C.d.L. in Biotecnologie del farmaco Corso di Chimica Farmaceutica Biotecnologica Malattie Autoimmuni Quando il sistema immunitario attacca i tessuti propri dell’organismo invece degli elementi di aggressione esterni, quali batteri o virus, si parla di malattia autoimmune. Dal 5 all’8% della popolazione ne è affetta. Il sistema immunitario presenta un elevatissimo numero di diverse specificità e poiché il repertorio di queste specificità, espresse dalle generazioni di linfociti B e T, viene generato in maniera casuale, alcune di queste sono rivolte verso Ag costitutivamente espressi dall’organismo. In questo modo si creano nel corpo umano meccanismi di tolleranza che consentono di distinguere gli Ag propri dell’organismo (Self) da quelli estranei (Non Self) allo scopo di evitare reazioni autoimmunitarie. Tuttavia, esiste il rischio per tutti i sistemi di andare incontro a fallimento, e cosi anche i meccanismi che permettono di riconoscere gli Ag Self non fanno eccezione ed infatti è stato riconosciuto un certo numero di malattie autoimmuni causate dall’abbondante produzione di autoanticorpi e di cellule T autoreattive. I processi autoimmuni sono spesso causa di patologia; nei casi in cui si ritrovano degli autoanticorpi associati con una particolare malattia vi sono tre diverse possibilità: 1. il processo autoimmunitario è responsabile delle lesioni della malattia 2. esiste un processo patologico che, attraverso la produzione di un danno tissutale, conduce allo sviluppo di autoanticorpi 3. nel corpo è presente un fattore che costituisce l’Ag responsabile sia delle lesioni che del processo autoimmunitario In alcuni casi sono stati identificati autoanticorpi prodotti in seguito ad un danno, quindi risulterebbe valida la seconda possibilità (ad esempio autoanticorpi diretti verso Ag cardiaci possono essere prodotti dopo un infarto). Tuttavia, è raro che vengano sintetizzati autoanticorpi in seguito al rilascio di autoantigeni durante un semplice trauma. Nella maggior parte delle associate ad autommunità ci sono prove che sostengono l’ipotesi che il processo autoimmunitario sia l’agente causale delle lesioni. Le malattie autoimmuni possono presentare un ampio spettro di gravità e possono colpire qualsiasi organo e culminare con il decesso. Quasi tutte queste malattie colpiscono più le donne che gli uomini e possono manifestarsi a qualsiasi età. Molte malattie autoimmuni condividono dei meccanismi fisiologici simili, ma la loro causa originaria è tuttora sconosciuta e non esiste possibilità di guarigione. Le malattie autoimmuni possono essere classificate come organo-specifiche o non organo-specifiche in base alla risposta, che può essere primitivamente diretta verso Ag localizzati a livello di particolari organi oppure verso Ag ubiquitari: Organo-specifiche • tiroidite di Hashimoto • Anemia perniciosa • malattia di Addison • Diabete Mellito insulino-dipendente • Miastenia grave • sclerosi multipla • Anemia emolitica autoimmune • Cirrosi biliare primitiva • Epatite cronica attiva • Artrite Reumatoide Non organospecifiche • Lupus Eritematoso Sistemico (LES) Organo-specifiche Nonostante le malattie non organo-specifiche producano caratteristiche dei sintomi a livello della cute, delle articolazioni, dei reni e dei muscoli; alcuni organi sono maggiormente colpiti da queste malattie: come ad esempio il rene dal Lupus Eritematoso oppure le articolazioni dall’Artrite Reumatoide. non organo-specifiche Muscoli DERMATOMIOSITE SCLERODERMA Solitamente i pazienti si lamentano per il dolore alle ossa ,in il dolore è delle articolazioni; l’osso infatti di per sé è ben scarsamente capace di provocare dolore, essendo privo o quasi dei nocicettori, cioè le terminazioni nervose all’origine delle sensazioni dolorose. Si parla di dolori articolari quindi, e non delle ossa, dolori che possono essere dovuti a molte e svariate cause, ma che sono anche il principale sintomo di due importanti malattie: artrite reumatoide (AR) ed artrosi. Le stime del numero di pazienti affetti da AR sono abbastanza difficili: si va dall’1 al 2-3% della popolazione generale, ma vi sono anche stime molto più elevate. Quello che è certo è che colpisce più spesso le donne che non gli uomini (2-3 volte di più) e che la comparsa di questa patologia si concentra tra i 20 e i 40 anni ed in particolare nella quarta decade. L’AR, come abbiamo già accennato in precedenza, è una malattia infiammatoria cronica su base immunitaria, cioè costituita da una serie di reazioni immunitarie rivolte verso l’organismo stesso (tessuti, cellule ma anche semplici proteine); è come se il sistema immunitario si “sbaglia” e scatena l’attacco delle sue truppe d’assalto contro l’amico e non il nemico. Quindi è un po’ come una reazione di rigetto che, anzichè riguardare un organo estraneo trapiantato, riguarda un organo proprio. l’AR è una malattia progressiva ed invalidante che coinvolge la membrana sinoviale delle articolazioni diartrodiali e distrugge le loro componenti cartilaginee ed ossee. Nonostante l’attività di ricerca scientifica, le cause della malattia, come abbiamo detto prima, rimangono sconosciute. La patogenesi è probabilmente legata ai seguenti fattori: • Fattori genetici = studi genetici familiari mostrano che l’AR ha una componente genetica; il Complesso Maggiore di Istocompatibilità (HLA, sistema che permette di riconoscere i tessuti di un organismo da tutto ciò che gli è estraneo) è un importante fattore genetico, e si ritiene che i rischi di sviluppare AR possa essere associato a questo sistema. • Autoimmunità = sembra che le citochine prodotte dai macrofagi siano coinvolte nel processo di induzione e mantenimento dell’infiammazione cronica delle articolazioni tipica dell’AR. Elevati livelli di fattore reumatoide nel siero (autoanticorpi diretti contro la porzione Fc delle IgG) sono associati con sintomi più acuti dell’artrite alle articolazioni e in altre parti del corpo. • Agenti patogeni = alcuni virus, come quello della rosolia ed i parvovirus, sono associati alla comparsa di poliartriti acute. Infezioni virali dovute ad esempio all’Epstein-Barr virus o al Cytomegalovirus possono favorire la patologia; e a conferma di questi studi i ricercatori hanno trovato segni di infezione dei linfociti T presenti nel liquido sinoviale da parte dei virus in questione. Tuttavia un legame di tipo causa-effetto non è stato ancora trovato. Anche se il meccanismo di distruzione ossea e delle cartilagini che si osserva nell’AR non è stato ancora del tutto chiarito; le citochine IL-1 e TNF-alfa sembrano avere un ruolo certamente importante. Queste citochine infatti: • Sono presenti in gran quantità nelle articolazioni infiammate e promuovono l’afflusso dei neutrofili dell’infiammazione acuta e dei monociti-macrofagi all’interno delle articolazioni. • Stimolano la produzione di enzimi proteolitici da parte delle cellule della sinovia, comprese le collagenasi e la stromalisina, che sono in grado di degradare i tessuti • Causano sintomi quali senso generale di malessere e affaticamento Pertanto, anche se la causa scatenante rimane sconosciuta, il perdurare e la diffusione della malattia sembra siano da mettere in relazione con i processi infiammatori mediati dal sistema immunitario (ne parleremo meglio nel dettaglio successivamente). Quindi è probabile che interferendo con i passaggi chiave del processo di infiammazione si possa ottenere un alleviamento