Percorsi differenziati con attività laboratoriali extracurriculari e indicazioni sugli ausili da utilizzare. INTRODUZIONE L’obiettivo del progetto è di attivare un “laboratorio interdisciplinare” con l’utilizzo di ausili tecnologici volti a ridurre o compensare le disabilità funzionali di allievi portatori di handicap. La sua finalità è l’integrazione degli alunni disabili mediante l’offerta di attività che stimolino nuovi interessi, creino un clima di collaborazione e cooperazione, diminuiscano le difficoltà nel processo di apprendimento e compensino l’eventuale ritardo rispetto alla media degli allievi coetanei. Tutto ciò avviene attraverso attività utili al recupero disciplinare, che promuovono lo sviluppo della manualità nei soggetti in “difficoltà fisica”. L’acquisto di ausili tecnologici è utile all’integrazione e al potenziamento delle abilità residue. Il progetto assegna alle nuove tecnologie informatiche un ruolo fondamentale nel favorire il processo di integrazione e di formazione dei soggetti disabili nella scuola. L’uso delle nuove tecnologie permettono di compensare limitazioni funzionali, promuovere l’autonomia e far sì che gli alunni possano realizzare le proprie potenzialità. In una società multietnica e multiforme, la presenza di persone con handicap sensoriali e psico-fisici si verifica con maggiore frequenza sia nei settori pubblici che in quelli privati. La loro integrazione nella società ha avuto una lunga gestazione, spesso rallentata dalla mancanza dei necessari apporti istituzionali. Con il passare degli anni si è però riconosciuto anche ai disabili il diritto all’istruzione integrata, il diritto di cittadinanza, il diritto al lavoro e, con la legge 517 del 1977, si è avviato il processo di integrazione nelle scuole statali. Oggi si registrano quote di presenza superiori al 2% nelle scuole elementari e medie e dell’1% nelle scuole superiori. Tale incremento é legato a diversi fattori tra cui il riconoscimento dell’handicap a scolarizzazione avvenuta, la maggiore sensibilità e conoscenza degli insegnanti a riguardo ed il perfezionamento delle tecniche diagnostiche. Oggi l'accesso alla tecnologia dell'informazione acquista maggior importanza sul modo di vivere, di lavorare e di apprendere, diventando un diritto primario per tutti i cittadini ed in particolare per le persone appartenenti alle cosiddette categorie deboli. La tecnologia acquista valenza trasversale nell’ambito della didattica, alcuni software consentono una più rapida esecuzione delle esercitazioni svolte in ambito scolastico e pertanto una maggiore possibilità di verificare “in tempo reale” la qualità del processo di insegnamento/apprendimento. La valenza educativa più interessante della multimedialità si ha nello sviluppo di una pedagogia della diversità che valorizzi la differenza come originalità, superando la concettualizzazione di distanza dallo standard: dare ad un alunno in difficoltà l'opportunità di esprimere l’originalità e fare della sua differenza un punto di forza, significa garantire al gruppo-classe in cui è inserito, un'ottica completamente differente nel vedere la sua diversità. Non esistono disabili che non abbiano margini di miglioramento se supportati da interventi didattici che sfruttino le tecnologie oggi a disposizione, promuovano la formazione delle abilità di base, dell'autonomia, della gestione diretta del proprio metodo di studio attivando la motivazione e promuovendo la capacità di gestione delle decisioni e delle azioni. Le proposte operative, di seguito illustrate e strutturate nei vari livelli, prevedono l’apporto di competenze differenziate al fine di rispondere in modo creativo e funzionale alle diverse esigenze, sia individuali che di gruppo. Disabilità visiva: cecità e ipovisione Quando il bambino nasce, immediatamente prende contatto con il mondo che lo circonda tramite i cinque sensi e cioè: il gusto l'olfatto, il tatto e soprattutto l'udito e la vista. Mediante questi ultimi due canali d'informazione egli struttura le percezioni nel tempo e nello spazio ed impara a parlare. La relazione mamma-bambino, soprattutto, costituisce un elemento rilevante per favorire lo sviluppo motorio all’interno del mondo circostante. I genitori sono dunque i primi a poter creare occasioni di crescita per il proprio bambino organizzando lo spazio casalingo in modo adeguato e fornendo al piccolo esperienze e stimoli che possano permettergli di raggiungere il massimo grado di sviluppo possibile. La letteratura specializzata e l'osservazione quotidiana mostrano le conseguenze molto rilevanti della minorazione visiva sulla sfera psicomotoria e in genere sulla percezione e la mentalizzazione dello spazio, incluse le condotte motorie complesse. Il bambino con disabilità visiva benché segua un percorso particolare nel proprio sviluppo, parzialmente differente da quello del bambino normo-vedente, in presenza di un ambiente affettivo favorevole e di stimolazioniadatte può fare molta strada e avere un’evoluzione normale. Tali condizioni positive possono permettere di ridurre considerevolmente gli effetti negativi della disabilità sullo sviluppo e sull’apprendimento. Interventi adeguati, attuati in età precoce, possono consentire di evitare i danni secondari al deficit visivo e favorire uno sviluppo adeguato nelle diverse aree. Le famiglie di bambini con minorazione visiva si trovano ad affrontare difficoltà che riguardano la gestione quotidiana, la comunicazione, l’alimentazione, il gioco. Tutti i genitori hanno bisogno di tempo per imparare a conoscere il proprio bambino; a maggior ragione di fronte a qualche disabilità visiva che presenta esigenze specifiche. È molto importante l’opera di supporto alle famiglie in questo difficile compito attraverso la fornitura di alcune indicazioni di base che possano favorire, fin dalla primissima infanzia, un clima di accettazione e una relazione positiva e serena con il figlio. La minorazione visiva aumenta le difficoltà nello studio di tutte quelle discipline che presuppongono la percezione e l'interiorizzazione di concetti topologici spaziali, quali educazione fisica, geometria, geografia ecc.,; d'altro lato inibiscono la sfera della comunicazione e della socializzazione, in quanto queste si servono di linguaggi extraverbali. Fino a poco tempo fa, magari senza che nessuno lo dicesse esplicitamente, si pensava che i ciechi non potessero percepire nessun tipo di immagine. Si trattava, e si tratta tuttora, di un pregiudizio molto radicato e destinato a produrre gravi conseguenze nell'educazione di chi non vede: infatti a partire da quell'idea è stata per molto tempo negata ai ciechi una fonte essenziale di conoscenza. Viceversa si è dimostrato chiaramente che attraverso il tatto è possibile percepire e ricostruire nella mente strutture dotate di una specifica dimensione spaziale e assimilabili alle immagini di cui dispongono i vedenti. Simili strutture, rispetto a quelle di cui dispone chi vede, sono senza dubbio molto più povere, perchè il tatto ha una capacità di