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Quaderni del Parmigiano-Reggiano
IL BURRO:
TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Reggio Emilia 15 Aprile 2010
Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano
Via Kennedy 18 - 42124 Reggio Emilia
Tel. +39 0522 307741 - Fax +39 0522 307748
www.parmigiano-reggiano.it
Alma Mater Studiorum,
Consorzio del Formaggio
Università di Bologna
Parmigiano-Reggiano
“Il burro: tra passato, presente e futuro”
Reggio Emilia 15 Aprile 2010
A cura di:
Dott. Alessandro Gori, Dott. Fabio Coloretti, Prof. Giuseppe Losi
Ragazza che prepara il burro
Jean-Francois Millet, 1869-1870
INDICE
PREFAZIONE – Prof. N. G. Frega
III
RELAZIONI PRESENTATE
Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna
Presentazione del Seminario
pag.8
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Tendenze recenti della produzione e del consumo di burro
nell’unione europea e in Italia
pag.12
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA,
Università di Bologna
Alimentazione delle bovine, produzione e composizione del grasso del latte
pag.34
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Composizione e struttura del grasso del latte
pag.48
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Breve storia del burro nell’alimentazione umana e recenti acquisizioni sugli aspetti
nutrizionali ed extra-nutrizionali
pag.69
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni,
Giuseppe Losi, DISA, Università di Bologna
Nuove conoscenze sulla composizione acidica dei burri di zangola prodotti nel CFPR:
primi risultati di una ricerca biennale
pag.96
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi
Analisi dei burri e difesa dalle frodi
pag.125
Leo Bertozzi, Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano
Conclusioni pag.142
INTERVENTI PROGRAMMATI
Emilio Braghin - Consorzio Granterre Scarl
pag.146
Luciano Castellani - Grana d’oro S.P.A.
pag.148
Carlo Pontiroli – Resp.le Produzione e Controllo Qualità,
Montanari & Gruzza S.P.A.
pag.149
Enrico Bussi - Centro Italiano Servizi dalla Terra
alla Tavola, Parma
pag.150
PREFAZIONE
In passato ho scritto altre prefazioni ed editoriali per riviste scientifiche, ma sono particolarmente
onorato di poter introdurre, nonostante la grande responsabilità che comporta, un libro redatto
da studiosi di chiara fama e autentici conoscitori dell’argomento quali: Alfonso Bonezzi,
Andrea Brugnoli, Giovanni Ballarini, Giovanna Contarini, Andrea Formigoni, Giovanni Lercker,
Giuseppe Losi.
Nella società attuale sia media che sedicenti conoscitori sembrano colpiti da una sorta di
bulimia logorroica, dove predomina l’imperativo: parlare senza conoscere. A tal proposito
vorrei ricordare una frase di Galileo: “parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro,
pochissimi”. Quindi ben vengano iniziative come questo libro che senza dubbio contribuiscono
a ridurre l’oscurità scientifica grazie alla lunga attività di ricerca e alla grande esperienza
didattica degli Autori.
Non è secondario ricordare che la ricerca scientifica è l’attività intellettuale che mira ad
aumentare il grado di conoscenza e si pone alla base dello sviluppo di una società avanzata.
É infatti impossibile elevare il livello culturale di una collettività senza ricerca, così come diventa
impossibile l’innovazione e la competizione. Promuovere la ricerca oggi, in questi momenti
congiunturali difficili, consente di ridurre domani la povertà, l’emarginazione e il disagio sociale.
In questi ultimi anni la diversa struttura sociale, il differente stile di vita, hanno prodotto una
modifica sostanziale del concetto di alimentazione: se fino a poco tempo fa alimentarsi significava
soddisfare solo un bisogno primario, oggi la società orienta le sue scelte verso alimenti che, oltre
ad apportare l’energia necessaria per lo svolgimento dei normali processi metabolici, sono in
grado di preservare un buono stato di salute dell’organismo e di ridurre il rischio di insorgenza
di alcune patologie.
Il burro, come del resto altri tipi di grassi di origine animale, rappresenta oggi un alimento
bersaglio, ha subito e subisce tutt’ora numerosi attacchi il più delle volte immeritati ed ingiustificati.
Attualmente il burro non entra a far parte dei suggerimenti nutrizionali raccomandati, forse
semplicemente per pregiudizio, per sentito dire o per scarsa conoscenza. Gli Autori, con
magistrale chiarezza espressiva, riescono a dare un forte contributo alla conoscenza chimica
compositiva, alle proprietà dietetiche nutrizionali, concorrendo a migliorare l’informazione
sull’alimento, anche della stampa specializzata.
Nessuno si sognerebbe di dire a chi giornalmente assume mezzo litro di latte intero che tale
comportamento dietetico potrebbe produrre, nel tempo, l’insorgenza di patologie cronicodegenerative. Molti invece punterebbero il dito su chi con la propria dieta assume 20 g di
burro al giorno. Forse non è secondario ricordare che in mezzo litro di latte intero sono presenti
mediamente 17,5 g di grasso da cui si ricavano, circa 20-21g di burro.
Il burro è il grasso alimentare ricavato dalla lavorazione della crema di latte vaccino. La sua storia
è antichissima, risale al tempo degli egizi che lo ricavavano dal latte degli animali da allevamento.
È un alimento ad alto valore energetico da integrare nella dieta sia come condimento che come
ingrediente. È di particolare interesse per le sue caratteristiche nutrizionali, antinfettive e, come
è stato dimostrato da recenti studi, anticancerogene. Queste caratteristiche sono determinate
dalla particolare struttura della frazione lipidica del burro, in particolare, dalla composizione
della frazione trigliceridica e della frazione dei componenti “minori” (insaponificabile). In questi
ultimi anni una immeritata penalizzazione di questo alimento grasso, correlato alla quantità
di colesterolo in esso presente, ha portato a contrazione dei consumi. In realtà, un aspetto che
molto spesso viene omesso, mentre è ben precisato ed illustrato dagli Autori, è che il colesterolo
presente nel burro è in diretto rapporto, nei soggetti sani, con il colesterolo HDL, meglio conosciuto
come il colesterolo buono. La ricerca ha dimostrato che il burro presenta una serie di composti
che determinano effetti benefici sulla salute, come l’acido linoleico coniugato, le sfingomieline,
l’acido butirrico e tutta una serie di composti minori, tra cui i tocoferoli, lo squalene, i pigmenti
carotenoidi, gli steroli, le vitamine liposolubili (vitamina A o retinolo). Questa composizione
non sorprende in quanto questo derivato del latte è caratterizzato da una varietà di oltre
400 acidi grassi identificati mediante tecniche cromatografiche ad alta risoluzione, quali la
gascromatografia (GC) e la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC), accoppiate alla
spettrometria di massa (MS) di primo o secondo ordine (tandem MS, MS-MS).
