la definizione di handicap - A.S.P. Comuni Modenesi Area Nord

“Le definizioni di
Disabilità ed Handicap
Martedì 09 settembre 2014
Dott.ssa Tiziana Bizzari
Psicologa
Le definizioni di
DISABILITA’ ed HANDICAP



MENOMAZIONE (DANNO): qualsiasi perdita o anomalia
a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o
anatomiche. Può avere carattere permanente o transitorio;
DISABILITA': riduzione parziale o totale della capacità di
svolgere un'attività nei tempi e nei modi considerati come
normali. Può essere transitoria o permanente, reversibile o
irreversibile, progressiva o regressiva; può essere conseguenza
diretta di una menomazione o una reazione psicologica a una
menomazione fisica, sensoriale o di altro tipo;
HANDICAP: è una condizione di svantaggio risultante da un
danno o da una disabilità, che limita o impedisce lo
svolgimento di un ruolo normale in rapporto all'età, al sesso, ai
fattori sociali e culturali. E' quindi una condizione soggetta a
possibili cambiamenti migliorativi o peggiorativi.
2
Menomazioni del
Disabilità nel
Handicap
Linguaggio
Parlare
Orientamento
Udito
Ascoltare
Vista
Vedere
Scheletriche
Vestirsi, Alimentarsi
Indipendenza fisica
Camminare
Mobilità
Comportarsi
Integrazione sociale
Psicologiche
3
UNA NUOVA DEFINIZIONE

Disabilità
limitazione ATTIVITA’

Handicap
restrizione PARTECIPAZIONE
4
CONSIDERAZIONI IMPORTANTI



L'handicap è un fenomeno sociale, in quanto
definisce le conseguenze sociali e ambientali che
hanno per origine le menomazioni e disabilità di un
individuo di fronte alle esigenze ed attese
dell'ambiente (Brunati, 1992)
L'handicap non è una malattia (anche se può
rappresentare la ripercussione dei danni provocati da
un evento morboso sulla vita di un individuo, in
relazione al contesto sociale)
Barriere: ostacoli di tipo fisico (barriere
architettoniche), psicologico (impatto della disabilità
sul soggetto e sulle persone che lo circondano) e
sociale (ingresso a scuola, nel mondo del lavoro,…)
che il soggetto può incontrare.
5
CONSIDERAZIONI IMPORTANTI



Quando si parla di disabilità ci si riferisce a una popolazione
molto eterogenea, non solo relativamente alle varie tipologie
di handicap, ma anche all'interno di una stessa tipologia.
La nascita di un figlio disabile o la disabilità acquisita (in
seguito ad un evento traumatico o per una diagnosi di malattia
degenerativa in età adulta) sono eventi altamente stressanti
per i genitori e tutti i familiari più vicini (figli, coniugi,
fratelli, ecc..) che possono reagire a tale evento in modo molto
diverso a seconda delle caratteristiche personali, della solidità
dei rapporti intercorrenti e del grado di supporto offerto da
familiari e amici ecc.
Nell'intervento sull'handicap vanno dunque programmate
attività rivolte ad arginare gli effetti del danno di partenza e
altre rivolte ad eliminare le barriere (comprese quelle
'familiari') di varia natura che ostacolano il pieno
raggiungimento delle potenzialità individuali.
6
L’INTERVENTO
Comporta la collaborazione di molteplici figure
professionali: assistenti sociali, medici,
fisioterapisti, terapisti del linguaggio,
infermieri, operatori socio-sanitari, psicologi,
educatori, insegnanti, ecc…
7
La disabilità congenita
(diagnosi nell’infanzia)
Alcuni esempi:



Paralisi Cerebrale Infantile
Ritardo Mentale
Disturbo Autistico
8
PARALISI CEREBRALE INFANTILE
(Disabilità Motoria)
Disordine del movimento e della postura
dovuto ad un difetto o una lesione del
cervello ancora immaturo
A seconda della gravità delle lesioni, vi possono essere
compromissioni di varie funzioni:

motoria

percettiva

linguistica-comunicativa

intellettiva

affettivo-relazionale.
9
PARALISI CEREBRALE INFANTILE



Il bambino con P.C.I. deve essere manipolato
molto lentamente, lasciandogli la possibilità
di adattarsi ai movimenti senza fretta,
lasciandogli il tempo di fare da solo quando
gli è possibile.
Vi è difficoltà nella coordinazione occhiomano perché i movimenti anormali del capo
producono reazioni abnormi in tutto il corpo.
I bambini con PCI richiedono una grande
attenzione per i bisogni di salute ed educativoassistenziali.
10
INTERVENTI

Nel caso della disabilità motoria, in particolare, è molto
importante parlare di integrazione.