discriminazione assai inferiore a quella della vista. Ciò non esclude però che ci si possa avvalere proprio del tatto e della sua capacità di cogliere e interpretare le immagini per cercare di compensare l'enorme carenza di informazioni di cui soffre necessariamente chi non dispone della vista. Basta pensare a tutto ciò di cui il cieco non può cogliere direttamente la forma: per esempio un grattacielo, un campanile, un lampione, un leone, una farfalla, una nuvola, tutte le cose insomma che sono o troppo piccole o troppo grandi o troppo delicate o troppo pericolose per poter essere analizzate direttamente con le mani. L'integrazione scolastica non è soltanto un obiettivo a cui tendere ma costituisce anche un metodo di lavoro che si snoda nelle attività quotidiane. Integrazione intesa innanzitutto come accettazione delle diversità di ciascuno, riconoscendo le caratteristiche migliori di ogni singola personalità per valorizzarle e potenziarle, permettere l'interazione con gli altri e con l'ambiente, “fare insieme qualcosa per qualcuno”, padroneggiare una situazione elaborando, secondo le necessità, strategie per il raggiungimento di una maggiore autonomia. In questo senso sia la tecnologia (ausilii e sussidi) che l'educazione come arte dell'insegnare a vivere possono contribuire ad armonizzare nel gruppo e nella collettività le potenzialità di ciascun individuo con obiettivi scelti e raggiunti insieme. Educare quindi intervenendo globalmente sulla persona e sul gruppo, utilizzando sia strumenti semplici, più vicini a schemi prassico-motori, sia elementi più complessi che interagiscono non solo con le abilità prassiche e motorie ma anche con quelle logico-astrattive-cognitive. Talvolta questo è associato alla tendenza ad affidarsi completamente alla “macchina” che dovrebbe risolvere problemi di ogni tipo, dalla comunicazione interpersonale a ritmi di apprendimento diversi da quelli consueti,all'arricchimento di condotte ludiche. In realtà l'intervento educativo non può prescindere dall'adottare una tecnica che consentirà di raggiungere pienamente il fine che si propone. Esso deve nascere da una intenzione ponderata e cosciente dell'educatore fin nei minimi elementi che la compongono . Alla base della programmazione educativa sta non tanto la capacità di intervenire,quanto la capacità di ascoltare; predisporre quindi un terreno adatto allo sviluppo di quella rete di relazioni, di interessi, di feeling . E’quindi molto importante l'interazione tra insegnante e allievo, la comunicazione, il modello di comportamento proposto, il feed-back che si ottiene .L'insegnante dovrà adattarsi in maniera molto flessibile ai tempi e alle modalità dell'allievo, rendendolo di giorno in giorno sempre più autonomo. Bibliografia: A. Canevaro handicap e scuola. E. Sapori introduzione al programma per non vedenti MARY. A. Quatraro 1989 convegno sull'integrazione dei non vedenti a Pisa. Disabilità motoria Per disabilità l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) indica, nell’ambito delle tematiche della salute, qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. Nello specifico la disabilità motoria viene valutata in base al tipo e al grado di difficoltà che può riguardare l’alterazione, la riduzione o l’inefficienza delle funzioni considerate. Il deficit motorio comprende diverse funzioni legate alle varie competenze ed abilità motorie. Comunemente si tende ad identificare la disabilità motoria come legata alla difficoltà nella deambulazione; in realtà essa comprende tutte le disfunzioni e patologie collegabili all’apparato neuro-muscolare e conseguentemente riguardanti la motricità degli arti, la funzionalità dei muscoli respiratori, la regolazione del tono muscolare ecc…Inoltre le competenze motorie sono tra loro interconnesse ed interagiscono continuamente per consentirci ogni tipo di movimento compatibile con la nostra struttura osteo-muscolare. Le abilità motorie sono poi strettamente legate all’apparato sensoriale con l’aggiunta fondamentale del “sesto senso” e cioè il senso cinestesico che ci permette di “conoscere” in ogni momento la posizione del nostro corpo nello spazio. Va inoltre ricordato che le competenze motorie non possono essere considerate altre dalle funzioni intellettive, emotive e cognitive; infatti le une e le altre crescono e si affinano nel corso di una corretta evoluzione. L’alterazione, la riduzione o l’inefficienza di una o più di queste funzioni comporta un deficit motorio. Di fronte a persone con disabilità motorie può accadere di rimanere impigliati in una impasse dovuta spesso a contrastanti, se non contrapposte aspettative rispetto alle possibilità dell’individuo disabile. Da una parte la prospettiva di una resa, di una rassegnazione fatalistica a dover vivere un’esistenza di numerose e diverse “impossibilità”, all’opposto “l’unica salvezza sembra passare dalla completa assunzione di potere sulla propria vita, cercando di cancellare illusoriamente il deficit e quindi anche una parte rilevante dell’identità”. Forse l’unica strategia è quella che invece di contrapporre queste due strade, cerca di metterle in contatto, sviluppando una dialettica tra “autonomia e dipendenza, normalità e diversità, abilità e disabilità, saper fare e saper essere uscendo dalla prigionia di pensarle come dimensioni alternative e contrapposte”. Il percorso “obbligato” diagnosi-cura spesso si trasforma in una sorta di confinamento e di immobilismo esistenziale organizzato e stabilito dai vari addetti ai lavori. È invece ampiamente dimostrato che, quando al disabile viene data la possibilità di assumere responsabilità sulla propria vita, spesso si creano situazioni positive di recupero ed integrazione. In diverse scuole del Piemonte, ad esempio, alcuni alunni in carrozzella hanno contribuito in maniera determinante a redigere una mappatura delle accessibilità ed inaccessibilità presenti nel loro territorio e, sostenuti dalle scuole, dalle famiglie e dalle istituzioni sono riusciti a promuovere un reale cambiamento non solo nella loro vita ma anche in quella della comunità alla quale appartengono. A partire da esempi come questo, possiamo affermare che un’effettiva integrazione scolastica e non si può realizzare abbattendo prima di tutto le barriere di tipo mentale che ancora ostacolano questi percorsi virtuosi. In Italia, l’affermazione dei diritti delle persone con difficoltà motorie e in generale dei diversamente abili non ha ancora completato il suo percorso, ma il suo inizio si ha con la nascita della Repubblica e della costituzione. L’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Di qui, nel volgere degli anni, una serie di leggi hanno via via facilitato l’integrazione delle persone con difficoltà sia nella società nel suo complesso sia in ambiti più specifici come la scuola. Per quanto riguarda la scuola, ancora una volta l’articolo 34 della Costituzione sancisce un diritto fondamentale: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegno alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Per poi giungere a una delle leggi fondamentali degli ultimi anni: la legge N. 104/92, detta legge quadro. –All’articolo 1 si legge: “La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società ...”