introduzione - Nucleo Supporto Autonomia Scolastica di Firenze

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Percorsi differenziati con attività laboratoriali extracurriculari
e indicazioni sugli ausili da utilizzare.
INTRODUZIONE
L’obiettivo del progetto è di attivare un “laboratorio interdisciplinare” con l’utilizzo di ausili tecnologici
volti a ridurre o compensare le disabilità funzionali di allievi portatori di handicap. La sua finalità è
l’integrazione degli alunni disabili mediante l’offerta di attività che stimolino nuovi interessi, creino un
clima di collaborazione e cooperazione, diminuiscano le difficoltà nel processo di apprendimento e
compensino l’eventuale ritardo rispetto alla media degli allievi coetanei. Tutto ciò avviene attraverso
attività utili al recupero disciplinare, che promuovono lo sviluppo della manualità nei soggetti in
“difficoltà fisica”. L’acquisto di ausili tecnologici è utile all’integrazione e al potenziamento delle abilità
residue. Il progetto assegna alle nuove tecnologie informatiche un ruolo fondamentale nel favorire il
processo di integrazione e di formazione dei soggetti disabili nella scuola. L’uso delle nuove tecnologie
permettono di compensare limitazioni funzionali, promuovere l’autonomia e far sì che gli alunni possano
realizzare le proprie potenzialità.
In una società multietnica e multiforme, la presenza di persone con handicap sensoriali e psico-fisici si
verifica con maggiore frequenza sia nei settori pubblici che in quelli privati. La loro integrazione nella
società ha avuto una lunga gestazione, spesso rallentata dalla mancanza dei necessari apporti istituzionali.
Con il passare degli anni si è però riconosciuto anche ai disabili il diritto all’istruzione integrata, il diritto
di cittadinanza, il diritto al lavoro e, con la legge 517 del 1977, si è avviato il processo di integrazione
nelle scuole statali. Oggi si registrano quote di presenza superiori al 2% nelle scuole elementari e medie e
dell’1% nelle scuole superiori. Tale incremento é legato a diversi fattori tra cui il riconoscimento
dell’handicap a scolarizzazione avvenuta, la maggiore sensibilità e conoscenza degli insegnanti a riguardo
ed il perfezionamento delle tecniche diagnostiche.
Oggi l'accesso alla tecnologia dell'informazione acquista maggior importanza sul modo di vivere, di
lavorare e di apprendere, diventando un diritto primario per tutti i cittadini ed in particolare per le persone
appartenenti alle cosiddette categorie deboli. La tecnologia acquista valenza trasversale nell’ambito della
didattica, alcuni software consentono una più rapida esecuzione delle esercitazioni svolte in ambito
scolastico e pertanto una maggiore possibilità di verificare “in tempo reale” la qualità del processo di
insegnamento/apprendimento.
La valenza educativa più interessante della multimedialità si ha nello sviluppo di una pedagogia della
diversità che valorizzi la differenza come originalità, superando la concettualizzazione di distanza dallo
standard: dare ad un alunno in difficoltà l'opportunità di esprimere l’originalità e fare della sua differenza
un punto di forza, significa garantire al gruppo-classe in cui è inserito, un'ottica completamente differente
nel vedere la sua diversità.
Non esistono disabili che non abbiano margini di miglioramento se supportati da interventi didattici che
sfruttino le tecnologie oggi a disposizione, promuovano la formazione delle abilità di base,
dell'autonomia, della gestione diretta del proprio metodo di studio attivando la motivazione e
promuovendo la capacità di gestione delle decisioni e delle azioni.
Le proposte operative, di seguito illustrate e strutturate nei vari livelli, prevedono l’apporto di
competenze differenziate al fine di rispondere in modo creativo e funzionale alle diverse esigenze, sia
individuali che di gruppo.
Disabilità visiva: cecità e ipovisione
Quando il bambino nasce, immediatamente prende contatto con il mondo che lo circonda tramite i cinque
sensi e cioè: il gusto l'olfatto, il tatto e soprattutto l'udito e la vista. Mediante questi ultimi due canali
d'informazione egli struttura le percezioni nel tempo e nello spazio ed impara a parlare. La relazione
mamma-bambino, soprattutto, costituisce un elemento rilevante per favorire lo sviluppo motorio
all’interno del mondo circostante. I genitori sono dunque i primi a poter creare occasioni di crescita per il
proprio bambino organizzando lo spazio casalingo in modo adeguato e fornendo al piccolo esperienze e
stimoli che possano permettergli di raggiungere il massimo grado di sviluppo possibile. La letteratura
specializzata e l'osservazione quotidiana mostrano le conseguenze molto rilevanti della minorazione
visiva sulla sfera psicomotoria e in genere sulla percezione e la mentalizzazione dello spazio, incluse le
condotte motorie complesse. Il bambino con disabilità visiva benché segua un percorso particolare nel
proprio sviluppo, parzialmente differente da quello del bambino normo-vedente, in presenza di un
ambiente affettivo favorevole e di stimolazioniadatte può fare molta strada e avere un’evoluzione
normale. Tali condizioni positive possono permettere di ridurre considerevolmente gli effetti negativi
della disabilità sullo sviluppo e sull’apprendimento. Interventi adeguati, attuati in età precoce, possono
consentire di evitare i danni secondari al deficit visivo e favorire uno sviluppo adeguato nelle diverse
aree. Le famiglie di bambini con minorazione visiva si trovano ad affrontare difficoltà che riguardano la
gestione quotidiana, la comunicazione, l’alimentazione, il gioco. Tutti i genitori hanno bisogno di tempo
per imparare a conoscere il proprio bambino; a maggior ragione di fronte a qualche disabilità visiva che
presenta esigenze specifiche. È molto importante l’opera di supporto alle famiglie in questo difficile
compito attraverso la fornitura di alcune indicazioni di base che possano favorire, fin dalla primissima
infanzia, un clima di accettazione e una relazione positiva e serena con il figlio. La minorazione visiva
aumenta le difficoltà nello studio di tutte quelle discipline che presuppongono la percezione e
l'interiorizzazione di concetti topologici spaziali, quali educazione fisica, geometria, geografia ecc.,;
d'altro lato inibiscono la sfera della comunicazione e della socializzazione, in quanto queste si servono di
linguaggi extraverbali. Fino a poco tempo fa, magari senza che nessuno lo dicesse esplicitamente, si
pensava che i ciechi non potessero percepire nessun tipo di immagine. Si trattava, e si tratta tuttora, di un
pregiudizio molto radicato e destinato a produrre gravi conseguenze nell'educazione di chi non vede:
infatti a partire da quell'idea è stata per molto tempo negata ai ciechi una fonte essenziale di conoscenza.