Importanza rilevante assume la dieta. In particolare oggi la tendenza è quella di orientare
verso una dieta caratterizzata da un basso apporto di grassi, ma si è visto che questo non
è abbastanza; bisogna valutare la qualità dei grassi assunti e in quest’ambito risultano di
particolare interesse gli acidi grassi polinsaturi della serie ω3, PUFA (Polyunsaturated fatty
acids) quali l’ac. a-linolenico (C18:3, ALA), l’ac. eicosapentaenoico (C20:5, EPA), l’ac.
docosapentaenoico (C:22:5, DPA) e l’ac.docosaesaenoico (C22:6, DHA) per le loro funzioni,
esiti e benefici che svolgono nell’organismo. Di notevole interesse sono gli effetti favorevoli
dei PUFA ω3 sullo stato di salute, soprattutto riguardo le patologie cardiovascolari, per le
funzioni preventive riconducibili alle molteplici azioni che svolgono nell’organismo, quali
l’attività ipotensiva, ipotriglicerimizzante, antiaritmica, antitrombosica ed antiaterogenica.
Tra queste spicca il ruolo protettivo nella patogenesi della placca ateromasica, correlato alla
riduzione della concentrazione dei trigliceridi e del colesterolo LDL nel sangue ed all’aumento
del colesterolo HDL. Rilevante è anche l’aumento della fluidità delle membrane cellulari con
effetti anti-trombotici.
Particolare importanza a fini salutistici è sicuramente la presenza in questo alimento degli
isomeri coniugati dell’acido linoleico (C18:3, CLA) sulle cui proprietà la comunità scientifica, in
questi anni, si è pronunciata in maniera molto chiara. Infatti, la National Academy of Science ha
definito CLA “l’unico acido grasso che mostra in maniera inequivocabile attività anticancerogena
in esperimenti condotti su animali”. I CLA si sono dimostrati attivi nel controllo di importanti
patologie quali l’arterosclerosi, il diabete, l’obesità, svolgendo un’azione anticolesterolemica e
di protezione dalle coronaropatie.
Inoltre hanno mostrato effetti positivi anche sulla formazione ossea e come antinfiammatori,
in patologie come l’artrite reumatoide. Da qui si comprendono i tentativi di incrementare la
concentrazione di CLA nei prodotti alimentari quali la carne, le uova e i prodotti lattiero caseari.
negli alimenti è l’acido Rumenico (C18:2 cis-9, trans-11) che è ampiamente predominante tra i
CLA trovati nelle carni dei ruminanti e nei prodotti lattiero caseari (burro).
Data l’importanza che riveste il burro come alimento, e la ricaduta nutrizionale dei suoi
componenti, ampiamente descritti nel libro ed a cui ho accennato in questa prefazione, mi
sento ancora una volta di sottolineare la levatura e l’importante ricaduta nel settore nutrizionale,
dell’opera di ricerca svolta dagli Autori, anche nell’ottica della salvaguardia della qualità e della
genuinità di questo alimento. Sono certo che il libro verrà apprezzato non solo dai tecnici del
settore ma anche da tutti coloro che si accingano a leggerlo per aumentare le loro conoscenze
nel campo dei lipidi in generale e del burro in particolare e sono certo che sarà di stimolo per i
giovani ricercatori con l’esito di implementare ancor di più le nostre conoscenze.
Natale G. Frega
6
Relazioni presentate
7
Presentazione del S eminario
La mia generazione degli anni “30” è stata testimone della parabola
evolutiva del burro: da alimento nobile, ricercato, di grande prestigio
gastronomico e dietologico, a, progressivamente, alimento di tradizione
gastronomica apprezzata ma con la macchia di essere un grasso animale,
epperciò condannato dagli igienisti e mortificato presso l’opinione
pubblica. Al burro si sono contrapposti altri grassi da condimento con
in primo piano quelli vegetali e soprattutto l’olio d’oliva: quest’ultimo
glorificato come depositario di ogni virtù.
Ora, e questo Convegno ne è la testimonianza, grazie alle nuove
conoscenze derivanti dai progressi scientifici realizzati sulla conoscenza
delle effettive peculiarità del burro, questo prodotto può avere potenzialità
di rilancio sulla base di dati obiettivi che ridimensionano le negatività
e ne evidenziano le positività, così come, in effetti, la cultura popolare
empiricamente aveva intuito.
La tradizione alimentare popolare è specchio delle relazioni fra le
risorse territoriali e le esigenze di sussistenza. Quanto essa permane
nel tempo significa che le scelte, sottoposte a verifiche plurisecolari e
plurigenerazionali, corrispondono ad aspetti reali.
In Europa geograficamente si è sempre fatta una distinzione fra la “civiltà”
dei grassi animali e quella dei grassi vegetali.
La prima si è affermata negli areali nordici laddove l’olivo non poteva
convenientemente vegetare mentre le condizioni ambientali favorivano lo
sviluppo della zootecnia da latte e della suinicoltura.
Viceversa, la seconda, era praticabile negli ambienti temperati caldi
idonei alla coltivazione e dell’olivo e comparativamente, meno favorevoli
alla zootecnia.
La produzione di oli di semi si è inserita più tardivamente come opportunità
“ponte” fra i diversi ambienti.
Queste caratterizzazioni ambientali ed i relativi vincoli hanno determinato
forti influenze nei modelli di consumo che, come dimostrano studi recenti,
hanno a loro volta influenzato anche l’ “adattamento genetico” delle
popolazioni.