dei sintomi ed un rallentamento nella progressione della malattia. La Cartilagine è un tipo specializzato di tessuto connettivo in cui le cellule, chiamate condrociti, sono immerse in una sostanza fondamentale gel-simile consistente. A differenza di altri tessuti connettivi essa non è vascolarizzata. Le sue cellule sono isolate in piccole cavità nella sostanza fondamentale, chiamate lacune, e sono nutrite per diffusione di piccole molecole attraverso la fase acquosa della matrice da capillari localizzati nel tessuto connettivo intorno alla cartilagine. Le singolari proprietà viscoelastiche della sua sostanza fondamentale conferiscono alla cartilagine grande consistenza e tale proprietà è mantenuta durante la crescita. Ciò rende la cartilagine un materiale scheletrico ideale durante lo sviluppo embrionale. La quantità di C. è ridotta durante la vita post-natale ma continua a svolgere un ruolo importante nella crescita in lunghezza delle ossa lunghe. Quando è raggiunta l’età adulta tutta la cartilagine è sostituita da osso eccetto che sulla superficie delle articolazioni, le estremità ventrali delle coste, i dischi intervertebrali della colonna vertebrale e nel naso, nella laringe e nella trachea. Cartilagine ialina Cartilagine elastica Nella parte superiore della cartilagine ialina si notano le cellule appena formate singole ed allungate; mentre quelle più in basso sono più grandi, sono comprese in gruppi e sono circondate dalla matrice che si colora più intensamente con coloranti basici. La cartilagine elastica presa dall’epiglottide umana è invece formata da fasci scuri di fibre elastiche nella matrice tra gruppi di condrociti L’osso è un tessuto connettivo in cui le cellule e le fibre sono incluse in una matrice (sostanza fondamentale) che contiene cristalli di un sale complesso di calcio, idrossiapatite. La calcificazione della sua matrice lo rende particolarmente duro, ideale per la sua funzione di supporto e protettiva nello scheletro. Le ossa forniscono siti di inserzione e leve per i muscoli della locomozione; essi proteggono organi vitali delle cavità craniche e toraciche e costituiscono un deposito di calcio che può essere prelevato quando la sua concentrazione ematica è bassa. Uno strato di tessuto connettivo dell’osso, non calcificato, il periostio, ricopre la superficie esterna delle ossa, ed uno strato simile, più sottile, l’endostio, le riveste internamente. Oltre ai fibrobalsti, ambedue questi strati contengono cellule osteoprogenitrici, precursori inattivi delle cellule destinate a formare l’osso. Le cellule dell’osso comprendono gli osteoblasti, che secernono il collagene, proteoglicani ed idrossiapatite della matrice ossea; gli osteoiciti, che sono localizzati in lacune della sostanza fondamentale; gli osteoclasti, che rimuovono tessuto osseo in un continuo processo di riassorbimento e rimodellamento dell’osso che si verifica nel corso della vita. Gli osteoblasti sono cellule cuboidi allineate sulle superfici dell’osso durante la deposizione della nuova matrice ossea. Essi non formano tuttavia un epitelio tipico. Infatti sono lievemente distanziati tra di loro anche se mantengono il contatto mediante processi laterali. Il nucleo si trova all’estremità apicale arrotondata della cellula ed il citoplasma circostante è basofilo. Il loro ruolo e quello di sintetizzare collagene di tipo I, glicoproteine e proteoglicani della sostanza fondamentale, comprese molte componenti proteiche minori (osteocalcina, osteonectina, osteopontina ecc..). La membrana plasmatica contiene recettori per vari ormoni, vitamine e citochine che controllano l’attività cellulare. Quando gli osteoblasti diventano inattivi, si appiattiscono contro l’osso circostante e diminuisce la loro basofilia. Essi sono localizzati verso la superficie che è in contatto con l’osso sottostante, ma il rilascio di componenti della matrice ossea non è limitato solo a questa superficie. Alcuni di essi restano intrappolati dalle proprie secrezioni e quindi imprigionati come osteociti in lacune all’interno della matrice ossea neoformata. Durante la vita dell’adulto, l’osso va incontro ad un continuo processo di rimodellamento interno e rinnovo che comporta la rimozione della matrice ossea calcificata e la sua sostituzione con un nuovo tessuto osseo. Gli osteoclasti sono infatti responsabili della rimozione di osso in questo processo. Al di sotto di ciascun osteoclasto vi è una piccola depressione sulla superficie ossea ( lacuna di Howship) che viene provocata dalla digestione enzimatica della sottostante matrice ossea da parte di enzimi lisosomiali rilasciati dagli osteoclasti. La artrologia studia le modalità con cui i segmenti ossei si mettono in rapporto tra di loro a formare le articolazioni o giunture. Le articolazioni si distinguono in fisse (sinartrosi), semimobili (anfiartrosi) o mobili (diartrosi). Diartrosi = sono caratterizzate da una cavità articolare che separa i due capi ossei e consente loro movimenti reciproci più o meno ampi. Gli elementi che caratterizzano tutte le diartrosi sono: 1. Cavità articolare: si può considerare virtuale in quanto i capi ossei sono a contatto tra di loro con le superfici ricoperte di cartilagine articolare 2. Capsula articolare: distinta in capsula fibrosa (manicotto fibroso che si inserisce sui due capi ossei connettendoli tra di loro ed impedendo il distacco; racchiude l’articolazione e la isola dal contesto) e membrana sinoviale (strato più interno della capsula che passa a rivestire i capi ossei arrestandoli ai bordi della cartilagine articolare. Può essere molto sottile o complessa). 3. Cartilagine articolare: si tratta di cartilagine ialina molto liscia, adatta ad assorbire e resistente alle sollecitazioni meccaniche 4. Liquido sinoviale o sinovia: è un trasudato plasmatico prodotto dalla membrana sinoviale. Esso è denso, filante, ricco di acido ialuronico. Svolge il compito di lubrificare e nutrire la cartilagine articolare 5. Legamenti articolari: fanno parte dei dispositivi di unione che servono ad impedire il distacco assicurando nel contempo la stabilità ed il grado più ampio possibile di movimento. Le diartrosi, come affermato nella definizione, consentono il movimento reciproco dei capi ossei: • Adduzione / Abduzione = l’arto superiore si avvicina (adduzione) o si allontana (abduzione) dal corpo ruotando su un asse sagittale. • Flessione = l’articolazione del gomito consente all’estremità dell’avambraccio di avvicinarsi o di allontanarsi dalla spalla. • Rotazione = l’arto ruota sul proprio asse. • Circonduzione = l’arto descrive nello spazio un cono. enartrosi condilartrosi sella artrodia trocoide troclea ……….ritornando all’AR………….. Nell’AR l’elemento fondamentale è rappresentato dai linfociti T, linfociti B, neutrolfili, macrofagi, la cui attivazione determina poi a cascata la secrezione di sostanze infiammatorie (interleuchine, TNF-alfa ecc…) . Queste sostanze hanno il compito di erodere i tessuti articolari, a cominciare dalla sinovia, e poi l’osso stesso che vengono a poco a poco erosi, più o meno rapidamente a seconda dell’andamento della malattia e della sua aggressività. Secondo i dati clinici, nell’arco dei primi tre anni di malattia il 70% dei pazienti presenta lesioni delle articolazioni evidenti anche alla radiografia e la metà di questi ha sviluppato erosioni e riduzione dello spazio all’interno dell’articolazione già nel primo anno. Dopo