1 Il concetto di cultura nella scuola tedesca

“IL CONCETTO DI CULTURA
NELLA SCUOLA TEDESCA”
PROF. SSA GRAZIA GADDONI
Università Telematica Pegaso
Il concetto di cultura nella
scuola tedesca
Indice
1
IL CONCETTO DI CULTURA NELLA SCUOLA TEDESCA ------------------------------------------------------ 3
2
SIMMEL E IL RAPPORTO DI CAUSALITÀ RECIPROCA -------------------------------------------------------- 6
3
METROPOLI E PERSONALITA' ---------------------------------------------------------------------------------------- 10
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
3.5.
3.6.
INTELLETTUALITÀ SOFISTICATA -----------------------------------------------------------------------------------------IL DENARO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------L'ATTEGGIAMENTO BLASÉ ------------------------------------------------------------------------------------------------LA MONETIZZAZIONE DEL TEMPO ----------------------------------------------------------------------------------------LA MAGGIORE LIBERTÀ POSSIBILE ---------------------------------------------------------------------------------------EVOLUZIONE UMANA E SOCIALE ------------------------------------------------------------------------------------------
11
11
11
12
12
13
4
SOCIOLOGIA DELLA CULTURA: ALFRED WEBER E MAX WEBER -------------------------------------- 14
5
MAX WEBER------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 16
6
HEGEL E LA DIALETTICA TRA INDIVIDUO E SOCIETÀ------------------------------------------------------ 22
7
IL CONCETTO DI ALIENAZIONE IN HEGEL ---------------------------------------------------------------------- 24
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Il concetto di cultura nella
scuola tedesca
1 Il concetto di cultura nella scuola tedesca
Non si può parlare degli autori tedeschi che si sono occupati della cultura nell’epoca classica
della sociologia come di una scuola. Non si tratta infatti di un approccio unitario né vi è una figura
dominante.
Il loro contributo allo studio della cultura si trova nel contesto storico e nazionale tedesco
che risente fortemente di due grandi dibattiti.
1)
Il primo era un dibattito metodologico sulle modalità di comprensione dei fenomeni
culturali, intesi come l’intera gamma dei fenomeni storici e sociali.
Il movimento storicistico tedesco rivendicava la diversità qualitativa delle scienze dello
spirito, sostenendo che in queste ultime non potessero esistere leggi universali analoghe a quelle
elaborate dalle scienze della natura. Al metodo nomotetico, tipico delle scienze naturali volte alla
costruzione di leggi generali, veniva contrapposto il metodo idiografico, orientato a descrivere i
fenomeni della vita storica e sociale così come si presentano nella loro individualità. Le correnti di
pensiero che facevano capo a Dilthey contrapponevano la spiegazione (causalità dei fatti naturali)
alla comprensione (significato dei fenomeni storico-sociali).
Sia Georg Simmel che Max Weber si collocano interamente all’interno di questo dibattito.
Entrambi assumono però una posizione originale e innovativa. Pur riconoscendo la distinzione tra
scienze della natura e scienze della cultura, vedono spiegazione e comprensione non come metodi
contrapposti, ma come due aspetti del medesimo processo conoscitivo.
Per Simmel le scienze, in qualunque campo operino, possono formulare delle ipotesi che
valgono solo sino a prova contraria e non possono aspirare a un ideale assoluto di verità.
Max Weber sostenne posizioni analoghe: conoscenza intuitiva e conoscenza causale non
sono antitetiche; al contrario la comprensione rappresenta il primo passo di un processo di
imputazione causale. Le differenze tra scienze della natura e della cultura non riguardano l’oggetto
e nemmeno il metodo, ma gli scopi conoscitivi del ricercatore. L’imputazione causale veniva
dunque saldata con la ricerca dei significati soggettivi che muovono l’azione sociale.
Gli esseri umani sono, per Weber, esseri culturali in quanto attribuiscono un significato al
proprio comportamento e le scienze della cultura non si occupano dell’intera realtà sociale, ma dell’
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“agire sociale” ossia “un agire che sia riferito all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo
corso in base a questo”.
Weber definisce la cultura come “una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire
del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo”. Questa
definizione ha un uso sia metodologico che sostantivo. Metodologicamente indica il modo in cui le
scienze della cultura possono raggiungere l’oggettività scientifica: è sulla base dei valori che lo
scienziato sceglie il dato empirico. L’impulso a conoscere è generato dai nostri valori (senza
connotazione morale del termine).
Questa definizione ha anche un uso sostantivo, applicandosi allo studio dell’operare
concreto della cultura: agli individui in generale la realtà non si presenta come una collezione di
fatti separati, ma come un contesto dotato di significato. È perché gli individui attribuiscono un
significato alla realtà che possono agire, compiere a volte scelte radicali e modificare la propria
esistenza. Ma perché un fatto acquisisca un significato e sia in grado di influenzare e orientare
l’azione dei soggetti deve rientrare in concezioni e interpretazioni più ampie, in connessioni di
senso condivise e riconosciute come buone e giuste.
Il secondo dibattito si concentra sulla controversia tra l’idealismo e il materialismo. Ad un
polo troviamo le filosofie idealiste (dalla filosofia di Platone, all'idealismo trascendentale di Fichte,
Hegel) che pongono le idee come principi per conoscere la realtà stessa, mentre all'altro polo
abbiamo le filosofie materialiste, che pongono a fondamento della realtà la materia.
A metà del XIX secolo, attraverso la critica di Marx all’idealismo della filosofia di Hegel, si
sviluppò una controversia sul ruolo dei fattori culturali. La questione in sostanza può essere così
riassunta: se i fattori culturali possiedano una loro autonomia relativa e siano quindi in grado di
influenzare e modificare le relazioni sociali o se, al contrario, rappresentino un riflesso della
struttura economico-sociale.
Sia Weber che Simmel esposero la loro interpretazione riguardo questa controversia.
Weber polemizzò in molti suoi lavori con il determinismo economico del materialismo
storico, con l’idea cioè che le forme del pensiero, del diritto, della morale siano il prodotto delle
condizioni economiche della società. Tutta la sua opera può essere intesa come il tentativo di
mostrare il ruolo cruciale svolto dalle credenze e dai valori nell’orientare, in un senso piuttosto che
in un altro, il comportamento delle persone.
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Le ricerche di Weber sullo spirito del capitalismo, sul ruolo dell'etica protestante nel favorire
lo sviluppo di un comportamento economico nazionale, rappresentano casi concreti in cui applica
un modello innovativo originale del modo in cui la cultura si collega alla realtà sociale. Weber
cerca, infatti, di sottrarsi al rischio di criticare il materialismo in nome dell’idealismo e di
un’interpretazione spiritualistica della storia. Il fatto di aver messo in evidenza i fattori culturali
della nascita del capitalismo ha solo un valore euristico, in quanto consente di isolare una possibile
causa che non esclude, tuttavia, la presenza anche di altre cause di tipo economico, sociale o
politico. È del tutto legittimo prendere in considerazione sia l’influenza dell’economia sull’etica
religiosa sia il rapporto inverso, ossia l’influenza dell’etica sullo sviluppo economico, a patto però
di non concepirlo in maniera univoca, ma come un condizionamento reciproco.