In questo caso è più grave il rischio di emarginazione
imputabile all'ambiente che circonda il soggetto piuttosto che
l'inabilità in quanto tale.

Sulla scia di queste considerazioni è possibile anche avvalersi
delle nuove tecnologie (computer) come importanti strumenti di
reinserimento ed integrazione. Il loro uso è sconsigliato nei
soggetti con forti difficoltà relazionali poiché potrebbero
favorire eventuali tendenze all'isolamento.
11
IL BAMBINO CON
DISABILITA’ MOTORIA

Frequenti sono le situazioni in cui il bambino con P.C.I.
manifesta un'eccessiva dipendenza, un'intolleranza verso
qualsiasi tipo di separazione dalla madre, con la quale
stabilisce un rapporto di fusione-confusione in cui egli perde la
coscienza dei propri limiti, determinata dal vivere attraverso il
corpo e la mente di un altro un'illusione di realtà.

La piena coscienza della disabilità è raggiunta con lo sviluppo
del linguaggio e della percezione.

Durante l'adolescenza la percezione della propria immagine
corporea imperfetta in rapporto a quella dei pari età può
generare situazioni di depressione, rifiuto, collera …
12
IL BAMBINO CON
DISABILITA’ MOTORIA
ASPETTI RELAZIONALI
 Molto spesso le persone con una disabilità di tipo motorio si
trovano in una condizione di isolamento sia oggettivo
(presenza di barriere ed impossibilità di condividere gli spazi
fatti su misura per la gente 'comune') che soggettivo (senso di
inadeguatezza, rifiuto della propria immagine …)
 Dal punto di vista psicologico, non è raro che i genitori non
riescano a considerare un bambino con disabilità motoria nella
sua complessità e che stabiliscano una relazione preferenziale
con la parte malata; questo determina un’eccessiva
concentrazione di risposte selettive sui bisogni speciali legati
alla motricità a svantaggio dei reali bisogni infantili, uguali a
quelli di tutti i bambini.
13
IL BAMBINO CON
DISABILITA’ MOTORIA
ASPETTI RELAZIONALI
 Come accade per gli adolescenti normali, la
famiglia sembra avere un ruolo importante
come moderatore delle reazioni agli stress
recenti: infatti le famiglie in cui è presente un
clima positivo risultano avere un ruolo di
contenimento dello stress.
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IL BAMBINO CON
DISABILITA’ MOTORIA
L’INTERAZIONE CON I PARI
 E' di importanza cruciale in età adolescenziale ai fini
del raggiungimento di alcune tappe dello sviluppo
psicologico.
 In età di scuola materna la disabilità motoria può
rappresentare un grosso ostacolo al fine di instaurare
delle relazioni significative con i pari età: in questo
periodo i bambini sono particolarmente sensibili alle
differenze esteriori ed un bambino con disabilità
motoria può apparire come meno attraente e quindi
venire meno ricercato.
15
IL BAMBINO CON
DISABILITA’ MOTORIA
L’INTERAZIONE CON I PARI
 I bambini normali tendono a rivolgersi ai loro compagni
disabili con comportamenti che possono essere definiti
assistenziali
 I bambini con disabilità motoria sembrano possedere
conoscenze limitate sulle strategie necessarie all'instaurarsi e
al mantenimento di un'interazione amicale.
 Solitamente i bambini di 3-5 anni si sono mostrati in grado di
comprendere condizioni come la presenza di deficit uditivi,
visivi o motori; incontrano molte difficoltà nel comprendere il
ritardo mentale.
16
RITARDO MENTALE
La definizione di ritardo mentale (RM) comprende i
seguenti aspetti principali:



un livello di funzionamento intellettivo generale sotto
la media (misurato con test di intelligenza
standardizzati);
una concomitante incapacità o difficoltà di
adattamento;
un'insorgenza in età evolutiva, entro i 18 anni.
17
LA DEFINIZIONE DI
RITARDO MENTALE
Per effettuare diagnosi di ritardo mentale, le abilità
intellettive inferiori alla media devono
coesistere con limitazioni in 2 o più delle seguenti
aree del funzionamento adattivo (capacità del
soggetto di adeguarsi agli standard propri della
sua età e del suo ambiente culturale):
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LA DEFINIZIONE DI
RITARDO MENTALE
AREE DEL FUNZIONAMENTO ADATTIVO:










Comunicazione
Cura della propria persona
Abilità domestiche (vita in famiglia)
Abilità sociali/interpersonali
Capacità di utilizzare le risorse della comunità
Autonomia
Abilità nel provvedere alla propria salute e sicurezza
Abilità accademico scolastiche
Abilità relative alla gestione del tempo libero
Abilità lavorative
19
SVILUPPO COGNITIVO E
LINGUISTICO








La modalità di pensiero dei soggetti con disabilità intellettiva
sembra presentare alcune caratteristiche costanti:
Concretezza del pensiero
Rigidità
Limitata capacità di pianificare
Limitata o assente attività immaginativa e creativa
Incapacità a collegare ed integrare i diversi insegnamenti in unità
strutturate
Ridotte capacità attentive
Possibile riduzione della capacità di usare spontaneamente la
ripetizione per ricordare
Scarse abilità comunicativo-linguistiche
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IL BAMBINO CON
DISABILITA’ INTELLETTIVA
Problemi psicologici e di personalità riguardano i
soggetti ritardati in misura significativamente
maggiore rispetto alla popolazione senza disabilità
intellettive.
In particolare, nei bambini con Ritardo Mentale, sono
più frequenti rispetto alla popolazione normale:
 Ansia
 Paura dell'insuccesso
 Tendenza al ritiro e comportamenti compulsivi
 Impulsività
 Iperattività
 Bassa tolleranza alle frustrazioni
 Passività e dipendenza
 Suggestionabilità ed eccessiva influenzabilità
21
IL BAMBINO CON
DISABILITA’ INTELLETTIVA

E’ importante volgere l’attenzione tanto alla
dimensione strettamente cognitiva, quanto allo
sviluppo globale della personalità e in
particolare alla socializzazione, per:


facilitare la crescita delle capacità adattive
dell'individuo
stimolare una maturazione dei "cosiddetti
normali", che consenta lo strutturarsi di situazioni
sempre più adatte ad accogliere soggetti con
problemi intellettivi.
22
DISTURBO AUTISTICO
Compromissione qualitativa dell’INTERAZIONE SOCIALE:
1.
2.
3.
4.
Marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti
non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica,
le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione
sociale
Incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al
livello di sviluppo
Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio
eccentrico
Mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie,
interessi o obiettivi con altre persone (per. es. non mostrare,
portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio
interesse)
23
DISTURBO AUTISTICO
Compromissione qualitativa della COMUNICAZIONE
1.
2.
3.
Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio
parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso
attraverso modalità alternative di comunicazione come
gesti o mimica)
In soggetti con linguaggio adeguato, marcata
compromissione della capacità di iniziare o sostenere una
conversazione con altri
Mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di
giochi di imitazione sociale adeguati al livello di
sviluppo
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DISTURBO AUTISTICO
Modalità di COMPORTAMENTO, INTERESSI e ATTIVITA’
RISTRETTI, RIPETITIVI e STEREOTIPATI:
1.
Dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi
ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per
focalizzazione
2.
Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali
specifici
3.
Comportamenti motori stereotipati e ripetitivi (battere o
torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto
il corpo)
4.
Persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti
25
DISTURBO AUTISTICO
RITARDI O FUNZIONAMENTO ANOMALO in almeno una delle
seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età:
1.
Interazione sociale
2.
Linguaggio usato nella comunicazione sociale
3.
Gioco simbolico o di immaginazione
Attualmente non esiste una cura per l'autismo. Le terapie o gli
interventi vengono scelti in base ai sintomi specifici di ogni
individuo. Le terapie meglio studiate comprendono interventi
educativi-comportamentali e medici. Sebbene questi interventi
non curino l'autismo, spesso portano ad un miglioramento
sostanziale.
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La disabilità acquisita
(diagnosi in adolescenza o età adulta)
Alcuni esempi