. Con riferimento specifico alle persone con difficoltà motorie, la legge quadro italiana che tratta il problema dell'accessibilità è la legge 13/89 che stabilisce i termini e le modalità in cui deve essere garantita l’accessibilità ai vari ambienti, con particolare attenzione ai luoghi pubblici. Il D.M. 236/89 (decreto attuativo) si addentra maggiormente nella parte tecnica ed individua tre diversi livelli di qualità dello spazio costruito. Questi tre livelli sono: Accessibilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. Visitabilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Vengono considerati spazi di relazione gli spazi di soggiorno dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta. Adattabilità: possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Bibliografia: Riziero Zucchi, "Muoversi nel tempo e nello spazio", Scuola e didattica Ed. La Scuola 2004. Seminario"Disabilità motorie: conoscenze, percorsi, risorse", comune di Bologna, 2008. Disabilità uditiva Nell’affrontare le problematiche che riguardano il deficit uditivo ci troviamo a descrivere situazioni estremamente variabili. Si pensa a persone che non possono né sentire, né accedere al linguaggio, confondendo la conseguenza con la causa, sottendendo l’idea che, chi non sente, non ha per questo perso la facoltà di apprendere una lingua, anche se l’accesso alla parola è ostacolato dalla limitazione sensoriale. E’ importante sottolineare che il deficit uditivo è molto raramente totale e che dalla quantità e dalla qualità dei “residui uditivi” emergono quadri deficitari estremamente differenziati. Gli audiolesi o/e ipocausici hanno in questo ambito potenzialità e risorse. Una prima fondamentale suddivisione dei vari tipi di sordità riguarda la localizzazione del danno, in quest’ottica si distinguono: 1) Sordità trasmissive (3-4% dei bambini), le onde sonore arrivano distorte all’orecchio interno, si tratta di solito di sordità lievi; 2) Sordità percettive (0,05% dei bambini), la perdita uditiva può variare da lieve a gravissima; 3) Sordità miste, presentano anomalie nella conduzione e percezione del suono. Diversi esami clinici come l’impedenziometria, i metodi elettrofisiologici, l’audiometria soggettiva che comprende l’audiometria tonale e vocale, hanno la funzione di discriminare sordità di percezione di trasmissione. Metodi riabilitativi: 1) Metodo bimodale: la lingua dei segni viene utilizzata come supporto alla lingua parlata;2) Educazione bilingue: i bambini sordi vengono esposti a due lingue, la lingua dei segni e la lingua vocale (parlata dai genitori); 3) Metodo orale classico; 4) Allenamento acustico; 5) Labioletturatatto lettura. Esercizi di respirazione e soffio: 1) Associazione della parola con l’oggetto; 2) Uso precoce della lettura a partire dai primi anni di vita; 3) Metodo verbo tonale; 4) Utilizzo nell’intervento dei canali comunicativi integri (visivo, propriocettivo, esterocettivo), sia di quello acustico e deficitario. Caratteristica principale di questa metodologia è il fatto di essere multidisciplinare. Alla sua realizzazione concorrono: attività corporee e ritmiche; 5) Stimolazioni musicali con strumenti vari; attività di drammatizzazione; 6) Stimolazioni grafo motorie: grafismo fonetico ossia uso di segni grafici per rappresentare gli elementi della stimolazione sonora; 7) Psicomotricità per affrontare problemi di sviluppo psicomotorio; 8) Sussidi visivi: rappresentazione di storie etc. I progressi avvenuti a livello tecnologico in particolare per quanto riguarda la progettazione di protesi acustiche molto potenti, capaci di amplificare diverse gamme di frequenza e a livello pedagogico fanno sperare in una possibilità sempre maggiore di integrazione delle persone con deficit uditivi anche molto gravi nella comunità di appartenenza. Il compito della ricerca è quello di dare un peso sempre maggiore alla qualità del processo educativo nel suo complesso e valutare scientificamente l’effetto delle variabili individuali, familiari, educative, e riabilitative nelle diverse aree di sviluppo. Per chi opera direttamente con i soggetti sordi è importante partire da una conoscenza il più possibile ampia del problema dalla volontà di collaborare con le altre figure coinvolte nel processo educativo e dalla disponibilità a confrontarsi con altre impostazioni sulla base dei risultati del lavoro di ciascuno. Bibliografia: Psicologia delle disabilità e della riabilitazione. I soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evoluta. Nuova edizione aggiornata di Franco Angeli 2005. Mirella Zanobini, Maria Carmen Usai con la collaborazione di Carla Barzaghi e Carlo Lepri. Disabilità cognitiva I disturbi di apprendimento correlati a difficoltà cognitive o (DSA) disturbi specifici di apprendimento, racchiudono tutta una vasta e generalizzata gamma di problematiche della pratica didattica non sempre riconducibili a fattori o cause di natura endogena o esogena dell'individuo e non riguardano esplicitamente alunni diversamente abili . La tendenza generale è quella di attribuire una concausa ad una difficoltà oggettiva, soprattutto quando vengono esaminati alunni in situazione di disabilità o con evidenti carenze nel mantenimento di uno standard di apprendimento equo e adeguato ai pari. L'elaborazione di strategie didattiche di intervento in un campo così complesso e vario, rappresentato da risultati non allineabili ad un normale processo di sviluppo, di maturazione e crescita psicologica; racchiude e concentra spesso i suoi aspetti e indirizzi fondamentali, sul potenziamento/miglioramento delle capacità/abilità potenziali del singolo e sulla costruzione di interventi mirati ed organizzati nel rispetto di un ordine e di una crescita progressiva del soggetto. L'apprendimento è una capacità innata nell'uomo e in tutte le specie animali e pertanto costituisce uno, se non l'aspetto prevalente di tutto ciò che noi svolgiamo durante la quotidianeità:dall'atto o azione più semplice a quella più complessa,in quanto frutto di apprendimenti pregressi. Possiamo definire l'apprendimento,quindi: <<come un processo innato, spontaneo, naturale che avviene,si mantiene,si elabora e muta nel tempo ed è determinato oltre che da meccanismi neurofunzionali e biologici quindi endogeni,tipici di ciascun individuo, anche esogeni, cioè che avvengono dall'esterno e sono trasmessi o (mediati)>>. La nostra esistenza è caratterizzata fin dalla nascita da tutta una serie di comportamenti innati e spontanei che presuppongono di conseguenza degli apprendimenti che via via con lo sviluppo e con la crescita diventano sempre più articolati e complessi. Ai processi di apprendimento che si trasformano e modificano anche attraverso l'interazione e l'interscambio di informazioni tra più individui, si può aggiungere: "L'apprendimento