Pare infatti dimostrato che le popolazioni tradizionalmente assuefatte
alle diete “nordiche” (e nei loro contesti) non subissero gli effetti negativi
derivanti dal consumo di grassi animali, che, in assoluto, le opinioni
dietetiche moderne attribuiscono.
8
Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna
Ambiente, modalità di vita, alimentazione, tradizione come sintesi, hanno
sempre testo ad esplicare equilibri positivi.
Oggi sono soprattutto le modifiche delle modalità di vita a determinare,
come logico, un profondo cambiamento nei modelli alimentari favorendo
in essi equilibri dietologici che dovrebbero essere realizzati attraverso
un ricco mix di alimenti, più che con scelte unilaterali o con ostracismi
preconcetti: tanto più se questi scaturiscono da giudizi sommari.
L’Italia è un paese che avendo una ampia longitudine comprende entrambe
le tradizioni le quali hanno convissuto fino a tempi relativamente recenti
determinando lo straordinario patrimonio produttivo gastronomico che la
caratterizzano.
Come già citato, appartenendo alla generazione degli anni ’30 sono stato
testimone diretto di questa cultura popolare della convivenza dei diversi
tipi di grasso alimentare così come delle sue evoluzioni.
Era norma, nelle famiglie emiliane, che l’olio di oliva fosse utilizzato
prevalentemente a “crudo” (anche perché costava molto) mentre nella
cucina prevalevano i grassi di maiale ed il burro. Burro che, oltre ad
essere di produzione industriale, era anche di produzione familiare.
Infatti il latte (acquistato non confezionato dalla “lattaia”) veniva bollito
prima di essere consumato e la “panna” che si isolava con la bollitura era
successivamente raccolta in una tazza ove, con un cucchiaio di legno, si
mescolava finchè non si fosse determinata l’aggregazione delle particelle
di grasso in burro. Di solito il compito di questa “zangolatura” domestica
era affidato ai ragazzi ed il premio era una fetta di pane con zucchero:
una vera e propria leccornia di grandi virtù nutrizionali nel contesto di
vita di allora.
Estendendo queste concettualità in termini di economia territoriale si
può comprendere anche del perché nell’area italiana più vocata alla
produzione del latte bovino si sia affermata la produzione di formaggi e
fra questi di quelli semigrassi come il grana. Facendo riferimento ai tempi
trascorsi è ben noto come la produzione di latte fosse condizionata alla
cadenza naturale dei parti delle vacche ed alla produzione foraggera
locale.
Le condizioni prevalenti di decadenza produttiva degli alimenti foraggeri in
estate-autunno, nonché il freddo o la copertura nevosa, oppure la difficile
9
Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna
accessibilità dei terreni nei periodi piovosi, hanno concorso nel favorire
la concentrazione dei parti in fine inverno-primavera e, di conseguenza,
al concentrazione della massima produzione di latte nei periodo da
primavera a primo autunno. Fanno eccezione le zone a marcita.
In tale situazione come era possibile conservare l’eccesso di produzione
lattiera rispetto ai consumi? Con i formaggi, soprattutto con quelli a pasta
dura (la tecnologia del latte in polvere è relativamente recente).
I formaggi a pasta dura, tanto più se di lunga conservazione, consentono di
garantire i rifornimenti alimentari nell’intero anno oltre che di compensare
le annate di magra con quelle ricche.
Nell’ambito dei formaggi duri per sfruttare al meglio il latte (e gli stessi
processi caseari) si sono affermati i formaggi semimagri come i grana,
scremando parzialmente i latti mediante la tecnica dell’affioramento. Ecco
perché per lungo tempo in Italia il burro era in prevalenza da affioramento:
con tutti i problemi che ne derivano.
Ora questi vincoli si sono attenutati e le tecnologie si sono evolute.
L’immagine storica del burro italiano è comunque rimasta con i suoi
“chiaroscuri” perché essa è troppo radicata.
Ma, come si notava all’inizio, il mondo cambia e così si evolvono le
conoscenze intrinseche sui prodotti, quelle nutrizionali correlate all’uomo
moderno, le tecniche di produzione e di lavorazione, le modalità di
consumo e via dicendo.
Alla luce delle nuove conoscenze per ogni prodotto (tanto più se ricco di
una tradizione plurisecolare come è il burro) vi è però la necessità di una
“reinterpretazione” e di una riproposizione sia sul piano intrinseco e sia
su quello dell’immagine.
In questa nuova prospettiva i burri italiani che derivano da latti prodotti
secondo i rigidi disciplinari delle DOP, potrebbero avvantaggiarsi della
immagine positiva di questi nobili formaggi.
La regolamentazione Ue non consente questi sinergismi promozionali
espliciti, ma riteniamo che oltre ad insistere per superare questi divieti,
la fantasia italiana dovrebbe essere capaci di trovare qualche soluzione
vantaggiosa.
Purtroppo il burro è considerato una “commodity” derivante in modo
congiunto dal latte ed in quanto tale (anche in relazione alla struttura
produttiva del comparto specifico) non stimola investimenti promozionali
rilevanti.
10
Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna
Tenuto conto di questo contesto, avendo potuto avere cognizione delle
Relazioni che saranno svolte ritengo che questo Convegno consentirà un
originale aggiornamento scientifico sulle peculiatià del burro.
È su queste “novità” che possono ravvisarsi i presupposti per poterlo
rilanciare.
Va dato merito al Prof. Giuseppe Losi – che da molti anni sapientemente
e tenacemente si è dedicato alle tematiche del burro – di avere avuto la
determinazione di proseguire le ricerche e di avere organizzato questa
assiste coinvolgendo non solo gli studiosi ma anche tutto il mondo
operativo.
La valorizzazione del burro riveste un forte interesse economico e
sociale per tutta la filiera produttiva. L’ottica di analisi non può che
essere internazionale ma, in essa, le peculiarità italiane possono trovare
condizioni obiettive di competitività. Per esprimere queste potenzialità si
deve puntare sull’innovazione – innestata sulla tradizione – evitando scelte
che irretiscano nella ricerca di protezionismi, destinati, inevitabilmente,
a creare attese illusorie.
Se il mondo cambia è indispensabile porsi nella scia del cambiamento.
Se possibile per orientarlo, ma mai per contrapporsi ad esso!