il sesto anno, però, le lesioni progrediscono molto più lentamente. Possibili cause Se il meccanismo dell’AR è in buona parte noto, meno chiaro è quale sia l’evento che fa scattare la reazione autoimmune. Nell’introduzione abbiamo accennato quali possono essere i possibili fattori scatenanti questa malattia come fattori ereditari, autoimmunitari e virali. Si può parlare quindi di una malattia multifattoriale, alla cui origine ci sono caratteristiche delle persone e, probabilmente, fattori ambientali. L’AR è una malattia ad andamento cronico e se non interviene una guarigione completa nell’arco del primo anno, è quasi escluso che possa presentarsi in seguito. Nella maggior parte dei casi l’andamento è pulsante: a fasi di attenuazione dei sintomi si alternano fasi di aggravamento. Sintomi e manifestazioni Ovviamente, il primo e più importante segno / sintomo dell’AR è l’infiammazione dolorosa delle articolazioni. Si usa ovviamente il plurale perché uno dei tratti distintivi della malattia è di interesse sempre più di una articolazione, cosi come l’andamento simmentrico: le articolazioni delle due mani, dei due polsi, quelle dei gomiti e cosi via. Di solito le prime ad essere colpite sono proprio le piccole articolazioni citate prima. Un altro elemento importante è la rigidità dell’articolazione, che si presenta dopo un periodo di riposo. Difatti uno dei criteri per la diagnosi è proprio la rigidità mattutina, cioè la difficoltà a muovere l’articolazione dopo il riposo notturno. Anche se ora il criterio non è più accettato unanimamente, una rigidità articolare che dura per almeno un’ora al mattino deve far pensare all’AR. Trattandosi di un processo infiammatorio, l’articolazione colpita può risultare calda e gonfia (calor, tumor). Quest’ultima caratteristica è dovuta all’accumulo di liquido sinoviale, che è una delle risposte dell’articolazione a tutti gli insulti (anche traumi). Altri sintomi di esordio possono essere oltre che articolari anche sistemici, come febbre, astenia, perdita di peso, mialgie ecc… In teoria, l’AR può colpire qualsiasi articolazione, tuttavia è frequente l’interessamento delle mani, piedi, gomiti, anche e ginocchia. Per quanto riguarda la colonna vertebrale, di solito l’artrite si manifesta quasi sempre alle vertebre cervicali. La diagnosi Purtroppo è difficile poter distinguere tra l’AR e le altre malattie che interessano le articolazioni basandosi semplicemente su uno o più test. Esistono dei test che provano l’esistenza generica dell’infiammazione (VES, la proteina C reattiva, il fibrinogeno, l’amiloide sierica A) ma non sono, appunto, specifici. Esiste poi il cosiddetto fattore reumatiode che altro non è che un autoanticorpo, come detto in precedenza, però malgrado il nome non è un indicatore certo della presenza di AR: infatti 1/3 dei malati non è positivo a questo test, mentre questo fattore viene riscontrato nel 5% della popolazione sana; inoltre con l’età il fattore reumatoide tende a presentarsi più spesso anche in assenza della malattia (nel 10-20% degli over 65). Nemmeno le indagini radiologiche sono di grande aiuto nella prima fase della malattia: al massimo si possono riscontrare alterazioni della sinovia tipiche di un po’ di tutti i disturbi articolari. Risulta chiaro che se si riscontrano erosioni di cartilagine ed osso significa che la malattia è attiva da mesi. La diagnosi va posta, quindi, sulla base dell’esame dello specialista (il reumatologo) che terrà presente tutti gli aspetti citati finora. Dal 1987 l’American College of Rheumatology ha messo a punto un insieme di criteri utili sia per la diagnosi sia per la valutazione della gravità della malattia. Per affermare che un paziente soffre di AR devono essere presenti almeno 4 di questi 7 requisiti: • rigidità mattutina che si protrae per almeno un’ora • infiammazione / dolore di tre o più aree articolari (falange, metacarpo, polso, gomito, ginocchio ecc…) • infiammazione / dolore delle articolazioni della mano • simmetria dell’artrite • presenza di noduli reumatoidi (presenza di noduli sottocutenei nelle aree vicine alle articolazioni o in punti anatomici soggetti a pressione, come la pleura) • presenza di livelli ematici elevati di fattore reumatoide • segni di erosione delle articolazioni della mano o del polso visibili alle radiografie Principali forme di artrite Ci sono cosi tante forme di artrite che non sarebbe possibile elencarle tutte qui. Secondo l’Arthitis Foundation, il termine artrite si riferisce a più di 100 differenti malattie che provocano dolori, gonfiori e limitazioni al movimento delle articolazioni e del tessuto connettivo in tutto il corpo. Le tre forme più diffuse di artrite sono: 1. Osteoartrite = conosciuta anche come artrosi, è una malattia degenerativa delle articolazioni. Essa è provocata dall’usura e dal logoramento dovuto all’invecchiamento che provocano un deterioramento della cartilagine nella parte finale delle ossa. Questo provoca un indebolimento dei muscoli, dei tendini e dei legamenti che sostengono l’articolazione. Il tentativo dell’organismo di stabilizzare la giuntura ha come effetto la formazione di speroni ossei osteofiti (nuove formazioni ossee). Il processo può essere accelerato dal sovrappeso, da lesioni articolari, da una dieta inadeguata e da scarso o inadatto esercizio fisico. 2. Fibromialgia = essa è una condizione di origine sconosciuta,caratterizzata da dolore cronico e generalizzato alle muscolature, dolori articolari, rigidità, astenia, parestesie, insonnia, ansia, cefalea e sindrome dell’intestino irritabile. Colpisce più frequentemente le donne di età variabile fra i 20 e i 50 anni. 3. Gotta = essa è un tipo di artrite causata da un aumento dei livelli di acido urico nei liquidi del corpo. L’acido urico in eccesso si deposita sotto forma di cristalli i quali, a loro volta, si depositano nelle articolazioni (specialmente la I metatarso falangea) ed in altri tessuti, inclusi i reni, causando notevoli danni ed infiammazione. La Gotta era denominata come “la malattia dell’uomo ricco” (perché solo il ricco poteva permettersi di mangiare tanto e tanta carne) e storicamente è stata associata all’abbondanza. Questa immagine tradizionale ha delle basi reali in quanto la degradazione degli aa (carne e proteine in genere), in carenza di un determinato enzima, causa l’aumento dell’acido urico e l’assunzione da alcool diminuisce la capacità dei reni di eliminarlo Manifestazioni extra articolari L’AR presenta varie manifestazioni al di fuori dell’articolazione (extra articolari) piuttosto frequenti. Di solito tali manifestazioni si presentano in individui con titoli elevati di autoanticorpi contro il fattore reumatoide. • noduli reumatiodi: si sviluppano nel 20-30% dei pazienti con AR. Sono in genere localizzati a livello delle superfici estensorie o di altre aree soggette a pressione meccanica, ma possono presentarsi anche in altri distretti come le pleure e meningi. Le dimensioni e la consistenza sono variabili. Sono raramente asintomatici, ma talvolta possono rompersi per effetto di traumi o infettarsi. Essi sono costituiti da materiale necrotico che comprende fibre di collagene e detriti cellulari, macrofagi e un tessuto di granulazione. In alcuni pazienti la terapia con Metotrexato può aumentare il numero di noduli. • senso di debolezza e l’atrofia muscolare: l’atrofia appare poche settimane dopo l’esordio ed interessa in genere i muscoli