Mediato"( Feuerstein) in cui l'individuo usufruisce, grazie all'intervento di un mediatore,della possibilità di acquisire conoscenze,competenze e abilità in modo attivo, progressivo,adeguato per qualità e quantità. E’proprio attraverso la mediazione che il soggetto diventa consapevole dei propri processi cognitivi e capace di elaborare in modo autonomo i dati dell'esperienza (Vygotskij).L'Esperienza di Apprendimento Mediato è alla base della possibilità di intervenire per sviluppare le funzioni cognitive, dalla prima infanzia sino all'età adulta. E’ad essa che si può ricorrere per migliorare le funzioni cognitive,quando esistono dei disturbi che sono legati a difficoltà specifiche cognitive, alla deprivazione culturale o a problematiche di diversa origine, natura e causa. Secondo Feuerstein: << le funzioni cognitive sono le condizioni mentali essenziali per l'esistenza delle operazioni di pensiero e per ogni altra funzione del comportamento. Le funzioni cognitive possono essere comprese e descritte operativamente come naturalmente suddivise nelle fasi dell'atto mentale. Esse riflettono i processi di Input, Elaborazione e Output>>. L'input, rappresenta il processo di individuazione e raccolta di dati nel sistema cognitivo,che presuppone una forte attivazione del soggetto e la capacità di saper distinguere e discriminare dati significativi dagli altri. Il processo di elaborazione è il cuore centrale del processo cognitivo e la sua caratteristica è trasformare le informazioni in una conoscenza organizzata. La fase di elaborazione svolge la funzione di connessione, messa in relazione dei dati attraverso una formulazione e verifica delle ipotesi per la soluzione del problema. L'output infine è responsabile delle azioni basate sulle conclusioni ricavate dall'elaborazione. E’chiaro che una difficoltà o un deficit in una delle tre fasi può ripercuotersi sulle altre due. Una mancanza nell'individuazione di dati (input), genera di conseguenza una carenza o un disordine in fase di elaborazione ed una risposta errata in fase di output. L'obiettivo principale di Feuerstein, è quindi quello di individuare le funzioni cognitive carenti che rappresentano la base sulla quale strutturare ed incentrare un eventuale intervento. Ed è proprio partendo da questi presupposti e basandosi sulla sua teoria della "Modificabilità Cognitiva Strutturale" che Feuerstein costruisce l'"Impianto di Valutazione Dinamica della Propensione di Apprendimento" o LPAD standard (The Learning Potential Assessment Device). La novità di questo approccio, sta nel fatto, che le procedure di somministrazione degli strumenti di valutazione non sono uniformi e standardizzate, ma sono flessibili, in quanto si adattano al profilo della persona da valutare,alle sue risposte e ai comportamenti durante l'interazione col mediatore. Gli scopi principali nel sistema dinamico sono: 1) di rilevare i cambiamenti di un soggetto senza metterlo a confronto con altri individui ma solo con se stesso attraverso l'interazione col mediatore; 2) la valutazione dinamica è orientata più al processo che al prodotto/risultato,in quanto deve rilevare la causa di un cambiamento ed in quale direzione la mediazione deve essere indirizzata per facilitare il cambiamento; 3) il mediatore deve interagire con energia, interesse,partecipazione con l'intenzione di modificare, migliorare la performance della persona valutata; 4) non viene restituito un punteggio di valutazione di dati, ma la persona viene coinvolta attraverso la presentazione dei propri cambiamenti proiettati nel futuro e come soggetto capace di modificarsi e di imparare cose nuove. La fase iniziale per l'attuazione del sistema di valutazione dinamica è caratterizzata dall'osservazione spontanea del comportamento del soggetto esposto al problema. Attraverso i dati raccolti, viene organizzato un elenco delle funzioni cognitive carenti e dei processi cognitivi utilizzati dal soggetto nella risoluzione dei problemi. La seconda fase o mediazione è quella più importante. L'esaminatore induce dei cambiamenti nel modo di funzionare del soggetto utilizzando un'interazione mediata volta ad aumentare il repertorio cognitivo. La fase di mediazione permette di determinare la qualità e la quantità dell'intervento necessario per ottenere un miglioramento nel comportamento cognitivo dell'individuo. La terza fase o re-test permette di verificare, attraverso la risoluzione di test analoghi a quelli iniziali, gli effetti della mediazione. La scelta e la tipologia degli strumenti avviene ad opera del valutatore sia sulla base delle conoscenze/informazioni della persona da valutare, sia dalle osservazione durante la fase dei test. Gli strumenti di valutazione sono numerosi ed esplorano diverse aree: l'area visivo motoria e percettiva e quello della memoria (test di memoria delle sedici parole). Il test di memoria, finalizzato a valutare e insegnare le capacità di memorizzazione di stimoli verbali e di utilizzare categorie per organizzare gli stimoli percepiti, è composto da una lista di 16 parole familiari conosciute dal soggetto. Le parole sono suddivise in 4 categorie: indumenti, alimenti, materiali scolastici e animali. Questo test viene presentato in modo che la persona valutata deve ricordare il maggior numero di parole in qualunque ordine, senza sapere il numero nè la categoria di quelle che ascolterà. Il valutatore legge la lista e chiede alla persona valutata di ripetere le parole che si ricorda; rilegge la lista fino a che l'altro non l'ha memorizzata correttamente per almeno tre volte consecutive. Il valutatore interviene o attua una (mediazione) dopo il terzo ricordo, in quanto nella prima fase osserva la memoria istantanea e la presenza o meno di riconoscimento e utilizzo di categorie per ricordare ( associazione categoria/elemento della categoria, input). Il valutatore registra sul proprio foglio le parole ricordate dopo ogni prova, in modo da avere la possibilità al termine di valutare la memoria immediata (dopo la prima lettura), l'incremento eventuale a ogni ripetizione (imparare con la semplice esposizione ad uno stimolo) e la presenza o meno di categorizzazione spontanea. Durante tutta la procedura, la persona valutata passa da una fase di possibile inconsapevolezza dell'esistenza di una strategia utile al ricordo, a una fase successiva in cui diventa cosciente di poter riutilizzare la stessa strategia in altre in altre situazioni. Dipenderà poi dal valutatore far sì che la persona acquisisca consapevolezza delle proprie strategie cognitive e metacognitive. Nell’"Impianto di Valutazione Dinamica della Propensione di Apprendimento", di Feuerstein, il soggetto attraverso l'interazione con il mediatore, viene coinvolto in maniera attiva nel processo di apprendimento o (cambiamento) e quello che più importa non è il risultato o la prestazione,ma il cambiamento, cioè la modificabilità,la capacità di apprendere cose nuove o anche la flessibilità ad imparare. Esistono diversi metodi di intervento o test che possono essere adattati in