Letture e approfondimenti 2 MAX WEBER 1864-1920 Tipologia dell’agire Per Weber L’agire sociale comprende ogni tipo di comportamento umano che “può essere orientato in vista dell’atteggiamento passato, presente o previsto come futuro di altri individui” (Economia e società, vol. 1 p. 19) Weber distingue quattro tipi di orientamento nell’agire sociale. Nell’AGIRE DETERMINATO IN MODO RAZIONALE RISPETTO ALLO SCOPO l’individuo calcola razionalmente gli esiti probabili di una data azione in termini di mezzi e fini. Per ottenere un dato obiettivo è usualmente disponibile un insieme di mezzi alternativi. L’individuo che si trova di fronte a questo campo di possibilità valuta l’efficacia relativa di ciascuna di esse al fine di raggiungere lo scopo prefissato; valuta inoltre le conseguenze che il conseguimento di quello scopo avrebbe su altri scopi che egli si propone. Weber applica qui al caso dell’agire sociale in generale quello schema che aveva già formulato in rapporto all’applicazione della conoscenza scientifica della società. L’AGIRE SOCIALE DETERMINATO IN MODO RAZIONALE RISPETTO AL VALORE è invece diretto verso un valore incondizionato e non ritiene pertinente nessun altra considerazione. E’ questo nondimeno un tipo di azione razionale dal momento che implica la formulazione di obbiettivi coerenti rispetto a cui l’individuo finalizza la propria attività. Tutte le azioni dirette verso valori incondizionati come il dovere, l’onore o la dedizione ad una causa si approssimano a questo tipo. La distinzione essenziale tra un agire di questo tipo e un agire determinato “affettivamente” consiste nel fatto che quest’ultimo manca la caratteristica presupposta dal primo per cui l’individuo si batte per un valore chiaramente formulato che guida la sua attività. L’AGIRE DI TIPO AFFETTIVO si sviluppa sotto l’influenza di un qualche tipo di stato emotivo e come tale è un caso limite di agire dotato di senso. Esso ha in comune con l’agire determinato in modo razionale rispetto al valore la caratteristica per cui il senso dell’azione non viene posto, come nel caso di un’azione determinata razionalmente rispetto allo scopo, nell’adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini, ma nell’esecuzione dell’azione come un fine in sé. Il quarto tipo di orientamento all’agire, quello TRADIZIONALE sta pure al margine dell’azione dotata di senso. Infatti esso è determinato dall’influenza delle abitudini. “la massa di tutto l’agire quotidiano acquisito si avvicina a questo tipo..” In questo caso il senso dell’azione viene dedotto da valori o simboli che non necessariamente hanno la forma precisa e coerente di quelli perseguiti nell’agire determinato in modo razionale rispetto al valore. Nella misura in cui però, i valori tradizionali vengono razionalizzati, l’agire di tipo tradizionale converge verso quest’ultimo. Weber non intende questa classificazione come esaustiva. Quello che ci propone è uno schema TIPICO-IDEALE, cioè di un modello costruito mediante un’operazione di astrazione e combinazione di un numero infinito di elementi che, benché tutti presenti nella realtà, si trovano raramente in quella forma specifica. Il suo scopo è facilitare l’analisi delle questioni empiriche. Si veda Giddens, Capitalismo e teoria sociale, Il saggiatore, Milano, 1980 Letture e approfondimenti 2 G.W.F. HEGEL RICONOSCIMENTO (1770-1831) La fenomenologia dello spirito. La Fenomenologia dello Spirito è definita da Hegel come la "storia romanzata della coscienza che attraverso contrasti, scissioni, quindi infelicità e dolore esce dalla sua individualità e raggiunge l’universalità, riconoscendosi come ragione che è realtà e realtà che è ragione". Essa è vista da Hegel anche come una sorta di introduzione alla filosofia nel senso che introduce il singolo alla filosofia cioè tende a far sì che egli si riconosca e si risolva nello Spirito universale. Il desiderio tipicamente umano va oltre l’appagamento dei bisogni naturali, è desiderio di riconoscimento. L’individuo può riconoscere se stesso come soggetto, come volontà libera, soltanto se viene riconosciuto come tale da un altro soggetto, cioè se ottiene che l’altro lo rispetti nella sua dignità di autocoscienza. La possibilità umana di dire "io", che inaugura il mondo dello spirito, nasce esclusivamente in una relazione intersoggettiva. La complessa dialettica servo-signore, che approderà a un rovesciamento finale delle posizioni di partenza, non va intesa in senso realistico, né situata in una fase determinata della storia. Si tratta di un momento concettuale, astrattamente isolato, dell’esperienza fenomenologica. Più che uno stadio della storia umana, lo sviluppo dell’autocoscienza rappresenta la nascita stessa dell’uomo come essere storico e spirituale, la sua liberazione dal ciclo biologico della natura. Il signore ha ottenuto di essere riconosciuto come soggetto libero dal servo, cui ha accordato la vita ma non il riconoscimento. Il servo, che accetta una vita concessa da un altro, si umilia ed è umiliato come cosa, proprietà del signore. Nel suo attaccamento alla vita animale, egli non ha potuto elevarsi al di sopra dell’essere immediato: "questa è la sua catena, dalla quale egli non poteva astrarre nella lotta". Il signore ha invece saputo disprezzare la natura, persino la propria vita in quanto condizionamento naturale, conquistando così un diritto assoluto sulle cose e, attraverso queste sul servo che ne dipende. In modo simmetrico, la relazione del signore con le cose è mediata dal servo che, lavorando, gliele offre dopo averle depurate da ogni elemento di alterità naturale, pronte per il consumo. All’autocoscienza signorile è risparmiato lo scontro quotidiano col mondo; essa nega immediatamente l’oggetto nell’istante effimero del godimento. La vittoria del signore si rivela però illusoria e sterile, non suscettibile di ulteriori sviluppi dialettici. Egli ha ottenuto di essere riconosciuto da qualcuno cui non riconosce alcun valore, cioè da una "cosa". Lo stesso riconoscimento non ha quindi per lui alcun valore. Inoltre, il signore si è liberato dalla dipendenza naturale solo perché dipende dal lavoro del servo. E un’autocoscienza "astratta" che non si è formata in un’effettiva esperienza dell’alterità naturale. Si veda G. W. FRIEDRICH HEGEL di Salvatore Veca http://www.donatoromano.it/index.html