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2 Simmel e il rapporto di causalità reciproca
Georg Simmel (Berlino, 1º marzo 1858 – Strasburgo, 28 settembre 1918) è stato un filosofo
e sociologo tedesco. Ha analizzato gli eventi storici e sociali sia per come vengono originati dalla
vita delle persone, sia per come le figure sociali vengano costruite dall'interazione tra individui.[1]
Oggi è considerato uno dei padri "fondatori" della sociologia con Emile Durkheim e Max Weber
nonostante non abbia fondato una "scuola", né molti si siano dichiarati simmeliani. Il suo pensiero è
stato utilizzato da molti e in modi diversi anche per la vastità della sua opera e attraverso la
mediazione di Robert Park divenne un autore di riferimento per la Scuola di Chicago e la sua
sociologia venne accostata alla psicologia sociale di George Herbert Mead.
Simmel per primo si interessa dal punto di vista sociologico dei fenomeni legati ai grandi
agglomerati metropolitani. Per Simmel la sociologia studia le forme dell'interazione più di quanto
queste incidano effettivamente; in pratica i sociologi non possono spiegare il perché di un'azione,
perché l'azione è legata alla spontaneità individuale, ma possono analizzare le forme che l'azione
può assumere. Simmel analizza gli effetti sociali della modernizzazione e nella sua opera troviamo
riferimento a tre temi fondamentali:
•
la dimensione
•
la divisione del lavoro
•
il denaro-razionalità
Egli dunque studia il passaggio dal piccolo gruppo al grande gruppo (il quale, raggiunta una
certa dimensione, deve sviluppare forme e organi), in cui l'individuo diventa sempre più solo,
analizzando gruppi di elementi (diade, triade, ecc.). La divisione del lavoro porta alla
frammentazione della vita sociale, le cerchie sociali da concentriche diventano tangenziali e
incoraggia l'individualismo e l'egoismo. Il denaro è la fonte e l'espressione della razionalità e
dell'intellettualismo metropolitano ed è qualcosa di assolutamente impersonale, è un livellatore,
riduce qualsiasi valore qualitativo ad una base quantitativa, portando quindi al determinarsi
dell'ipertrofia della cultura oggettiva e all'atrofia della cultura soggettiva. La città moderna, la
metropoli, porta ad una vita alienata. Nell'individuo metropolitano le sfere della famiglia e del
vicinato, tipiche della comunità, perdono il loro peso, per essere sostituite dalla sfera dei mille
contatti superficiali. L'individuo metropolitano vive una vita nervosa, perché un susseguirsi
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frenetico di immagini colpiscono il suo sistema nervoso, causando una diminuzione della capacità
di reazione agli stimoli (uomo blasé). L'individuo è quindi costretto a cercare rifugio negli spazi
interstiziali dove si sostanzia la ricerca dell'"altrove" e dove è totalmente assente il condizionamento
rigido del contesto sociale.
Weber sostiene una reciproca influenza tra idee e società.
Anche per Simmel tra condizioni sociali e idee vi è un rapporto di causalità reciproca.
Ciò significa che le nostre idee non possono essere interamente indipendenti dalle
condizioni sociali, ma che non potrebbero ugualmente esserne dipendenti. Ciò nonostante non
dobbiamo stupirci dell'influenza su tale questione delle due teorie contraddittorie: idealismo e
materialismo. Entrambe traducono la tendenza che abbiamo a trasformare le relazioni di causalità
circolari in relazioni unilaterali; entrambe contengono parti di verità e allo stesso tempo, entrambe
sono false, nonostante ciascuna delle due abbia ragione nei confronti dell'altra.
Questa prospettiva teorica e metodologica accomuna Simmel a Weber e ha delle
conseguenze importanti nei confronti dell’analisi culturale, sull'approccio che inizia a delinearsi,
nell'ambito tedesco, nei confronti dell’analisi culturale.
1. Innanzitutto viene precisato che la distinzione tra cultura e società è di tipo analitico,
riguarda cioè il livello concettuale e non la realtà ontologica. La cultura non è un “oggetto”
ontologicamente separato da altri, ma un concetto con cui classifichiamo i fenomeni
sottolineandone gli aspetti per noi importanti al fine della loro comprensione.
2. In secondo luogo, le credenze e i valori sono, per entrambi gli autori, una cultura
collettiva, nel senso che si tratta di rappresentazioni che non appartengono all’ambito privato, ma
sono pubbliche. In questa direzione dell'analisi di una nuova concezione del mondo e si va
diffondendo in tutto l'Occidente moderno, procede non sono la descrizione di Weber dello "spirito
del capitalismo", ma anche Simmel, in “Filosofia del denaro” procede in questa direzione. Egli si
sofferma principalmente sul carattere simbolico del denaro nella cultura moderna. Si tratta di un
processo di progressiva dematerializzazione che non ha altra realtà se non quella di simboleggiare le
relazioni tra gli individui. Il denaro si è enormemente diffuso ma ha cambiato natura: in sé non ha
valore se non come mezzo di scambio, ma tende a trasformarsi in un valore in se stesso. Si produce
un’oggettivazione dei valori, per cui ciò che prima era un valore soggettivo, diventa una proprietà
delle cose in quanto tali. Ne risulta profondamente influenzato il pensiero umano, che diventa
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sempre più intellettualizzato e individualista, attento a tutti gli aspetti della vita che si prestano ad
essere calcolati e quantificati.
La cultura moderna, secondo Simmel, si manifesta in un’espansione senza precedenti della
cultura oggettiva: i prodotti dell’arte, della tecnica, degli oggetti d’uso domestico e dei consumi,…
Ma il soggetto che si rivolge ai contenuti della cultura oggettiva rimane frustrato perché non
è più in grado di incorporarli e farli propri, non è più capace cioè di farli diventare cultura
soggettiva. La situazione è descritta come “tragedia della modernità” in quanto il soggetto desidera
quelle forme oggettivate ma queste eccedono sempre le sue possibilità concrete di appropriazione.
Questa situazione deriva dalla crescente divisione del lavoro, che Simmel descrive in maniera
diversa da Durkheim, in quanto analizza l’individualismo prodotto dalla differenziazione sociale a
cui l’individuo contemporaneamente appartiene.
Nell'ultima fase della sua opera, in cui si accentuano le tendenze mistiche , Simmel sviluppa
una concezione vitalistica , una vera e propria filosofia della vita intesa come accettazione
rassegnata dell'eterno conflitto tra soggetto e oggetto. Unico rimedio è il mondo dell' arte , ancora
caratterizzato dalla libertà. La vita si manifesta come contrasto tra lo spirito e le sue stesse forme.
