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Taylor, infinitesimi e
approssimazioni
L.Battaia
Luciano Battaia∗
Taylor,
infinitesimi e
approssimazioni
Versione del 24 febbraio 2007
In questa nota propongo alcune considerazioni sull’uso della formula
di Taylor per calcoli approssimati, in particolare sono proposti alcuni
esempi per chiarire il significato di infinitesimo di ordine superiore e di
valutazione dell’errore: troppo frequenti e diffuse sono infatti le errate
concezioni sul senso di queste espressioni.
Indice
JJ
II
J
I
Pag. 1 di 9
∗
http://www.batmath.it
Indice
1
2
3
4
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Premessa . . . . . . . . . . . .
Infinitesimi e ordine . . . . . .
La formula di Taylor e il resto
Un esempio conclusivo . . . .
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3
4
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L.Battaia
1.
Taylor,
infinitesimi e
approssimazioni
Premessa
Una trattazione abbastanza dettagliata sull’uso della formula di Taylor, con riferimento sia al calcolo dei limiti che ai calcoli approssimati, si può trovare nelle pagine
seguenti, alle quali rimando per utili approfondimenti:
— http://www.batmath.it/matematica/a_taylor/taylor.htm,
— http://www.batmath.it/matematica/an_uno/limiti/taylor_limiti.htm,
— http://www.batmath.it/matematica/an_uno/taylor_dintorni/approx/approx.htm.
È interessante leggere, a proposito del calcolo approssimato dei valori di una funzione, quanto scrive Mario Dolcher nel suo Elementi di Analisi Matematica, Lint,
Trieste, 1991.
Indice
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Il conoscere l’ordine di infinitesimo di una funzione ϕ, per quanto importante sia, non ci consente alcuna maggiorazione di |ϕ(x)|, in nessun
punto: una ϕ può essere infinitesima, ad esempio per x → 0, anche di
ordine elevato, e può essere ϕ(10−6 ) = 3000 000 000! Per questa ragione il risultato sulla formula di Taylor-Peano, importante e bello, non ci
soddisfa agli effetti del calcolo approssimato dei valori di una funzione f .
Si noti bene che, agli effetti del calcolo approssimato, nemmeno la “serie
di Taylor” dà quell’informazione che invece si può trarre dalla formula di
Taylor-Lagrange.
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È proprio la diffusa ed errata idea che “infinitesimo”, e ancor peggio “infinitesimo di ordine superiore”, significhi “piccolo” o “trascurabile” agli effetti del calcolo
approssimato, che mi ha spinto a scrivere queste pagine.
2.
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Infinitesimi e ordine
Se f (x) e g(x) sono entrambe infinitesime, per x → x0 , ovvero se
lim f (x) = lim g(x) = 0 ,
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infinitesimi e
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x→x0
x→x0
e se
lim
x→x0
f (x)
= 0,
g(x)
si dice che f (x) è infinitesimo di ordine superiore rispetto a g(x), per x → x0 .
Dal punto di vista qualitativo si può dire che delle due quantità f (x) e g(x),
infinitamente piccole nei pressi di x0 , la quantità che sta al numeratore è, sempre
nei pressi di x0 , infinitamente più piccola di quella che sta al denominatore. Bisogna
però prestare attenzione a non attribuire a questa frase significati particolari che essa
non ha. Il problema cruciale di interpretazione sta nel significato delle parole “nei
pressi di x0 ”. Per chiarire il problema consideriamo un esempio.
Siano f (x) e g(x) le due funzioni seguenti:


1

 1020 x − 1010 se x < −


1010


1
1
f (x) =
, e g(x) = x .
0
se
−
≤
x
≤
10

10
1010





 1020 x − 1010 se x > 1
1010
È immediato che
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infinitesimi e
approssimazioni
lim f (x) = lim g(x) = 0 ,
x→0
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f (x)
= 0,
x→0 g(x)
lim
ovvero che f (x) e g(x) sono infinitesime, per x → 0, e che, sempre per x → 0, f (x)
è infinitesimo di ordine superiore rispetto a g(x). Però, dal punto di vista dei valori
delle funzioni “appena oltre 0”, questi fatti non hanno alcun interesse: la funzione
f (x) ha valori enormemente più grandi di g(x), non appena si considerino valori di
x più grandi di 10−10 , cioè di un decimiliardesimo. Basta, per esempio, considerare
x = 2 · 10−10 per ottenere f (x) = 1010 (diecimiliardi, cioè praticamente un’enormità),
e, invece g(x) = 2 · 10−10 , cioè praticamente zero!
Anche se l’esempio proposto è chiaramente “patologico”, la morale della favola è
chiarissima:
Il fatto che una funzione sia infinitesima, o infinitesima di ordine superiore rispetto a un’altra funzione, è una caratteristica utilizzabile solo ed
esclusivamente nell’ambito del calcolo di un limite e non ha nessun interesse per quanto riguarda la valutazione approssimata dei valori della
funzione stessa.
Indice
JJ
x→0
e che
3.
La formula di Taylor e il resto
Data una funzione f (x), dotata di derivata n−esima in un punto x0 (e quindi di
derivate tutte continue in un opportuno intorno di x0 ), il polinomio
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Tn,x0 (x) =
f (x0 ) f 0 (x0 )
f 00 (x0 )
f (n) (x0 )
+
(x − x0 ) +
(x − x0 )2 + · · · +
(x − x0 )n
0!
1!
2!
n!
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si chiama n−esimo polinomio di Taylor o n−esimo polinomio approssimante della
funzione f in x0 .
Si usa indicare con Rn+1,x0 (x) la differenza f (x) − Tn,x0 (x), che viene chiamata
resto o termine complementare n−esimo. Il teorema di Taylor afferma che questo
resto è un infinitesimo di ordine superiore rispetto a (x − x0 )n , ovvero, come si usa
dire, un infinitesimo di ordine superiore a n rispetto a (x − x0 ). In sostanza questo
resto è l’errore che si commette se si approssima la funzione f con il polinomio Tn,x0 .
Con un’ulteriore ipotesi di regolarità, al resto si può dare una delle due forme che
seguono:
1. forma di Peano: se la funzione ha, in x0 , anche la derivata (n+1)−esima, allora
(n+1)
f
(x0 )
Rn+1,x0 (x) =
+ α(x) (x − x0 )n+1 ,
(n + 1)!
ove α(x) è una funzione infinitesima per x → x0 ;
2. forma di Lagrange: se la funzione ha, in tutto un intorno di x0 , anche la derivata
(n + 1)−esima, allora
(n+1) f
(c)
Rn+1,x0 (x) =
(x − x0 )n+1 ,
(n + 1)!
dove c è un punto opportuno intermedio tra x0 e x.
Nella forma di Peano non si ha alcuna informazione sulla funzione α(x), se non
che è infinitesima per x → x0 ; nella forma di Lagrange non si ha alcuna informazione
sulla posizione del punto c, se non che è intermedio tra x0 e x. Si noti la differenza
tra le due richieste aggiuntive di regolarità: nella forma di Peano è sufficiente la
derivabilità in x0 , nella forma di Lagrange, invece, in tutto un intorno di x0 .
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La forma di Peano è particolarmente utile per il calcolo di limiti e per certe questioni
teoriche, ma non è di alcuna utilità per la valutazione di quanto grande sia l’errore
che si commette approssimando la funzione f con il polinomio Tn,x0 .
Discorso sostanzialmente diverso per la forma di Lagrange. Se infatti si riesce ad
avere una stima di quanto grande sia f (n+1) (c), si può avere una misura dell’errore.
La cosa non è per niente semplice, in generale, perchè non si ha alcuna informazione
sulla posizione del punto c; se però si riesce a trovare il massimo, diciamolo Mn+1 ,
di |f (n+1) (x)| nell’intervallo tra x0 e x, allora si potrà avere una stima per eccesso
dell’errore. Infatti si ha:
|x − x0 |n+1
|x − x0 |n+1
≤ Mn+1
.
|Rn+1,x0 (x)| = f (n+1) (c)
(n + 1)!
(n + 1)!
Se si tiene poi presente che, per n abbastanza grande, (n + 1)! può essere un numero
enorme, e si opera in modo che |x − x0 | non superi 1, si vede subito che l’errore, in
valore assoluto, potrà essere piccolo, purchè, naturalmente, il massimo di |f (n+1) (x)|
non sia “rabbiosamente” (l’espressione è di Mario Dolcher) grande.
4.
Un esempio conclusivo
Riesaminiamo più in dettaglio il resto nella forma di Lagrange:
(n+1) f
(c)
(x − x0 )n+1 .
Rn+1,x0 (x) =
(n + 1)!
Poichè (n + 1)! cresce molto rapidamente al crescere di n, mentre (x − x0 )n decresce
rapidamente al crescere di n, se |x − x0 | < 1, la forma citata può far venire il sospetto
che, al crescere di n, l’approssimazione migliori sempre di più. Le cose purtroppo
non stanno in questi termini, nemmeno in casi molto semplici.
Per una verifica consideriamo il caso di una funzione polinomiale, in cui i calcoli
possono essere fatti “a mano”:
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11
f (x) = −x3 − x2 + x +
.
2
4
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Con facili calcoli si ottengono i polinomi approssimanti di grado 0, 1, 2, relativi al
punto x0 = 0, seguenti:
— T0,0 (x) =
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,
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— T1,0 (x) = x +
,
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— T2,0 (x) = − x2 + x +
,
2
4
8
risultati che erano ampiamente prevedibili.
Per trovare una maggiorazione dell’errore nei tre casi dobbiamo trovare i massimi,
in [0, 0.75], delle derivate prima, seconda e terza. Con facili calcoli si trova:
— M1 = 9/4 ;
— M2 = 3 ;
— M3 = 6 .
Possiamo ora trovare una maggiorazione per l’errore nei tre casi:
— |R1,0 (x)| = |f 0 (c)| |x| ≤ M1 |x| ≤ M1 0.75 = 1.6875 ;
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2
2
— |R2,0 (x)| = |f 00 (c)| |x|2 ≤ M2 |x|2 ≤ M2 0.75
= 0.84375 ,
2
3
3
2
— |R3,0 (x)| = |f 000 (c)| |x|6 ≤ M3 |x|6 ≤ M3 0.75
= 0.421875 .
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3
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Come si vede, e come succede per le funzioni “non rabbiose”, il massimo errore cala
al crescere del grado del polinomio approssimante.
Vista la semplicità della funzione in questione, in questo caso però l’errore è facilmente calcolabile anche in termini assoluti: avremo così la possibilità di effettuare
un controllo della bontà delle considerazioni che abbiamo fatto. Si trova facilmente:
— |f (0.75) − T0,0 (0.75)| = 0.421875000 ,
— |f (0.75) − T1,0 (0.75)| = 1.265625000 ,
— |f (0.75) − T2,0 (0.75)| = 0.421875000 .
Come si vede, nella realtà il polinomio di grado 0 approssima meglio di quello di
grado 1, ed esattamente allo stesso modo di quello di grado 2. La figura seguente
illustra la situazione.
y
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T1,0 (x)
4
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T2,0 (x)
2
T0,0 (x)
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1
0.75
−1
−1
−2
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1
2
f (x)
x
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