Viceversa si è dimostrato chiaramente che attraverso il tatto è possibile percepire e ricostruire nella mente
strutture dotate di una specifica dimensione spaziale e assimilabili alle immagini di cui dispongono i
vedenti. Simili strutture, rispetto a quelle di cui dispone chi vede, sono senza dubbio molto più povere,
perchè il tatto ha una capacità di discriminazione assai inferiore a quella della vista. Ciò non esclude però
che ci si possa avvalere proprio del tatto e della sua capacità di cogliere e interpretare le immagini per
cercare di compensare l'enorme carenza di informazioni di cui soffre necessariamente chi non dispone
della vista. Basta pensare a tutto ciò di cui il cieco non può cogliere direttamente la forma: per esempio un
grattacielo, un campanile, un lampione, un leone, una farfalla, una nuvola, tutte le cose insomma che sono
o troppo piccole o troppo grandi o troppo delicate o troppo pericolose per poter essere analizzate
direttamente con le mani. L'integrazione scolastica non è soltanto un obiettivo a cui tendere ma costituisce
anche un metodo di lavoro che si snoda nelle attività quotidiane. Integrazione intesa innanzitutto come
accettazione delle diversità di ciascuno, riconoscendo le caratteristiche migliori di ogni singola
personalità per valorizzarle e potenziarle, permettere l'interazione con gli altri e con l'ambiente, “fare
insieme qualcosa per qualcuno”, padroneggiare una situazione elaborando, secondo le necessità, strategie
per il raggiungimento di una maggiore autonomia. In questo senso sia la tecnologia (ausilii e sussidi) che
l'educazione come arte dell'insegnare a vivere possono contribuire ad armonizzare nel gruppo e nella
collettività le potenzialità di ciascun individuo con obiettivi scelti e raggiunti insieme. Educare quindi
intervenendo globalmente sulla persona e sul gruppo, utilizzando sia strumenti semplici, più vicini a
schemi prassico-motori, sia elementi più complessi che interagiscono non solo con le abilità prassiche e
motorie ma anche con quelle logico-astrattive-cognitive. Talvolta questo è associato alla tendenza ad
affidarsi completamente alla “macchina” che dovrebbe risolvere problemi di ogni tipo, dalla
comunicazione interpersonale a ritmi di apprendimento diversi da quelli consueti,all'arricchimento di
condotte ludiche. In realtà l'intervento educativo non può prescindere dall'adottare una tecnica che
consentirà di raggiungere pienamente il fine che si propone. Esso deve nascere da una intenzione
ponderata e cosciente dell'educatore fin nei minimi elementi che la compongono . Alla base della
programmazione educativa sta non tanto la capacità di intervenire,quanto la capacità di ascoltare;
predisporre quindi un terreno adatto allo sviluppo di quella rete di relazioni, di interessi, di feeling .
E’quindi molto importante l'interazione tra insegnante e allievo, la comunicazione, il modello di
comportamento proposto, il feed-back che si ottiene .L'insegnante dovrà adattarsi in maniera molto
flessibile ai tempi e alle modalità dell'allievo, rendendolo di giorno in giorno sempre più autonomo.
Bibliografia:
A. Canevaro handicap e scuola.
E. Sapori introduzione al programma per non vedenti MARY.
A. Quatraro 1989 convegno sull'integrazione dei non vedenti a Pisa.
Disabilità motoria
Per disabilità l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) indica, nell’ambito delle tematiche della
salute, qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività
nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. Nello specifico la disabilità motoria
viene valutata in base al tipo e al grado di difficoltà che può riguardare l’alterazione, la riduzione o
l’inefficienza delle funzioni considerate. Il deficit motorio comprende diverse funzioni legate alle varie
competenze ed abilità motorie. Comunemente si tende ad identificare la disabilità motoria come legata
alla difficoltà nella deambulazione; in realtà essa comprende tutte le disfunzioni e patologie collegabili
all’apparato neuro-muscolare e conseguentemente riguardanti la motricità degli arti, la funzionalità dei
muscoli respiratori, la regolazione del tono muscolare ecc…Inoltre le competenze motorie sono tra loro
interconnesse ed interagiscono continuamente per consentirci ogni tipo di movimento compatibile con la
nostra struttura osteo-muscolare. Le abilità motorie sono poi strettamente legate all’apparato sensoriale
con l’aggiunta fondamentale del “sesto senso” e cioè il senso cinestesico che ci permette di “conoscere”
in ogni momento la posizione del nostro corpo nello spazio. Va inoltre ricordato che le competenze
motorie non possono essere considerate altre dalle funzioni intellettive, emotive e cognitive; infatti le une
e le altre crescono e si affinano nel corso di una corretta evoluzione. L’alterazione, la riduzione o
l’inefficienza di una o più di queste funzioni comporta un deficit motorio. Di fronte a persone con
disabilità motorie può accadere di rimanere impigliati in una impasse dovuta spesso a contrastanti, se non
contrapposte aspettative rispetto alle possibilità dell’individuo disabile. Da una parte la prospettiva di una
resa, di una rassegnazione fatalistica a dover vivere un’esistenza di numerose e diverse “impossibilità”,
all’opposto “l’unica salvezza sembra passare dalla completa assunzione di potere sulla propria vita,
cercando di cancellare illusoriamente il deficit e quindi anche una parte rilevante dell’identità”. Forse
l’unica strategia è quella che invece di contrapporre queste due strade, cerca di metterle in contatto,
sviluppando una dialettica tra “autonomia e dipendenza, normalità e diversità, abilità e disabilità, saper
fare e saper essere uscendo dalla prigionia di pensarle come dimensioni alternative e contrapposte”. Il
percorso “obbligato” diagnosi-cura spesso si trasforma in una sorta di confinamento e di immobilismo
esistenziale organizzato e stabilito dai vari addetti ai lavori. È invece ampiamente dimostrato che, quando
al disabile viene data la possibilità di assumere responsabilità sulla propria vita, spesso si creano
situazioni positive di recupero ed integrazione. In diverse scuole del Piemonte, ad esempio, alcuni alunni
in carrozzella hanno contribuito in maniera determinante a redigere una mappatura delle accessibilità ed
inaccessibilità presenti nel loro territorio e, sostenuti dalle scuole, dalle famiglie e dalle istituzioni sono
riusciti a promuovere un reale cambiamento non solo nella loro vita ma anche in quella della comunità
alla quale appartengono. A partire da esempi come questo, possiamo affermare che un’effettiva
integrazione scolastica e non si può realizzare abbattendo prima di tutto le barriere di tipo mentale che
ancora ostacolano questi percorsi virtuosi. In Italia, l’affermazione dei diritti delle persone con difficoltà
motorie e in generale dei diversamente abili non ha ancora completato il suo percorso, ma il suo inizio si
ha con la nascita della Repubblica e della costituzione. L’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.” Di qui, nel volgere degli anni, una serie di leggi hanno via via
facilitato l’integrazione delle persone con difficoltà sia nella società nel suo complesso sia in ambiti più
specifici come la scuola. Per quanto riguarda la scuola, ancora una volta l’articolo 34 della Costituzione
sancisce un diritto fondamentale: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno
otto anni, è obbligatoria. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi
più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegno alle famiglie
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Per poi giungere a una delle leggi
fondamentali degli ultimi anni: la legge N. 104/92, detta legge quadro. –All’articolo 1 si legge: “La
Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della
persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella
società ...”. Con riferimento specifico alle persone con difficoltà motorie, la legge quadro italiana che
tratta il problema dell'accessibilità è la legge 13/89 che stabilisce i termini e le modalità in cui deve essere
garantita l’accessibilità ai vari ambienti, con particolare attenzione ai luoghi pubblici. Il D.M. 236/89
(decreto attuativo) si addentra maggiormente nella parte tecnica ed individua tre diversi livelli di qualità
dello spazio costruito. Questi tre livelli sono:

Accessibilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere
l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed
attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.

Visitabilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di accedere agli
spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Vengono considerati spazi
di relazione gli spazi di soggiorno dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei
quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta.

Adattabilità: possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di
renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita
capacità motoria o sensoriale.
Bibliografia:
Riziero Zucchi, "Muoversi nel tempo e nello spazio", Scuola e didattica Ed. La Scuola 2004.
Seminario"Disabilità motorie: conoscenze, percorsi, risorse", comune di Bologna, 2008.
Disabilità uditiva
Nell’affrontare le problematiche che riguardano il deficit uditivo ci troviamo a descrivere situazioni
estremamente variabili. Si pensa a persone che non possono né sentire, né accedere al linguaggio,
confondendo la conseguenza con la causa, sottendendo l’idea che, chi non sente, non ha per questo perso
la facoltà di apprendere una lingua, anche se l’accesso alla parola è ostacolato dalla limitazione
sensoriale. E’ importante sottolineare che il deficit uditivo è molto raramente totale e che dalla quantità e
dalla qualità dei “residui uditivi” emergono quadri deficitari estremamente differenziati. Gli audiolesi o/e
ipocausici hanno in questo ambito potenzialità e risorse. Una prima fondamentale suddivisione dei vari
tipi di sordità riguarda la localizzazione del danno, in quest’ottica si distinguono: 1) Sordità trasmissive
(3-4% dei bambini), le onde sonore arrivano distorte all’orecchio interno, si tratta di solito di sordità lievi;
2) Sordità percettive (0,05% dei bambini), la perdita uditiva può variare da lieve a gravissima; 3) Sordità
miste, presentano anomalie nella conduzione e percezione del suono. Diversi esami clinici come
l’impedenziometria, i metodi elettrofisiologici, l’audiometria soggettiva che comprende l’audiometria
tonale e vocale, hanno la funzione di discriminare sordità di percezione di trasmissione.
Metodi riabilitativi: 1) Metodo bimodale: la lingua dei segni viene utilizzata come supporto alla lingua
parlata;2) Educazione bilingue: i bambini sordi vengono esposti a due lingue, la lingua dei segni e la
lingua vocale (parlata dai genitori); 3) Metodo orale classico; 4) Allenamento acustico; 5) Labioletturatatto lettura.
Esercizi di respirazione e soffio: 1) Associazione della parola con l’oggetto; 2) Uso precoce della lettura
a partire dai primi anni di vita; 3) Metodo verbo tonale; 4) Utilizzo nell’intervento dei canali comunicativi
integri (visivo, propriocettivo, esterocettivo), sia di quello acustico e deficitario. Caratteristica principale
di questa metodologia è il fatto di essere multidisciplinare. Alla sua realizzazione concorrono: attività
corporee e ritmiche; 5) Stimolazioni musicali con strumenti vari; attività di drammatizzazione; 6)
Stimolazioni grafo motorie: grafismo fonetico ossia uso di segni grafici per rappresentare gli elementi
della stimolazione sonora; 7) Psicomotricità per affrontare problemi di sviluppo psicomotorio; 8) Sussidi
visivi: rappresentazione di storie etc.
I progressi avvenuti a livello tecnologico in particolare per quanto riguarda la progettazione di protesi
acustiche molto potenti, capaci di amplificare diverse gamme di frequenza e a livello pedagogico fanno
sperare in una possibilità sempre maggiore di integrazione delle persone con deficit uditivi anche molto
gravi nella comunità di appartenenza. Il compito della ricerca è quello di dare un peso sempre maggiore
alla qualità del processo educativo nel suo complesso e valutare scientificamente l’effetto delle variabili
individuali, familiari, educative, e riabilitative nelle diverse aree di sviluppo. Per chi opera direttamente
con i soggetti sordi è importante partire da una conoscenza il più possibile ampia del problema dalla
volontà di collaborare con le altre figure coinvolte nel processo educativo e dalla disponibilità a
confrontarsi con altre impostazioni sulla base dei risultati del lavoro di ciascuno.
Bibliografia:
Psicologia delle disabilità e della riabilitazione. I soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evoluta.
Nuova edizione aggiornata di Franco Angeli 2005. Mirella Zanobini, Maria Carmen Usai con la
collaborazione di Carla Barzaghi e Carlo Lepri.
Disabilità cognitiva
I disturbi di apprendimento correlati a difficoltà cognitive o (DSA) disturbi specifici di apprendimento,
racchiudono tutta una vasta e generalizzata gamma di problematiche della pratica didattica non sempre
riconducibili a fattori o cause di natura endogena o esogena dell'individuo e non riguardano
esplicitamente alunni diversamente abili . La tendenza generale è quella di attribuire una concausa ad una
difficoltà oggettiva, soprattutto quando vengono esaminati alunni in situazione di disabilità o con evidenti
carenze nel mantenimento di uno standard di apprendimento equo e adeguato ai pari. L'elaborazione di
strategie didattiche di intervento in un campo così complesso e vario, rappresentato da risultati non
allineabili ad un normale processo di sviluppo, di maturazione e crescita psicologica; racchiude e
concentra spesso i suoi aspetti e indirizzi fondamentali, sul potenziamento/miglioramento delle
capacità/abilità potenziali del singolo e sulla costruzione di interventi mirati ed organizzati nel rispetto di
un ordine e di una crescita progressiva del soggetto. L'apprendimento è una capacità innata nell'uomo e
in tutte le specie animali e pertanto costituisce uno, se non l'aspetto prevalente di tutto ciò che noi
svolgiamo durante la quotidianeità:dall'atto o azione più semplice a quella più complessa,in quanto frutto
di apprendimenti pregressi. Possiamo definire l'apprendimento,quindi:
<<come un processo innato,
spontaneo, naturale che avviene,si mantiene,si elabora e muta nel tempo ed è determinato oltre che da
meccanismi neurofunzionali e biologici quindi endogeni,tipici di ciascun individuo, anche esogeni, cioè
che avvengono dall'esterno e sono trasmessi o (mediati)>>. La nostra esistenza è caratterizzata fin dalla
nascita da tutta una serie di comportamenti innati e spontanei che presuppongono di conseguenza degli
apprendimenti che via via con lo sviluppo e con la crescita diventano sempre più articolati e complessi.