Lo spirito vitale deve continuamente travalicare la non-vita di ciò che è semplice esistenza e deve
nel contempo trascendere l'irrigidirsi delle forme spirituali medesime, in quanto destinate a cadere
nella non-verità. Questo contrasto non può mai metter capo a una verità definitiva e assoluta. Anche
la filosofia non può che essere espressione di "tipi o forme molteplici della spiritualità umana" (per
esempio la concezione del mondo di Schopenhauer e, nello stesso tempo, il suo opposto specifico
proposto da Nietzsche). In ognuno di questi tipi, la vita pulsa per un attimo, per poi passar oltre: la
metafisica della vita non può trovare espressioni adeguate e definitive della sua verità. Il contrasto
tra la vita e le forme è infatti l'elemento necessario in cui vive la vita stessa. Esso si esprime in vari
modi: nella morte, dove la vita non conosce soltanto la propria cessazione, ma anche il suo limite
immanente, in un'anticipazione che presuppone un'esperienza del tempo diversa da quella della
successione irreversibile degli attimi ; la morte diventa così capacità di individuazione, giacché
"solo ciò che è unico e irripetibile può propriamente morire". Un'altra espressione del contrasto è il
dovere morale, sentito come autonoma capacità normativa. Il contrasto, infine, costituisce ciò che
Simmel chiama la tragedia della cultura , cioè la tendenza sempre perdente delle forme culturali a
conservarsi contro la vita che le ha prima incorporate e poi superate. Nel mondo contemporaneo la
resistenza delle forme si riduce progressivamente: la vita manifesta un'avversione definitiva per la
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forma in quanto tale; a ciò corrisponde allora una tragedia sociale : l'individuo rifiuta sempre più di
sottomettersi passivamente alle forme e istituzioni sociali. Da qui una permanente conflittualità che
si pone alla base del processo stesso di socializzazione.
3. In terzo luogo viene meno l’equivalenza tra cultura e tradizione. La cultura non è solo
consuetudine ma è innovazione e implica un ruolo attivo delle idee. Questo punto differenzia
l’impostazione di Durkheim da quella di Weber rispetto alla cultura.
Nel primo, infatti, le rappresentazioni collettive sono viste come un sistema chiuso, statico e
come prodotti anonimi di forze e meccanismi sociali estranei agli attori, indipendentemente cioè
dalla loro coscienza.
In Weber, invece, le concezioni del mondo e le idee hanno una loro logica e dinamica
interna e sono creazioni di individui e di gruppi sociali, intellettuali, movimenti religiosi,… Per
Weber la cultura riveste un ruolo attivo, e di mediazione tra gli interessi degli strati sociali e l’agire
sociale, nel senso che orienta questi interessi in una direzione piuttosto che in un’altra.
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3 Metropoli e personalita'
Simmel ha formulato interessanti riflessioni di carattere sociologico in virtù delle quali viene
considerato uno dei padri della sociologia. In particolare nel breve saggio "Metropoli e personalità",
egli individua alcuni caratteri essenziali della metropoli del proprio tempo fornendo chiavi
interpretative che tuttora, trascorso parecchio tempo e cambiate radicalmente le condizioni di vita
dell'uomo, risultano di estremo interesse ed attualità. Simmel guarda, con un certo distacco, la
metropoli, gli uomini che la popolano, le interazioni sociali che in essa si verificano e confronta
quanto osservato con i corrispondenti fenomeni che avvengono in una piccola città. Dal confronto
emergono due osservazioni, due differenze sostanziali fra metropoli e piccole città o ambienti rurali
dalle quali Simmel trae due categorie interpretative che, utilizzate congiuntamente, permettono di
spiegare alcuni fenomeni metropolitani:
1) osservazione di carattere neuro-psicologico: nella metropoli gli abitanti ricevono un ricco
insieme di stimoli che evolvono e cambiano rapidamente, un susseguirsi di impressioni ed
immagini che affollano la loro mente. Spostandosi in ambiente rurale da tale ritmo veloce,
conseguente alle intense stimolazioni nervose, si passa ad un ritmo lento. Il ritmo della vita e delle
immagini sensorie mentali scorre più lentamente, più abitudinariamente e con maggior uniformità.
2) osservazione di carattere economico: la città è sede dell'economia monetaria. Qui tutti gli
scambi sono regolati con il denaro. Per dirla con Simmel, "l'economia del denaro domina la
metropoli". Il baratto, lo scambio diretto di beni, spariscono e chi produce lavora per il mercato, per
un consumatore che non conosce e che non incontra mai direttamente, un consumatore che effettua i
propri acquisti presso vari commercianti, intermediari che grazie all'esistenza del denaro possono
più facilmente speculare sugli acquisti e sulle vendite ricavando un guadagno personale senza aver
realizzato alcun prodotto. In realtà all'origine dello sviluppo dell'economia del denaro e della
divisione del lavoro sta la rivoluzione industriale, il mutamento delle modalità di produzione e del
sistema di scambi. Ma a Simmel non interessa indagare tale circostanza; egli intende soprattutto
esaminare le peculiarità psicologiche del carattere degli individui che abitano in un'area urbana e le
conseguenti interazioni sociali.
Consideriamo ora alcune caratteristiche dell'ambiente metropolitano che Simmel ha
individuato e spiegato attraverso i due paradigmi interpretativi descritti.
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3.1.
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Intellettualità sofisticata
La prima di queste caratteristiche consiste nell'intellettualità sofisticata, nel distacco e nella
razionalità che, secondo Simmel, sono tipiche dell'uomo metropolitano. Come conseguenza della
prima osservazione che vede la metropoli luogo di sovrastimolazione sensoriale Simmel,
utilizzando un approccio evoluzionista, deduce che necessariamente l'uomo metropolitano, per
adattarsi all'ambiente, ha sviluppato un organo di difesa che lo protegge dagli eccessivi stimoli a cui
è sottoposto: l' intelletto . Ha imparato a rispondere ai numerosi stimoli che lo colpiscono reagendo
con l'intelletto anziché con il cuore. Per difendere, tutelare la propria vita soggettiva contro il potere
opprimente della vita metropolitana il cittadino ha sviluppato una intellettualità sofisticata, una
indifferenza per qualsiasi individualità e un'abitudine ad instaurare rapporti formali e distaccati. E'
facile osservare che gli abitanti di una grande città hanno una sorta di riservatezza, riserbo,
indifferenza verso gli altri concittadini. Ciò perché se ai continui contatti esterni con innumerevoli
individui corrispondessero altrettante reazioni interne, come avviene nelle cittadine dove si
conoscono quasi tutte le persone che si incontrano, sarebbe impossibile condurre normalmente la
propria vita quotidiana. Il risultato di questo riserbo è che spesso non si conoscono neppure
superficialmente quelli che sono stati per anni i nostri vicini.
3.2.