relazione ai casi o alle situazioni da valutare. Il metodo scelto, rappresenta solo un piccolo spaccato su come può essere impostato un intervento, seguendo e rispettando alcune teorie e criteri metodologici attuati da grandi studiosi e ricercatori in campo psico/pedagogico. L'utilità della Valutazione Dinamica e del metodo/test per il potenziamento delle capacità mnemoniche di Feuerestein, riportato dal testo in bibliografia, ha lo scopo di offrire uno strumento valido a tutti coloro che operano continuamente con soggetti con disturbi o problematiche di apprendimento, imputabili ai processi cognitivi. Le procedure utilizzate, possono servire da spunto per l'elaborazione di eventuali attività ed essere applicate con delle varianti alla situazione o al contesto di lavoro; inoltre, consentono di conseguire una conoscenza più approfondita e concreta delle carenze, delle potenzialità/abilità del soggetto da valutare. Bibliografia: Michela Minuto e Renato Ravizza - Migliorare i processi di apprendimento/ Il metodo Feuerstein: dagli aspetti teorici alla vita quotidiana – Erickson – 2008. Disturbi di comunicazione e relazione I problemi di comunicazione e relazione possono coinvolgere soggetti con vari tipi di disabilità che possono spaziare dalla balbuzie ai gravi disturbi del linguaggio, da handicap fisici a pluriminorazioni, a soggetti con autismo. Per venire incontro a queste particolari difficoltà è possibile utilizzare strumenti tecnologici che possono facilitare la comunicazione e talvolta la relazione (il computer diviene uno strumento di isolamento quando tale uso non è supportato da una idonea progettazione) tra il soggetto in difficoltà ed il mondo esterno. Prevenire lo svantaggio in ambito scolastico significa dare allo studente con handicap la possibilità di sviluppare tutte le potenzialità e capacità, sviluppando così competenze e appropriandosi di conoscenze caratteristiche di uno o più ambiti disciplinari. Da ciò emerge la necessità di una didattica speciale in grado di realizzare un reale processo di integrazione scolastica tenendo presente la normalità del bisogno di formazione e la specialità della persona (“speciale normalità”, Ianes). Una didattica la cui offerta formativa risponda alla crescente eterogeneità dei bisogni presenti nella classe, che persegua concretamente l’integrazione scolastica e l’accesso ai contenuti per lo sviluppo delle competenze. In questo quadro le tecnologie didattiche possono divenire strumenti compensativi per svolgere e rendere normali attività altrimenti precluse allo studente disabile, strumenti per sviluppare capacità e competenze disciplinari in contesti di apprendimento che rispondano ai bisogni formativi degli alunni coinvolti. Le modalità d’accesso alle informazioni dovranno essere adeguate agli studenti coinvolti nell’uso. Sul piano operativo le tecnologie usate devono rispondere alle caratteristiche di accessibilità e usabilità* per favorire l’integrazione del disabile. [ *Il termine accessibilità viene usato per indicare uno strumento, informatico o altro, progettato e realizzato per essere usato da una vasta gamma di utenti compresi quelli con disabilità, mentre usabilità viene usato per indicare il grado di efficacia dell’uso di uno strumento secondo gli obiettivi per cui lo strumento viene impiegato. ] Il discente avrà così l’opportunità di compiere le stesse attività, svolte in classe dagli altri studenti, usando appositi strumenti che gli consentano di fare ciò che altrimenti non potrebbe fare. Per una reale integrazione attraverso le tecnologie didattiche è necessario ben valutare le tecnologie hardware e software, nonché la familiarizzazione con tali tecnologie. La scelta della struttura hardware deve tener conto dei deficit dello studente. Ad esempio gli alunni con deficit visivo necessitano di pc multimediale con in dotazione scanner e stampante. Possono essere introdotti software ingrandenti (per ipovedenti) con o senza rinforzo vocale, screen reader (per ciechi) con sintesi vocale o display Braille. Per disabili motori, con impedimenti nell’uso delle mani, si possono usare tastiere e mouse di dimensioni e forme opportune, fino a software di emulazione della tastiera sul video oppure interfacce a scansione anche con predisposizione di parole. Tutto ciò per usare con il minimo sforzo il computer sfruttando la mobilità residua. E’necessario tener sempre presente che anche la più ottimale strumentazione non potrà sempre abbattere le difficoltà dell’alunno, ma comunque svolgerà un’azione vicariante. Ad esempio la produzione di un testo leggibile per gli altri potrà essere realizzato anche se in tempi di esecuzione superiori di quelli di un alunno normodotato. L’uso di tecnologie in classe richiede un ambiente idoneo che risponda ai bisogni specifici del disabile e ciò può comportare la necessità di risolvere problemi di tipo ergonomico-logistico: la disposizione dei banchi all’interno della classe (per evitare che il pc sul banco copra la visuale ai compagni della fila posteriore), la predisposizione di apposite prese elettriche incassate (per evitare l’uso di prolunghe),..... L’insegnante per la scelta dell’hardware e la risoluzione dei vari problemi può avvalersi della collaborazione di strutture specializzate presenti sul territorio. Passo successivo consiste nel selezionare il software prendendo in considerazione sia l’attività didattica che si intende sviluppare sia i problemi sul piano operativo e cognitivo dell’alunno. L’uso di un software di videoscrittura per un ipovedente ha un grande valore sul piano dell’integrazione con gli altri alla pari. Il testo può essere letto e stampato fornendo un prodotto finale che non presenti le difficoltà di decodifica tipiche della scrittura manuale di un ipovedente. I software in commercio (programmi didattici, materiale multimediale, …) dovrebbero essere prima accuratamente selezionati poi proposti con cautela, sia basandosi sull’osservazione delle reazioni dell’utente, sia chiedendo un feedback sulla percezione e sul gradimento del software, per evitare nell’alunno sensi di frustrazione e riduzione dell’efficacia. Una volta individuati gli strumenti tecnologici adatti per il disabile, è necessario un training per raggiungere un livello base di operatività con il computer senza il quale non è pensabile l’autonomia. Le tecnologie didattiche possono permettere all’alunno disabile di apprendere nuove conoscenze e contenuti nel modo a lui più congeniale con nuovi tipi di approccio e interazione. Ipertesti, multimedialità, ipermedialità permettono, perciò, di strutturare ambienti di apprendimento che consentono il superamento di difficoltà in situazione di disabilità. Ad esempio, l’uso di sistemi multimediali in alunni sordi che padroneggiano la lingua dei segni (Lis), si è dimostrato efficace nell’appropriazione di una nuova conoscenza sfruttando le diverse modalità di presentazione: lingua scritta, filmati in Lis, disegni e animazioni. Enciclopedie e dizionari elettronici sono di grande utilità nei