Trauma Cranio-Encefalico (TCE)
Danni cerebrali per uso di sostanze stupefacenti
Ictus
Distrofia muscolare
Distrofia muscolare di Duchenne
Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)
Sclerosi multipla
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Trauma Cranio-Encefalico (TCE)
- E’ tra le più frequenti malattie disabilitanti dovute a danno del sistema nervoso: sono presenti
sintomi di sospetto interessamento cerebrale, perdita di conoscenza, amnesia post-traumatica o segni
neurologici di insulto cerebrale.
- In Italia ogni anno 300 persone su 100.000 abitanti vengono ricoverate per trauma cranico.
- Rapporto tra uomini e donne è di 2:1.
- Fascia di età più a rischio tra i 15 ed i 24 anni.
- Su 100 traumatizzati cranici, 10 muoiono, 4 restano in stato vegetativo persistente, 9 riportano un
esito grave, 64 un esito medio, 13 un buon esito.
- Cause più frequenti: incidenti stradali (circa il 70% dei casi), cadute accidentali e gli incidenti
domestici (20%), incidenti sul lavoro (5%), aggressioni (2%), incidenti intercorsi durante la pratica di
attività sportive (2%) e altre cause (1%)
- Gli esiti disabilitanti del TCE (cognitivi, neuromotori, comportamentali) costituiscono un problema
di particolare rilevanza sanitaria e sociale nel nostro paese anche in considerazione del fatto che le
fasce di eta' piu' colpite sono quelle dei giovani adulti, il che implica estese compromissioni di ruolo e
di produttivita' sociale.
- Da numerosi studi emerge che nella maggioranza dei casi di TCE le conseguenze sul piano
neuromotorio appaiono moderate, mentre risultano gravi sul piano cognitivo e comportamentale.
- Tali deficit comportano frequentemente la perdita del ruolo lavorativo, la disgregazione del nucleo
familiare e l'emarginazione sociale
- Una questione particolarmente delicata e problematica riguarda infine la condizione dei pazienti che
presentano stato vegetativo persistente o permanente.
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Danni cerebrali per uso di sostanze stupefacenti
Rientrano in questo gruppo sia coloro che a seguito di overdose da eroina o da cocaina subiscono
danni cerebrali configurandosi a tutti gli effetti come vittima di una cerebrolesione acquisita, sia le
persone che hanno alle spalle una storia di dipendenza da eroina o più spesso di policonsumo e a
seguito dell'assunzione di sostanze di sintesi danno evidenti segnali di disabilità psichica.
Ricavare i dati epidemiologici di questa casistica risulta complicato.
Si può però affermare che i casi di persone che subiscono un grave trauma a seguito dell'uso di
sostanze stupefacenti altamente debilitanti risultano in aumento negli ultimi anni.
Ictus
L'ictus cerebrale è la principale causa di disabilità in persone adulte.
I sintomi sono dovuti alla perdita transitoria o permanente di determinate funzioni cerebrali e
dipendono dalla localizzazione del danneggiamento strutturale all'interno del sistema nervoso centrale,
causato da una riduzione del flusso sanguigno (ischemia, infarto, 90% dei casi) o dalla rottura di un
vaso sanguigno (emorragia, 10% dei casi).
Ad un anno circa dall'evento acuto, un terzo circa dei soggetti sopravviventi ad un ictus indipendentemente dal fatto che sia ischemico o emorragico - presenta un grado di disabilità elevato,
tanto da poterli definire totalmente dipendenti.
L'incidenza dell'ictus aumenta progressivamente con l'età raggiungendo il valore massimo negli ultra
ottantacinquenni. Si calcola che l'evoluzione demografica, caratterizzata da un sensibile
invecchiamento, porterà in Italia - se l'incidenza dovesse rimanere costante - ad un aumento dei casi di
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ictus nel prossimo futuro.
Distrofia muscolare
La distrofia muscolare è la più nota delle malattie neuromuscolari. Si tratta di un gruppo di diverse
malattie che sono in genere determinate geneticamente e che causano danni progressivi alla
muscolatura. Considerando insieme tutte le principali malattie neuromuscolari ereditarie,
verosimilmente risultano colpite in Italia circa 30 persone ogni 100.000 abitanti, ossia oltre 17.000
persone. Benchè in generale sia la fascia dell'infanzia e dell'adolescenza quella più interessata, tuttavia
alcune forme riguardano prevalentemente l'età adulta.