11
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Tendenze recenti della produzione e del
consumo di burro nell’unione europea e in
italia1
Riassunto
La realtà del mercato nazionale del burro, in questo lavoro, viene affrontata
in un’ottica di filiera evidenziando le tendenze evolutive di medio periodo
in tutti i suoi segmenti, dall’industria di trasformazione ai consumi, senza
trascurare il commercio estero ed i canali distributivi. Trattandosi di una
commodity derivata dal latte si è ritenuto utile inquadrare il mercato del
burro, nel contesto europeo ed internazionale dell’intero settore lattierocaseario al fine di meglio interpretarne le dinamiche. E’ noto infatti che
la riduzione del prezzo d’intervento comunitario ha determinato una
convergenza progressiva delle quotazioni nazionali ed europee verso
il prezzo mondiale delle commodities del settore. L’elevata volatilità dei
prezzi registrata negli ultimi anni ha prodotto effetti destabilizzanti sui
mercati sia alla produzione che al dettaglio, innescando un processo
di aggiustamento che ha dilatato ulteriormente i margini distributivi
del burro. Nell’ultima parte del lavoro viene affrontato il problema del
posizionamento del prodotto in esame in rapporto alla GDO.
Recenti tendenze della produzione europea e
mondiale di latte
L’Unione europea a 27 Paesi, con circa 141 milioni di tonnellate di latte (di
tutte le specie), pur rimanendo la principale area di produzione, a livello
mondiale, registra un peso decrescente (dal 24,4% nel 2004 al 21,6%
nel 2009): infatti nell’ultimo quinquennio, mentre nell’Ue la produzione è
leggermente diminuita (-1,5%), nel resto del mondo ha registrato un balzo
del 15,4% (+24,6% in Asia, +13% in America sia del Nord che del Sud e
+12,5% in Africa). Gli incrementi produttivi maggiori riguardano i Paesi
in via di sviluppo, mentre la crescita appare assai contenuta in importanti
aree sviluppate come l’Oceania e il resto dell’Europa.
La situazione del mercato europeo del latte (in particolare di quello vaccino)
1
Il lavoro è frutto dello sforzo congiunto di entrambi gli autori anche se A. Bonezzi
ha curato prevalentemente i paragrafi: Evoluzione dei margini distributivi e Il
posizionamento del burro e La Grande Distribuzione Organizzata
12
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
è caratterizzata da una notevole rigidità dell’offerta: tale rigidità dipende
non solo dalla lunghezza del ciclo produttivo, ma anche dal principale
strumento di regolazione del mercato costituito dalle quote. Va tuttavia
rilevato che anche l’incertezza ricollegabile alla notevole volatibilità dei
prezzi, che ha caratterizzato la dinamica negli ultimi anni, ha avuto un
peso determinante. L’andamento sfavorevole dei prezzi registrato nel
2008 e 2009 appare, infatti, come la causa principale della contrazione
produttiva prevista per il 2009, nell’Ue nonostante l’aumento delle quote
avvenuto nel corso dell’anno.
Sulla base dei dati definitivi concernenti il quinquennio 2003-’08 si
desume che nell’Ue a 25, a fronte di una contrazione del patrimonio
vacche di 1,5 milioni di capi (da 24 a 22,5 milioni) le consegne di latte
nel quinquennio sono leggermente aumentate (da 131,4 a 132,1 milioni
di t, pari a +0,6%).
D’altra parte si deve rimarcare che negli anni 2006 e 2007 le consegne di
latte erano inferiori al livello registrato nel 2003; solo nel 2008 esse hanno
evidenziato un incremento significativo (dell’1,3%) sull’anno precedente.
Questo incremento è stato determinato dall’impennata del prezzo del latte
alla stalla registrata nel 2007 e all’inizio del 2008. Data la lunghezza del
ciclo produttivo occorre infatti ammettere uno scarto temporale di almeno
12 mesi tra variazioni di prezzo e adattamento dell’offerta2.
Se si disaggrega il dato tra vecchia Ue a 15 e nuovi Stati membri si osserva
che nella prima area anche le consegne del 2008 restano inferiori dell’1%
al dato del 2003 (114,9 milioni di t contro 116,1). Per contro, nei 10 Stati
membri dell’Europa orientale entrati nell’Ue fino al 2004, le consegne di
latte hanno registrato un balzo di quasi il 13%.
Queste dinamiche produttive diversificate trovano una spiegazione nel
processo di riavvicinamento fra i due blocchi di Paesi dell’Ue che ha ridotto
il differenziale di prezzo del latte all’azienda: nel medio periodo, infatti,
le quotazioni nei nuovi Paesi membri sono aumentate facendo registrare
una variazione (35%) quasi doppia rispetto alla vecchia Europa a 15
(19%).
Analizzando la dinamica delle consegne di latte dei principali partner
europei (di fonte Eurostat), a conferma di quanto osservato sopra, si rileva
che la massima performance produttiva è stata realizzata dalla Polonia
2
In Francia gli accordi interprofessionali prevedono che il prezzo del latte venga
determinato sulla base delle quotazioni dell’anno precedente, di un determinato
gruppo di prodotti.
13
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
(+24% del latte consegnato nel quinquennio): l’unico Paese del blocco
orientale che appare in grado di competere con i grandi produttori della
“vecchia” Europa. D’altra parte non va dimenticato che la Polonia è uno
dei Paesi in cui, nell’ultimo quinquennio, le quotazioni del latte all’azienda
hanno registrato i maggiori incrementi.
Tra i principali Paesi produttori della “vecchia Europa”, solo Francia,
Olanda, e Danimarca nel medio periodo, evidenziano dinamiche positive
con incrementi ridotti ma significativi delle consegne di latte (+3%, +2,2%
e +1,1% rispettivamente); il principale produttore dell’Ue - la Germania
- registra un incremento lieve (+0,5%) che gli consente comunque di
mantenere invariata al 20,8% la propria quota di latte consegnato.
Gli altri principali partner della vecchia Europa, nel medio termine, hanno
subito flessioni che risultano più accentuate nel Regno Unito (-8,3%), in
Italia (-5,2%) e in Irlanda (-3,8%) rispetto a quella registrata in Spagna
(-1,1%).