discenti ipovedenti consentendo loro di superare le difficoltà che incontrerebbero nell’uso di materiale cartaceo. Sistemi multimediali interattivi sono utili per il superamento e lo sviluppo delle competenze nella lettura e scrittura in alunni dislessici o disgrafici: l’uso di semplici funzionalità come il correttore ortografico di un word processor consente di produrre un testo corretto, pulito, leggibile da tutti. Nella lettura l’uso della sintesi vocale consente all’alunno di concentrare l’attenzione sul contenuto, facilitandone la comprensione. Nei disturbi di attenzione l’uso di giochi multimediali, in cui è necessario attuare strategie risolutive di problemi, possono favorire la motivazione all’impegno e creare una piacevole occasione di apprendimento. In soggetti privi di comunicazione verbale i comunicatori permettono di trasmettere messaggi scritti o vocali venendo incontro alle esigenze comunicative dell’individuo. Nei soggetti con autismo l’uso di sistemi multimediali può servire da un lato a ridurre l’isolamento in cui vivono consentendo loro di comunicare, dall’altro può favorire e facilitare l’apprendimento di conoscenze, veicolando le informazioni attraverso la via visiva, strategia privilegiata dagli autistici. Sistemi basati su micromondi possono essere utilizzati nella costruzione di significati matematici in alunni con difficoltà relative a tale ambito disciplinare. Le tecnologie didattiche possono rappresentare una ulteriore barriera per l’alunno disabile se non vi è una progettazione e una realizzazione di prodotti e strumenti realmente accessibili, nonché, una mediazione didattica da parte dell’insegnante. Insegnante che nell’agire educativo si pone come mediatore tra i bisogni dell’alunno e le tecnologie. Il docente, in questa nuova prospettiva didattica, deve essere in possesso di competenze strumentali di base sulle tecnologie, affiancate da competenze metodologiche. Deve essere in grado di conoscere le tecnologie didattiche, ma anche di sceglierle in relazione ai propri bisogni educativi, inserendole correttamente nella programmazione didattica. È necessario perciò che si informi dettagliatamente sui deficit del soggetto, sui bisogni e sulle capacità residue. Così come è importante che sappia instaurare un rapporto collaborativo con le figure impegnate nel costruire un percorso formativo e conosca la situazione psicologica e relazionale del soggetto in modo da valorizzarne la sua diversità favorendone l’integrazione. Bibliografia: D. Ianes, Didattica speciale per l’integrazione, Erickson, Trento, 2001. A. Calvani, Manuale di Tecnologia dell'educazione, Edizioni ETS, Pisa, 2004. D. Parmigiani, Tecnologia per la didattica, FrancoAngeli, 2004. L. Ferlino, tecnologie informatiche e formazione dei docenti di sostegno,TD 18, 1999. M. Rotta, Nuove prospettive nell'evoluzione del concetto di usabilità, Form@re, newletters. Disturbi specifici di apprendimento Disturbo specifico del linguaggio. In questa parte saranno presi in considerazione i sussidi utili per i bambini che presentano difficoltà o disturbi del linguaggio. Brevemente occorre distinguere tra le difficoltà o l’assenza di linguaggio (afasia) associati a particolari condizioni patologiche (deficit neuromotori, sensoriali, cognitivi e relazionali) e i Disturbi Specifici del Linguaggio. Il termine Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL) indica infatti un insieme di quadri sindromici caratterizzati da un deficit in uno o più ambiti dello sviluppo linguistico in assenza appunto dei deficit sopra menzionati. Nell’ambito dei disturbi specifici occorre poi sottolineare, ai fini di una diagnosi differenziale, l’esclusione reciproca tra DSL e dislessia. I sussidi dovranno essere quindi distinti tra quelli utili per far comunicare persone incapaci in modo parziale o totale di parlare e quelli utili per migliorare le capacità linguistiche dei soggetti con DSL. Prima di passare però all’analisi di questi occorre fare alcune brevi riflessioni circa i DSL. I bambini apprendono a parlare in modo naturale grazie al funzionamento delle strutture cerebrali ad esse deputate e alle esperienze esterne che compiono. Le due cose procedendo insieme producono il linguaggio. Questo nei primi di anni di vita del bambino subisce in modo spontaneo un esponenziale incremento lessicale e un sorprendente perfezionamento morfosintattico. L’interdipendenza tra strutture organiche ed esperienza determina quindi la perfezione del fenomeno dell’acquisizione del linguaggio1. Ci sono però bambini che nonostante siano esposti ad esperienze significative e stimolanti fin dalla nascita presentano ritardi e difficoltà nel linguaggio. I disturbi del linguaggio possono riguardare tutti i suoi aspetti e questi sono fra loro molto diversi. Vi sono disturbi che riguardano lo strumento della parola (il bambino fa fatica a produrre i suoni e ad articolarli) e vi sono disturbi che riguardano la memorizzazione lessicale e l’organizzazione del linguaggio. Questi ultimi possono essere a loro volta distinti in fonologici, morfosintattici e semantico-lessicali. Vi è poi il Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio che esula dai DSL ed ha caratteristiche più complesse e ripercussioni più gravi sul comportamento del bambino (Firth C., Venkatesh K., 2002). I sussidi utili per migliorare le capacità linguistiche dei soggetti sono rintracciabili sia tra i software che tra le schede operative. La caratteristica comuni di questo materiale è essenzialmente quella di essere molto duttile e per questo utile anche per altri tipi di deficit (bambini con sordità profonde o ipoacusie con difficoltà a cogliere le strutture grammaticali e sintattiche della lingua) o condizioni particolari (alunni stranieri). L’obiettivo di questo materiale è quello di esercitare le abilità linguistiche di base (arricchimento lessicale ed elaborazione di frasi) in funzione dell’attivazione, se possibile, degli automatismi sottostanti o di acquisire la consapevolezza delle regole e delle strategie che permettono di produrre e comprendere il linguaggio. Occorre poi specificare che in tutti i casi spetta all’insegnante adattare il materiale ai contesti di riferimento e alle singole situazioni. Il materiale di per sé non è infatti mai sufficiente a rendere efficace un intervento. L’uso dei software è generalmente molto gradito dai bambini che con essi hanno anche la possibilità di esercitare un autocontrollo sul proprio lavoro. I programmi didattici tuttavia vanno usati in ambito scolastico con criterio, in modo da evitare che siano d’intralcio o alterino le dinamiche di interazione tra adulti e bambini. Questa interazione infatti è molto importante al fine della costruzione di un rapporto di fiducia reciproca e della presa di coscienza del percorso da svolgere in vista di traguardi concordati. Il lavoro con le schede operative e le illustrazioni deve promuovere, soprattutto attraverso la ripetizione, la memorizzazione lessicale e l’acquisizioni di strategie utili per guidare la strutturazione