Sotto il termine distrofia muscolare si raccolgono un gruppo di gravi malattie neuromuscolari a
carattere degenerativo, determinate geneticamente e che causano atrofia progressiva della muscolatura
scheletrica:
La Distrofia muscolare di Duchenne, è la più frequente e la meglio conosciuta tra le
distrofie muscolari dell'infanzia; è una malattia degenerativa dei muscoli, che si indeboliscono
progressivamente. Il paziente è costretto a ricorrere precocemente all'utilizzo della carrozzina dopo
aver perso la capacità di deambulazione, diventando totalmente dipendente per tutti gli atti della vita
quotidiana. In Italia ci sono oggi circa 2000 bambini con distrofia muscolare Duchenne;
l'incidenza della distrofia miotonica, la più comune distrofia muscolare dell'adulto, è di
approssimativamente 135 casi ogni milione di nascite (maschi o femmine);
l'incidenza della distrofia dei cingoli è di circa 65 casi per milione di nascite e quella della distrofia
facioscapolomerale è ancora inferiore.
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Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)
E’ la più grave tra le patologie che colpiscono i motoneuroni, ovvero le cellule nervose del cervello e
del midollo spinale che controllano i muscoli. La persona colpita va incontro ad un progressivo
indebolimento muscolare, fino alla paralisi restando però perfettamente cosciente, poiché le cellule
nervose corticali che coordinano l'intelligenza, la memoria o l'emotività non vengono interessate dal
processo degenerativo.
Gli studi condotti sulla SLA indicano che:
E' una malattia altamente invalidante che evolve, aggravandosi, nell'arco di 3-5 anni. Ad oggi, il 20%
dei pazienti vive, in media, 5 anni e il 10% vive circa 10 anni. Esistono delle forme benigne della
patologia che rimangono stabili per più di 30 anni. In più dell'80% dei casi, la morte è dovuta a un
disturbo respiratorio, aggravato da una superinfezione bronchiale.
Questa patologia si manifesta generalmente in persone adulte, di età compresa fra i 50 e i 70 anni, con
leggera propensione per il sesso maschile.
Non sono ancora note le cause della malattia. Solo una percentuale oscillante dal 5 al 10% è di origine
ereditaria. In questi casi la patologia si manifesta piuttosto presto (48 anni di media) e, generalmente,
presenta un'evoluzione più rapida.
In Italia, come nel resto degli altri paesi industrializzati, l'incidenza di questa patologia risulta di 1,7
casi per 100.000 abitanti/anno: dunque nel nostro paese ogni anno si ammalano di SLA circa 800
persone.
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Sclerosi multipla
La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica che colpisce il sistema nervoso centrale
(cervello e midollo spinale) ed è spesso progressivamente invalidante. Tra i disturbi neurologici è il più
diffuso tra i giovani adulti e la principale causa neurologica di disabilità.
La sclerosi multipla viene anche denominata sindrome demielinizzante, poiché caratterizzata da una
progressiva degenerazione/distruzione della mielina, una sostanza che riveste, come una guaina, le
fibre nervose permettendo la trasmissione rapida e integra degli impulsi (messaggi o comandi) che dal
cervello e dal midollo spinale si dipartono verso le altre parti del corpo e viceversa. I sintomi
dipendono dalla localizzazione dei focolai infiammatori; possono essere colpite tutte le regioni del
sistema nervoso centrale che contengono mielina.
Mentre una parte dei pazienti ha poche ricadute e si stabilizza spontaneamente con scarsi sintomi o
nessuno, in altri pazienti la malattia progredisce causando una graduale disabilità con la minaccia di
una grave compromissione o perdita della capacità di camminare.
I sintomi più invalidanti sono disturbi della coordinazione (comprendenti disturbi dell'equilibrio,
tremore, disturbi dell'articolazione della parola), disturbi motori (diminuzione della forza in uno o più
arti), spasticità (caratterizzata, nei casi più gravi, da spasmi incontrollati, anche dolorosi, delle
estremità) e, in rari casi (10%), danni gravi alle funzioni cognitive.
I dati epidemiologici indicano che la durata della malattia è estremamente variabile.
32
“Aspetti psicologici e relazionali
nella disabilità
Martedì 09 settembre 2014
Dott.ssa Tiziana Bizzari
Psicologa
RELAZIONI E DISABILITA’


