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Genetica
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La genetica
della trombofilia
La maggior parte delle alterazioni trombofiliche
oggi note sono congenite e trasmissibili ai figli
da parte del genitore affetto
A cura della Dott.ssa Paola Bruni
Genetista Medico del settore di Biologia Molecolare
del Laboratorio Montevergine-Malzoni presso la Diagnostica Medica
Il termine trombofilia indica una condizione patologica in
cui si verificano alterazioni della coagulazione del sangue
e, a causa di questo squilibrio in senso ipercoagulante, è più
facile che si formino coaguli (trombi) nei vasi sanguigni, con
conseguente ostacolo al flusso
del sangue (trombosi).
La maggior parte delle alterazioni
trombofiliche oggi note sono
congenite e trasmissibili ai figli
da parte del genitore affetto
(deficit di proteina C, proteina
S, resistenza alla proteina C
attivata, deficit di antitrombina
III, iperomocisteinemia etc).
Non si tratta di malattie ma
di condizioni che predispongono alla trombosi, cioè che
aumentano, in misura diversa
secondo il tipo di alterazione,
il rischio che si verifichi una
Come sono trasmesse
le alterazioni congenite
Le alterazioni trombofiliche
congenite sono basate su di
una trasmissione genetica di
tipo autosomica dominante;
cioè entrambi i genitori possono trasmettere il carattere
(gene) alterato ai figli. I soggetti
che hanno un gene normale
e uno alterato si definiscono
“eterozigoti”.
Nella maggior parte dei
casi, il gene alterato viene
trasmesso da uno dei due
genitori, mentre l’altro trasmetterà un gene normale.
Nei rari casi in cui entrambi i
genitori siano portatori della
stessa alterazione è possibile
che i figli ricevano il gene alterato da entrambi i genitori;
in questo caso il soggetto è
“omozigote”. La condizione
di omozigosi è molto rara e
comporta un maggior rischio
trombotico rispetto alla condizione di eterozigosità.
Pur essendo presenti fin
dalla nascita, le alterazioni
trombofiliche
congenite
(specie se eterozigoti) solo
eccezionalmente causano
eventi trombotici prima che
sia raggiunta l’età giovanile
(adolescenziale/puberale).
FATTORE II (Protrombina )
La protrombina o fattore II della coagulazione ha un ruolo
importante nell’equilibrio della
coagulazione, in quanto la
sua attivazione in trombina
porta alla trasformazione del
fibrinogeno in fibrina e quindi
alla formazione del coagulo. Nel gene che codifica
per la protrombina è stata
individuata una mutazione
(G20210A). La frequenza
genica della mutazione
trombosi. Un tipo diverso di alterazioni trombofiliche, trombofilia acquisita, compare durante il corso della vita e non è
trasmessa ai figli (per es. dovuta a severa insufficienza renale
o epatica, uso di anticoncezionali, terapia sostitutiva ormonale in menopausa, presenza
concomitante di patologie
neoplastiche o del sistema
immunitario come LES, sclerodermia*, etc.).
La ricerca scientifica degli ultimi anni ha permesso di effettuare notevoli progressi nella
conoscenza dei meccanismi
molecolari e cellulari responsabili dei fenomeni trombotici.
Uno dei progressi principali
della biologia molecolare è
stata l’identificazione dei geni
responsabili della predisposizione alla trombofilia.
Quali sono i geni coinvolti
Tra i geni coinvolti nella predisposizione alla trombofilia, il
gene codificante per il fattore
V della coagulazione, per il
fattore II (protrombina) e per
l’enzima Metilentetraidrofolato (MTHFR) esercitano un
ruolo primario nell’insorgenza
di tale condizione.
Tali geni sono considerati
dei geni di suscettibilità;
quindi perché si manifesti
l’evento trombotico questi
geni devono interagire con
fattori ambientali esterni (gravidanza, contraccezione
orale, interventi chirurgici,
deficit vitaminici, etc).
G20210A è bassa (1,0-1,5%)
con una percentuale di eterozigoti del 2-3%. L’omozigosi
è rara. Per gli eterozigoti c’è
un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi
venosa, di 5 volte per l’ictus
ischemico, di 5 volte per infarto
miocardico in donne giovani,
di 1,5 volte per gli uomini, di
7 volte nei diabetici, di 10
volte per trombosi delle
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vene cerebrali e di 149
volte in donne che assumono
contraccettivi orali.
FATTORE V di Leiden
Il fattore V attivato è un
cofattore essenziale per
l’attivazione della protrombina (fattore II) a trombina.