Evoluzione della produzione di trasformati del
latte
Nel medio termine nell’Ue si osservano dinamiche produttive assai
diversificate per i principali derivati del latte: a fronte di un incremento
per il formaggio e di una sostanziale stabilità della produzione di latte
alimentare e della polvere di latte intero (con una crescita nell’ultimo
biennio), si rilevano flessioni che risultano accentuate per il latte scremato
in polvere e più contenute per il burro (stabile nell’ultimo biennio).
L’offerta di burro
L’offerta mondiale di burro, nel 2007, ha sfiorato i 9,5 milioni di t; negli
ultimi anni essa è cresciuta rapidamente, trainata soprattutto dall’India
(primo Paese produttore) e dagli Stati Uniti (che si collocano al 3° posto,
dopo l’Ue). La Nuova Zelanda - 4° produttore mondiale - presenta, invece,
un’offerta che oscilla da un anno all’altro del 5% attorno ad una media
di 400 mila t.
Analizzando più dettagliatamente la dinamica della produzione di burro
nella Ue si osserva, nel medio periodo, una flessione del 6% che si è,
tuttavia, arrestata nel biennio 2007-’08, allorquando la quantità prodotta
nelle latterie si è stabilizzata intorno a 1.890.000 t. La contrazione
produttiva, nel quinquennio 2003-’08, è risultata più accentuata nei nuovi
Paesi membri (-11%) rispetto alla vecchia Ue-15, ove la flessione è stata
14
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
contenuta al 5%. Tra i nuovi membri (che detengono complessivamente
una quota assai modesta pari al 14% della produzione comunitaria di
burro), la Polonia, terzo produttore dell’Ue (con 174 mila t nel 2008),
risulta in controtendenza, segnando un incremento del 4%, nel medio
termine. Tra i principali competitor della vecchia Europa, soltanto Olanda
e Germania hanno realizzato, nel medio termine incrementi significativi
della produzione di burro (del 13% e 3% rispettivamente). Gli altri grandi
produttori, per contro, hanno subito flessioni abbastanza consistenti
che vanno dal -10%, -11% di Italia e Irlanda, al -15% del Regno Unito
(Figura 1).
La Francia, 2° Paese produttore europeo dopo la Germania, ha contenuto
la flessione sotto il 2%. Si deve rimarcare, tuttavia, l’evoluzione positiva,
nel biennio 2007-’08, registrata nei due principali competitor che hanno
ormai superato il 47% dell’offerta totale comunitaria di burro.
L’offerta di formaggi
L’offerta mondiale di formaggi risulta anch’essa in crescita, ma ad un tasso
notevolmente inferiore rispetto al burro; tale crescita è trainata anzitutto
dalle due principali aree di produzione – Ue e soprattutto Stati Uniti – che
detengono quote produttive rispettivamente di
Figura 1 Dinamica della produzione di burro nei principali
Paesi UE dal 2003 al 2008 (000 t)
Fonte: Eurostat
oltre un terzo e quasi un quinto del totale mondo. Molto più elevato risulta
il tasso di crescita dell’offerta di formaggi negli altri tre Paesi produttori
che seguono nella graduatoria decrescente (Brasile, Argentina e Russia).
Per quanto concerne l’Unione europea è possibile effettuare un’analisi
15
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
di medio periodo limitatamente alla “vecchia” Ue-15, ove si concentra,
però, l’86% della produzione comunitaria di formaggi (per alcuni dei
nuovi Paesi membri non sono disponibili dati anteriori al 2005). Nel
quinquennio 2003-08 l’offerta di formaggi nell’Ue-15 è aumentata di
oltre il 7%: nell’ambito dei tre maggiori produttori – Germania, Francia
e Italia – solo il primo Paese evidenzia una crescita superiore alla media
Ue, mentre l’Italia, con un incremento del 6%, si colloca leggermente al
di sotto. Tra i principali Paesi produttori dell’Europa occidentale, anche
Olanda, Regno Unito e soprattutto Irlanda evidenziano alti tassi di crescita.
Per contro, l’offerta di formaggi risulta in flessione in Spagna e Svezia, in
Austria e Danimarca appare stazionaria. Tra i nuovi membri dell’Europa
orientale emergono alcuni Paesi con alti tassi di crescita dell’offerta tra
cui: Polonia (che è il 5° maggior produttore dell’Ue-27) e Lituania.
Offerta di latte in polvere
Per quanto concerne la polvere di latte si osserva anzitutto che l’offerta
mondiale, nel 2007, ammontava a 8,8 milioni di t, di cui poco più della
metà (50,6%) ottenuta da latte scremato ed il rimanente 49,4% da latte
intero. Il principale Paese produttore di polvere di latte intero è la Cina,
con un’offerta in forte crescita che, nel 2007 ha superato il 26% del totale
mondo. Dopo l’Ue – che si colloca al 2° posto - gli altri comprimari sono:
Nuova Zelanda (con un’offerta stazionaria) e Brasile che, nel medio
termine, presenta un’evoluzione molto positiva. A livello comunitario
nello stesso anno 2007 la produzione complessiva di polvere di latte ha
superato il quantitativo di 1,8 milioni di t, con uno scarto maggiore tra
le due commodities (54,2% ottenuta da latte scremato e 45,8% da latte
intero) rispetto a quello osservato sul totale mondiale.
Le diverse dinamiche evidenziate nel corso del 2008 dall’offerta di queste
commodities (decrescente per la polvere magra e crescente per quella di
latte intero) hanno però ridotto lo scarto tra l’offerta delle due categorie
merceologiche.
L’area principale per la produzione di latte scremato in polvere, a livello
mondiale, è rappresentata dall’Ue (con oltre un quinto del totale mondo)
seguita da USA e India (con produzioni in forte crescita) e dalla Nuova Zelanda.
I principali Paesi produttori di latte scremato in polvere
nell’Unione Europea
Poiché la produzione di burro è strettamente correlata a quella di polvere
16
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
magra di latte conviene prendere in esame le dinamiche produttive di
quest’ultima commodity nei Paesi dell’Ue. Nel medio termine si rileva
una forte flessione dell’offerta comunitaria (-27%); analizzando la serie
annuale dal 2003 al 2008 si osserva un andamento ciclico con una
fase decrescente fino al 2006, seguita da una rapida ripresa nel 2007
e da un’ulteriore flessione nel 2008. Si deve considerare, infatti, che il
latte scremato in polvere è una commodity la cui offerta risulta molto
influenzata dall’andamento del mercato internazionale.
