Patologia Prof.ssa Eboli 17-05-2006 Abbiamo approcciato il Sistema Nervoso Centrale in ambito di mente e non di cervello ed abbiamo suddiviso questa parte in due grandi tronchi: Perdita di coscienza (con il grande capitolo del coma); Disturbo di coscienza. Abbiamo dato operativamente la definizione di coscienza per quello che attiene all’entità del disturbo: l’ orientamento spazio-temporale, la sintesi tra le informazioni che provengono dal proprio corpo e quelle che provengono dall’ambiente e l’ inserimento di questa sintesi nel contesto della continuità del proprio errore. Queste sono operazioni spaziali che si richiamano al discorso delle facoltà mentali, ovverosia del disturbo cognitivo-emozionale. Questo è un argomento molto importante perché abbraccia tre capitoli molto importanti disciplinari: Neurologia Neuropsichiatria Psichiatria Quest’ultima solo alla fine degli anni ’90 ha accettato che la sindrome psichiatrica sia anche causata da alterazioni di strutture. È chiaro che la psichiatria non si può basare su un meccanismo fisiopatologico, che non c’è, ma è ormai chiara la parte molecolare (psichiatria molecolare). PROTOTIPI DI COMPORTAMENTO A RISCHIO NELLO SVILUPPO DI PATOLOGIE. (in quanto molti comportamenti ed abitudini, poco consoni, predispongono allo sviluppo di patologie. Sono prototipi che divergono fortemente dall’eziologia classica). Sindrome metabolica: cominciamo dal basso, ovvero dalla maggiore causa di morte: le patologie cardiovascolari. Grazie a contributi preziosissimi, anche della nostra cardiologia,che è una delle migliori da un punto di vista della ricerca, si era capito da un pezzo, che la trombosi sulla placca ateromatosa di una coronaria non era l’unica condizione necessaria e sufficiente per determinare l’infarto del miocardio. Inoltre, di grande importanza, sono contesti infiammatori a vario titolo, generalizzati nel soggetto (condizioni infiammatorie croniche nel soggetto non necessariamente condizionate o localizzate). Si è capito che c’erano delle persone che erano caratterizzate da disturbi metabolici (e basta), che avevano un rischio equivalente di malattia coronarica. Ciò vuol dire che c’erano dei soggetti che non avevano coronariopatie specifiche (per es. placca aterosclerotica coronarica) però manifestavano quelle caratteristiche importanti dette rischio equivalente cardiovascolare. Solo recentemente queste persone sono state incasellate nel capitolo della sindrome metabolica. Cerchiamo di dare le caratteristiche metaboliche per cui un soggetto può essere dichiarato affetto da sindrome metabolica e come tale diventa un soggetto a rischio di patologie cardiovascolari equivalente a quello di un soggetto con caronariopatia specifica. Questo inquadramento della sindrome metabolica, per ora, è solo operativo, nel senso che, per essere inquadrati come soggetti con sindrome metabolica, devono presentarsi due quadri separati: 1. Quadro relativo al dismetabolismo glucosio-insulina. Le alterazioni connesse a tale dismetabolismo sono: Resistenza periferica all’insulina (un concetto funzionale), che si misura in medicina di laboratorio come test di glucotossicità, ovverosia si dà un bolo di glucosio al soggetto a digiuno e dopo mezz’ora si vede il livello di glicemia ottenuto. Se questo livello è entro valori normali, il test di glucotossicità è negativo. Se invece il livello di glicemia è superiore al normale il test è positivo ed il soggetto è inquadrabile come soggetto che manifesta resistenza periferica all’insulina. Questo dato, molto frequentemente, è associato ad una condizione di iperinsulinemia. Diabete mellito franco: il diabete mellito è una malattia endocrinametabolica, caratterizzata da iperglicemia stabile (l’individuo è sempre ipergliecemico) e questa iperglicemia è causata