Il denaro
Anche il carattere monetario dell'economia cittadina contribuisce a spiegare, accrescere e
rafforzare l'intellettualità, la razionalità del cittadino metropolitano. L'uomo abituato a rapportare
tutto con il denaro acquisisce un atteggiamento pragmatico nel trattare gli uomini e le cose, un
atteggiamento in cui a una giustizia formale si unisce una durezza spietata. Il denaro riduce
qualsiasi qualità e ogni individualità alla domanda: quanto?" L'altro viene ad essere considerato
solo, o prevalentemente, in termini di un egoistico tornaconto personale. Ciò che interessa è solo il
rendimento oggettivo misurabile. Così le relazioni, le interazioni con gli altri divengono quasi
sempre delle pure contrattazioni. Dunque l'uomo è spinto, condizionato, anche dall'ambiente
economico in cui vive a rapportarsi con i propri simili utilizzando l'intelletto anziché il cuore.
3.3.
L'atteggiamento blasé
Un'altra caratteristica tipica dell'ambiente metropolitano è l'atteggiamento blasé: l'individuo
ostenta indifferenza e scetticismo e risponde in maniera smorzata a un forte stimolo esterno a causa
di una precedente sovrastimolazione, o meglio in conseguenza di stimolazioni nervose in rapido
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movimento, strettamente susseguentesi e fortemente discordanti. La più immediata causa all'origine
di questo atteggiamento è la sovrastimolazione sensoriale offerta dalla città. Il cittadino sottoposto a
continui stimoli in qualche modo si abitua, diviene meno recettivo. Il susseguirsi quotidiano di
notizie ed emozioni fa divenire tutto normale, consuma le energie. Così subentra un'incapacità di
reagire a sensazioni nuove con la dovuta energia e questo costituisce quell'atteggiamento blasé che,
infatti, ogni bambino metropolitano dimostra a paragone di bambini provenienti da ambienti più
stabili e tranquilli. Gli aspetti economici, l'economia monetaria e la divisione del lavoro alimentano
anch'essi l'atteggiamento blasé. Il denaro è l'equivalente, l'unità di misura e spesso l'unico termine di
confronto, di tutti gli innumerevoli oggetti, fra loro molto diversi, di cui dispone l'uomo. Oggetti per
altro acquistati da un mercante e non da chi con fatica ed intelligenza li ha prodotti. Naturale
conseguenza è la perdita dell'essenza e del significato delle cose. Tutto diventa opaco, la
valutazione pecuniaria dell'oggetto finisce col divenire più importante delle sue stesse
caratteristiche. Così si acquisisce l'insensibilità ad ogni distinzione, che è un'altra caratteristica
dell'atteggiamento blasé.
3.4.
La monetizzazione del tempo
Ulteriore caratteristica metropolitana è la precisione con cui tutto è misurato, monetizzato e
calcolato. Anche il tempo delle persone, quindi la loro vita o parte di essa, viene accuratamente
misurato e monetizzato. Nella metropoli gli individui agiscono in modo sincrono. L'orologio
permette e regola il funzionamento di tutte le metropoli, misura la vita e ne consente una
quantificazione economica, la monetizzazione del tempo. L'importanza assunta dal tempo, dalla più
rigida puntualità nelle promesse e nei servizi e quindi dal corrispondente strumento di misura:
l'orologio, è conseguente soprattutto alla complessa organizzazione della vita metropolitana, alla
divisione e specializzazione del lavoro. Organizzazione che a sua volta deriva dall'elevato numero
di persone che vivono nella stessa città e quindi dalle inevitabili distanze che separano individui
luoghi ed attività e che rendono ogni attesa e ogni appuntamento mancato un intollerabile spreco di
tempo che la società non può permettersi.
3.5.
La maggiore libertà possibile
La metropoli è anche il luogo della società in cui, secondo Simmel, l'uomo gode della
maggior libertà possibile. Libertà che deriva proprio dalle caratteristiche fin qui descritte ed in
particolare da quel riserbo, quell'indifferenza e quel distacco che caratterizzano i rapporti
interpersonali metropolitani. Dunque l'uomo metropolitano è libero rispetto alla meschinità e ai
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giudizi che limitano l'uomo della piccola città. Purtroppo l'altra faccia di questa maggior libertà è
che nella folla metropolitana ci si sente tanto soli e sperduti come non mai. E ciò non deve stupire
perché non è assolutamente stabilito che la libertà dell'uomo assuma per la sua vita emotiva un
ruolo confortevole.
3.6.
Evoluzione umana e sociale
Nella metropoli Simmel individua inoltre alcuni aspetti dell'evoluzione umana e sociale
conseguenti soprattutto alla rivoluzione industriale. Mentre l'uomo primitivo conquistava la propria
sopravvivenza nella quotidiana lotta contro la natura il cittadino moderno, dice Simmel, combatte
ogni giorno contro il livellamento e lo sfruttamento perpetrato ai sui danni dalla società e dalla
tecnologia. Attraverso queste battaglie, il cittadino difende la propria sopravvivenza fisica e sociale,
la propria posizione. La città ospita una molteplicità di imprese e di organizzazioni che necessitano
di una ricca serie di servizi. Nel contempo la concentrazione di persone e la loro lotta per
conquistare una propria individualità emergendo sugli altri spinge ciascuno a specializzarsi in una
funzione in cui non possa essere facilmente sostituito da un altro. Si può quindi affermare che la
vita cittadina ha trasformato la lotta con la natura per il sostentamento in una lotta tra uomini per il
guadagno, guadagno che non è offerto dalla natura, ma da altri uomini.
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4 Sociologia della cultura: Alfred Weber e Max
Weber
In Germania, negli anni 20, emerse il tentativo di dare vita a una sociologia della cultura e a
una sociologia della conoscenza, intese spesso come equivalenti. Tra gli autori principali ricordiamo
Alfred Weber, fratello minore di Max, Karl Mannheim e Max Scheler, ricordati per aver contribuito
a questa fondazione.
Per A. Weber premessa necessaria della sociologia della cultura è il riconoscimento
dell’esistenza di due mondi diversi:
1. l’universo oggettivo e universale delle forme dell’elaborazione scientifica, tecnica ed
organizzativa;
2. l'universo soggettivo e particolare dell’elaborazione artistica, religiosa, letteraria, rituale.
Il materiale grezzo dell’esperienza nel primo mondo è plasmato dalla ragione e
dall’intelletto, nel secondo è creato dal sentimento, precisandosi quindi come una sfera
essenzialmente espressiva ed emozionale.
Per definire questi due ambiti o sfere distinte e opposte Weber si serve dell’antitesi tra
cultura e civilizzazione. Questa opposizione inizialmente contrapponeva la concezione romantica a
quella illuministica della storia, mentre in seguito, alla fine dell'800 descrive la crescente
razionalizzazione e meccanizzazione prodotte dall’affermarsi del progresso tecnico-scientifico in
opposizione ai valori spirituali della cultura di un popolo.
In Weber la contrapposizione tra comunità e società si caratterizza come contrapposizione
tra il mondo culturale, vicino ai sentimenti e ai destini vitali degli individui, e il mondo civilizzato,
in cui il pensiero tecnico-scientifico della natura produce una razionalizzazione oggettiva e
impersonale, estranea agli affetti e alla vita emozionale delle persone.