adiacenti all’articolazione colpita. • vasculite reumatoide: essa può interessare qualsiasi organo ed è più comune nei pazienti con AR grave e titoli elevati di fattore reumatoide. Può causare ulcere cutanee con necrosi del derma, gangrena ed infarto viscerale (tali complicanze sono però rare). Essa si manifesta con macchie brunastre raggruppate nei polpastrelli delle dita. • manifestazioni pleuropolmonari: comprendono pleurite, fibrosi interstiziale, noduli pleuropolmonari (descritti in precedenza), polmonite ed arterite. Si può verificare anche un’ostruzione delle alte vie respiratorie • complicanze cardiache: sono rare, tuttavia nel 50% dei pazienti si rileva, in sede autoptica, una pericardite. • manifestazione neurologiche: esse possono derivare anche da lussazioni dei tratti atlanto-assiale e medio-cervicale. Si avranno neuropatie a carico dei nervi del braccio e della gamba dovute a lesioni dei nervi conseguenti a sinoviti o deformazioni articolari. • l’occhio viene colpito meno dell’1% dei casi. • osteoporosi: essa è secondaria all’interessamento reumatoide e può essere aggravata dalla terapia cortisonica. ……........Numerose evidenze indicano che l’interleuchina-1 (IL-1) e il fattore di necrosi tumorale- alfa (TNF-alfa) sono mediatori chiave della degradazione dei tessuti nell’AR. Entrambe le citochine possono influenzare le manifestazioni locali e sistemiche della malattia, nonché i meccanismi che provocano la distruzione della cartilagine. In particolare, gli effetti di IL-1 sull’induzione di enzimi proteolitici, quali proteasi della matrice, sembrano essere critici per la fisiopatologia del danno strutturale a livello articolare………………… Modelli Sperimentali Secondo alcuni studi sperimentali condotti sul sangue periferico umano nonché su modelli animali, il TNF-alfa induce la produzione di IL-1, a sua volta responsabile della sintesi di TNF-alfa nonché dell’ulteriore rilascio di IL-1. Malgrado l’apparente sovrapposizione della azioni esercitate da queste citochine, i risultati emersi da modelli animali indicano che IL-1 e TNF-alfa possono produrre effetti diversi e distinti. In un modello di AR murina indotta dalla parete cellulare streptococcica, per esempio, sono stati osservati aumenti considerevoli della produzione di IL-1 indipendenti da TNF-alfa. In questo modello sperimentale, nonostante il trattamento con anti-TNF, le erosioni hanno continuato a progredire fino a raggiungere un’estensione superiore a quella evidenziata nei topi che presentavano carenza di TNF. L’AR quindi si sviluppa anche in assenza di TNF, ma non nei topi che non sono in grado di produrre IL-1. In un altro studio che ha valutato l’effetto di anti-TNF sulla produzione di IL-1, non è stata osservata alcuna riduzione significativa dei livelli di IL-1 circolante, rispetto al placebo. La produzione di IL-1 è quindi indipendente dalla presenza di TNF. Citochine Le citochine sono una classe eterogenea di glicoproteine secretorie prodotte da diversi tipi di cellule, ed hanno funzione di condizionare il comportamento di altre cellule. Sono quindi dei mediatori tra le cellule ed agiscono come segnali inter-cellulari. Sotto il nome di citochine sono raggruppate molecole prodotte da linfociti ( Linfochine) o da monociti (Monochine), hanno le più svariate funzioni; soprattutto possono comportarsi in modo diverso, in una stessa cellula, a seconda della presenza o meno di altre citochine (sinergia). Esse possono agire a livello della stessa cellula che le ha prodotte (azione Autocrina), oppure agire su altre cellule ma vicine a quella che le ha prodotte (azione Paracrina) o ancora sulle cellule lontane (azione Endocrina) utilizzando il sistema ematico come mezzo di trasporto. Molte citochine presentano gli stessi effetti una volta che agiscono, l’affinità verso i loro recettori è molto alta se comparata ad altri ormoni. Diverse citochine possono sinergizzare od antagonizzarsi, diviene quindi difficile capirne l’effetto se in presenza di diverse specie. Le azioni delle citochine possono essere riepilogate in 5 aree: • attivazione della risposta immunitaria cellulare ed umorale • induzione dell’infiammazione • regolazione dell’emopoiesi • controllo sulla differenziazione e proliferazione cellulare • modulazione della guarigione IL-1: struttura e funzione L’IL-1 è un monomero di 159 aa del PM di 17,5 KDa, è una glicoproteina responsabile dello stimolo della risposta della fase acuta, dell’indebolimento muscolare e di malattie infettive. Essa è un mediatore endogeno della febbre. Sono state descritte due isoforme di IL-1 (IL-1 alfa e beta) entrambe con attività biologica sovrapponibile ed agiscono sullo stesso recettore. Esistono due tipi di recettori per IL-1: RI (espresso su tutte le cellule) ed RII (espresso sui linfociti B). L’IL-1 viene prodotta da una grandissima varietà di cellule, ma prevalentemente da macrofagi in seguito a stimoli immunologici ed infiammatori. Questa citochina è una delle più pleiotropiche intervenendo, oltre che in vari aspetti della reattività immunitaria, nei processi di riparazione tissutale, nel favorire il rilascio di fattori di crescita e di differenziazione dei precursori midollari; inoltre si comporta da potente pirogeno ed ha una spiccata azione pro-infiammatoria. Eccone le principali azioni: • effetto pirogeno a livello del SNC • espansione di cellule T CD4+, rilascio di citochine ed incremento dell’espansione recettoriale di alcune di esse (come IL-2, IL-3) • proliferazione e differenziazione di cellule B • induzione della chemiotassi della funzione dei macrofagi • ecc…....ecc……ecc……ecc…… Ruolo dell’IL-1 nella patogenesi dell’AR L’IL-1 svolge un ruolo fondamentale nella fisiopatologia dell’AR in quanto agisce su diverse cellule presenti nello spazio articolare amplificando e perpetuando il processo patologico che sta alla base della malattia. In particolare IL-1 è un potente stimolatore dei sinoviociti, dei condrociti e degli osteoclasti. IL-1 attiva le cellule legandosi al recettore di tipo1 (IL-1RI) situato sulla membrana. Il legame IL-1 / IL-1RI forma quindi un complesso eterotrimerico con la proteina accessoria del recettore per IL-1 (IL-1RAcP) attivando poi i meccanismi di trasduzione del segnale. Proteasoma 26S Effetti infiammatori dell’IL-1 I segni e i sintomi propri dell’AR sono in gran parte causati dal processo infiammatorio. Nella fase iniziale, IL-1 media l’infiammazione reclutando i neutrofili all’interno dell’infiammazione (funge quindi da sostanza chemiotattica), successivamente attiva i macrofagi e stimola la proliferazione e differenziazione dei linfociti B e T. I sinoviociti, esposti all’azione dell’IL-1, proliferano e producono IL-6, prostaglandine (come PGE2) e metalloproteasi della matrice (MMP). Attraverso tutte questi prodotti l’IL-1 contribuisce al dolore ed alla tumefazione, tipicamente presenti nell’AR, ed è in grado di alterare la riparazione dell’osso e della cartilagine. Degradazione della cartilagine La produzione di MMP da parte dei sinoviociti attivati da IL-1 scatena un processo di degradazione dei proteoglicani che a sua volta determina la distruzione della cartilagine. L’enzima stromalisina sembra svolgere un ruolo fondamentale nell’attivazione della collagenasi necessaria per la degradazione della cartilagine. L’IL-1 agisce sui condrociti inibendo la sintesi dei proteoglicani e stimolando la degradazione del collagene ostacolando cosi