SCHEDE SUI NUMERI COMPLESSI
Forma algebrica
La formula babilonese, cioè
x
    2  4
(uso le lettere greche perché quelle latine mi servono dopo), non dà
2
sempre soluzioni reali; questo capita quando è  24 < 0. Infatti, non esiste alcun numero reale il cui quadrato sia negativo.
Tuttavia, non c’è motivo per escludere il caso di qualche altro genere di numero, non reale, che abbia quadrati negativi; è
vero che il concetto non è intuitivo e non può rappresentare alcuna misura fisica, ma alla matematica basta meno: purché
qualcosa mostri qualche genere di proprietà, possibilmente collegata alle 4 operazioni, e non sia contraddittorio, lo si può
benissimo trattare come un numero. In che modo? Intanto, conviene scrivere la stessa formula portando tutto sotto radice:

   
x
 
 
2
 2  
2
; poi, conviene porre a : = /(2) e b2 := [/(2)]2/ e riscrivere semplicemente x =
a(b2). Da qui si ottiene x = a1(b2) = a1 b. In genere il numero 1 viene indicato con i, per cui si ha
x = aib.
Quest’ultima è la forma algebrica di un numero complesso. In esso, si distinguono la parte reale a, indicata anche con Re(x), e la
parte immaginaria ib, indicata anche con Im(x).
I numeri di questo genere non sono reali, a causa di i, ma sono comunque numeri, come mostrano le seguenti proprietà.
Inoltre, i numeri reali sono soltanto un sottocaso dei numeri complessi, che si ha quando è b = 0. Pertanto, se si conoscono i
numeri complessi si conoscono anche quelli reali.
Somma
Se sommo due numeri naturali, ottengo un numero naturale; se sommo due numeri razionali, ottengo un numero razionale;
allo stesso modo, se sommo due numeri complessi ottengo un numero complesso. Esempio:
(3+i5)+(8+i2) = 5+i7.
In generale, è (a+ib)+(c+id) = (a+c)+i(b+d).
Non soltanto: la somma è, come al solito, commutativa e associativa.
Naturalmente, è anche possibile eseguire la differenza e ottenere ancora un numero complesso. In generale, è (a+ib)(c+id)
= (ac)+i(bd).
Prodotto
Se moltiplico due numeri complessi, ottengo un numero complesso. Esempio:
(2i3)(1+i4) = 2i3+i8i212; ma siccome è i2 = 1, si ottiene 14+i5.
In generale, è (a+ib)(c+id) = (acbd)+i(ad+bc).
Anche il prodotto è commutativo e associativo.
È poi possibile il rapporto e ottenere ancora un numero complesso; ad esempio,
1  i3 1  i3 4  i5 4  i12  i5  15  11  i7
11
7




  i .
4  i5 4  i5 4  i5
16   25
41
41 41
a  ib ac  bd
bc  ad
 2
i 2
In generale, è
.
2
c  id c  d
c  d2
Coniugazione
Per ogni numero complesso a+ib esiste il coniugato aib; ad esempio, il numero complesso 3i9 ha il coniugato 3+i9.
Indicando con c(x) il coniugato del numero x, valgono ad esempio le proprietà c(xy) = c(x)c(y), c(x/y) = c(x)/c(y),
Re  x  
x  c x 
x  c x 
e Im x  
.
2
2i
Modulo
Il modulo di un numero complesso a+ib si indica con |a+ib|; il suo valore è dato dalla radice della moltiplicazione del
numero stesso per il suo coniugato, moltiplicazione che è uguale al quadrato della parte reale sommato a quello della parte
immaginaria: |a+ib| = (a+ib)(aib) = (a2+b2).
Proprietà: indicando con x e y due numeri complessi, sono ad esempio |x||y| = |xy|, |x|/|y| = |x/y| e |x||y| 
|x+y|  |x|+|y|.
Forma polare
In alcuni casi, la forma algebrica non è la più comoda e si preferisce quella polare, cioè reit, in cui il coniugato è reit e quindi il
modulo è r. Il legame fra la forma algebrica e quella esponenziale può essere spiegato soltanto con la trigonometria.
Esiste poi anche la forma trigonometrica, che qui si omette.
Una stranezza
Con i numeri reali, non è possibile “spostare” il segno dentro e fuori dall’operazione di logaritmo; ad esempio, non è vero
che ln(4) è uguale a ln(4). Ma con l’unità immaginaria sì! Ecco i passaggi:
  i2 
 i
1
  ln    ln 1  ln i    ln i  .
ln  i   ln   i   ln 
 i
i
 i 
“Spostatevi, ragazzini, lasciatemi lavorare”
Quello che segue è un adattamento da Abregé d’histoire des mathématiques di Jean Dieudonné, pagg. 125-127.
Quanto vale il logaritmo di un numero negativo? La risposta, quando si tratta di numeri reali, è “non esiste il logaritmo di un
numero negativo!”, ma nei numeri complessi la questione è più raffinata.
In ogni caso, quando alcuni problemi di analisi portarono i matematici a porsi la domanda, la risposta fu tutt’altro che
immediata: in particolare, ci fu una controversia per corrispondenza, durata dal 1700 al 1716, fra il grande matematico
svizzero Jean Bernoulli (1667-1748) e il filosofo tedesco e scopritore del calcolo infinitesimale Gottfried Wilhelm Leibniz
(1646-1716), che non sembrava portare a nulla; anzi, sembrava portare a un disastro per tutta l’impalcatura della matematica
pura. Ecco i termini della questione.
* Bernoulli era del parere che fosse ln(x) = ln(x), e in particolare ln(1) = 0, perché la dimostrazione con cui si ottiene
[ln(x)]’ = 1/x dà formalmente anche [ln(x)]’ = 1/x; infatti la velocità è
ln  x  x   ln  x 
; usando le proprietà
x
 x  x 
ln 