Ne consegue che solo la civilizzazione si sviluppa secondo un andamento progressivo; al
contrario i prodotti della cultura non sono ordinabili in alcuna scala, si possono ripresentare nella
stessa società in periodi diversi o contemporaneamente in società diverse, e non sono in questo
senso confrontabili. Per la cultura non si può parlare di progresso ma solo di “fluttuazione” e
“movimento”.
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Con questo modo di intendere la cultura Alfred Weber non poteva che entrare in polemica
col fratello, per quanto riguarda il modo stesso di concepire la cultura.
Mentre per Alfred la cultura si configura come un oggetto a sé stante, per Max invece la
cultura è un campo di ricerca costruito in base a un’operazione di selezione e di attribuzione di
significato. Per quest’ultimo non sarebbe possibile distinguere mondo della cultura e mondo della
civilizzazione, né tantomeno attribuire ad uno un valore inferiore all’altro.
Tuttavia la grande notorietà di A.Weber si offuscò in breve tempo, anche se alcuni temi da
lui affrontati hanno influenzato la sociologia della cultura dei suoi allievi come: Mannheim e
Scheler, che, negli anni 20, elaborarono i fondamenti di una nuova disciplina, la sociologia della
conoscenza.
Questa se per M. doveva essere intesa come un ambito di una più ampia sociologia della
cultura, per S. di fatto sociologia della cultura e del sapere coincidono. Anch’essi esprimevano il
tentativo di presentarsi come risposta al marxismo.
•
la comprensione e la spiegazione non sono metodi antitetici nell’analisi dei fenomeni
sociali e culturali, bensì complementari
•
il ruolo delle idee come motore degli eventi umani è tanto importante quanto quello
delle condizioni materiali di vita delle varie classi sociali
•
credenze e valori sono concezioni del mondo che si costituiscono all’interno di
contesti di interazione sociale, nella relazione con gli altri, assumendo in tal modo un carattere
intersoggettivo
Max Weber e Simmel ritengono che:
Al centro del loro interesse vi era la ricerca delle relazioni tra esistenza e pensiero, tra
diversi aspetti della conoscenza e il più ampio conteso storico-sociale in cui si
sviluppano. Questa prospettiva di si collega all'approccio della scuola sociologica francese
di sociologia, anch'essa interessata a studiare il rapporto tra pensiero e fattori socio-economici.
Alfred Weber ritiene che:
vi sia una separazione tra mondo della scienza e della cultura
i prodotti della cultura non sono ordinabili né classificabili
metodo intuizionista
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5 Max Weber
Karl Emil Maximilian Weber (Erfurt, 21 aprile 1864 – Monaco di Baviera, 14 giugno 1920)
è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco.
È considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica
amministrazione. Cominciò la sua carriera accademica all'Università Humboldt di Berlino;
successivamente lavorò all'Università Albert Ludwigs di Friburgo, all'Università di Heidelberg,
all'Università di Vienna e all'Università di Monaco di Baviera. Personaggio influente nella politica
tedesca del suo tempo, fu consigliere dei negoziatori tedeschi durante il Trattato di Versailles
(1919) e della commissione incaricata di redigere la Costituzione di Weimar.
Larga parte del suo lavoro di pensatore e studioso riguardò la razionalizzazione nell'ambito
della sociologia della religione e della sociologia politica, ma i suoi studi diedero un contributo
importante anche nel campo dell'economia. La sua opera più famosa è il saggio L'etica protestante e
lo spirito del capitalismo, con il quale iniziò le sue riflessioni sulla sociologia della religione. Weber
sosteneva che la religione era una delle ragioni non esclusive per cui le culture dell'occidente e
dell'oriente si sono sviluppate in maniera diversa, e sottolineava l'importanza di alcune particolari
caratteristiche del Protestantesimo ascetico che portarono alla nascita del capitalismo, della
burocrazia e dello stato razionale e legale nei paesi occidentali.
In un'altra sua importante opera, La politica come vocazione, Weber definì lo Stato come
"un'entità che reclama il monopolio sull'uso legittimo della forza fisica": una definizione divenuta
centrale nello studio delle moderne scienze politiche in occidente. Ai suoi contributi più noti si fa
spesso riferimento come "Tesi di Weber".
Per Max Weber la sociologia e le altre scienze sociali non devono occuparsi dell’intera
realtà sociale, ma dell’agire sociale. L’agire sociale è il comportamento di uno o più individui in
relazione al fatto che si è consapevoli della presenza degli altri, cioè della società.
Gli uomini sono esseri culturali nel segno che danno sempre uno o più significati al proprio
comportamento o a quello degli altri. A differenza di Durkheim, Weber utilizza il termine cultura e
ne dà anche una definizione:
‘Una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito
senso e significato dal punto di vista dell’uomo”
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Con questa definizione Weber offre sia uno spunto metodologico, sia uno visione di cosa
deve essere inteso per cultura rispetto alla società.
Metodologia di Weber: i dati empirici vengono selezionati sulla base dei valori che ispirano
il sociologo. I valori qui non sono da intendere nel senso di moralità, norme o orientamenti
personali del sociologo, ma ciò che egli ritiene centrale da esaminare per valutare un fenomeno.
Per Weber la cultura è l’insieme delle interpretazioni fatte proprie dai gruppi sociali. A tali
interpretazioni sono riconducibili i fenomeni sociali di grande portata come i costumi, le
convenzioni, le regole, le leggi e le istituzioni che caratterizzano i gruppi stessi, conferiscono a tali
gruppi un’identità collettiva, che trasmettono e a volte impongono agli individui. Le diverse
interpretazioni configurano anche diversi interessi presenti all’interno della società. Quindi nella
società vi sono preferenze potenzialmente incompatibili. Secondo Weber alla base dei conflitti
sociali vi sono interessi materiali e interessi ideali. A volte nella comprensione del conflitto sono
più importnati i primi, altre volte i secondi, altre volte ancora entrambi.
Proprio perché la complessa realtà sociale è aperta ad interpretazioni diverse, per Weber è
necessario elaborare tipologie: insiemi di astrazioni possibili per interpretare i diversi problemi di
spiegazione posti dalla storia. Weber definisce tipi-ideali i concetti che sono alla base delle sue
tipologie. Un tipo-ideale è tale perché la sua capacità di offrire un’interpretazione di un determinato
fenomeno sociale o storico non si applica all’intera realtà e a tutte le sfaccettature che la
sostanziano. È solo un’astrazione, una riduzione della realtà che funziona come sua sintesi.
Alla base del concetto di cultura di Weber si evince che l’azione individuale si fa sociale, se
in quanto un soggetto interpreta più o meno consapevolmente l’attività di altri soggetti e viceversa.
Sviluppi storici importanti e consistenti possono essere anche dovuti fenomeni di carattere
puramente culturale. Weber sottolinea ad esempio l’importanza dell’emergere di credenze e valori
innovativi o di potenzialità tecniche che non si rapportano direttamente e in un primo momento alle
questioni delle strutture sociali (disuguaglianze sociali, economiche, etc)
Weber ritiene che l’obiettivo di comprendere i fenomeni sociali non escluda del tutto la
possibilità di spiegarli. Tuttavia la spiegazione non può basarsi su leggi universali.