della frase. Tutto ciò trova nella mediazione dell’adulto un elemento fondamentale di guida e di sostegno per delineare il percorso di apprendimento più adatto ed efficace per il singolo bambino. Importante è non creare situazioni frustranti ma curare di offrire sempre il giusto aiuto per superare le difficoltà; il materiale illustrato si presta molto ad un uso vario ed individualizzato. Un’altra risorsa importante risiede nel tutoraggio tra pari che per la sua valenza socioaffettiva rappresenta uno stimolo ineguagliabile per la motivazione all’apprendimento. Il materiale che si trova in commercio generalmente è formato da illustrazioni di parole e di frasi che consentono diverse attività di accoppiamento disegno nome o di combinazione dei diversi elementi al fine di formare frasi. Lavorare con le illustrazioni permette inoltre di operare in modo concreto con le parole e il loro 1 Cfr. Aprile L., Linguaggio lessicale e conoscenza sociale del bambino, Giuffrè editore, Milano 1993. significato. Il materiale è utile che sia graficamente gradevole e accessibile e maneggevole da parte del bambino. Deficit di comunicazione. Nel campo dei deficit della comunicazione, vale a dire tutti i problemi connessi con l’incapacità di utilizzare il linguaggio verbale, una soluzione è rappresentata dalla Comunicazione Aumentativa e Alternativa. La Comunicazione Aumentativa Alternativa è appunto un insieme di metodi e strategie che consentono di comunicare ai soggetti che non sono in grado di farlo attraverso le parole. E’ quindi un supporto indispensabile per quelle persone, che a causa di vari tipi di patologie dalle paralisi cerebrale infantile alle psicosi, soprattutto l’autismo, alle logopatie ecc., non sono in grado di comunicare autonomamente i propri bisogni e i propri pensieri. La CAA per essere efficace può utilizzare un universo molto ampio di strumenti dai più semplici ai più sofisticati: fotografie, disegni, gesti, elenchi di parole, tabelle di comunicazione con simboli, tecnologie su supporto informatico, … . La CAA è quindi soprattutto uno strumento duttile, adattabile alle esigenze del soggetto in evoluzione, modificabile e potenziabile nel tempo e finalizzato all’unico obbiettivo dell’efficacia comunicativa. “Quando si cerca lo strumento o la strategia di CAA che meglio si adatta a una persona bisogna considerare i suoi punti di forza e le sue esigenze, i partner di comunicazione e i contesti di comunicazione.” Bibliografia: Disturbi specifici del linguaggio: Basso A., Conoscere e rieducare l'afasia, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2005. Bickel J., Il bambino con problemi di linguaggio, diagnosi, intervento e prevenzione a casa e a scuola, Books & Company 2007. Cornoldi C. (a cura di), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, Il Mulino, 2007. Firth C., Venkatesh K., Disturbo semantico-pragmatico del linguaggio, Erickson, Trento2002. Salvatore Bonato A.M., Parole con logica. Schede operative di strutturazione frastica semplice, Edizioni Omega 1990. Comunicazione aumentativa e alternativa: AA.VV., Immagini per parlare. Percorsi di comunicazione aumentativa alternativa per persone con disturbi artistici, Tannini 2007. Cafiero J.M., Comunicazione aumentativa e alternativa, Edizioni Erickson, 2009. Gava M.L., La comunicazione aumentativa alternativa tra pensiero e parola, Franco Angeli. Quill K.A., Comunicazione e reciprocità sociale nell’autismo, Edizioni Erickson. Sarti P., Le prime facilitazioni al bambino con difficoltà di comunicazione, Auxilia, Modena, 2002 Warrick A., Comunicare senza parlare. Comunicazione Aumentativa e Alternativa, Edizioni Omega, 2003. Snell M., Ianes D., La lettura funzionale per l’alunno handicappato, Edizioni Erickson, 1993. Pluridisabilità Nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità approva la Classificazione Internazionale del Funzionamento ( ICF ), della Disabilità e della Salute. ICF rivoluziona il punto di vista di osservazione del paziente, non più statico e cristallizzato nella sola rilevazione del segno clinico, ma nella sua estrinsecazione funzionale di vita quotidiana. A valutazione ICF (2001) tiene conto dei fattori contestuali ambientali (norme sociali, ambiente culturale, naturale e costruito, fattori politici, istituzioni, ecc..) e della persona ( genere, età, condizione di salute, capacità di adattamento, stato sociale, educazione, professione, esperienze passate, stili caratteriali ) classificandoli in maniera sistematica attraverso criteri comuni e comparabili in maniera interdisciplinare. Principale finalità della Classificazione è considerare la persona nella sua piena globalità, valutando il funzionamento positivo secondo tre dimensioni: 1. Strutture e funzione corporee; 2. Attività ( dall’aspetto cognitivo a quello costruttivo ); 3. Partecipazione. Questa evoluzione è molto importante, in quanto propone di allargare il campo di osservazione e di azione dalla disabilità alla persona. Troppo spesso si tende ad identificare un individuo portatore di una menomazione con la menomazione stessa, considerata talmente pervasiva e connotante, da rendere “invisibile “ tutte le altre caratteristiche della persona, i suoi gusti, le sue attitudini, le sue potenzialità, la sua identità, quasi fosse interamente costruita intorno alla menomazione. Ciò che mancava nelle precedenti classificazioni era la visione globale dell’essere corpo-mente e, come tale, essere persona nella propria unicità, che esprime, attraverso vari canali, desideri, bisogni, soddisfazioni e difficoltà soggettivi in uno spazio ed in un tempo propri ed irripetibili. La pluridisabilità non rappresenta la semplice somma di più limitazioni compresenti nella stessa persona, quanto, invece, una interazione permanente di patologie, limitazioni e disabilità all’interno di un sistema dinamico influenzato dagli ambienti interni ed esterni alla persona stessa. Nella pluridisabilità, eterogenea per definizione, l’elemento comune è forse proprio la difficoltà di poter armonizzare quanto giunge attraverso i sensi, apprendere quanto sperimentato, fissare nella memoria le esperienze passate. È necessario, che in ogni caso, gli interventi siano il più precoci possibile e che mirino ad osservare tutte le possibili risorse positive sulle quali far leva. La valutazione necessita di un’équipe multidisciplinare, l’approccio ad un problema con le varie sfaccettature dovrebbe essere unico e complessivo nel senso di una comunicazione armonica tra tutti i professionisti coinvolti, in modo che l’agire di uno sia certamente l’espressione delle proprie competenze, ma nella condivisione dello stesso progetto. Quando si parla di pluridisabilità, ci si riferisce a situazioni che possono essere anche molto diverse tra loro: in tutti i casi occorre valutare le modalità di funzionamento, ma non solo le abilità, il saper fare o non fare, il sapersi muovere e in che modo, il saper affrontare o meno un problema pratico, manuale o più astratto, ma anche il modo di rapportarsi alla