x 

dei logaritmi, si arriva a
, che è esattamente la stessa velocità che si ottiene per ln(x). Un suo altro argomento
x
era che, partendo da (x)2 = x2 e applicando formalmente i logaritmi e la proprietà della potenza, si arriva a 2ln(x) = 2ln(x)
e, semplificando per 2, a ln(x) = ln(x).
* Leibniz sosteneva che i logaritmi di tutti i numeri negativi e immaginari fossero immaginari. Il suo argomento era che,
siccome tutti i numeri reali sono logaritmi di numeri reali positivi, allora tutti gli altri, cioè tutti i numeri immaginari,
dovevano essere logaritmi di tutti gli altri, cioè di tutti i numeri immaginari o negativi. Leibniz sbandierava anche un’altra
argomentazione: se è y = ln(x), allora per definizione di logaritmo è anche x = ey. Sfruttando un risultato allora recente, cioè
che è ey = 1+y+y2/2+y3/(23)+y4/(234)+..., Leibniz notava che quando è x = 1 non si può avere y = 0, come invece
risulterebbe dalle affermazioni di Bernoulli, perché sostituendo questi valori in x = 1+y+y2/2+y3/(23)+y4/(234)+... si
ottiene 1 = 1.
Va pur notato che, nonostante le fanfare di formule, queste argomentazioni possono forse essere giudicate “ragionamenti”
in filosofia, diritto o politica, ma in matematica sono a malapena degne dei giganti che le hanno espresse; infatti, quando nel
1749 il sommo matematico svizzero Leonhard Euler (1707-1783) decide di intervenire in questo sfacelo, tutto va
meravigliosamente a posto. Comincia con il prendere di petto le argomentazioni di Leibniz: “Di solito supponiamo, quasi
senza accorgerci, che a ogni numero corrisponda soltanto un logaritmo; ora, riflettendo anche soltanto un poco, troveremo
che tutte le difficoltà e le contraddizioni da cui la teoria dei logaritmi appare imbarazzata persistono soltanto finché
supponiamo che a ciascun numero corrisponda soltanto un logaritmo. Quindi, per eliminare tutte le difficoltà e le
contraddizioni, affermo che, in virtù stessa della definizione data, a ciascun numero corrisponde un’infinità di logaritmi.”.
In questo modo, la prima argomentazione di Leibniz viene smantellata. A questo punto, Eulero spiega che ogni numero
reale positivo ha un’infinità di logarimi, di cui uno solo reale e tutti gli altri complessi. Dopo una serie di passaggi, per i quali
purtroppo servirebbe conoscere la trigonometria, arriva a trovare che è
yk 
e
ln x  i
t  2k
n
1
n
1
, dove k può assumere
qualunque valore intero, negativo o positivo, anche se ogni n numeri i risultati si ripetono. La ripetizione si evita soltanto
quando n, ma allora la frazione sopra è un limite notevole che dà come risultato lneln|x|+i(t+2k) = ln|x|+i(t+2k),
pertanto si ha yk = ln|x|+i(t+2k).
Se soltanto Bernoulli avesse tenuto conto della parte immaginaria di yk , avrebbe avuto ragione nel sostenere che è ln(x) =
ln(x), infatti l’espressione corretta, in campo complesso, è nella forma ln|x|+... .
Resta ancora da rimettere al suo posto la seconda argomentazione di Leibniz, ma l’obiettivo è presto raggiunto notando che
la formula su cui costui si basa, cioè x = ey, a questo punto deve diventare x = eyk, cioè x = eln|x|+i(t+2k), cioè ln(x) =
ln|x|+i(t+2k),
per
cui
è
ln(1)
=
i(t+2k);
da
x
=
eyk
risulta
1
=
2
3
4
1+i(t+2k)+[i(t+2k)] /2+[i(t+2k)] /(23)+[i(t+2k)] /(234)+..., che, qualunque cosa sia, non è più una contraddizione.