416 – classe 4 DIVERSI DA CHI? Bibliografia:Elisabetta Clemente, Rossella Danieli; “Conoscere il mondo: essere,conoscere, interpretare”; Paravia L’espressione “diversamente abili” è di uso recente: essa si è sovrapposta alla più diffusa ”disabili”, introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) già nel 1980. In entrambe le espressioni si fa riferimento a un uso deficitario o comunque “differente”di determinante abilità che dovrebbero, di norma, appartenere al soggetto. La persona in condizioni di disabilità è perciò un soggetto che non è in grado , per qualche motivo , di svolgere determinati compiti nel modo o nei limiti normalmente possibili a un essere umano. La disabilità è la conseguenza di una menomazione , ossia di un’alterazione a carico della struttura fisica o psicofisica del soggetto, di natura congenita oppure conseguente a malattia o trauma. Disabilità e menomazione devono infine essere distinte da handicap. Quest’ultimo termine, molto utilizzato nel linguaggio comune, designa lo svantaggio sul piano sociale causato all’individuo dalla sua disabilità: si tratta quindi di un concetto estremamente relativo, in quanto è solo in relazione alle richieste dell’ambiente. Poiché menomazione, disabilità e handicap non designano una categoria particolare di individui ma, piuttosto situazioni che riguardano ogni essere umano nel momento in cui vengono meno le condizioni di uno stile di vita semplice e appagante, sono stati individuate diverse definizioni e classificazioni delle disabilità. Ogni persona disabile ha la sua storia alle spalle, non solo in termini umani e psicologici ma anche fisiopatologici:sono molte e diverse le situazioni che causano in un soggetto menomazioni disabilitanti. Ci sono innanzitutto disabilità conseguenti a malattie o condizioni patologiche di natura genetica, dovute cioè ad alterazioni del corredo cromosomico o altre anomalie nella costruzione biochimica delle cellule. La sindrome di Down , ad esempio, è una condizione caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in eccesso nelle cellule di chi ne è affetto. I soggetti portatori di tale anomalia genetica presentano un ritardo più o meno grave nello sviluppo fisico, motorio, mentale, talvolta aggravato da disturbi a livello organico. Molte situazioni di disabilità permanente hanno origine da patologie sopravvenute in fase prenatale(prima della nascita) o perinatale ( al momento della nascita). Malattie come la toxoplasmosi o la rosolia, provocano ad esempio cecità o deficit di tipo intellettivo. Alcuni farmaci assunti dalla madre o l’esposizione ad agenti chimici o tossici possono provocare anomalie sul nascituro. Altre cause simili possono essere legate a situazioni di prolungata anossia( mancanza di ossigeno al momento del parto) che provocano lesioni celebrali ritardo mentale o altri disturbi motori più o meno gravi. Infine altre menomazioni possono essere causa di malattie o eventi traumatici successivi alla nascita. La psicologia si è trovata ad dover affrontare questi fenomeni per quel che riguarda il comportamento e i processi mentali. Grande attenzione, ad esempio, ha mosso lo psicologo Alfred Binet nell’elaborare il concetto di età mentale ed avviare così lo studio in chiave psicometrica dell’intelligenza. A seguito dei risultati di questi test si è potuto valutare il livello di gravità dei deficit intellettuali. Il ritardo mentale è una condizione di disabilità caratterizzata da significative limitazioni del funzionamento intellettivo che rendono il soggetto incapace di adeguarsi agli standard propri della sua età. Di fronte a questa molteplicità di problemi è importante tenere presente il diritto universale all’educazione e all’istruzione, pari opportunità per ogni soggetto. Questi diritti per le persone diversamente abili permettono la possibilità di crescita e formazione e la necessità di ricevere sostegno e gli strumenti più idonei ai bisogni primari .Soltanto dopo la seconda metà del Novecento l’attenzione a questi bisogni è diventata più chiara e consapevole anche di fronte alla conseguente crescita dell’intera società La legge del 1977 prevedeva per la prima volta la possibilità di inserire soggetti portatori di disabilità nelle classi frequentate da alunni “normali” ponendo come condizione necessaria la presenza nella scuola di insegnanti in possesso di particolari titoli di specializzazione. Grazie a questa legge la questione dell’alunno disabile viene affrontata all’interno di un più generale progetto di riorganizzazione della allora scuola dell’ obbligo( da 6 a 14 anni). L’inserimento del disabile è visto quindi nell’ottica di una concezione più ampia alla scuola materna è stata estesa la possibilità di accogliere i bambini disabili, istituendo la figura dell’insegnante di sostegno e gli alunni diversabili sono stati ammessi nelle scuole superiori. Un successivo passo avanti si è verificato nel 1996 con l’eliminazione delle barriere architettoniche che sono state definite” gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi ragione, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea”. Sul piano specifico dell’integrazione scolastica sono state stabilite delle importanti limitazioni. Al momento dell’ingresso a scuola l’alunno disabile deve essere provvisto di una diagnosi funzionale, un documento medico-sanitario che fornisce informazioni sulla patologia di cui egli soffre. In un secondo momento una équipe specializzata stilerà un profilo dinamico funzionale, ossia una descrizione delle varie caratteristiche psicologiche,sociali,affettive e le varie difficoltà di apprendimento al fine di creare il PEI (Piano Educativo Individualizzato)definendo piani, obbiettivi e attività. Passò l’estate, la mia ultima estate da bambino piccolo. Mamma mi disse che avrei avuto una maestra tutta per me. Io le risposi che se ogni bambino aveva una maestra la scuola doveva essere molto affollata. "Non tutti i bambini, sciocchino, gli altri non ne hanno bisogno!" disse la mamma. "Gli altri quali?" chiesi io. "Quelli normali, povero bambino mio". "Cosa vuol dire 'normali' mamma?" "Normali vuol dire... come tutti gli altri". Poi la mamma disse che doveva andare a pulire il bagno e scappò via in fretta. Strano, mi pareva che avesse già finito di pulirlo. Rimasto solo con Gabriele chiesi a lui cosa volesse dire normali. Lui mi disse che se sei un gabbiano e vivi in mezzo altri gabbiani sei normale. Se sei un gabbiano e vivi in mezzo ai cavalli non sei normale. La normalità non dipende da te ma dalle persone che ti circondano. Quest’ultima affermazione dovrebbe far riflettere ognuno di noi.. da Come Gengis Khan, diario di Paolo, un ragazzo diversamente dotato, Mauro Barbero, Alessandro Borio, ed. Pendragon