il normale processo di conservazione della cartilagine. L’IL-1, inoltre, determina la produzione di ossidi di azoto che distruggono i condrociti (cellule coinvolte nel rimodellamento della cartilagine). Degradazione dell’osso Gli effetti dell’IL-1 sul riassorbimento osseo sono mediati indirettamente dall’interazione tra l’antagonista osteoprotegerina (OPG) e il suo ligando (RANKL = ligando dell’attivatore recettoriale di nf-kb, noto anche come fattore di differenziazione degli osteoclasti) nonché dagli effetti che il complesso esercita sugli osteoclasti. OPG è un fattore solubile che si lega a RANKL inibendo la maturazione e l’attivazione degli osteoclasti e riducendo di conseguenza il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti stessi. L’equilibrio tra OPG ed il suo ligando determina il grado di erosione ossea che si verifica nell’articolazione. Nell’AR la concentrazione di RANKL è maggiore di quella di OPG IL-1 agisce direttamente sui linfociti T e sugli osteoblasti, potenziando l’espressione di RANKL, che a sua volta stimola la differenziazione dei precursori degli osteoclasti in osteoclasti maturi. RANKL , a sua volta, induce la produzione di citochine proinfiammatorie quali IL-1 e di altre citochine che stimolano i linfociti T e ne inducono la differenziazione (come IL-12 e 15 prodotte dalle cellule APC). Inoltre RANKL agisce direttamente sugli osteoclasti maturi aumentando la loro attività di riassorbimento, favorito anche da IL-6 e PGE2. Inoltre è stato dimostrato che IL-1 induce l’apoptosi degli osteoblasti impedendo la formazione del nuovo tessuto osseo, effetto particolarmente importante per l’eventuale processo di riparazione. Antagonista del recettore dell’IL-1 Già negli anni 1983/1984, prima del clonaggio di IL-1, si sospettava l’esistenza di un potenziale inibitore di IL-1. Infatti mentre si cercava di isolare grandi quantità di IL-1 usando il saggio biologico della stimolazione delle collagenasi e PGE2 nelle cellule della sinovia, venne rivolta l’attenzione verso patologie associate alla presenza di grandi quantità di monociti (leucemia monocitaria) o a patologie associate a temperatura elevata o a patologie croniche come l’AR. Con sorpresa si notò che non si rilevava alcuna attività biologica della IL-1 nel siero o nell’urina di pazienti gravemente affetti dalle citate patologie. Questo indusse ad ipotizzare che la presenza di IL-1 potesse essere mascherata da molecole inibitrici: la purificazione chimica condusse all’isolamento di un fattore di circa 17 KDa dall’urina di pazienti affetti da leucemia monocitaria. Questo fattore bloccava specificamente le attività biologiche di IL-1, senza influire su TNF-alfa. Si trattava della prima purificazione dell’antagonista endogeno di IL-1. L’antagonista naturale di IL-1, IL-1Ra, interferiva con il legame di IL-1 ai linfociti. Successivamente si notò che in pazienti con AR giovanile, elevati livelli di IL-1Ra erano associati a fasi afebbrili; mentre bassi livelli di IL-1Ra erano associati alla fase febbrile della malattia. In seguito all’osservazione che IL-1Ra naturale bloccava il legame di IL-1 alle cellule, l’IL-1Ra fu clonato. I glucocorticoidi stimolano la espressione di questo antagonista Cosi potendo disporre dell’antagonista IL-1Ra ricombinante, si stabili che l’antagonista naturale e quello ricombinante erano simili, in quanto entrambi inibivano il riassorbimento osseo e la produzione di PGE2, mediati dall’IL-1. Nel 1991 la forma ricombinante di IL-1Ra (Anakira, del cui farmaco ne parleremo in seguito) fu introdotta in studi clinici in pazienti con AR. TNF: struttura e funzione Il fattore di necrosi tumorale (Tumor Necrosis Factor) è una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica ed è membro di un gruppo di citochine che stimolano la reazione della fase acuta. Il TNF è coinvolto in numerosissimi processi come la morte apoptotica delle cellule , la proliferazione, il differenziamento, la cancerogenesi e la replicazione virale. Il TNF viene detto talvolta cachessina, cachectina o TNF-alfa. Il principale ruolo del TNF sta nella regolazione delle cellule del sistema immunitario. Difetti nella regolazione, in particolare la sovrapproduzione di TNF, sono implicati in numerose malattie dell’uomo, come il cancro. Il TNF fu isolato come fattore solubile rilasciato dalle cellule dell’ospite di un tumore trapiantato (un sarcoma), questo fattore causava la necrosi del tumore. Sebbene il TNFalfa causasse la necrosi di alcuni tumori, può stimolarne la crescita di altri tipi. In questo senso il nome della citochina può essere frainteso. Nel 1984, fu sintetizzato il primo cDNA di TNF e ne fu individuata l’omologia di funzione e struttura con la linfotossina (LT). Il TNF è prodotto, dapprima, come una proteina transmembrana di tipo II lunga 212 aa ed arrangiata in uno stabile omotrimero. Da questa forma legata alla membrana, diventa una citochina solubile omotrimerica (sTNF) grazie al taglio proteolitico di una metalloproteasi (TACE = enzima convertitore il TNF-alfa). La forma trimerica solubile, del PM di 51 KDa, tende a dissociarsi per concentrazioni inferiori all’ordine delle nanomoli, perdendo la sua bioattività. Meccanismo di azione Il TNF, come IL-1, è predominante nel processo infiammatorio dell’AR. Esso è presente nella sinovia, stimola la proliferazione dei sinoviociti e la produzione di mediatori infiammatori, portando al reclutamento di cellule infiammatorie, alla neo-angiogenesi ed alla distruzione articolare. A basse concentrazioni esso agisce a livello locale, ad alte concentrazioni agisce a livello sistemico (causando shock endotossico). Il TNF deve legarsi a 2-3 molecole di recettori di superficie perché avvenga la trasmissione del segnale e si produca l’effetto biologico. Il legame con un singolo recettore di membrana non trasduce nella trasmissione del segnale e la cascata non si innesca. La sua iperproduzione non è causa solo di un danno locale, ma anche della sintomatologia sistemica (ne parleremo più in dettaglio dopo). Studi mirati hanno quindi dimostrato che la sua attività è modulata non solo dall’azione delle cellule immunitarie e delle altre citochine, ma anche dalla presenza di mediatori solubili (sTNF) specifici che si legano ad esso inattivandolo. Però questi recettori solubili non sono sufficientemente prodotti e non riescono a controbilanciare la produzione di TNF. Recettori del TNF Alcuni anni dopo furono scoperti due recettori di membrana in grado di legare il TNF. I due tipi di recettori a singolo dominio transmembrana sono: • TNF R1= p55, è fondamentalmente un recettore di morte, cioè attiva un programma di morte apoptotica centrato sull’attivazione di una cascata di enzimi proteolitici detti caspasi; • TNF R2 = p75, recettore che attiva nella cellula un profilo trascrizionale di tipo infiammatorio ed in parte inibisce il programma di morte cellulare attivata da TNF R1. Pur condividendo il ligando, l’attivazione delle due specie recettoriali, determinata dalla multimerizzazione delle catene recettoriali per interazione con il ligando omotrimerico, attiva differenti vie di trasduzione del segnale. Trasduzione del segnale La cascata di trasduzione del segnale attivata da TNF R2 dipende dal reclutamento di molecole adattatrici (TRAF1 e TRAF2) che attivano le cascate chinasische dipendenti da JNK e p38. TRAF2 media anche il reclutamento della chinasi RIP1 (ReceptorInteracting