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Per chi non lo sapesse si tratta di un ant ico procedimento che consiste nel lasciare la farina a macerare nell’acqua in attesa che acidifichi ovvero che venga colonizzata dai batteri presenti nell’ambiente, i quali costituiscono a loro volta gli agenti responsabili del processo di maturazione e lievitazione della farina. Oggi per i prodotti da forno si predilige il lievito di birra, il quale altro non è che una colonia molto prolifica di un unico batterio, in genere il Saccharomyces cerevisiae, che nutrendosi di glucosio produce etanolo come prodotto di scarto e libera anidride carbonica, che è responsabile del rigonfiamento del panetto. Il lievito riesce delle volte a sopravvivere in piccole quantità alla cottura, soprattutto se si usano le dosi abnormi dell’ordine di 15g per chilo di farina, consigliate in molte ricette. Riesce a insediarsi nell’intestino, rendendosi responsabile del classico gonfiore di pancia, oltre che di una modifica della nostra flora batteria. Il lievito madre al contrario raccoglie più ceppi di batteri che variano da lievito a lievito, ma che in genere attuano una fermentazione lattica. L’azione integrata dei diversi microorganismi invece da vita ad un prodotto più digeribile, che si conserva meglio, che richiedendo lievitazioni più lunghe permette all’impasto di maturare molto di più. In genere basta un pezzetto di lievito per l’impasto, visto che i batteri ci mettono veramente poco a rigenerarsi e sempre in genere si preferisce ottenerlo in regalo piuttosto che avviarlo da sè. Un po’ per evitare la fatica dei primi passi, un po’ perché un lievito giovane è robusto e di difficile gestione, l’altro po’ perché un lievito anziano è molto più carico di sapori e possiede una flora batterica più selezionata. Io invece ho deciso di avviare un lievito tutto mio, perché mi piacciono le cose complicate e perché volevo assistere alla magia del “parto”. La decisione l’ho maturata via via che mi impratichivo con gli impasti. Pur di non buttare il lievito che una volta aperto non regge più di una settimana, mi sforzavo di sfornare più panetti possibili e poi andava a finire sempre allo stesso modo: ne buttavo 15 grammi o anche più per 1/2 chilo di farina, la lasciavo lievitare 3/4 ore e via con i panini o pizze “sbagliate”. Ho pensato che invece un lievito madre fosse più gestibile da questo punto di vista perché al massimo mi costringeva ad un rinfresco una volta la settimana. E’ nata così la decisione di avviare un lievito madre, esattamente il 15 Settembre del 2016. Tra un impasto di lievito di birra e l’altro, ho comprato un barattolo di vetro (che per altro ha ispirato il titolo del nuovo blog) e ho mescolato farina integrale e biologica 00 con acqua in parti uguali, c’ho messo mezza mela dentro e lasciato per 48h a macerare. Al momento in effetti più che essere madre è un vero e proprio figlio, vista la mole di cure che richiede e le preoccupazioni che mi da quando non la vedo gonfiare come dovrebbe. Purtroppo l’idea m’è venuta solo adesso per cui non posso fornirvi le foto incipienti. Quelle che vedete al momento è una pasta made giovanissima che da quando è stata avviata (14 giorno dalla sua prima fermentazione) ha subito solo un quattro cinque rinfreschi. Siamo proprio agli inizi dunque. Fortuna che non scommettevo nemmeno una lira su questo lievito perché altrimenti i tempi di attesa richiesti per l’avvio, sarebbero per me insostenibili, continuavo a fare i miei impasti usando il lievito di birra e nel frattempo tra sorpresa e incredulità continuavo a rigenerare il nascituro lievito madre. Una buona maturazione del lievito richiede infatti non meno di venti giorni e comunque ci mette non meno di tre mesi per raggiungere la giusta forza lievitante e perdere il forte odore acidulo. La farina nel mio caso ha subito preso a fermentare rigonfiandosi più del doppio già al primo rinfresco, tant’è che l’impasto ha completamente seppellito la povera mezza mela. Non contento ho continuato a tenere la mela dentro per altri tre rigeneri, ci ho schiaffato pure una quantità indefinita di quella che ho scoperto poi essere crema di yogurt (inutile visto che di fermenti non ne ha praticamente più) e anche un po’ di miele. Insomma i primi rinfreschi sono stati più un’opera di fantasia che un procedimento accurato e scientifico e credo proprio di aver abusato con gli starter (c’è chi non ce li mette proprio). Sarà stata la fortuna del principiante, sarà stato il lievito di birra che ormai visto i mille panetti impastati invade casa mia, ma il composto ha risposto bene sin da subito e questo mi ha molto incoraggiato nell’andare avanti, non ha mai fatto la muffa, né si è mai rinsecchito. L’impasto gonfiava, gonfiava, gonfiava e poi si afflosciava liquefacendosi e inacidendosi. Al 7 rinfresco e dopo quindi che erano trascorsi 14 giorni mi sono deciso a prendere sul serio il mio lievito madre e avviare un impasto con serietà. Ho comprato per l’occasione farina macinata a Pietra del Mulino Ponte l’ho mischiata con un po’ di 00 e Manitoba e lasciato lievitare per 12 h in aria ambiente. Il primo panino che si vede in foto è stato il risultato, devo dire molto soddisfacente (per essere la prima volta). Il pane ha lievitato bene e considerando le farine non facili da lavorare presenta anche un’ottima alveolatura, ha ancora una forma rozza e un sapore molto acido, ma tutto sommato gradevole al palato. Nel frattempo ho sostituito l’iniziale miscela di farina integrale e 00 con la Manitoba, un po’ perché ho letto che è la più comoda da usare, contenendo tanto glutine che si scioglie nell’acqua, un po’ perché ragionandoci ottengo un impasto più “neutro”, utilizzabile per tutte le ricette e non solo per il pane. Devo dire che i batteri hanno gradito, perché almeno all’inizio l’impasto gonfiava che sembrava stesse esplodendo in poche ore, adesso sembra essersi dato una calmata. Per adesso non ho particolari problemi nel gestirlo e probabilmente mi incoraggia la consapevolezza di essere partito solo da acqua e farina, per cui finché non prende muffa in linea di principio i batteri che lo hanno colonizzato la prima volta possono farlo una seconda ed una terza. Resta il fatto che non ho ricevuto il lievito madre in dono, non mi è stato dato un pezzetto di impasto prelevato dal secolare rigenero ad opera della vecchina che se lo teneva da trentanni. Per questa ragione è proprio il caso di dirlo ogni scarrafone è bello a mamma so. Sono ultra orgoglioso del mio lievito e ancora meravigliato da quello da soli acqua e farina. Impastando presto ci si accorge in verità che l’ingrediente più importante di tutti è quello di cui si dispone di meno, ovvero il tempo. Il tempo fa la differenza tra la semplice acqua e farina e il buon pane, a questo sarà argomento di un altro post. Qui trovate un un post su come rigenerare il lievito madre More from my site La “Verace”, pizza napoletana Parliamo del pane: croce o delizia? Acqua e sale nell’impasto Che lievito usare? L’ingrediente segreto: il tempo Chi ha paura del lievito madre? 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