La sociologia può e deve essere:
Avalutativa
Basata su ideal-tipi, sotto-tipi e sotto-sotto-tipi fino a giungere alla approssimazione
più dettagliata e vicina al fenomeno preso in esame
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Non deterministica nelle cause, ma multicausale
Centrata su visioni multi-dimensionali
1.
Avalutatività
-
Compito istituzionale della sociologia: dare una descrizione avalutativa dei fenomeni
sociali - - Sforzo morale ed intellettuale che richiede ogni tentativo di dare una descrizioni
avalutativa di un fenomeno sociale (povertà, valori borghesi, …)
-
Modernità verte su due valori opposti:
1.
Pluralità dei valori concepita come non tolleranza verso coloro che sbagliano
2.
Impegno individuale per la realizzazione dei valori liberamente scelti
Tra questi vi è però una forte contraddizione: se riconosco la pluralità dei valori non posso
impegnarmi totalmente per realizzarne solamente uno!
Sforzo di avere atteggiamento a valutativo nei confronti dei valori presuppone che
ammettiamo che:
-
La pluralità dei valori è irriducibile = impossibile ordinarli scientificamente in ordine
di preferenza
-
Conflitti all’interno della società possono essere diminuiti attraverso interpretazione
avalutativa dei valori
contribuiscono al mutamento razionale delle nostre azioni poiché ci rendono consapevoli delle loro
conseguenze pratiche = costi che loro applicazione implica agli altri
Distinzione tra:
-
Etica della convinzione: chi vuole far valere le proprie convinzioni di valore a
prescindere dai costi che la loro applicazione implica agli altri
-
Etica delle conseguenze: chi considera i costi di quest’imposizione
Gli intellettuali e le scienze sociali hanno una loro etica che consiste nel promuovere senso
di responsabilità di fronte alle conseguenze pratiche delle posizioni di valore.
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2.
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Razionalità
Tipo unico di azione affermata solo in Occidente, caratterizzata dal fatto che gli individui
organizzano le proprie azioni in riferimento ad un sistema unitario, complesso e conscio di
significati
-
L’attore razionale agisce non per raggiungere gli scopi pratici MA per essere
coerente con questo sistema di significati
-
Le azioni sono razionali non in quanto efficienti nel raggiungimento del loro scopo
MA in quanto sono ancorate ad un sistema di valori da cui ricavano il loro senso e motivano a
scegliere un fine anziché un altro
3.
Legittimità
Weber definisce 3 tipi di potere legittimo:
A.
Potere tradizionale: fonte di legittimità è il ripetersi del passato
B.
Poter legale: fonte di legittimità è la statuizione tecnicamente corretta delle leggi da
parte di un ufficio autorizzato
C.
Potere carismatico: fonte di legittimità è la fede nella natura straordinaria del suo
portatore
In realtà, il potere legittimo si forma attraverso il processo di “quotidianizzazione” del
-
Termine carisma = irruzione nella storia di una profezia e di una leadership capace di
interrompere la routine quotidiana e di instaurare nuovi riferimenti di valore
Ma lo schema di Weber è incoerente: legittimità legale e tradizionale sono, infatti, due
forme di quotidianizzazione, sedimentazione, routinizzazione del carisma. Il potere carismatico,
invece, si oppone alla quotidianità.
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Burocrazia
-
Concepita come potere a cui nessuna forma di governo moderna può sottrarsi: il
burocrate, il tecnico di un universo astratto di regole, esercita il potere reale in tutta la società,
espropria tutte le altre forme di potere
-
7 caratteristiche:
D.
Compiti definiti da una regolazione continuativa, suddivisi funzionalmente
E.
Gli uffici formano una gerarchia
F.
Le funzioni del personale richiedono una preparazione specializzata
G.
Il funzionario dispone di mezzi rigorosamente distinti dai suoi mezzi di privato
cittadino per esercitare la sua funzione
H.
Occupare un ufficio esclude qualsiasi forma di proprietà sui mezzi ad esso legati
I.
L’amministrazione si basa su una documentazione scritta
J.
L’autorità legale si basa nel suo esercizio effettivo su di un personale amministrativo
burocratico specializzato e reclutato secondo le leggi
-
Funzionari ed impiegati hanno le seguenti caratteristiche:
A.
Subordinati solo ai doveri d’ufficio
B.
Definiti gerarchicamente
C.
Nominati in base ad un contratto pubblico dopo aver superato un esame pubblico
D.
Il contratto garantisce salario e indipendenza nell’esercizio dei compiti di
competenza
E.
Il dovere d’ufficio è occupazione principale dell’impiegato burocratico
F.
La sua carriera è regolata da leggi
G.
Soggetti ad una disciplina specifica controllata in termini di legge
Dalla concezione weberiana della burocrazia Robert Michels ha derivato la sua celebre
“legge ferrea dell’oligarchia”: ogni organizzazione in una società di massa si trasforma
necessariamente in oligarchia. La conclusione è che l’organizzazione distrugge la democrazia
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trasformandola con necessità ferrea in oligarchia. E ponendo dei problemi seri, poiché impone alla
democrazia di ridefinirsi per essere compatibile con questa legge.
La religione
Essa consente agli individui di attribuire un significato alla propria esistenza e alla morte, di
offrire un senso morale alla vita in società. Ogni religione svolge questi compiti in modi e misure
diverse. Durkheim sosteneva invece una sorta di operare medesimo della religione in tutte le
società.
La diversa religiosa ha ricadute diverse in molteplici altri ambiti esperienza, tra cui appunto,
i processi sociali, persino quelli che hanno a che fare con la produzione, la distribuzione e il
consumo nel mondo economico.
La religione e la genesi del mondo moderno.
Secondo Weber, all’interno di una serie di pre-condizioni economiche, tecnologiche,
storiche e sociali, il capitalismo occidentale nasce e si sviluppa anche perché un tipo di borghesia
imprenditoriale si ispira a nuovi valori nel suo operare quotidiano.
L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
La grand innovazione religiosa è nell’ideal-tipo della riforma protestante e nello specifico
tipo di valori promosso dalla corrente calvinista che promuove la predestinazione e indirettamente
l’ascetismo mondano.
Il disegno divino determina una volta per tutte e per ciascun individuo la sua salvezza o
dannazione. Ciascuno è predestinato all’una o all’altro. Da ciò deriva un’assillante anzia circa il
proprio destino, che non è dato né conoscere, né modificare. Ciò può condurre ad un’esistenza
basata sulla continua ricerca dell’evidenza della prova di essere predestinati alla salvezza.
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6 Hegel e la dialettica tra individuo e società
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 27 agosto 1770 – Berlino, 14 novembre 1831) è
stato un filosofo tedesco, considerato il rappresentante più significativo dell'idealismo tedesco.
È autore di una delle linee di pensiero più profonde e complesse della tradizione occidentale.