Protein 1), che attivando IKK-beta la fosforilazione di IKB-alfa che degradandosi, rilascia nfkb libero ed attivo nel citosol, il quale entra nel nucleo e si ha l’induzione di un programma genetico pro-infiammatorio analogo a quello indotto da IL-1. Trasduzione del segnale (continuo) Diversamente da TNF R2, TNF R1 non esprime significativa affinità per le proteine TRAF, ma recluta TRADD (TNF R1-Associated Death Domain), un adattatore intracellulare a sua volta capace di interagire con TNFR2. il dominio DD di TRADD interagisce con l’omologo dominio DD di un secondo adattatore, la molecola FADD (Fas-Associated Death Domain), che infine recluta ed attiva la caspasi 8, portando all’avvio del processo di morte cellulare programmata. Oltre a TNF-alfa, questa famiglia include altre 10 citochine tra cui : linfotossina alfa e beta; i ligandi Fas; CD27: CD30: CD40; TRAIL (TNF-related apoptosis-inducing ligand); RANKL). Diversamente di TNF-alfa, la gran parte di queste molecole non un ruolo significativo nella risposta infiammatoria, ma hanno in comune la capacità di regolare la vitalità cellulare. Queste molecole interagiscono con un crescente numero di recettori di membrana strutturalmente analoghi a TNF-alfa. TNFRII Effetti sistemici del TNF Il TNF è prodotto in massima parte dai macrofagi, ma anche da una serie di altri tipi cellulari inclusi cellule linfoidi, mastociti, cellule endoteliali, fibroblasti e cellule nervose. Una grande quantità di sTNF è rilasciata dopo il contatto del macrofago con un Lipopolisaccaride (LPS = endotossina che compone la membrana esterna della parete cellulare dei batteri Gram- e che viene rilasciata dopo la lisi del batterio). Il TNF agisce su organi e sistemi, generalmente in associazione con IL-1 ed IL-6: • sull’ipotalamo (stimola l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene aumentando il rilascio dell’ormone di liberazione della corticotropina, ACTH; sopprime l’appetito ed induce febbre) • sul fegato (stimola la risposta della fase acuta portando l’aumento della proteina C reattiva e di altri mediatori; induce una insulino-resistenza promuovendo la fosforilazione della serina del substrato recettore dell’insulina-1, il quale blocca il sistema di segnalazione dell’insulina) • attrae potentemente i neutrofili e li aiuta ad agganciarsi alle cellule endoteliali per extravasare) • sui macrofagi (stimola la fagocitosi, la produzione di NO, dell’IL-1, di PGE2) • sul sistema cardiocircolatorio (diminuisce la pressione in seguito alla vasodilatazione; diminuisce la contrattilità del miocardio; induce la formazione di placche aterosclerotiche e di trombi) L’aumento locale della concentrazione del TNF causa i segni tipici dell’infiammazione: calore, rossore, bruciore e gonfiore. Sebbene alte concentrazioni di TNF possano indurre sintomi shock-simili, la prolungata esposizione a basse concentrazioni di TNF può portare a chachessia (sindrome che porte ad una deplezione del patrimonio proteico e lipidico dei tessuti, in particolare quello muscolare ed adiposo). Questo tipo di risposta si riscontra nei pazienti affetti d tumore. Inibitori del TNF Un’analisi di studi che hanno impiegato Ab anti-TNF nel trattamento dell’AR, ha confermato l’aumento del rischio di gravi infezioni e di tumori associati a questi farmaci. I farmaci anti-TNF non sono solo utilizzati nell’AR ma anche nella psoriasi e nel morbo di Crohn Un gruppo di ricercatori ha compiuto una ricerca ed ha trovato 9 casi clinici che hanno incontrato criteri di inconclusione: è stato osservato che i pazienti trattati con anti-TNF presentavano un rischio 3 volte superiore di sviluppare tumore rispetto ai pazienti trattati con placebo, ed un rischio 2 volte superiore di presentare gravi infezioni. Secondo questi ricercatori, gli Ab anti-TNF sono associati ad un aumentato rischio di infezioni e di tumori perché questi farmaci interferiscono con i meccanismi immunologici che difendono l’organismo dalle infezioni e dai tumori. I pazienti che assumono Ab anti-TNF dovrebbero valutare con attenzione i possibili sintomi di infezioni e sottoporsi a periodici controlli per l’individuazione di tumori. Riassumendo IL-1 e il TNF-alfa sono mediatori chiave dell’infiammazione, sono prodotti principalmente dai monociti-macrofagi in seguito all’attivazione di fattori solubili al contatto con i linfociti Th1 stimolati. Il contatto tra linfociti e macrofagi è regolato da ligandi e controligandi (integrine; CD40 ecc…) e dalle lipoproteine plasmatiche (apoA-1 associata alle HDL) IL-1 e TNF sono potenti induttori delle metalloproteinasi della matrice (MMP), eicosinoidi, dell’enzima iNOS, del ligando dell’attivatore recettoriale di nfkb (RANKL), nonché dei prodotti coinvolti nella distruzione della matrice extracellulare e della cartilagine e nel riassorbimento osseo. IL-1 è particolarmente importante a livello locale, è più potente del TNF nella stimolazione delle MMP e nel blocco della riparazione della cartilagene Tuttavia IL-1 e TNF sinergizzano fortemente in molteplici funzioni biologiche. Il blocco di IL-1 da parte del suo antagonista endogeno ( IL-1 Ra) e del recettore solubile di IL-1 (s IL-1R2) in combinazione con la forma solubile della proteina accessoria del recettore di IL-1 (IL-1R AcP), produce un beneficio a lungo termine nelle malattie infiammatorie croniche. Curare l’AR significa agire su due fronti: da una parte contrastare il dolore, a volte fortissimo e comunque più forte di quello causato dall’artrosi; mentre dall’altra parte impedire la progressione delle lesioni articolari. Le terapie della medicina convenzionale comprendono la soppressione dell’infiammazione con anti-infiammatori (come FAS e FANS) e antidolorifici e, come ultima risorsa, la chirurgia. Questo approccio provoca seri problemi e complicanze. I farmaci tipo il cortisone deprimono il sistema immunitario le cui conseguenze sono probabili malattie da malfunzionamento immunitario ed infezioni, accanto a molti altri effetti collaterali quali l’ipertensione, il diabete, la ritenzione idrica, degenerazione dei tessuti, ulcera gastrica ed atrofia muscolare. I farmaci non steroidei, d’altra parte, causano anch’essi ulcere, problemi renali, enteriti ed in effetti contribuiscono alla distruzione delle articolazioni impedendo la sintesi della cartilagine. Le enteriti, che possono colpire circa il 70% delle persone che prendono questi farmaci per almeno due settimane, provocano diarrea e dolori addominali che possono portare ad altre reazioni allergiche e ad un ulteriore aggravamento della patologia autoimmune per assorbimento di sostanze tossiche. Evitare la progressione delle lesioni articolari richiede l’impiego di farmaci capaci di interrompere in qualche modo la reazione autoimmune. Le sostanze impiegate a questo scopo sono chiame farmaci di fondo o DMARD ( Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs = farmaci antireumatici capaci di modificare il decorso della malattia). In questa categoria rientrano sostanze note da tempo ed altre recentissime, che molto spesso non sono neppure nate per curare l’AR, ma per altre indicazioni. Ad esempio: • l’Idrossiclorochina (antimalarico) • Il Metotrexate (antitumorale analogo strutturale dell’acido Folico) • la Ciclosporina (antirigetto). Molecole più recenti, come la Leflunomide, sono state messe a punto già in vista di questa indicazione. Sostanzialmente, tutti questi farmaci hanno