Il suo effetto pro-coagulante
è normalmente inibito dalla
Proteina C attivata che taglia
il fattore V attivato in tre parti.
La mutazione G1691A è causa
della resistenza alla Proteina
C attivata, ossia dell’impossibilità da parte della Proteina
C attivata (che ha un effetto
anticoagulante) di inattivare
l’azione protrombotica del
Fattore V. Tale mutazione è
definita variante di Leiden
(località in cui fu scoperta),
ed ha una frequenza genica
dell’ 1,4-4,2% in Europa con
una frequenza di portatori in
eterozigosi in Italia pari al 2-3%,
mentre l’omozigosità per tale
mutazione ha un’incidenza
di 1:5000. I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte
superiore di sviluppare una
trombosi venosa, mentre gli
omozigoti hanno un rischio
pari ad 80 volte. La condizione di omozigosi per questa
mutazione è rara.
Il rischio diventa maggio-
re se si aggiungono altre
condizioni che aumentano
il rischio trombotico, come
l’assunzione di contraccettivi, gli interventi chirurgici, la
gravidanza o in condizioni di
immobilità forzata. Durante
l’uso di contraccettivi orali il
rischio è aumentato di 30 volte
negli eterozigoti e di alcune
centinaia negli omozigoti. In
gravidanza una condizione
di eterozigosi per il fattore V
è considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla
eclampsia*, ai difetti placentari,
alla Sindrome HELLP (emolisi, elevazione enzimi epatici,
piastrinopenia). Questo sarebbe dovuto a trombosi delle
arterie spirali uterine con un
inadeguata perfusione placentare.
I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden
dovrebbero pertanto sottoporsi
a profilassi anticoagulativa in
corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici
ed evitare l’assunzione di
contraccettivi orali.
MTHFR (metilen tetraidrofolato
reduttasi)
L’enzima MTHFR catalizza la
riduzione del 5,10-metilentetraidrofolato a 5-metiltetraidrofolato, la forma predominante di
folato circolante e donatore
di carbonio nel processo di
rimetilazione della omocisteina a metionina*. Quando i
processi di trasformazione
dell’omocisteina sono ostacolati questa si accumula nel
sangue. É stato identificato un
polimorfismo genetico comune
(C677T) che ha come conseguenza una ridotta attività ed
un’aumentata termolabilità
Lo studio delle mutazioni dei tre geni
É indicata in:
- Soggetti con precedenti
episodi di tromboembolismo venoso o trombosi
arteriosa
- Familiari di I grado di pazienti portatori di trombofilia
erodofamiliare
- Donne che intendono assumere contraccettivi orali
- Donne con precedenti
episodi di trombosi in gravidanza
- Donne con poliabortività
- Donne con precedente
figlio con DTN (difetto tubo
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neurale)
- Gestanti con IUGR, tromboflebite o trombosi placentare
Il venire a conoscenza che il
paziente è portatore di una
mutazione, oltre a fornire
informazioni utili sulla causa dell’evento trombotico,
offre la possibilità di poter
ottimizzare una profilassi in
termini di terapia anticoagulante o di necessità di
profilassi nelle situazioni a
rischio.
Inoltre, una volta identifica-
ta l’anomalia trombofilica, è
possibile allargare lo studio
ai consaguinei, offrendo la
possibilità di una prevenzione
nelle condizioni di rischio.
di questo enzima. Ciò determina in soggetti omozigoti per
il polimorfismo un signicativo
aumento dei livelli plasmatici
di omocisteina circolanti, a
causa della sua mancata trasformazione in metionina. La
frequenza genica in Europa
della mutazione è del 3-3,7%
che comporta una condizione
di eterozigosi in circa il 42-46%
della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%.
La presenza di omozigosi
o eterozigosi di MTHFR può
dunque provocare livelli
aumentati di omocisteina
nel sangue, che sono oggi
considerati fattore di rischio
per malattia vascolare (trombosi arteriosa), forse attraverso
un meccanismo mediato dai
gruppi sulfidrilici sulla parete
endoteliale dei vasi. Inoltre in
condizioni di carenza alimentare di acido folico la variante
termolabile della MTHFR porta a
livelli molto bassi l’acido folico
nel plasma ed è pertanto un
fattore di rischio per i difetti
del tubo neurale nelle donne
in gravidanza.
Omozigosi o eterozigosi per
MTHFR in presenza della variante Leiden del fattore V
o della variante 20210 della
protrombina aumenta ulteriormente il rischio relativo per il
tromboembolismo venoso.
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