Ai processi di apprendimento che si trasformano e modificano anche attraverso l'interazione e
l'interscambio di informazioni tra più individui, si può aggiungere: "L'apprendimento Mediato"(
Feuerstein) in cui l'individuo usufruisce, grazie all'intervento di un mediatore,della possibilità di acquisire
conoscenze,competenze e abilità in modo attivo, progressivo,adeguato per qualità e quantità. E’proprio
attraverso la mediazione che il soggetto diventa consapevole dei propri processi cognitivi e capace di
elaborare in modo autonomo i dati dell'esperienza (Vygotskij).L'Esperienza di Apprendimento Mediato è
alla base della possibilità di intervenire per sviluppare le funzioni cognitive, dalla prima infanzia sino
all'età adulta. E’ad essa che si può ricorrere per migliorare le funzioni cognitive,quando esistono dei
disturbi che sono legati a difficoltà specifiche cognitive, alla deprivazione culturale o a problematiche di
diversa origine, natura e causa. Secondo Feuerstein: << le funzioni cognitive sono le condizioni mentali
essenziali per l'esistenza delle operazioni di pensiero e per ogni altra funzione del comportamento. Le
funzioni cognitive possono essere comprese e descritte operativamente come naturalmente suddivise nelle
fasi dell'atto mentale. Esse riflettono i processi di Input, Elaborazione e Output>>. L'input, rappresenta il
processo di individuazione e raccolta di dati nel sistema cognitivo,che presuppone una forte attivazione
del soggetto e la capacità di saper distinguere e discriminare dati significativi dagli altri. Il processo di
elaborazione è il cuore centrale del processo cognitivo e la sua caratteristica è trasformare le informazioni
in una conoscenza organizzata. La fase di elaborazione svolge la funzione di connessione, messa in
relazione dei dati attraverso una formulazione e verifica delle ipotesi per la soluzione del problema.
L'output infine è responsabile delle azioni basate sulle conclusioni ricavate dall'elaborazione. E’chiaro
che una difficoltà o un deficit in una delle tre fasi può ripercuotersi sulle altre due. Una mancanza
nell'individuazione di dati (input), genera di conseguenza una carenza o un disordine in fase di
elaborazione ed una risposta errata in fase di output. L'obiettivo principale di Feuerstein, è quindi quello
di individuare le funzioni cognitive carenti che rappresentano la base sulla quale strutturare ed incentrare
un eventuale intervento. Ed è proprio partendo da questi presupposti e basandosi sulla sua teoria della
"Modificabilità Cognitiva Strutturale" che Feuerstein costruisce l'"Impianto di Valutazione Dinamica
della Propensione di Apprendimento" o LPAD standard (The Learning Potential Assessment Device). La
novità di questo approccio, sta nel fatto, che le procedure di somministrazione degli strumenti di
valutazione non sono uniformi e standardizzate, ma sono flessibili, in quanto si adattano al profilo della
persona da valutare,alle sue risposte e ai comportamenti durante l'interazione col mediatore.
Gli scopi principali nel sistema dinamico sono: 1) di rilevare i cambiamenti di un soggetto senza metterlo
a confronto con altri individui ma solo con se stesso attraverso l'interazione col mediatore; 2) la
valutazione dinamica è orientata più al processo che al prodotto/risultato,in quanto deve rilevare la causa
di un cambiamento ed in quale direzione la mediazione deve essere indirizzata per facilitare il
cambiamento; 3) il mediatore deve interagire con energia, interesse,partecipazione con l'intenzione di
modificare, migliorare la performance della persona valutata; 4) non viene restituito un punteggio di
valutazione di dati, ma la persona viene coinvolta attraverso la presentazione dei propri cambiamenti
proiettati nel futuro e come soggetto capace di modificarsi e di imparare cose nuove. La fase iniziale per
l'attuazione del sistema di valutazione dinamica è caratterizzata dall'osservazione spontanea del
comportamento del soggetto esposto al problema. Attraverso i dati raccolti, viene organizzato un elenco
delle funzioni cognitive carenti e dei processi cognitivi utilizzati dal soggetto nella risoluzione dei
problemi. La seconda fase o mediazione è quella più importante. L'esaminatore induce dei cambiamenti
nel modo di funzionare del soggetto utilizzando un'interazione mediata volta ad aumentare il repertorio
cognitivo. La fase di mediazione permette di determinare la qualità e la quantità dell'intervento necessario
per ottenere un miglioramento nel comportamento cognitivo dell'individuo. La terza fase o re-test
permette di verificare, attraverso la risoluzione di test analoghi a quelli iniziali, gli effetti della
mediazione. La scelta e la tipologia degli strumenti avviene ad opera del valutatore sia sulla base delle
conoscenze/informazioni della persona da valutare, sia dalle osservazione durante la fase dei test. Gli
strumenti di valutazione sono numerosi ed esplorano diverse aree: l'area visivo motoria e percettiva e
quello della memoria (test di memoria delle sedici parole). Il test di memoria, finalizzato a valutare e
insegnare le capacità di memorizzazione di stimoli verbali e di utilizzare categorie per organizzare gli
stimoli percepiti, è composto da una lista di 16 parole familiari conosciute dal soggetto. Le parole sono
suddivise in 4 categorie: indumenti, alimenti, materiali scolastici e animali. Questo test viene presentato
in modo che la persona valutata deve ricordare il maggior numero di parole in qualunque ordine, senza
sapere il numero nè la categoria di quelle che ascolterà. Il valutatore legge la lista e chiede alla persona
valutata di ripetere le parole che si ricorda; rilegge la lista fino a che l'altro non l'ha memorizzata
correttamente per almeno tre volte consecutive. Il valutatore interviene o attua una (mediazione) dopo il
terzo ricordo, in quanto nella prima fase osserva la memoria istantanea e la presenza o meno di
riconoscimento e utilizzo di categorie per ricordare ( associazione categoria/elemento della categoria,
input). Il valutatore registra sul proprio foglio le parole ricordate dopo ogni prova, in modo da avere la
possibilità al termine di valutare la memoria immediata (dopo la prima lettura), l'incremento eventuale a
ogni ripetizione (imparare con la semplice esposizione ad uno stimolo)
e la presenza o meno di
categorizzazione spontanea. Durante tutta la procedura, la persona valutata passa da una fase di possibile
inconsapevolezza dell'esistenza di una strategia utile al ricordo, a una fase successiva in cui diventa
cosciente di poter riutilizzare la stessa strategia in altre in altre situazioni. Dipenderà poi dal valutatore far
sì che la persona acquisisca
consapevolezza delle proprie strategie cognitive e metacognitive.
