obiettivi. Esso costituisce un piano generale, rivolto agli outcome e alle aspettative del soggetto ed è basato sulle sue necessità e sui suoi punti di forza, intesi non solo come abilità residue ma anche come risorse motivazionali, relazionali, familiari, sociali ed economiche. Il programma riabilitativo, collocato all’interno del progetto riabilitativo, definisce aree di intervento specifiche, obiettivi a breve e medio termine, i tempi e le modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti e la verifica degli interventi, viene aggiornato periodicamente durante il periodo di presa in carico. La pianificazione riabilitativa quindi, prevede una dimensione per così dire “strategica”, che corrisponde al progetto, e una dimensione “tattica” che 23 è costituita dal complesso di azioni e accorgimenti che rappresentano i programmi. In termini generali gli strumenti operativi utilizzati dal fisiatra sono: • esercizio terapeutico, cinesiterapia, rieducazione motoria in palestra/ piscina; • massoterapia; • terapia fisica strumentale (termoterapia, crioterapia, elettroterapia ecc.); • tutori, ortesi, splint. Nell’ambito degli interventi di riabilitazione sanitaria sono stati individuati distinti livelli assistenziali in base al momento di sviluppo della disabilità, al gradiente di modificabilità della menomazione, all’intensità e complessità degli interventi erogati e alla quantità di risorse assorbite. Le linee guida del Ministero della Sanità del 1998 per le attività di riabilitazione individuano 4 fasi: – fase della prevenzione del danno secondario e delle conseguenti menomazioni; – fase della riabilitazione intensiva, caratterizzata da interventi che prevedono un elevato impegno valutativo e/o terapeutico, collocati nel post-acuzie della malattia; – fase della riabilitazione estensiva o intermedia, che non richiede interventi intensivi; – fase di mantenimento, per prevenire la progressione della disabilità e il degrado del recupero motorio e funzionale acquisito; comprende atti sanitari integrati con attività di riabilitazione sociale. Alla base dell’intervento della Medicina Riabilitativa, strettamente correlata con i programmi di azione si colloca la valutazione funzionale. Essa rappresenta il metodo usato per descrivere abilità e limitazioni nello svolgimento delle attività della vita quotidiana dell’individuo. Viene di norma eseguita per definire il livello di funzionamento all’inizio, durante e alla fine dell’intervento, i mezzi necessari per raggiungere un maggior grado di indipendenza, e gli outcome desiderati. Le schede e gli strumenti di valutazione devono rispondere a criteri di validità, affidabilità, precisione e riproducibilità. 24 Bibliografia Basaglia N., Progettare la riabilitazione. Il lavoro in team interprofessionale, Edi. Ermes, Milano, 2002. Basaglia N., Trattato di Medicina riabilitativa - Medicina Fisica e Riabilitazione, Idelson-Gnocchi, Napoli, 2000. Bonavita J., Menarini M., Pillastrini P., La riabilitazione nelle mielolesioni, Masson, Milano, 2004. Ministero della Sanità, Linee Guida del Ministero della Sanità per le attività di riabilitazione, «Gazzetta Ufficiale», n. 124, 30 maggio 1998. Organizzazione Mondiale della Sanità, ICIDH-2 Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità, Bozza Beta-2 versione integrale, Erickson, Trento, 2000. Pasquetti P., Mascherini V., Riabilitare l’atleta infortunato, Edi. Ermes, Milano, 2007. The Section of Physical and Rehabilitation Medicine, Union Européenne da Médecins Spécialistes, the European Board of Physical and Rehabilitation Medicine, White Book on Physical and Rehabilitation Medicine in Europe, «European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine», vol. 45, suppl. 1, n. 3, sept. 2009. Valobra G.N., Gatto R., Monticone M., Nuovo trattato di Medicina Fisica e Riabilitazione, UTET, Torino, 2008. World Healt Organization, ICF. International Classification of Functioning, Disability and Healt, Geneve, 2001. World Healt Organization, International Classification of Impairments, Disabilities, and Handicaps: a Manual of Classification Relating to the Consequences of Diseases, Geneve, 1980 (reprint 1993). 25