da una deficienza relativa o assoluta di insulina. Questa è la definizione di diabete mellito che va bene per tutte le categorie. È chiaro che posso avere un diabete mellito incidente, ovvero un soggetto che può avere transitoriamente iperglicemia protratta nel tempo, oppure un soggetto che dopo una fase, poi discuteremo tutto, ha diabete mellito franco.Quando c’è una diagnosi di diabete mellito franco, è chiaro che l’iperglicemia va trattata, ed il problema è fondamentalmente lì. I trattamenti per l’ iperglicemia sono di tre tipi: -trattamento farmacologico per via orale. Se funziona si lascia tale terapia. Ci possono essere condizioni in cui il trattamento farmacologico, anche prolungato per anni al soggetto per via orale, non vada più bene,allora avremo: -trattamento per l’iperglicemia via insulina. C’è un terzo trattamento, definito: -trattamento attraverso insulino dipendenza. Vuol dire che quel trattamento insulinico non serve soltanto al controllo della glicemia, e quindi ad un controllo metabolico, ma serve alla sopravvivenza del paziente. È solo in questi casi che si applica il concetto di diabete mellito insulino dipendente. (A tal merito la prof.ssa esorta a far attenzione a ciò che viene riportato sui libri). Quindi la sindrome metabolica si ritrova in un soggetto che, da una parte ha questi problemi relativi al glucosio-insulina, e poi, per un'altra parte, ha almeno due delle seguente alterazioni: Ipertensione sistemica: il 90% delle ipertensioni sistemiche è ipertensione essenziale, non secondaria. Obesità viscerale:si pone il problema della massa addominale, già discusso. Microalbuminuria:tracce di albumina nelle urine. Ipertrigliceridemia Ipocolesterolo HDL Quindi noi abbiamo la sindrome metabolica in un soggetto che presenta sempre disordine glucosio insulina (che può essere, ad esempio, un diabete mellito franco) e due delle sopraccitate caratteristiche, tra le quali le più importanti sono l’ ipertrigliceridemia e l’ ipocolesterolo HDL. Questi aspetti, inclusa la resistenza periferica all’insulina, sono stati trattati come aspetti derivanti dal quadro Cushing, cioè un quadro di ipercortisolemia. Ci siamo ricavati il discorso dell’ipertensione, perché c’era il problema dei recettori dei glucocorticoidi e mineralcorticoidi. Ci siamo ricavati il diabete incidente nel corso della resistenza periferica. L’obesità viscerale e quant’altro.Chiaramente il soggetto Cushing ha un problema di ipercortisolemia e perciò non viene incluso in questo discorso. Ci sono categorie completamente inattese per la sindrome metabolica: 1. Personalità con disturbi di ansia e depressione; 2. Soggetti con basso profilo culturale. Fino a poche generazioni fa, il benessere economico di un soggetto correlava con la cultura del soggetto. I poveri erano anche quelli che non studiavano e che avevano certe patologie di cui i ricchi non erano affetti. In termini fisiopatologici cosa significa avere o non avere una cultura? Lo studio dà al soggetto una capacità ragionativa. Studiare vuol dire utilizzare il frontale per tutte le funzioni eteromodali. Più il soggetto è poco colto, e più è un soggetto istintuale, fa meno uso del frontale. Quindi questa categoria è risultata nuova ed è venuta fuori quando la “forbice” si è aperta tra benessere economico e profilo culturale. Si è aperta vuol dire che il benessere economico viene visto come godimento economico e basta. Di questa “apertura di forbice” ne sono affetti non solo individui appartenenti a famiglie di scarso profilo socio culturale, ma anche quei soggetti che appartengono a categorie sociali di benessere. Cosa c’è di “sballato” in uno che non ha studiato? Questi soggetti hanno catecolamine e cortisolo cronicamente elevati. Quindi questi soggetti rischiano molto di più degli