l’effetto di interrompere l’attivazione o la proliferazione delle cellule del sistema immunitario, oppure, come accade con i cosiddetti anti-TNF, di inibire la liberazione di una o più sostanze responsabili del processo infiammatorio. Ovviamente, poiché tutte queste sostanze hanno l’effetto di ridurre le difese immunitarie, il paziente trattato può facilmente andare incontro ad infezioni, come accennato in precedenza, fenomeno del resto che accompagna anche la somministrazione prolungata di cortisone & derivati. Il paziente dunque deve tener presente che solo di rado un solo farmaco è sufficiente. Infatti ai farmaci di fondo spesso si affiancano gli analgesici, oppure si impiegano in associazione diversi farmaci di fondo. Però, in certi casi, gli effetti delle due classi di farmaci (farmaci di fondo ed analgesici) possono sovrapporsi: anche i farmaci di fondo hanno un effetto analgesico cosi come, a rigore, gli analgesici antinfiammatori dovrebbero tamponare la reazione autoimmune e, almeno in parte, ridurre il danno. Questa ipotesi è stata avanzata per un farmaco noto come il Prednisone Da dove si comincia? Tradizionalmente l’approccio all’AR era per cosi dire gradualista. Si cominciava con la terapia analgesica e solo in un secondo momento si passava ai farmaci di fondo. Attualmente si propende per un approccio più aggressivo sin dalle prime fasi, soprattutto quando il paziente presenta i segni di una rapida progressione del danno: fattore reumatoide, VES e proteina C reattiva elevati. Trattamento non farmacologico In primo luogo, è di estrema importanza l’informazione del paziente. Come per le altre malattie croniche, anche per l’AR il paziente deve essere portato a conoscenza della natura della sua malattia, della tendenza a perpetuarsi, della possibile insorgenza di limitazioni funzionali delle articolazioni, oltre che delle possibilità terapeutiche, dei loro limiti e degli eventuali effetti collaterali. Oggi è dimostrato che un paziente con AR “informato”, che conosce da un lato i limiti imposti dalla sua patologia e dall’altro come si articola la sua terapia, permane in una migliore qualità di vita e ricorre meno spesso all’ospedalizzazione, o comunque meno gg di ricovero. Necessario è inoltre, per il mantenimento di una normale funzione articolare e di un migliore stato psicologico, il coinvolgimento fin dal momento della diagnosi di specialisti di fisioterapia. I pazienti con danno articolare tale da limitarne seriamente la funzione, o con un livello inaccettabile di dolore, devono ricorrere a procedure chirurgiche ortopediche. Rimedi Naturali Molti sono i rimedi proposti dalla medicina naturale. Il primo passo per un approccio benefico all’AR è quello di ottimizzare il funzionamento del sistema immunitario diminuendo al massimo gli effetti autoaggressivi. In medicina naturale si dice “Dolori = Intossicazione”. Importantissimo sarà non introdurre più tossine e quindi lo stile di vita (fumo, alcool), l’aria che respiriamo, i cibi che mangiamo (cibi biologici), l’acqua che beviamo (acqua pura e salutare – purificazione per osmosi inversa. Bisognerà quindi individuare le intolleranze alimentari ed eliminare i cibi tossici. Gli antiossidanti proteggono le articolazioni dal deterioramento. Le vitamine C ed E, il betacarotene, il tè verde, ma in particolare gli estratti dei semi della vite sembrano essere utili a questo scopo. Fu scoperto che alti dosaggi di antiossidanti, in particolare la vitamina C, possono ridurre il rischio di perdita di cartilagine ed il peggioramento dei pazienti affetti da osteoartrite. Ma ciò non rispetta il concetto di naturale. Da molto tempo si conoscono le proprietà degli acidi grassi essenziali ( omega-3 e omega-6) nel trattamento dell’AR. Questi tipi di oli si possono trovare nei pesci ed in alcune piante (olio di semi di lino, di enagra e di borragine). In teoria però, questi acidi grassi essenziali possono generare problemi perché si ritiene possano favorire la formazione di Radicali liberi nell’organismo, con conseguenti pericoli di malattie cardiocircolatorie. Quindi è consigliato assumere assieme agli acidi grassi anche sostanze antiossidanti. Un antiossidanre completo, disintossicante e rigenerante è il DEGEN-X. Nell’AR i dosaggi dovranno essere adattati al paziente, ma si consiglia di iniziare con poche gocce (4 o 5) tre volte al die e salire gradualmente, diminuendo nuovamente in caso di dolore, per poi riprendere gradatamente a salire. Anche l’ossigeno-ozono terapia si è rivelata utile nell trattamento dell’AR mediante il GAET ma, come per il DEGEN-X, le sedute vanno modulate in base alle risposta del paziente. Trattamento Farmacologico Esso consiste principalmente nella combinazione di farmaci sintomatici (FAS e FANS, che non alterano il decorso clinico dell’AR) e farmaci di fondo (DMARDs). FANS Queste sostanze, utili nel controllo della sintomatologia dolorosa, non sono in grado di prevenire l’evoluzione del danno anatomico articolare se non in associazione con i farmaci di fondo. Tuttavia essi vengono impiegati spesso per la loro veloce, seppure fugace, azione sul dolore. Una buona protezione della mucosa gastrica, nell’impiego di questi farmaci, si è dimostrata efficace nella prevenzione dell’ulcera peptica; infatti gli inibitori selettivi della COX2 (come ad esempio il Nimesulide) hanno una minore tossicità gastro-enterica. Bisogna però ricordare che i malati di AR sono a rischio di un accelerato processo di aterosclerosi che risulta meglio profilassato con inibitori selettivi della COX1 piastrinica. Quindi è raccomandabile, nei pazienti maschi over 60 con persistenti indici di flogosi, l’impiego di un anti-aggregante piastrinico (aspirina 100 mg al die) Questi farmaci quindi non alterano il decorso della malattia, ne prevengono la comparsa di erosioni articolari; per questo non possono costituire il solo trattamento farmacologico dell’AR. Il malato inoltre NON DEVE FUMARE, deve correggere il peso corporeo mediante appropriata dieta e, nei limiti del possibile, condurre una vita non sedentaria FAS La capacità antinfiammatoria degli steroidi ha reso questa categoria di farmaci molto usati nell’AR: in quanto essi determinano una rapida inibizione contemporaneamente sia della produzione di citochine ad azione flogistica (TNF, IL-1) sia del loro meccanismo di azione. Essi vengono impiegati a basso dosaggio nell’AR (ad esempio il Prednisone, con un dosaggio tra 7,5 e 10 mg al die, è in grado di interferire con la progressione dei processi erosivi articolari oltre che con il ruolo antinfiammatorio, sempre in associazione con un DMARDs. Il paziente è invitato ad eseguire una dieta ipocalorica e di mantenere una buona idratazione. La posologia di questi farmaci viene ridotta o sospesa al raggiungimento della remissione indotta dai farmaci di fondo. Ricercare precocemente segni di osteoporosi (specie nelle donne in menopausa) ed impostare una giusta terapia con calcio, vitamina D, sarebbe auspicabile L’azione antinfiammatoria dei glucocorticoidi è dovuta a : • Attivazione dell’espressione genica: lipocortina 1 (annessina 1) IL-1RII, IL-1Ra IkB-alfa • Inibizione dell’espressione genica: citochine (IL-1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 11, 13, TNF-alfa, GM-CSF, IL-2R) chemochine (RANTES, ecc…) enzimi (iNOS, COX) molecole di adesione (integrine, selettine, CAMs) fosfolipasi A2 collagenasi Il fattore di trascrizione nucleare