I maggiori produttori europei sono Francia, Germania e Polonia che, nel
2008, controllavano quasi i due terzi dell’offerta comunitaria di questa
commodity; tra questi Paesi la Francia, nel medio termine, ha registrato una
lieve crescita produttiva che le ha consentito di superare la Germania (la cui
produzione è calata del 30%) nella graduatoria dei Paesi membri dell’Ue.
In sintesi si osserva che le due graduatorie dei principali Paesi produttori
di burro e di polvere magra di latte, tranne qualche scambio di posizione,
sono simili. Per quanto concerne le prime sette posizioni, entrambe
comprendono i sei Paesi seguenti: Germania, Francia, Polonia, Olanda,
Irlanda e Regno Unito. Gli unici Paesi che compaiono in una sola
graduatoria sono, da un lato, l’Italia, che non produce latte in polvere
e dall’altro, il Belgio, che occupa il 4° posto per questa commodity pur
producendo solo una modestissima quantità di burro3.
Non soltanto i livelli produttivi ma anche le loro dinamiche di medio termine
confermano l’esistenza di una stretta correlazione tra i due derivati del
latte. In ben 8 Paesi membri dell’Ue-15 si osserva infatti una concordanza
(stesso segno) tra le variazioni (anche se di diversa intensità) dell’offerta
di polvere magra e di burro.
Dinamica dei prezzi internazionali e delle
giacenze comunitarie
Il prezzo del burro, così come avviene in generale per le commodities agroalimentari,
subisce un’influenza diretta degli equilibri che si formano sul mercato globale, con
rapidi adeguamenti alle nuove situazioni che si vengono a determinare.
3
Una simile correlazione anche se meno stretta si osserva anche a livello mondiale; in
particolare per Ue, USA e India. Vale la pena di annotare la situazione della Cina
che pur detenendo la quarta posizione per la produzione del latte, non appare tra le
prime 11 nazioni produttrici, di burro, formaggio e polvere magra di latte; essa però
si colloca in testa alla graduatoria della produzione mondiale di latte intero in polvere.
17
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Generalmente per osservare l’andamento delle quotazioni internazionali
dei prodotti lattiero-caseari si fa riferimento al mercato della Nuova
Zelanda che è uno dei principali Paesi esportatori di questi prodotti.
L’evoluzione del prezzo internazionale del burro, ha registrato, una prima
fase di crescita - dal 2002 a metà del 2005 - seguita da un’accentuata
discesa nell’anno successivo. A partire dal 4° trimestre 2006, sotto la
spinta di una domanda sostenuta, è iniziata una nuova ed accentuata fase
ascendente che, dopo 12 mesi ha portato le quotazioni internazionali del
burro oltre i 4000 dollari/t. A partire dall’ottobre 2007 il suddetto prezzo
ha subito una repentina flessione che è proseguita fino al febbraio 2009
(Figura 2). Il meccanismo dei prezzi garantiti, combinato con il sistema
delle quote produttive, aveva garantito fino al 2004 una notevole stabilità
dei prezzi nel settore lattiero. La progressiva riduzione dell’intervento
comunitario negli ultimi anni ha esposto il mercato europeo agli effetti di
una liberalizzazione sempre più spinta che ha determinato una progressiva
convergenza delle quotazioni europee verso i prezzi internazionali.
Poiché l’Ue, assieme alla Nuova Zelanda, rappresenta una delle principali
aree strutturalmente eccedentarie, non si può prescindere dell’evoluzione
delle giacenze comunitarie di “commodities” lattiero-casearie per valutare
lo stato di salute del settore.
Figura 2 Prezzi Fob Nuova Zelanda dei principali prodotti
lattiero-caseari.
Fonte: Elaborazione Osservatorio Latte su dati FAS-USDA
Le variazioni delle scorte generalmente influenzano rapidamente le quotazioni
delle commodities determinando su queste variazioni di segno opposto.
Le giacenze di burro nell’Ue e particolarmente quelle private presentano
18
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
una spiccata stagionalità, con valori minimi nel primo trimestre e valori
massimi nei mesi centrali dell’anno. I valori minimi sono diminuiti dal
2004 al 2008: le scorte pubbliche, che dal 2004 al 2006 superavano
quelle private, si sono drasticamente ridotte fino a scomparire a metà del
2007 per ricomparire all’inizio del 2009. Nel corso del 2008 le scorte
private, invece, hanno evidenziato un andamento stagionale anomalo,
con un primo picco a marzo, seguito da un azzeramento e quindi da un
secondo picco molto alto ad agosto (Figura 3).
Si deve ricordare che gli acquisti all’intervento devono essere considerati
come misure connesse a situazioni contingenti di pesantezza del mercato;
l’Ue infatti ha manifestato un orientamento sfavorevole nei confronti di
misure permanenti di sostegno dei prezzi.
Tendenze dei consumi e del grado di autoapprovvigionamento di burro nei principali Paesi
produttori dell’Ue
I consumi apparenti di prodotti lattiero-caseari nell’Ue mostrano tendenze
analoghe a quelle osservate per i flussi produttivi: si tratta di dati medi che
scontano, da un lato un più basso livello dei consumi nei Paesi dell’Europa
orientale e dall’altro una più lenta crescita, se non addiritturaun regresso
per taluni prodotti, nell’Europa occidentale.
Figura 3 Giacenze di burro e di latte scremato in polvere
nella UE dal 2000 al 2009 (000 t).
Fonte: Elaborazione Osservatorio Latte su dati Commissione Europea.
19
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
A fronte di una dinamica crescente osservata per i formaggi (+6% nel
periodo 2003-08), il cui consumo medio ha raggiunto i 17,7 Kg “procapite”, il latte scremato in polvere evidenzia una domanda in forte
regresso (-22%) dovuta anche alla crisi dell’allevamento del vitello a carne
bianca (Tabella1).