Nell’"Impianto di Valutazione Dinamica della Propensione di Apprendimento", di Feuerstein, il soggetto
attraverso l'interazione con il mediatore, viene coinvolto in maniera attiva nel processo di apprendimento
o (cambiamento) e quello che più importa non è il risultato o la prestazione,ma il cambiamento, cioè la
modificabilità,la capacità di apprendere cose nuove o anche la flessibilità ad imparare. Esistono diversi
metodi di intervento o test che possono essere adattati in relazione ai casi o alle situazioni da valutare. Il
metodo scelto, rappresenta solo un piccolo spaccato su come può essere impostato un intervento,
seguendo e rispettando alcune teorie e criteri metodologici attuati da grandi studiosi e ricercatori in campo
psico/pedagogico. L'utilità della Valutazione Dinamica e del metodo/test per il potenziamento delle
capacità mnemoniche di Feuerestein, riportato dal testo in bibliografia, ha lo scopo di offrire uno
strumento valido a tutti coloro che operano continuamente con soggetti con disturbi o problematiche di
apprendimento, imputabili ai processi cognitivi. Le procedure utilizzate, possono servire da spunto per
l'elaborazione di eventuali attività ed essere applicate con delle varianti alla situazione o al contesto di
lavoro; inoltre, consentono di conseguire una conoscenza più approfondita e concreta delle carenze, delle
potenzialità/abilità del soggetto da valutare.
Bibliografia:
Michela Minuto e Renato Ravizza - Migliorare i processi di apprendimento/ Il metodo Feuerstein: dagli
aspetti teorici alla vita quotidiana – Erickson – 2008.
Disturbi di comunicazione e relazione
I problemi di comunicazione e relazione possono coinvolgere soggetti con vari tipi di disabilità che
possono spaziare dalla balbuzie ai gravi disturbi del linguaggio, da handicap fisici a pluriminorazioni, a
soggetti con autismo. Per venire incontro a queste particolari difficoltà è possibile utilizzare strumenti
tecnologici che possono facilitare la comunicazione e talvolta la relazione (il computer diviene uno
strumento di isolamento quando tale uso non è supportato da una idonea progettazione) tra il soggetto in
difficoltà ed il mondo esterno. Prevenire lo svantaggio in ambito scolastico significa dare allo studente
con handicap la possibilità di sviluppare tutte le potenzialità e capacità, sviluppando così competenze e
appropriandosi di conoscenze caratteristiche di uno o più ambiti disciplinari. Da ciò emerge la necessità
di una didattica speciale in grado di realizzare un reale processo di integrazione scolastica tenendo
presente la normalità del bisogno di formazione e la specialità della persona (“speciale normalità”, Ianes).
Una didattica la cui offerta formativa risponda alla crescente eterogeneità dei bisogni presenti nella classe,
che persegua concretamente l’integrazione scolastica e l’accesso ai contenuti per lo sviluppo delle
competenze. In questo quadro le tecnologie didattiche possono divenire strumenti compensativi per
svolgere e rendere normali attività altrimenti precluse allo studente disabile, strumenti per sviluppare
capacità e competenze disciplinari in contesti di apprendimento che rispondano ai bisogni formativi degli
alunni coinvolti. Le modalità d’accesso alle informazioni dovranno essere adeguate agli studenti coinvolti
nell’uso. Sul piano operativo le tecnologie usate devono rispondere alle caratteristiche di accessibilità e
usabilità* per favorire l’integrazione del disabile. [ *Il termine accessibilità viene usato per indicare uno
strumento, informatico o altro, progettato e realizzato per essere usato da una vasta gamma di utenti
compresi quelli con disabilità, mentre usabilità viene usato per indicare il grado di efficacia dell’uso di
uno strumento secondo gli obiettivi per cui lo strumento viene impiegato. ] Il discente avrà così
l’opportunità di compiere le stesse attività, svolte in classe dagli altri studenti, usando appositi strumenti
che gli consentano di fare ciò che altrimenti non potrebbe fare. Per una reale integrazione attraverso le
tecnologie didattiche è necessario ben valutare le tecnologie hardware e software, nonché la
familiarizzazione con tali tecnologie. La scelta della struttura hardware deve tener conto dei deficit dello
studente. Ad esempio gli alunni con deficit visivo necessitano di pc multimediale con in dotazione
scanner e stampante. Possono essere introdotti software ingrandenti (per ipovedenti) con o senza rinforzo
vocale, screen reader (per ciechi) con sintesi vocale o display Braille. Per disabili motori, con
impedimenti nell’uso delle mani, si possono usare tastiere e mouse di dimensioni e forme opportune, fino
a software di emulazione della tastiera sul video oppure interfacce a scansione anche con predisposizione
di parole. Tutto ciò per usare con il minimo sforzo il computer sfruttando la mobilità residua.
E’necessario tener sempre presente che anche la più ottimale strumentazione non potrà sempre abbattere
le difficoltà dell’alunno, ma comunque svolgerà un’azione vicariante. Ad esempio la produzione di un
testo leggibile per gli altri potrà essere realizzato anche se in tempi di esecuzione superiori di quelli di un
alunno normodotato. L’uso di tecnologie in classe richiede un ambiente idoneo che risponda ai bisogni
specifici del disabile e ciò può comportare la necessità di risolvere problemi di tipo ergonomico-logistico:
la disposizione dei banchi all’interno della classe (per evitare che il pc sul banco copra la visuale ai
compagni della fila posteriore), la predisposizione di apposite prese elettriche incassate (per evitare l’uso
di prolunghe),..... L’insegnante per la scelta dell’hardware e la risoluzione dei vari problemi può avvalersi
della collaborazione di strutture specializzate presenti sul territorio. Passo successivo consiste nel
selezionare il software prendendo in considerazione sia l’attività didattica che si intende sviluppare sia i
problemi sul piano operativo e cognitivo dell’alunno. L’uso di un software di videoscrittura per un
ipovedente ha un grande valore sul piano dell’integrazione con gli altri alla pari. Il testo può essere letto e
stampato fornendo un prodotto finale che non presenti le difficoltà di decodifica tipiche della scrittura
manuale di un ipovedente. I software in commercio (programmi didattici, materiale multimediale, …)
dovrebbero essere prima accuratamente selezionati poi proposti con cautela, sia basandosi
sull’osservazione delle reazioni dell’utente, sia chiedendo un feedback sulla percezione e sul gradimento
del software, per evitare nell’alunno sensi di frustrazione e riduzione dell’efficacia. Una volta individuati
gli strumenti tecnologici adatti per il disabile, è necessario un training per raggiungere un livello base di
operatività con il computer senza il quale non è pensabile l’autonomia. Le tecnologie didattiche possono
permettere all’alunno disabile di apprendere nuove conoscenze e contenuti nel modo a lui più congeniale
con nuovi tipi di approccio e interazione. Ipertesti, multimedialità, ipermedialità permettono, perciò, di
strutturare ambienti di apprendimento che consentono il superamento di difficoltà in situazione di
disabilità. Ad esempio, l’uso di sistemi multimediali in alunni sordi che padroneggiano la lingua dei segni
(Lis), si è dimostrato efficace nell’appropriazione di una nuova conoscenza sfruttando le diverse modalità
di presentazione: lingua scritta, filmati in Lis, disegni e animazioni. Enciclopedie e dizionari elettronici
sono di grande utilità nei discenti ipovedenti consentendo loro di superare le difficoltà che
incontrerebbero nell’uso di materiale cartaceo. Sistemi multimediali interattivi sono utili per il
superamento e lo sviluppo delle competenze nella lettura e scrittura in alunni dislessici o disgrafici: l’uso
di semplici funzionalità come il correttore ortografico di un word processor consente di produrre un testo
corretto, pulito, leggibile da tutti. Nella lettura l’uso della sintesi vocale consente all’alunno di
concentrare l’attenzione sul contenuto, facilitandone la comprensione. Nei disturbi di attenzione l’uso di
giochi multimediali, in cui è necessario attuare strategie risolutive di problemi, possono favorire la
motivazione all’impegno e creare una piacevole occasione di apprendimento. In soggetti privi di
comunicazione verbale i comunicatori permettono di trasmettere messaggi scritti o vocali venendo
incontro alle esigenze comunicative dell’individuo. Nei soggetti con autismo l’uso di sistemi multimediali
può servire da un lato a ridurre l’isolamento in cui vivono consentendo loro di comunicare, dall’altro può
favorire e facilitare l’apprendimento di conoscenze, veicolando le informazioni attraverso la via visiva,
strategia privilegiata dagli autistici. Sistemi basati su micromondi possono essere utilizzati nella
costruzione di significati matematici in alunni con difficoltà relative a tale ambito disciplinare. Le
tecnologie didattiche possono rappresentare una ulteriore barriera per l’alunno disabile se non vi è una
progettazione e una realizzazione di prodotti e strumenti realmente accessibili, nonché, una mediazione
didattica da parte dell’insegnante. Insegnante che nell’agire educativo si pone come mediatore tra i
bisogni dell’alunno e le tecnologie. Il docente, in questa nuova prospettiva didattica, deve essere in
possesso di competenze strumentali di base sulle tecnologie, affiancate da competenze metodologiche.