realtà, agli altri; osservare se le interpretazioni relative agli eventi umani sono sufficientemente a contatto con ciò che realmente accade al di fuori della persona. Nell’approccio con una persona pluridibabile è inoltre fondamentale osservare pazientemente quali sono le abilità e quali le cose che vorrebbe fare, piuttosto che indirizzare sempre; permettere errori che possono essere utili a capire e, soprattutto, non prevedere interventi segmentari per ogni sfera compromessa, in quanto la persona si sviluppa nel suo complesso. Famiglia, relazione integrazione = Un nucleo familiare, nel corso del proprio ciclo di vita, affronta continuamente eventi che richiedono dei processi di riorganizzazione, come ad esempio la nascita di un figlio, la quale, se disabile, rappresenta un evento potenzialmente disadattivo. Le modalità con cui la famigli affronterà tale situazione, portatrice di stress, influiranno notevolmente sullo sviluppo futuro del bambino e della famiglia stessa. Le modalità di comunicazione della diagnosi sono determinanti nell’accettazione della realtà da parte dei genitori e nel condizionare in senso positivo o negativo, l’inizio di un rapporto affettivo con il bambino. E’molto importante l’apporto corretto di informazioni, la chiarezza e la gradualità, i quali non impediscono la sofferenza, ma possono coadiuvare una reazione di tipo costruttivo, attivo, anziché di rassegnazione. La diagnosi può provocare nei genitori un grosso trauma in quanto si aspettavano un bambino “ ideale “ e non “ imperfetto “. Altra possibile reazione può essere l’iperprotezione che può portare a limitare le possibilità di esplorazione dell’ambiente, di interazione con i coetanei e di sviluppo dell’autonomia. Con un figlio pluriminorato potrà risultare difficile per un genitore, soprattutto all’inizio, trovare una sufficiente empatia nella comunicazione, verbale, emotiva, corporea, che risulta influenzata dallo stato emozionalesia dei genitori che del bambino. La condizione delle pluriminorazioni non è univoca ma, al contrario, poliedrica. L’incidenza di condizioni caratterizzate dalla presenza contemporanea di più limitazioni si è modificata nel tempo. Negli ultimi dieci anni si registra un cambiamento nell’ambito della minorazione visiva, la quale non è più solo sinonimo di cecità totale e si accompagna ad altre problematiche. Nella popolazione infantile che usufruisce dei servizi di cura e riabilitazione è statisticamente significativo l’aumento di quadri clinici complessi, dove la limitazione delle funzioni visive si accompagna, per cause pre-, peri-, o post- natali a patologie neuromotorie e sensoriali. Nella compromissione cognitiva in aggiunta a quella sensoriale, si possono manifestare gravi incapacità di adattamento o una negazione maniacale del limite e può strutturarsi una falsa immagine di sé. Nella compromissione motoria aggiuntiva alla minorazione visiva grave, può essere messa a rischio la rappresentazione spaziale, perché viene a mancare il movimento osservato o agito. Un’altra condizione di pluridisabilità è rappresentata dalla sindrome di Usher, caratterizzata dalla compresenza di un danno uditivo con uno visivo che si manifesta attraverso una perdita progressiva della vista, causata dalla retinite pigmentosa, condizione che può presentarsi come patologia a sé, senza la perdita dell’udito. Si ritiene che la perdita dell’udito, nel caso della sindrome di Usher, sia provocata da un problema delle cellule nervose sensoriali della coclea, struttura responsabile della trasmissione dei suoni al cervello. Per favorire l’integrazione è necessario sviluppare l’autonomia. In molti ambitile acquisizioni potranno essere difficoltose, a causa di danni motori, sensoriali, intellettivi, per questo sono fondamentali interventi educativo-riabilitativi per acquisizione di maggiori autonomie, anche per limitare i vissuti di disagio e umiliazione che possono provare le persone che hanno una certa consapevolezza della propria diversità sono dunque maggiormente in grado di mettersi a confronto con i normodotati. L’età adolescenziale è un periodo di particolare vulnerabilità e trasformazioni. Un ragazzo pluriminorato avvertirà l’impossibilità o il fortissimo ostacolo dell’accedere ad una soddisfacente autonomia,La propria autostima, può venire fortemente intaccata dalle disabilità, ostacoli al confronto e al senso di appartenenza con il gruppo dei pari, con danni sul concetto di sé e, inevitabilmente sulle relazioni. Per alcuni soggetti con pluridisabilità il ritardo intellettivo rappresenta la disfunzione prevalente: essa ostacola nel bambino, fin dalle prime epoche di vita, la possibilità di conoscere e interpretare. Ciò che accade intorno a lui. Il mondo apparirà come pieno di stimoli di difficile interpretazione, che possono favorire l’instaurarsi di atteggiamenti difensivi quali l’isolamento e l’aggressività. La disponibilità, la pazienza, la sensibilità dell’ambiente circostante, sono fondamentali. I problemi di relazione maggiori si hanno quando ad una minorazione sensoriale e/o intellettiva. Si aggiunge un quadro clinico autistico o psicotico. Nel primo caso, il ritiro dalle relazioni e l’isolamento dal mondo esterno rappresentano già delle caratteristiche peculiari, che possono essere accentuate da ulteriori limitazioni. Nel secondo caso, la confusione percettiva del bambino psicotico, può essere potenziata dal deficit sensoriale (vista o udito) proprio a causa degli apporti sensoriali confusi e non integrati. L’angoscia, quanto è presente, può essere devastante, pervasiva e può esprimere con crisi di agitazione psicomotoria o di aggressività difficili da contenere. Il contenimento è qualcosa di fondamentale che dovrebbe fare da sfondo a qualsiasi tipo di intervento: esso è la funzione che realizza quella particolare condizione psichica che permette all’individuo di essere sufficientemente tranquillo ed in soddisfacente armonia con se stesso, più capace di tollerare quote di ansia e di emozioni. Si può concludere affermando che la pluridisabilità è senz’altro una condizione di difficile accettazione, delle mille sfaccettature, ma che comunque appartiene ad un quadro ben più complesso: la Persona, la quale, come tale, esprime, oltre ai suoi problemi ed effettive limitazioni, anche altre caratteristiche personali, gusti, emozioni,attitudini, bisogni e che necessita di fiducia, accettazione, gratificazioni, attenzioni e stimoli particolari, oltre a possibilità di ascolto e di espressione. Bibliografia: Celani B. ( 2007 ), Famiglia: arriva un bimbo disabile. Psicologia in Movimento, anno 3, num. 31. Chiarelli R. ( 2005 ), Il bambino pluriminorato e il suo corpo in relazione con sé e con gli altri. Tiflologia per l’integrazione n. 4/ 2005. Coppa M.M. ( 1997 ), Le minorazioni visive.Aspetti psicologici processi di intervento con il bambino minorato della vista. Editrice Tecno Scuola. Roma Piccioni A. ( 2005 ), Riabilitazione nella pluridisabilità: riflessioni di oggi e di domani. Tiflologia per l’integrazione n. 4/2005.