Partendo dal lavoro dei suoi predecessori nell'idealismo (Fichte e Schelling) e con influenze e
suggestioni di altri sistemi di pensiero, sviluppò una filosofia innovativa, profonda e articolata. La
sua visione storicista e idealista della realtà nel suo complesso ha rivoluzionato il pensiero europeo,
gettando le basi della filosofia continentale e del marxismo successivi.
Hegel sviluppò un quadro teorico completo, un "sistema" (idealismo assoluto), studiando il
rapporto tra mente e natura, soggetto e oggetto della conoscenza e della psicologia; e tenendo conto
nella sua prospettiva dello stato, della storia, dell'arte, della religione e della filosofia. In particolare,
ha sviluppato un concetto di mente o spirito, manifestatasi in una serie di contraddizioni e di
opposizioni e, in ultima analisi, pervenendo a una filosofia della totalità. Esempi di contraddizioni
che vengono superate nel suo sistema filosofico sono quelle tra natura e libertà o tra immanenza e
trascendenza. Le pagine che ricercano tali soluzioni sono spesso di una complessità tale da lasciare
incerti sull'interpretazione più corretta.
Il culmine di questo percorso di valorizzazione della dimensione sociale rispetto a quella
individuale viene espresso nel pensiero di Hegel, per il quale la coscienza singola si realizza solo
nell'interazione con tutte le altre coscienze, e solo nella piena consapevolezza dell'unità inscindibile
che le lega tutte nello Spirito, il quale è pensabile, secondo la celebre definizione, come "Io che è
Noi, e Noi che è Io". Il rapporto tra il livello individuale e quello sociale, secondo Hegel, deve in
concreto essere concettualizzato in termini di continua interazione, dialetticamente fondata.
Con Hegel avviene la svolta ideologica della distinzione tra società e stato, tra società civile
e società politica. Il filosofo tedesco subordina il concetto di società a quello di stato e nel processo
dialettico considera la società civile momento intermedio con la conseguenza che dalla
"immediatezza naturale" dell'aggregazione familiare si giunge alla "consapevolezza" dello stato. Per
Hegel lo stato è insomma una fase autonoma sia rispetto all'organizzazione familiare che alla
società civile e agli interessi di ogni individuo. Lo stato, per Hegel, pur con i suoi limiti e difetti, si
trova a un livello superiore e assicura la libertà etica. La società civile è l'organizzazione finalizzata
a soddisfare i bisogni dei singoli e in essa si raggiunge un equilibrio armonico.
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E in effetti proprio la teoria della dialettica, quale dinamica fondamentale tanto dello
svolgimento storico quanto dei processi di conoscenza, costituisce il più importante contributo alla
storia del pensiero sociale da parte del grande filosofo idealista. Ogni singolo evento o fatto è la
negazione di un evento precedente e tale opposizione sarà risolta come sintesi dinamica in un terzo
livello, ove il processo ricomincia; ciò significa che ogni porzione della realtà ricava la propria
ragione di esistenza dall'insieme dei rapporti di cui è parte, insieme che risulta intrinsecamente
dinamico e in costante divenire. Complessivamente, dunque, è il rapporto parte-tutto ad assumere
una connotazione dialettica, e ciò vale, come si è detto, anche per il rapporto individuo-società.
Sappiamo, , quanto tale impostazione sia risultata cruciale per tutta una serie di sviluppi successivi,
tanto che in certi casi la si dà per scontata, come una delle fondamentali acquisizioni del pensiero
moderno.
La teoria sociale, insomma, è il risolversi della dialettica in sociologia
Quanto v’è di riproponibile del pensiero di Hegel sarebbe precisa-mente l’articolazione
dialettica dell’intero, ovvero la comprensione – più socio-logica che non metafisica – che il tutto
esiste solo nelle parti; e che queste,daccapo, hanno la loro vita solo nell’intero, in quel
Kreis von Kreisen che per Hegel è l’unica figura della verità. Un’idea, questa, tipicamente
olistica, e che s iritrova in altri autori della Grande Teorizzazione sociologica – si pensi solo a
Durkheim
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7 Il concetto di alienazione in Hegel
Hegel è il primo pensatore moderno che abbia elaborato una vera e propria teoria
dell'alienazione. Tale teoria presenta un duplice aspetto: per un verso essa è centrale nella
complessiva articolazione logico-metafisica del sistema hegeliano, per un altro verso viene
utilizzata dal filosofo tedesco nella sua rappresentazione dialettica della storia moderna. I due
aspetti non sono affatto in contrasto tra loro, e tuttavia è opportuno tenerli distinti.
Fra le opere di Hegel, la Fenomenologia dello spirito (1807) è quella che svolge la più ampia
e complessa teorizzazione del concetto di alienazione; essa ha esercitato, come vedremo, un
influsso profondo sul pensiero di Marx e, attraverso Marx e il marxismo, su alcuni filoni della
riflessione etico-politica e filosofico-sociale del nostro secolo. È quindi a quest'opera che occorre
fare, in primo luogo, riferimento.
In quanto categoria logico-metafisica l'alienazione è una categoria centrale della dialettica
hegeliana: essa esprime infatti il momento della scissione, del divenir-altro dello spirito. Il sacrificio
dello spirito, dice Hegel, "è l'alienazione [Entäusserung], in cui lo spirito presenta il suo farsi spirito
nella forma del libero, accidentale accadere, intuendo fuori di lui il suo puro Sé come il tempo, e
similmente il suo essere come spazio" (v. Hegel, 1807; tr. it., vol. II, p. 304).
L'alienazione dello spirito nello spazio è la natura, nel tempo è la storia.
Per Hegel, dunque, l'alienazione o estraniazione è costituita dall'oggettività naturalemateriale e storico-sociale, ed è qualcosa di transitorio, in quanto è destinata a essere superata dallo
spirito. Infatti, se l'alienazione è
"ci`o che ha riferimento e determinatezza, l'esser-altro e l'esser-per-sé", tuttavia "in quella
determinatezza o nel suo essere fuori di sé [lo spirito] resta in se stesso" (ibid., vol. I, p. 19).
La fondamentale ambiguità del concetto hegeliano di alienazione emerge assai bene
nell'ultimo capitolo della Fenomenologia sul "sapere assoluto".
L'alienazione, afferma qui Hegel, ha un significato "non solo negativo, ma anche positivo".
Infatti nell'alienazione l'autocoscienza spirituale "pone sé come oggetto" ovvero "pone l'oggetto
come se stessa". In questo modo, però, essa è "presso di sé nel suo esser-altro come tale", ed essa sa
la "nullità dell'oggetto", perché l'oggetto storico-naturale è una sua autoalienazione, una sua figura.
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Ma allora "in quest'atto è contenuto [anche] l'altro momento onde essa ha anche tolto e ripreso in se
medesima quell'alienazione e oggettività".
In altre parole, l'autocoscienza si aliena sì nell'oggettività storico-naturale, ma, "in forza
della inscindibile unità con se stessa", nel suo esser-altro è presso di sé, e quindi l'alienazione è
implicitamente soppressa e superata.