Deve essere in grado di conoscere le tecnologie didattiche, ma anche di sceglierle in relazione ai propri
bisogni educativi, inserendole correttamente nella programmazione didattica. È necessario perciò che si
informi dettagliatamente sui deficit del soggetto, sui bisogni e sulle capacità residue. Così come è
importante che sappia instaurare un rapporto collaborativo con le figure impegnate nel costruire un
percorso formativo e conosca la situazione psicologica e relazionale del soggetto in modo da valorizzarne
la sua diversità favorendone l’integrazione.
Bibliografia:
D. Ianes, Didattica speciale per l’integrazione, Erickson, Trento, 2001.
A. Calvani, Manuale di Tecnologia dell'educazione, Edizioni ETS, Pisa, 2004.
D. Parmigiani, Tecnologia per la didattica, FrancoAngeli, 2004.
L. Ferlino, tecnologie informatiche e formazione dei docenti di sostegno,TD 18, 1999.
M. Rotta, Nuove prospettive nell'evoluzione del concetto di usabilità, Form@re, newletters.
Disturbi specifici di apprendimento
 Disturbo specifico del linguaggio.
In questa parte saranno presi in considerazione i sussidi utili per i bambini che presentano difficoltà o
disturbi del linguaggio. Brevemente occorre distinguere tra le difficoltà o l’assenza di linguaggio (afasia)
associati a particolari condizioni patologiche (deficit neuromotori, sensoriali, cognitivi e relazionali) e i
Disturbi Specifici del Linguaggio. Il termine Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) indica infatti un
insieme di quadri sindromici caratterizzati da un deficit in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico in
assenza appunto dei deficit sopra menzionati. Nell’ambito dei disturbi specifici occorre poi sottolineare,
ai fini di una diagnosi differenziale, l’esclusione reciproca tra DSL e dislessia. I sussidi dovranno essere
quindi distinti tra quelli utili per far comunicare persone incapaci in modo parziale o totale di parlare e
quelli utili per migliorare le capacità linguistiche dei soggetti con DSL. Prima di passare però all’analisi
di questi occorre fare alcune brevi riflessioni circa i DSL. I bambini apprendono a parlare in modo
naturale grazie al funzionamento delle strutture cerebrali ad esse deputate e alle esperienze esterne che
compiono. Le due cose procedendo insieme producono il linguaggio. Questo nei primi di anni di vita del
bambino subisce in modo spontaneo un esponenziale incremento lessicale e un sorprendente
perfezionamento morfosintattico. L’interdipendenza tra strutture organiche ed esperienza determina
quindi la perfezione del fenomeno dell’acquisizione del linguaggio1. Ci sono però bambini che
nonostante siano esposti ad esperienze significative e stimolanti fin dalla nascita presentano ritardi e
difficoltà nel linguaggio. I disturbi del linguaggio possono riguardare tutti i suoi aspetti e questi sono fra
loro molto diversi. Vi sono disturbi che riguardano lo strumento della parola (il bambino fa fatica a
produrre i suoni e ad articolarli) e vi sono disturbi che riguardano la memorizzazione lessicale e
l’organizzazione del linguaggio. Questi ultimi possono essere a loro volta distinti in fonologici,
morfosintattici e semantico-lessicali. Vi è poi il Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio che esula
dai DSL ed ha caratteristiche più complesse e ripercussioni più gravi sul comportamento del bambino
(Firth C., Venkatesh K., 2002). I sussidi utili per migliorare le capacità linguistiche dei soggetti sono
rintracciabili sia tra i software che tra le schede operative. La caratteristica comuni di questo materiale è
essenzialmente quella di essere molto duttile e per questo utile anche per altri tipi di deficit (bambini con
sordità profonde o ipoacusie con difficoltà a cogliere le strutture grammaticali e sintattiche della lingua) o
condizioni particolari (alunni stranieri). L’obiettivo di questo materiale è quello di esercitare le abilità
linguistiche di base (arricchimento lessicale ed elaborazione di frasi) in funzione dell’attivazione, se
possibile, degli automatismi sottostanti o di acquisire la consapevolezza delle regole e delle strategie che
permettono di produrre e comprendere il linguaggio. Occorre poi specificare che in tutti i casi spetta
all’insegnante adattare il materiale ai contesti di riferimento e alle singole situazioni. Il materiale di per sé
non è infatti mai sufficiente a rendere efficace un intervento. L’uso dei software è generalmente molto
gradito dai bambini che con essi hanno anche la possibilità di esercitare un autocontrollo sul proprio
lavoro. I programmi didattici tuttavia vanno usati in ambito scolastico con criterio, in modo da evitare
che siano d’intralcio o alterino le dinamiche di interazione tra adulti e bambini. Questa interazione infatti
è molto importante al fine della costruzione di un rapporto di fiducia reciproca e della presa di coscienza
del percorso da svolgere in vista di traguardi concordati. Il lavoro con le schede operative e le illustrazioni
deve promuovere, soprattutto attraverso la ripetizione, la memorizzazione lessicale e l’acquisizioni di
strategie utili per guidare la strutturazione della frase. Tutto ciò trova nella mediazione dell’adulto un
elemento fondamentale di guida e di sostegno per delineare il percorso di apprendimento più adatto ed
efficace per il singolo bambino. Importante è non creare situazioni frustranti ma curare di offrire sempre il
giusto aiuto per superare le difficoltà; il materiale illustrato si presta molto ad un uso vario ed
individualizzato. Un’altra risorsa importante risiede nel tutoraggio tra pari che per la sua valenza socioaffettiva rappresenta uno stimolo ineguagliabile per la motivazione all’apprendimento. Il materiale che si
trova in commercio generalmente è formato da illustrazioni di parole e di frasi che consentono diverse
attività di accoppiamento disegno nome o di combinazione dei diversi elementi al fine di formare frasi.
