CASO TROMBOSI RETINICA
54 anni, da tempo esaurito per motivi esistenziali, improvvisamente accusa un difetto
visivo ad un solo occhio; la diagnosi è di trombosi della vena centrale della retina, in
forma non grave.
Il recupero della funzione visiva è buono, e viene instaurata una profilassi
antiaggregante con ASA.
L’ esaurimento si trascina, lui non vede un’importanza del farsi aiutare, e (non) si fa
seguire da uno specialista: sceglie un neurologo invece di uno psichiatra, se lo trova
lontano dalla propria città, non assume i farmaci prescritti e, verosimilmente, non
segue i consigli ricevuti.
Dopo circa un anno viene una nuova trombosi retinica, nello stesso occhio, ma
stavolta il danno è grave e si verifica la perdita irreversibile della vista (cecità
centrale). L’altro occhio è buono, e va preservato a tutti i costi, per cui si passa
all’anticoagulante orale. Approfondendo lo studio del caso si scopre anche un alto
valore di omocisteina, e si inizia la cura con folico e B12.
La sofferenza psichica si aggrava per l’aggiungersi della semicecità, per il timore
della perdita completa della vista, e per la necessità dei periodici controlli dell’attività
protrombinica, che sono vissuti come continui richiami alla malattia e rinnovano
ossessivamente la paura del risultato. Il senso di colpa ed il dubbio di aver trasmesso
un rischio genetico ai figli non sono mitigati dall’ evidente assenza di trombofilia
negli ascendenti, e non sono una buona compagnia per chi già vive male per tanti
motivi.
Passa un altro brutto anno: malumore continuo, perdita di interesse per tutto,
isolamento in una stanza, inattività fisica ed abulia psichica, calo di peso, inasprirsi
delle difficoltà con moglie e figli, ancora rifiuto di un aiuto psicologico.
Quasi casualmente, ecco un po’ di sollievo (verrebbe voglia di dire: “un raggio di
luce”): un suggerimento estemporaneo indirizza ad una consulenza presso un famoso
centro trombosi, da cui arriva il consiglio di interrompere qualsiasi trattamento
anticoagulante o antiaggregante, e di mantenere invece la cura con folati e B12,
monitorando l’omocisteina.
Non c’è entusiasmo, nella voce che sento al telefono; solo un tono un poco più alto, e
una maggior voglia di dire.
Io non me la sento di insistere per lo psichiatra, né me ne viene lasciato lo spazio.
Va bene così.