Tabella 1
Consumo apparente di prodotti lattiero-caseari nella UE,
nel 2007 e 2008 (.000 t)
2007
2008
var. %
kg pro-capite 2008
Burro
1930
1910
-1,0
3,9
Formaggio
8710
8750
0,5
17,7
Latte scremato in polvere
850
770
-9,4
Fonte: Elaborazioni Osservatorio Latte su dati Eurostat e ZMP.
Per quanto concerne il burro, invece, si riscontra una sostanziale stagnazione
del consumo medio per abitante che, nella Ue, nel 2008, si aggira intorno
ai 4 Kg.
Le statistiche di fonte Eurostat risultano incomplete e, per quanto concerne il
bilancio di auto-approvvigionamento del burro, consentono di analizzare le
dinamiche dei flussi soltanto nei principali Paesi produttori della vecchia Ue.
Nel periodo 2000-2005 quasi tutti i suddetti Paesi evidenziano contrazioni
più o meno accentuate dei consumi apparenti con l’eccezione del Regno
Unito che registra, nel quinquennio considerato, una lieve crescita (Figura 4).
Figura 4 Evoluzione dei consumi pro-capite di burro in
alcuni Paesi Ue dal 2000 al 2005.
Fonte: Eurostat (il dato iniziale dell’Olanda è riferito al 1999).
20
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Nonostante la diminuzione di 1 kg dei consumi “pro-capite” (da 8,7 a
7,7 kg osservata nel medio periodo), i francesi rimangono i maggiori
utilizzatori di burro nella vecchia Ue, seguiti da tedeschi (6,4 kg) e olandesi
(5,5 kg nel 2005 con una domanda in forte flessione).
Irlanda e Italia, nel 2005, registravano livelli simili dei consumi apparenti
(2,8 Kg “pro-capite”) e inferiori al dato osservato nel Regno Unito (3,3
kg); a differenza dell’Irlanda, ove la domanda di burro risulta in netto
calo, l’Italia registra una tendenziale stagnazione.
Le dinamiche produttive e dei consumi determinano l’evoluzione del grado
di auto- approvvigionamento del burro che, nello stesso quinquennio
2000-’05, è aumentato nella maggior parte dei Paesi produttori della
“vecchia Ue”. Tali incrementi hanno riguardato principalmente i due Paesi
strutturalmente eccedentari (Irlanda e Olanda), ma anche Germania e
Francia hanno migliorato l’indice; per contro, Regno Unito e Italia hanno
registrato un arretramento del tasso percentuale di autoapprovvigionamento
del prodotto in esame.
Gli scambi di prodotti lattiero-caseari dell’Unione
europea con i Paesi terzi
Negli scambi internazionali di burro l’Ue-27 occupa il secondo posto nelle
graduatorie sia dei principali esportatori (preceduta dalla Nuova Zelanda e
seguita dagli Stati Uniti), sia degli importatori (preceduta dalla Russia): da ciò
si deduce che l’Ue pur risultando nettamente eccedentaria è coinvolta anche
in un commercio di tipo orizzontale di questa commodity.
I successivi allargamenti dell’Ue consentono un confronto omogeneo
limitatamente al biennio 2007-’08. I dati analizzati permettono di
affermare che l’Ue rimane un’area strutturalmente eccedentaria sul mercato
internazionale, nonostante la riduzione del saldo (export-import) rilevata nel
2008 per tutti i derivati del latte ad eccezione della polvere di latte intero.
Si deve annotare, infatti, che a causa della crisi economica globale da un
lato, e della scarsa competitività dei prodotti europei dall’altro nel 2008,
le esportazioni di prodotti lattiero-caseari dell’Ue hanno subito un sensibile
regresso. Tra i derivati del latte il burro, con un calo del 30% dei volumi
esportati, è il prodotto che ha manifestato la maggiore debolezza (Figura 5).
21
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Figura 5 Saldo (export-import) del 2007 e 2008,
riguardante lo scambio dei principali prodotti lattierocaseari della UE con i paesi terzi (000 t).
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat e ZMP.
Il lieve incremento delle consegne di latte del 2008 è stato destinato, infatti,
alla produzione di polvere di latte intero che è stata esportata in gran
parte nei Paesi terzi: le esportazioni di questo prodotto, nel 2008, sono
cresciute del 32% ed hanno compensato la forte riduzione dell’export di
burro. Occorre inoltre ricordare che nel 2° semestre 2007 e per tutto il
2008 le esportazioni di burro non hanno beneficiato delle restituzioni
comunitarie, che sono state ripristinate (anche se in misura ridotta) solo
nel 2009.
La situazione del mercato nazionale del burro
Evoluzione della produzione e degli scambi con l’estero
In Italia dal 2005 si rileva una continua flessione della produzione di
burro che è scesa da 124.100 a 110.200 t nel 2008. Parallelamente si è
assistito ad una crescita continua della produzione di crema da consumo
(da 121.900 a 148.600 t). Tale dinamica trova una parziale giustificazione
nella evoluzione sfavorevole del prezzo (relativo) all’origine del burro
rispetto a quello della crema; tale andamento negativo si è accentuato nel
corso del 2008 ed è proseguito anche nella prima metà del 2009.
Per quanto concerne l’evoluzione della struttura industriale negli ultimi
25 anni, in Italia, si osserva una forte contrazione delle piccole unità
22
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
produttive (nel 2007 ne erano rimaste 632) ed una sostanziale stabilità
delle medio-grandi (che erano 112 nel 2007); queste ultime controllano
ormai quasi il 90% della produzione nazionale di burro.
L’Italia è un Paese strutturalmente deficitario per i grassi del latte; il
saldo normalizzato del nostro commercio estero di burro è nettamente
peggiorato nel periodo 2005/2008. Ciò è avvenuto nonostante il consumo
sia leggermente calato (da 2,8 a 2,6 kg pro-capite).