Lavorare con le illustrazioni permette inoltre di operare in modo concreto con le parole e il loro
1
Cfr. Aprile L., Linguaggio lessicale e conoscenza sociale del bambino, Giuffrè editore, Milano 1993.
significato. Il materiale è utile che sia graficamente gradevole e accessibile e maneggevole da parte del
bambino.
 Deficit di comunicazione.
Nel campo dei deficit della comunicazione, vale a dire tutti i problemi connessi con l’incapacità di
utilizzare il linguaggio verbale, una soluzione è rappresentata dalla Comunicazione Aumentativa e
Alternativa. La Comunicazione Aumentativa Alternativa è appunto un insieme di metodi e strategie che
consentono di comunicare ai soggetti che non sono in grado di farlo attraverso le parole. E’ quindi un
supporto indispensabile per quelle persone, che a causa di vari tipi di patologie dalle paralisi cerebrale
infantile alle psicosi, soprattutto l’autismo, alle logopatie ecc.,
non sono in grado di comunicare
autonomamente i propri bisogni e i propri pensieri. La CAA per essere efficace può utilizzare un universo
molto ampio di strumenti dai più semplici ai più sofisticati: fotografie, disegni, gesti, elenchi di parole,
tabelle di comunicazione con simboli, tecnologie su supporto informatico, … . La CAA è quindi
soprattutto uno strumento duttile, adattabile alle esigenze del soggetto in evoluzione, modificabile e
potenziabile nel tempo e finalizzato all’unico obbiettivo dell’efficacia comunicativa. “Quando si cerca lo
strumento o la strategia di CAA che meglio si adatta a una persona bisogna considerare i suoi punti di
forza e le sue esigenze, i partner di comunicazione e i contesti di comunicazione.”
Bibliografia:
Disturbi specifici del linguaggio:
Basso A., Conoscere e rieducare l'afasia, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2005.
Bickel J., Il bambino con problemi di linguaggio, diagnosi, intervento e prevenzione a casa e a scuola,
Books & Company 2007.
Cornoldi C. (a cura di), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, Il Mulino, 2007.
Firth C., Venkatesh K., Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio, Erickson, Trento2002.
Salvatore Bonato A.M., Parole con logica. Schede operative di strutturazione frastica semplice, Edizioni
Omega 1990.
Comunicazione aumentativa e alternativa:
AA.VV., Immagini per parlare. Percorsi di comunicazione aumentativa alternativa per persone con
disturbi artistici, Tannini 2007.
Cafiero J.M., Comunicazione aumentativa e alternativa, Edizioni Erickson, 2009.
Gava M.L., La comunicazione aumentativa alternativa tra pensiero e parola, Franco Angeli.
Quill K.A., Comunicazione e reciprocità sociale nell’autismo, Edizioni Erickson.
Sarti P., Le prime facilitazioni al bambino con difficoltà di comunicazione, Auxilia, Modena, 2002
Warrick A., Comunicare senza parlare. Comunicazione Aumentativa e Alternativa, Edizioni Omega,
2003.
Snell M., Ianes D., La lettura funzionale per l’alunno handicappato, Edizioni Erickson, 1993.
Pluridisabilità
Nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità approva la Classificazione Internazionale del
Funzionamento ( ICF ), della Disabilità e della Salute. ICF rivoluziona il punto di vista di osservazione
del paziente, non più statico e cristallizzato nella sola rilevazione del segno clinico, ma nella sua
estrinsecazione funzionale di vita quotidiana. A valutazione ICF (2001) tiene conto dei fattori contestuali
ambientali (norme sociali, ambiente culturale, naturale e costruito, fattori politici, istituzioni, ecc..) e della
persona ( genere, età, condizione di salute, capacità di adattamento, stato sociale, educazione, professione,
esperienze passate, stili caratteriali ) classificandoli in maniera sistematica attraverso criteri comuni e
comparabili in maniera interdisciplinare. Principale finalità della Classificazione è considerare la persona
nella sua piena globalità, valutando il funzionamento positivo secondo tre dimensioni: 1. Strutture e
funzione corporee; 2. Attività ( dall’aspetto cognitivo a quello costruttivo ); 3. Partecipazione.
Questa evoluzione è molto importante, in quanto propone di allargare il campo di osservazione e di
azione dalla disabilità alla persona. Troppo spesso si tende ad identificare un individuo portatore di una
menomazione con la menomazione stessa, considerata talmente pervasiva e connotante, da rendere
“invisibile “ tutte le altre caratteristiche della persona, i suoi gusti, le sue attitudini, le sue potenzialità, la
sua identità, quasi fosse interamente costruita intorno alla menomazione. Ciò che mancava nelle
precedenti classificazioni era la visione globale dell’essere corpo-mente e, come tale, essere persona nella
propria unicità, che esprime, attraverso vari canali, desideri, bisogni, soddisfazioni e difficoltà soggettivi
in uno spazio ed in un tempo propri ed irripetibili. La pluridisabilità non rappresenta la semplice somma
di più limitazioni compresenti nella stessa persona, quanto, invece, una interazione permanente di
patologie, limitazioni e disabilità all’interno di un sistema dinamico influenzato dagli ambienti interni ed
esterni alla persona stessa. Nella pluridisabilità, eterogenea per definizione, l’elemento comune è forse
proprio la difficoltà di poter armonizzare quanto giunge attraverso i sensi, apprendere quanto
sperimentato, fissare nella memoria le esperienze passate. È necessario, che in ogni caso, gli interventi
siano il più precoci possibile e che mirino ad osservare tutte le possibili risorse positive sulle quali far
leva. La valutazione necessita di un’équipe multidisciplinare, l’approccio ad un problema con le varie
sfaccettature dovrebbe essere unico e complessivo nel senso di una comunicazione armonica tra tutti i
professionisti coinvolti,
in modo che l’agire di uno sia certamente l’espressione delle proprie
competenze, ma nella condivisione dello stesso progetto. Quando si parla di pluridisabilità, ci si riferisce
a situazioni che possono essere anche molto diverse tra loro: in tutti i casi occorre valutare le modalità di
funzionamento, ma non solo le abilità, il saper fare o non fare, il sapersi muovere e in che modo, il saper
affrontare o meno un problema pratico, manuale o più astratto, ma anche il modo di rapportarsi alla
realtà, agli altri; osservare se le interpretazioni relative agli eventi umani sono sufficientemente a contatto
con ciò che realmente accade al di fuori della persona. Nell’approccio con una persona pluridibabile è
inoltre fondamentale osservare pazientemente quali sono le abilità e quali le cose che vorrebbe fare,
piuttosto che indirizzare sempre; permettere errori che possono essere utili a capire e, soprattutto, non
prevedere interventi segmentari per ogni sfera compromessa, in quanto la persona si sviluppa nel suo
complesso.