La relazione d’attaccamento è
inevitabilmente turbata dall’evento malattia
sia sul versante del bambino/ragazzo sia sul
versante materno.
Un bambino/un familiare ammalato è meno
abile nell’attivare le risposte di accudimento
in sua madre, o altro care giver, in quanto
esso è preoccupato è meno libero di
relazionarsi in modo sereno e sicuro.
34
LA FAMIGLIA: reazioni
all’handicap di un
figlio/familiare
Presupposto fondamentale
La disabilità che colpisce un
figlio/familiare introduce in una famiglia
un’esperienza di dolore angosciante
(evento traumatico)
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Le diverse forme di danno, oltre a
suscitare vissuti legati alle circostanze
dell’evento possono portare a:



Senso di colpa inconscio per una malattia a
trasmissione genetica
Sentimento di inadeguatezza legato all’aver dato vita
ad un soggetto deficitario, a non averlo protetto dal
trauma, a non aver colto precedenti segnali di
malattia, ecc…
Rifiuto inconscio del familiare che viene espiato con la
rinuncia a realizzare un progetto di vita e di
gratificazione (sacrificare per esempio la carriera)
36
LE RELAZIONI FAMILIARI



Nella maggior parte dei casi alla MADRE o AL
CONIUGE è affidato il carico dell’accudimento,
dell’assistenza e della organizzazione della vita del
disabile
Spesso chi non è direttamente interpellato non è
attrezzato a sostenere le crisi emotive ed investe le
sue energie nel lavoro o in ambiti più esterni alla
famiglia
Molte COPPIE subiscono un attacco violento al
rapporto che contribuisce ad abbassare ulteriormente
le risorse di sopravvivenza serena del nucleo familiare
37
LE RELAZIONI FAMILIARI



Spesso il care giver, sovraccarico di compiti e
d’angoscia, ricorre alla propria FAMIGLIA
D’ORIGINE per garantirsi un aiuto
La presenza di una RETE DI SOSTEGNO
AMICALE è ancora un evento raro
Più di frequente è presente una rete
informale di sostegno nelle FAMIGLIE
ALLARGATE che comprende: suoceri/genitori,
fratelli e sorelle del care giver e altri figli e
nipoti delle figure di accudimento
38
LE RELAZIONI FAMILIARI


I FRATELLI se maggiori spesso hanno uno
sviluppo accelerato, se minori svolgono una
funzione di appoggio e sostegno del disabile.
Il legame paritario che dovrebbe
caratterizzare il gruppo fraterno non può
essere esplorato
IL DISABILE è sempre collocato al posto del
piccolo, del bisognoso, dell’avente diritto e
quasi mai annoverato tra coloro che hanno dei
doveri
39
GLI OPERATORI


Hanno la responsabilità di vigilare che la
loro entrata in scena introduca valenze
positive, protettive del benessere del
disabile e della sua famiglia.
L’entrata in scena avviene dentro una
STORIA che li ha preceduti e che non
conoscono.
Deve essere attivato un processo di
conoscenza
40
GLI OPERATORI



Attivazione e accettazione di una
INTERAZIONE EMPATICA
ACCOGLIENZA
Acquisizione di INFORMAZIONI (ogni
evento significativo che viene segnalato
dalla famiglia come importante)
41


L’uso delle informazioni è quello di fare
IPOTESI sulle aspettative consapevoli ed
inconsapevoli
La RISPOSTA OPERATIVA sarà guidata
dalle ipotesi che verranno considerate
valide se confermate e modificate se
errate
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“IL TEMPO SPESO PER
CONOSCERE E CAPIRE E’
SEMPRE GUADAGNATO”