Se l'alienazione è dunque per Hegel qualcosa di assolutamente necessario, in quanto lo
spirito è essenzialmente scissione (l'Io, dice Hegel, non può irrigidirsi "nella forma
dell'autocoscienza in contrasto alla forma della sostanzialità e dell'oggettività, quasi che abbia paura
della sua alienazione"), essa contiene in sé anche la propria soppressione e il proprio superamento,
poiché, se è vero che l'Io ha un contenuto ch'esso distingue da sé, è altrettanto vero che questo
contenuto è spirituale, è un prodotto dell'Io, è quella medesima pura negatività che è l'Io (ibid., vol.
II, p. 302).
Hegel dà la seguente caratterizzazione generale del processo di alienazione:
"Ma a noi lo spirito ha mostrato di non essere né soltanto il ritrarsi dell'autocoscienza nella
sua pura interiorità, né il mero calarsi di essa nella sostanza e il non-essere della sua differenza; anzi
ha mostrato di essere questo movimento del Sé il quale aliena se stesso e si cala nella sua sostanza e
come soggetto tanto è andato da essa in sé e l'ha resa oggetto e contenuto, quanto toglie questa
differenza dell'oggettività e del contenuto" (ibid., p. 301).
Senonché, come abbiamo detto, Hegel non si è limitato a questa generale elaborazione
logico-metafisica della categoria di alienazione, bensì si è servito di tale concetto per dare una
rappresentazione dialettica della storia antica e moderna. Un'intera sezione della Fenomenologia
dello spirito (Lo spirito a sé estraniato; la cultura) ricostruisce i principali avvenimenti della civiltà
occidentale sotto il segno e mediante la categoria dell'alienazione.
La condizione di alienazione o di estraniazione inizia storicamente nell'epoca del tramonto
della polis, in seguito al venir meno di quell'armonioso rapporto individuo-comunità che costituiva
la caratteristica fondamentale dell'eticità greca. La polis era un tutto armonico, coeso e compatto, in
cui gli individui non facevano valere le loro volontà e i loro interessi particolari, ma agivano e si
sacrificavano per la cosa pubblica, per l'interesse generale o comune. "Nel suo sussistere - dice
Hegel - il regno etico è un mondo non macchiato di scissione alcuna" (ibid., p. 21); qui "lo spirito è
la forza dell'intiero, la quale riconduce insieme quelle parti nell'uno negativo, dà loro il sentimento
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della loro dipendenza e le mantiene nella consapevolezza di avere la loro vita soltanto nell'intiero"
(ibid., p. 14).La situazione storica successiva, che Hegel chiama dello "spirito etraniatosi", è invece
radicalmente diversa.
Qui l'intero è divenuto qualcosa di scisso e di duplice, perché l'autocoscienza non si
riconosce più nel mondo sociale circostante - benché esso sia un suo prodotto - che le si
contrappone come una realtà estranea. Qui l'estraniazione dell'autocoscienza costituisce una vera e
propria frattura fra l'autocoscienza e ciò che essa ha prodotto: ovvero costituisce, come Hegel dice,
una Entwesung, una perdita dell'essenza da parte dell'autocoscienza.
Questa lacerazione o scissione si articola in varie opposizioni dialettiche, alle quali faremo
qui soltanto qualche accenno sommario.
La prima opposizione è fra Stato e Ricchezza. Entrambe queste potenze spirituali esprimono
la sostanza dell'autocoscienza, il suo contenuto e il suo fine: lo Stato costituisce infatti l'essenza
degli individui ed esprime la loro universalità; la Ricchezza, a sua volta, è il risultato, che
incessantemente diviene, del lavoro e del fare di tutti, che promuove il godimento di tutti e si risolve
in esso. In un primo tempo, quindi, l'autocoscienza si riconosce tanto nello Stato quanto nella
Ricchezza. Ma l'autocoscienza non può fermarsi qui, e deve rapportarsi dialetticamente a quelle due
potenze o determinazioni, ora riconoscendosi nella prima e negando la seconda, ora riconoscendosi
nella seconda e negando la prima. E infatti l'autocoscienza trova disuguale a sé e quindi cattivo lo
Stato, poiché in esso trova "negato e soggiogato" l'operare come operare singolo; e trova uguale a sé
e quindi buona la Ricchezza, poiché è un universale che può essere goduto da tutti gli individui. Ma
al tempo stesso l'autocoscienza trova buono lo Stato, poiché esso "ordina i singoli momenti
dell'operare universale", e trova cattiva la Ricchezza, che non ha universalità perché essa rende
possibile soltanto "il godimento di sé come singolarità" (ibid., pp. 54-55).
La prima è soddisfatta dell'ordine sociopolitico esistente, e quindi è conservatrice; essa si
riconosce nel potere pubblico, trova nello Stato la propria essenza e ubbidisce a esso, così come si
riconosce nella Ricchezza e "riconosce come benefattore colui che gliene ha procurato il
godimento, ritenendosi obbligata a gratitudine". La Coscienza ignobile, al contrario, è insoddisfatta
dell'ordine sociopolitico esistente ed è sovvertitrice; essa vede nel potere statale una catena e
un'oppressione, e "obbedisce con malizia sempre pronta alla ribellione ', così come non si riconosce
nella Ricchezza, che ama ma che disprezza.
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La Ricchezza appare sempre più come l'essenza alienata della coscienza, la quale trova in
essa "estraniato il suo Stesso come tale". La Ricchezza produce infatti rivolta in chi non la possiede
(poiché la coscienza vede così "la sua personalità come tale dipendente dalla personalità accidentale
di un altro, dal caso di un istante, di un arbitrio, o, comunque sia, della più indifferente circostanza"
[ibid.]); e produce tracotanza in chi la possiede: la tracotanza di chi "crede di aver conquistato con
un pezzo di pane un altrui Io stesso e che opina di aver con ciò ottenuto l'assoggettamento
dell'essenza più intima di lui"; ma "in questa superbia la Ricchezza non tiene conto dell'intima
indignazione dell'altro, non tiene conto del pieno rifiuto di tutte le catene" (ibid., p. 70). La
Ricchezza, insomma, è una delle categorie centrali della condizione estraniata del mondo moderno,
e coinvolge sia chi la riceve sia chi la dà, sia chi la possiede sia chi non la possiede.
Queste pagine di Hegel hanno esercitato un profondo fascino sul giovane Marx. Infatti nei
Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx scriverà che la Fenomenologia di Hegel, "nella
misura in cui essa tien ferma l'estraniazione dell'uomo (anche se l'uomo vi appare soltanto nella
forma dello spirito)", contiene "tutti gli elementi della critica", certo "nascosti" e tuttavia "spesso
già preparati ed elaborati in un modo che va assai al di là del punto di vista di Hegel". E Marx
aggiungerà che "la"coscienza infelice', la 'coscienza nobile', la lotta tra la coscienza nobile e quella
ignobile, ecc., questi singoli capitoli contengono gli elementi critici - se pure in una forma ancora
estraniata - di interi settori, come la religione, lo Stato, la vita civile [bürgerlich], ecc. ' (v. Marx,
1932; tr. it., p. 166).
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