che codifica per queste proteine, sia anti che pro infiammatorie, è l’NFkB che viene bloccato dai glucocorticoidi. DMARDs Tutti i pazienti con AR sono candidati a terapia con questi farmaci, trattamento che dovrebbe essere instaurato non appena posta la diagnosi. Dal momento che il trattamento con un singolo DMARD spesso non controlla in modo soddisfacente i sintomi, o non impedisce la progressione del danno articolare, sempre più diffusa è la tendenza ad associare DMARDs diversi. Essi sono sostanze che alterano il decorso clinico dell’AR e rallentano nel tempo l’evoluzione del danno anatomico delle articolazioni Le più comuni associazioni, che hanno dimostrato una migliore capacità nel controllare la patologia rispetto ai DMARDs impiegati da soli sono: • Metotrexato e Ciclosporina • Metotrexato, Salazoprina, Idrossiclorochina • Etanercept e Metotrexeto Numerosi sono i fattori che influenzano la scelta delle combinazioni di questi farmaci. Infatti il paziente ed il medico devono insieme valutare la gravità dell’artrite; l’efficacia attesa dal singolo farmaco o dalla combinazione; le potenzialità tossiche e la frequenza di manifestazione di questa, il numero e tipologia dei controlli di monitoraggio necessari ed il costo complessivo inerente. INFLIXIMAB (Remicade) Esso è un anticorpo monoclonale di origine chimerica (75% della sequenza umana e 25% della sequenza murina). Questo mAb gioca un ruolo fondamentale nella patogenesi dell’AR: infatti lega il TNF e non consente l’interazione della citochina con il suo recettore (anti-TNF). Questo farmaco può essere somministrato solo in ospedale, in ambiente specialistico reumatologico, per via dei costi molto elevati. Sono previste infusioni endovenose lente (2 h almeno) di 3 mg/kg ogni due mesi. Viene somministrato in associazione con il Metotrexato. Esso si è dimostrato molto efficace: infatti oltre il 70% dei pazienti affetti da AR refrattaria ad altri trattamenti, hanno risposto in modo significativo al farmaco. Nei pazienti trattati con il Remicade è stato osservato l’arresto della progressione del danno anatomico articolare; per questo motivo è in corso una sperimentazione nella AR di recente insorgenza. Gli effetti collaterali più frequenti sono: infezioni e reazioni vasomotorie durante l’infusione; febbre, orticaria, ipotensione ed immunodepressione ETANERCEPT (Enbrel) Esso è un recettore solubile chimerico che riconosce e si lega al TNF e lo blocca. Anch’esso può essere dispensato solo in ospedale. Viene somministrato per via sottocutanea dove viene lentamente assorbito. Raggiunge la massima concentrazione dopo circa 48 ore. La sua biodisponibilità e del 76%; viene eliminato lentamente dall’organismo. Ha una lunga emivita di 70 ore circa. La presenza di insufficienza renale o epatica non richiede la modifica del dosaggio. Gli effetti collaterali più frequenti sono: infezioni e reazioni cutanee locali, nel sito di iniezione ADALIMUMAB (Humira) Esso è un mAb umano anti-TNF; si somministra per via sottocutanea ogni 15 gg. Genera, come effetto tossico infezioni e reazioni vasomotorie durante l’infusione ANAKINRA (Kineret) Il Kineret è una forma ricombinante dell’antagonista endogeno dell’IL-1 (IL-1Ra), r-metHuIL-1ra, prodotta mediante la tecnologia del Dna ricombinante utilizzando Eschlerichia Coli come sistema di espressione. Il Kineret è analogo a IL-1Ra endogeno ad eccezione dell’aggiunta di un solo residuo di metionina in posizione N-terminale. Da un punto di vista terapeutico il Kineret neutralizza l’attività biologica di IL-1 inibendo, con un meccanismo competitivo, il suo, legame con IL-1R1. esso impedisce quindi la trasduzione del segnale nonché la produzione di NO, di PGE2, dell’enzima collagenasi da parte dei sinoviociti, dei fibroblasti e dei condrociti. Il Kineret è ben assorbito per via sottocutanea con un dosaggio raccomandato di 100 mg da somministrare una sola volta al die; la somministrazione di questo farmaco deve essere effettuata nella stessa ora, la sua biodisponibilità è del 95%, l’emivita è di 4-6 ore Esso è utilizzato per il trattamento dei segni e sintomi dell’AR in associazione con il Metotrexato. Il kineret è stato somministrato ad oltre 2600 pazienti nel corso di studi clinici su larga scala (fase III). L’evento avverso segnalato è stato una reazione nel sito di inezione risultata di entità lieve o moderata nel 95% dei pazienti RITUXIMAB (Mabthera) Esso è il primo mAb utilizzato nell’AR mirato ai linfociti B. Grazie al legame specifico con una molecola sulla superficie delle cellule B, CD20, l’anticorpo spezza la cascata infiammatoria che provoca i sintomi della malattia. Le cellule B, grazie al legame con il farmaco, vemgono inibite. Grazie alla eliminazione delle cellule B, non vengono più prodotti Ab che attaccano i tessuti dell’organismo e che promuovono l’infiammazione. Poiché né le cellule staminali nè le cellule plasmatiche subiscono l’azione del farmaco, la popolazione di cellule B potrà essere ripristinata tramite le cellule staminali con la conservazione di livelli normali di Ab. In questo modo il sistema immunitario rimane integro. L’azione selettiva sulle cellule B permette ai pazienti, che hanno avuto una risposta insufficiente o che non tollerano la terapia con anti-TNF, di ricorrere ad una efficace alternativa terapeutica. TOCILIZUMAB (Actemra) Esso è un mAb umanizzato in gradi di bloccare i recettori dell’IL-6 quindi impedire il legame dell’interleuchina con il suo recettore. In questo modo il farmaco inibisce un’importante mediatore dell’infiammazione dell’AR. Studi nella fase III, condotti dalla Chugai in Giappone appartenente al gruppo Roche, sulla monoterapia di questo farmaco, hanno dimostrato che Actemra è migliore dei farmaci anti-reumatici modificatori della malattia (DMARDs) sia nel ridurre i segni e sintomi dell’AR che nel ridurre in modo significativo l’entità della distruzione articolare. Attualmente è in corso un vasto programma di fase III su Actemra nell’AR al di fuori del Giappone, con l’arruolamento previsto di oltre 4000 pazienti in 41 paesi. Actemra è un anticorpo dei recettori di IL-6 di qualità superiore ed è dotato di un nuovo meccanismo di azione che può fornire un trattamento nuovo ed efficace contro l’AR. Una proteina chiave per l’AR Una nuova possibile arma contro l’AR è data dall’inibizione di un enzima chiamato MKK3 che, all’interno delle cellule, svolge un ruolo fondamentale nello scatenamento della risposta infiammatoria da parte delle cellule. Si tratta di una scoperta importante dal momento che potrebbe portare a farmaci meno costosi e, nelle speranze delle persone, più sicuri per trattare l’AR. Come detto in precedenza, il TNF scatena l’infiammazione, la sua sovrapproduzione porta all’AR. L’inibizione del TNF, tuttavia, ha un inconveniente di sopprimere anche la risposta immunitaria normale. Per molti anni si è cercato di trovare un’altra strada per la terapia puntando sui meccanismi di azione degli enzimi p38 MAP chinasi, che hanno il compito di regolare l’espressione di citochine. Però questa è un’azione troppo drastica, poiché inibisce anche la risposta utile all’organismo. Allora i ricercatori hanno puntato con successo su in altro regolatore, l’enzima MKK3. Sperimentazioni in vitro hanno dimostrato che un deficit di questo enzima porta ad una drastica diminuzione dell’infiammazione reumatica, lasciando intatte le altre funzioni cellulari intatte.