Famiglia, relazione integrazione = Un nucleo familiare, nel corso del proprio ciclo di vita, affronta
continuamente eventi che richiedono dei processi di riorganizzazione, come ad esempio la nascita di un
figlio, la quale, se disabile, rappresenta un evento potenzialmente disadattivo. Le modalità con cui la
famigli affronterà tale situazione, portatrice di stress, influiranno notevolmente sullo sviluppo futuro del
bambino e della famiglia stessa. Le modalità di comunicazione della diagnosi sono determinanti
nell’accettazione della realtà da parte dei genitori e nel condizionare in senso positivo o negativo, l’inizio
di un rapporto affettivo con il bambino. E’molto importante l’apporto corretto di informazioni, la
chiarezza e la gradualità, i quali non impediscono la sofferenza, ma possono coadiuvare una reazione di
tipo costruttivo, attivo, anziché di rassegnazione. La diagnosi può provocare nei genitori un grosso trauma
in quanto si aspettavano un bambino “ ideale “ e non “ imperfetto “. Altra possibile reazione può essere
l’iperprotezione che può portare a limitare le possibilità di esplorazione dell’ambiente, di interazione con i
coetanei e di sviluppo dell’autonomia. Con un figlio pluriminorato potrà risultare difficile per un genitore,
soprattutto all’inizio, trovare una sufficiente empatia nella comunicazione, verbale, emotiva, corporea,
che risulta influenzata dallo stato emozionalesia dei genitori che del bambino. La condizione delle
pluriminorazioni non è univoca ma, al contrario, poliedrica. L’incidenza di condizioni caratterizzate
dalla presenza contemporanea di più limitazioni si è modificata nel tempo. Negli ultimi dieci anni si
registra un cambiamento nell’ambito della minorazione visiva, la quale non è più solo sinonimo di cecità
totale e si accompagna ad altre problematiche. Nella popolazione infantile che usufruisce dei servizi di
cura e riabilitazione è statisticamente significativo l’aumento di quadri clinici complessi, dove la
limitazione delle funzioni visive si accompagna, per cause pre-, peri-, o post- natali a patologie
neuromotorie e sensoriali. Nella compromissione cognitiva in aggiunta a quella sensoriale, si possono
manifestare gravi incapacità di adattamento o una negazione maniacale del limite e può strutturarsi una
falsa immagine di sé. Nella compromissione motoria aggiuntiva alla minorazione visiva grave, può essere
messa a rischio la rappresentazione spaziale, perché viene a mancare il movimento osservato o agito.
Un’altra condizione di pluridisabilità è rappresentata dalla sindrome di Usher, caratterizzata dalla
compresenza di un danno uditivo con uno visivo che si manifesta attraverso una perdita progressiva della
vista, causata dalla retinite pigmentosa, condizione che può presentarsi come patologia a sé, senza la
perdita dell’udito. Si ritiene che la perdita dell’udito, nel caso della sindrome di Usher, sia provocata da
un problema delle cellule nervose sensoriali della coclea, struttura responsabile della trasmissione dei
suoni al cervello. Per favorire l’integrazione è necessario sviluppare l’autonomia. In molti ambitile
acquisizioni potranno essere difficoltose, a causa di danni motori, sensoriali, intellettivi, per questo sono
fondamentali interventi educativo-riabilitativi per acquisizione di maggiori autonomie, anche per limitare
i vissuti di disagio e umiliazione che possono provare le persone che hanno una certa consapevolezza
della propria diversità sono dunque maggiormente in grado di mettersi a confronto con i normodotati.
L’età adolescenziale è un periodo di particolare vulnerabilità e trasformazioni. Un ragazzo pluriminorato
avvertirà l’impossibilità o il fortissimo ostacolo dell’accedere ad una soddisfacente autonomia,La propria
autostima, può venire fortemente intaccata dalle disabilità, ostacoli al confronto e
al senso di
appartenenza con il gruppo dei pari, con danni sul concetto di sé e, inevitabilmente sulle relazioni. Per
alcuni soggetti con pluridisabilità il ritardo intellettivo rappresenta la disfunzione prevalente: essa
ostacola nel bambino, fin dalle prime epoche di vita, la possibilità di conoscere e interpretare. Ciò che
accade intorno a lui. Il mondo apparirà come pieno di stimoli di difficile interpretazione, che possono
favorire l’instaurarsi di atteggiamenti difensivi quali l’isolamento e l’aggressività. La disponibilità, la
pazienza, la sensibilità dell’ambiente circostante, sono fondamentali. I problemi di relazione maggiori si
hanno quando ad una minorazione sensoriale e/o intellettiva. Si aggiunge un quadro clinico autistico o
psicotico. Nel primo caso, il ritiro dalle relazioni e l’isolamento dal mondo esterno rappresentano già
delle caratteristiche peculiari, che possono essere accentuate da ulteriori limitazioni. Nel secondo caso,
la confusione percettiva del bambino psicotico, può essere potenziata dal deficit sensoriale (vista o udito)
proprio a causa degli apporti sensoriali confusi e non integrati. L’angoscia, quanto è presente, può essere
devastante, pervasiva e può esprimere con crisi di agitazione psicomotoria o di aggressività difficili da
contenere. Il contenimento è qualcosa di fondamentale che dovrebbe fare da sfondo a qualsiasi tipo di
intervento: esso è la funzione che realizza quella particolare condizione psichica che permette
all’individuo di essere sufficientemente tranquillo ed in soddisfacente armonia con se stesso, più capace
di tollerare quote di ansia e di emozioni. Si può concludere affermando che la pluridisabilità è senz’altro
una condizione di difficile accettazione, delle mille sfaccettature, ma che comunque appartiene ad un
quadro ben più complesso: la Persona, la quale, come tale, esprime, oltre ai suoi problemi ed effettive
limitazioni, anche altre caratteristiche personali, gusti, emozioni,attitudini, bisogni e che necessita di
fiducia, accettazione, gratificazioni, attenzioni e stimoli particolari, oltre a possibilità di ascolto e di
espressione.
Bibliografia:
Celani B. ( 2007 ), Famiglia: arriva un bimbo disabile. Psicologia in Movimento, anno 3, num. 31.
Chiarelli R. ( 2005 ), Il bambino pluriminorato e il suo corpo in relazione con sé e con gli altri. Tiflologia
per l’integrazione n. 4/ 2005.
Coppa M.M. ( 1997 ), Le minorazioni visive.Aspetti psicologici processi di intervento con il bambino
minorato della vista. Editrice Tecno Scuola. Roma
Piccioni A. ( 2005 ), Riabilitazione nella pluridisabilità: riflessioni di oggi e di domani. Tiflologia per
l’integrazione n. 4/2005.
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