effetti dannosi, di portare in cronico la risposta integrata allo stress. I danni li abbiamo già esaminati la prima volta; in ambito immunologico sono rilevanti ma anche nei riguardi delle strutture nervose, per esempio l’ippocampo è una struttura che in un soggetto stressato diminuisce di volume. I polimorfismi, che sono predisponenti a tali situazioni, sono geni che ruotano intorno al trasporto della serotonina, che rappresenta uno dei neurotrasmettitori più importanti, di protezione, di benessere; alla dopamina; al GABA; al recettore dei glucorticoidi ( la prof.ssa ricorda che il cortisolo ha due recettori, molto importanti per il SNC, e l’ipercortisolemia prolungata ha molti effetti deleteri). Bisogna perciò tenere a mente che tanto più la facoltà ragionativa è bassa, tanto più il cortisolo crescerà. Si parla in tal caso di risposta integrata allo stress, spiegata in modo esauriente dal circuito neuropsicoimmunoneutropico, in cui la presenza di stress ha indotto, durante un esperimento condotto su uno studente soggetto a stress, un’alterazione di livello di cortisolo, adrenalina, noradrenalina (risposta integrata allo stress), dove poi la noradrenalina se ne andava nei monociti del periferico del soggetto e, attraverso il recettore, stimolava i monociti a produrre citochine proinfiammatorie. Questa è stata la prima spiegazione, su base molecolare, di un’emozione. Argomento successivo: INVECCHIAMENTO CEREBRALE Bisogna ben distinguere tra invecchiamento cerebrale e demenza. Demenza: deficit cognitivo cronico non necessariamente progressivo. In tutti i deficit di demenza c’è deficit di memoria. Il declino cognitivo dell’anziano, che inizia intorno al cinquantesimo anno d’età, abbastanza precocemente, è considerato evento fisiologico, e non si ritiene più sia basato su grosse perdite ormonali, piuttosto viene meno massa, neuroni. L’invecchiamento cerebrale non ha le stesse regole di multifattorialità dell’invecchiamento inteso come longevità. Nell’invecchiamento-longevità, il 25% è su base genetica, il 75% su base ambientale. Viceversa nell’invecchiamento cerebrale avremo il 50 e 50 (da ricordare che nel cervello avremo il numero massimo di geni espressi). Come si distingue un invecchiamento cerebrale da una demenza? Alcune funzioni, dal cinquantesimo anno in poi, vengono progressivamente meno, nel senso che ci sono delle deficienze. Tutto questo ha un sigla: M.C.I. (difetto cognitivo lieve): essa riguarda: la working memory; la fluidità di ragionamento; incapacità progressiva di funzioni esecutive; abilità spaziali. Cosa distingue l’invecchiamento cerebrale? Nonostante questi impedimenti, la persona si relaziona al contesto, la relazione con gli altri è mantenuta. Le statistiche ci dicono che, con un fattore di conversione del 12%, 12 soggetti su 100 ogni anno, convertono dall’invecchiamento cerebrale alla demenza. Nulla si sa sui fattori che intervengono sui questi 12 individui, però sono state messi in piedi, in modo organico, i fattori predittivi di conversione, cioè la persona che ha questi fattori PUO’ convertire in demenza. Tali fattori sono: Età Volume dell’ippocampo: l’ippocampo è soggetto a variazioni di volume in relazione a cambiamenti quantitativi di cortisolo e a condizioni di stress. L’ippocampo è il centro della memoria. Polimorfismo (unico tratto genetico): non mutazionale; è un polimorfismo dell’apolipoproteina E (trasportatore più importante di colesterolo per il cervello). Il tipo di polimorfismo più a rischio è la coppia omozigote E4/E4, di cui ci sono vari tipi di alleli, oppure l’eterozigote E2/E4. Viceversa un fattore enormemente protettivo è E2/E2. Non si capisce perché è importantissimo nei giapponesi, irrilevante nei neri e perché e mediamente importante nei caucasici. Dati molto recenti dicono che tale polimorfismo sostanzialmente rende il cervello meno adatto a rispondere agli stimoli. Gli insulti cerebrali vengono riparati meno bene. Basso profilo culturale del soggetto: valgono gli stessi argomenti della sindrome metabolica, ovvero il soggetto con bassa scolarità, personalità “mordi e fuggi”, niente lettura, tutta televisione etc. Tendenza al pessimismo depressione: torniamo a ciò che è stato detto nella sindrome metabolica. Malattie infiammatorie multifattoriali: tra esse: 1. Aterosclerosi; 2. Ipertensione essenziale; 3. Diabete mellito di II tipo. Scarsa riserva cognitiva: quanto il soggetto ha lavorato come mente durante tutta la sua vita. A parte il polimorfismo dell’apolipoproteina E, che per altro non è ancora del tutto chiaro, vedi sindrome metabolica e tutto ciò detto prima. Nell’invecchiamento cerebrale c’è un riscontro istopatologico, però bisogna fare attenzione: la gravità istopatologica non correla con il declino cognitivo. Quindi potremo avere un quadro istopatologico molto grave con un declino cognitivo modesto, e viceversa. Ci sono molte lesioni vascolari a livello cerebrale, lesioni alla corteccia prefrontale, alle fibre colinergiche subcorticali, all’ ippocampo. Le alterazioni qui rilevabili sono: placche di amiloide, dove l’amiloide che forma il core della placca è un amiloide definito A beta ed è il frammento amiloide di una proteina precursore detta APP (Proteina Precursore dell’ Amiloide). In sede intracellulare ci sono filamenti intrecciati di TAU ( una map iperfosforilata; la map è la proteina associata ai microtubuli, che dà stabilità ai microtubuli e che si avvolge formando gomitoli intracellulari). Tali placche sono dette placche senili. Sia le placche amiloidi A/beta che le map TAU sono anche caratteristiche istopatologiche associate alla fase finale dell’ Alzheimer.. N.B.:L’ Alzheimer è una demenza primaria, mentre tutte le altre demenze sono secondarie. L’Alzheimer è la demenza in cui converte l’anziano in percentuale più alta (80-90%). Quindi avremo un quadro istopatologico dell’Alzheimer che sarà, nella fase finale, corrispondente al quadro istopatologico dell’invecchiamento cerebrale con alcune aggiunte: Angiopatia congofila: le pareti dei vasi sia arteriosi che venosi subaracnoidei sono imbottiti di amiloide, la stessa amiloide che fa parte delle placche. Per l’ A. è meglio chiamare tali placche placche neuritiche o placche amiloide angioide A/beta. Nelle placche neuritiche si ha solo un disfacimento assonico, mentre nelle amiloidi, al centro di questo disfacimento assonico, c’è la placca di amiloide propriamente detta:c’è una parte detta neuritica, fatta di neuroni tutti disfatti, che ci fa capire che c’è una sinaptotossicità, e poi c’è una parte più propriamente amiloide fatta da un core con questa proteina qui. Il cervello di una demenza A., all’ultimo stadio, è un cervello che ha perso circa un Kg di peso; ha strutture sub corticali crivellate da placche, quindi sostanzialmente distrutto, dove invece l’invecchiamento cerebrale le presentava solo in dati distretti. L’unico ad essere un po’ salvato è l’occipitale. C’è un deficit colinergico gravissimo. DEMENZE Deficit cognitivo cronico non necessariamente progressivo. Le demenze si dividono in: 1. primarie: Alzheimer; 2. secondarie: tutte le altre. Secondarie significa che il soggetto non ha solo demenza ma anche altre patologie associate. Tra le secondarie ne avremo alcune con maggiore comorbidità con l’A. Le demenze più importanti che possono correlare con l’A. sono: -la vascolare: riscontro di ischemia cerebrale e di danni su base vascolare; -l’alcolismo cronico; -la malattia di Parkinson demenza associata (il Parkinson può non associarsi a demenza, e qualora lo sia presenta dei caratteristici inclusi); -stati tossici da abuso farmacologico. Questi sono i quattro casi di demenza secondaria con comorbidità con l’A. La prof.ssa vorrebbe affrontare, tra le diverse demenze, tutte quelle che possono definirsi anche malattie neurodegenerative: l’Alzheimer; il Parkinson associato a demenza; l’ Huntington; demenza da mucca pazza. Le malattie neurodegenerative sono malattie degenerative primarie di specifiche popolazioni neuronali, nel senso che, in modo progressivo, lento ed irreversibile, muoiono per apoptosi specifiche popolazioni neuronali, in assenza di cause tossiche, metaboliche etc. Tali malattie possono essere sia sporadiche che genetiche. Tra le malattie neurodegenerative possono esserci quelle demenza associate. Tutte le malattie neurodegenerative sono sempre associate ad inclusioni intra ed extracellulari. Le tre proteine che caratterizzano gli inclusi quando la neurodegenerativa è una demenza (?) sono: 1. A/beta: non necessariamente deve essere amiloide 2. TAU: intracellulare 3. alfa SIN nucleina: intracitoplasmatica, che caratterizza anche il Parkinson. Tutto questo quadro è stato messo insieme come patologia di folding. Che significato hanno questi inclusi? Sono una causa di tossicità?Sono un fatto accidentale?Sull’ Huntington si è visto che gli inclusi sono un modo della cellula di difendersi dalla situazione patologica. In altri casi ci sono più supporti di tossicità MORBO DI ALZHEIMER E’ una demenza primaria, senza cause. Al 95% è sporadico, al 5% è genetico, mutazionale (irrilevante). Essendo sporadico ha fattori di rischio: -età -volume dell’ippocampo -livello culturale etc. L’unico dato dell’Alzheimer sporadico è il polimorfismo genetico, il resto dipende dagli stili di vita. Ci sono mutazioni della proteina APP (proteina 140, proteina 150). Ci sono mutazioni di complessi enzimatici che si interessano del metabolismo di questo precursore che si chiamano geni presenilina 1 e 2.L’A. genetico ha una prognosi sfavorevolissima con incidenza intorno ai 50 anni, con prognosi pessima, di pochi anni, mentre lo sporadico insorge più tardi con decorso per una decina di anni. Importante è inoltre il fatto che non vi sia alcuna differenza tra il cervello di un A. sporadico e di uno genetico.In entrambi i casi, infatti, abbiamo sempre angiopatia congofila,placche amiloidi A/beta, TAU. Quindi da un punto di vista istopatologico non c’è nessuna differenza. Bisogna ricordare che il gene della proteina precursore sta nel cromosoma 21, perciò l’individuo Down ha una predisposizione all’ A., mentre la presenilina 1 e 2 stanno rispettivamente sul cromosoma 14 e 1. Anche nell’A., come nell’invecchiamento cerebrale, non c’è nessuna correlazione tra la gravità del quadro istopatologico e la gravità del quadro clinico. Tale patologia si è potuta studiare attraverso neuro imaging, usando traccianti vitali che sono capaci di attraversare la barriera emato-encefalica ed andarsi a legare alle placche di amiloide. Come detto l’A. più frequente è lo sporadico (dura circa dieci anni), insorge intorno ai 65-70 anni. Avremo diverse fasi: FASE I disturbo mnesico ( disturbi isolati di memoria); disturbi di depressione. FASE II ( stadio intermedio) Allucinazioni uditivo-visivo; progressiva disfunzione motoria: fase detta di agitazione, vagabondaggio. FASE III Fase più che altro organica con: incontinenza; rigidità muscolare; fase internistica; soggetto muto (precede di poco l’exitus); exitus (per ricorrenze internistiche). Da rintracciare e fare da soli: quali sono le analisi indicative di funzionalità epatica; quali sono le analisi indicative di danno epatico; quali sono le analisi indicative di insufficienza epatica; i valori di bilirubinemia in un soggetto normale e la relazione percentuale tra quella coniugata e non coniugata. Giuseppe Quero