Le dinamiche della produzione e dei consumi hanno determinato
come effetto congiunto una riduzione di tre punti del tasso di
autoapprovvigionamento dell’Italia che, dal 2005 al 2008, è sceso dal
75 al 72% (Tabella 2). I nostri principali fornitori sono Benelux, Francia,
Germania e Regno Unito (da cui importiamo soprattutto burro anidro)
(Figura 6). Nell’ultimo decennio la ragione di scambio si è determinata
progressivamente, infatti il prezzo all’importazione dal 2000 risulta
sistematicamente superiore a quello di esportazione (Figura 7); il prodotto
nord-europeo è infatti generalmente considerato di qualità superiore a quello
italiano (ottenuto come prodotto congiunto della produzione di formaggi).
Tabella 2
Evoluzione dei consumi pro-capite, del tasso di auto
approvvigionamento e saldo normalizzato in Italia
per i principali prodotti lattiero-caseari. (Fonte: Nostre
elaborazioni su dati Istat)
Media 2007-08
Differenza
Media 2004-05
Media 2007-08
Differenza
Media 2004-05
-1,7
86,3
87,8
1,5
-98,6
-97,1
1,5
Formaggi 21,2 21,4
0,2
83,5
83,3
-0,2
-3,2
-2,0
1,2
Media 2007-08
Latte
alimentare 57,4 55,7
Media 2004-05
Differenza
Consumi pro-capite (kg) Tasso di autoapprov. (%) Saldo normalizzato (%)
Yogurt
7,0
8,4
1,4
64,3
61,3
-3,0
-92,8
-90,5
2,3
Burro
2,8
2,6
-0,2
74,9
71,9
-3,0
-54,7
-72,3
-17,6
23
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Figura 6 Saldo tra export ed import con i principali
fornitori di burro dell’Italia nel 2008 - (t)
Fonte: nostre elaborazioni su dati INEA.
Figura 7 Evoluzione dei prezzi di import ed export del
burro dell’Italia.
Fonte: nostre elaborazioni su dati INEA.
Dinamica dei consumi alimentari
Le recenti tendenze dei consumi alimentari degli italiani hanno risentito
degli effetti prodotti, da un lato dalla crisi economica e dall’altro dalla
impennata dei prezzi. L’insieme di queste condizioni ha determinato negli
anni 2006-2008 una contrazione della spesa reale delle famiglie per
alimenti e bevande che è risultata più accentuata nel 2008, allorquando
l’aumento dei prezzi di questi beni (5,5%) è andato ben oltre il livello
generale di inflazione (3,3%).
Un indicatore che riflette la riduzione del potere di acquisto dei consumatori
è rappresentato dalla quota di spesa nominale destinata all’alimentazione
24
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
che, nel 2008, è leggermente risalita (al 19,1% rispetto al 18,8% dell’anno
precedente).
La composizione della spesa alimentare degli italiani da alcuni anni
sembra essersi ormai stabilizzata per quanto concerne le voci principali
considerate dalla Contabilità Nazionale: carne (22,6%), frutta e ortaggi
(18%), latte formaggi e uova (13,5%), zucchero, caffè, cacao ecc. (9,8%) e
bevande (9,1%). Cresce, invece, la quota di spesa per pane e cereali che,
nel 2008, a causa soprattutto del forte aumento dei prezzi, ha raggiunto
il 14,6%, mentre calano quelle per il pesce (8,5%) e per gli oli e grassi
(3,7%).
Gli acquisti domestici di burro
Sulla base dei dati Ismea-AC Nielsen si può delineare un quadro sintetico
delle tendenze degli acquisti domestici dei prodotti lattiero-caseari, sia in
quantità che in valore. In particolare nel 2008 gli acquisti domestici di burro
hanno raggiunto le 39.469 tonnellate superando il dato del 2006, dopo la
forte flessione registrata nel 2007. L’incremento in valore degli acquisti 2008
sull’anno precedente (13,7%) è nettamente superiore a quello registrato in
termini quantitativi (4,1%); esso risente, infatti, del forte aumento del prezzo
al dettaglio del burro rilevato nell’anno in esame (9,3%).
Il grado di penetrazione del prodotto nell’universo delle famiglie italiane,
pur mostrando un regresso rimane, tuttavia, abbastanza elevato (81,1%
nel 2008) ma con forti differenziazioni sul territorio nazionale. Esso tende,
infatti, a ridursi significativamente man mano che dal nord-ovest (86,2%)
si scende alle regioni meridionali (72,1%), ove i consumatori preferiscono
prodotti sostitutivi di origine vegetale (Tabella 3).
Tabella 3
Indici di penetrazione del burro in Italia – 2008.
Ripartizione geografica
Indice di penetrazione %
Nord-ovest
86,2
Nord-est
84,7
Centro
83,2
Sud
72,1
Italia
81,1
Fonte: Ismea-AC Nielsen.
25
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
I canali distributivi del burro
In riferimento alla distribuzione si deve ricordare anzitutto che i dati sulle
vendite al dettaglio, rilevati da AC Nielsen escludono alcuni punti vendita
tradizionali come il commercio ambulante e gli spacci aziendali che per
taluni derivati del latte hanno un ruolo non trascurabile. Ciò spiega, in
parte, la differenza che si riscontra tra vendita al dettaglio e consumi delle
famiglie analizzati nel paragrafo precedente.
Le vendite al dettaglio di burro nel 2008 sono scese di poco sotto le 45
mila tonnellate registrando una contrazione del 13,6% rispetto al 2007,
per un controvalore di 300 milioni di euro (-10,7%). Le vendite in quantità
rilevate da AC Nielsen rappresentano, perciò, quasi il 30% dei consumi
apparenti4 (154 mila t) desunti dal bilancio di approvvigionamento di
questo prodotto per l’anno 2008.
Riguardo alla tipologia dei punti vendita, il burro è indubbiamente un
prodotto che privilegia i canali moderni: la quota dei super+ipermercati
nel 2008 è del 62%, superiore a quella rilevata sul totale del mercato
lattiero-caseario (58%) (Figura 8). La tipologia super+ipermercati nel
2008 ha però segnato un regresso in favore dei negozi tradizionali e
soprattutto dei discount; questi ultimi infatti con la loro politica di bassi
prezzi sono riusciti ad attrarre un numero crescente di famiglie colpite
dalla crisi economica.
L’andamento delle vendite nei diversi canali distributivi dipende, infatti,
in misura rilevante dalle loro strategie di prezzo: queste presentano
un’accentuata variabilità, che è influenzata anche dalle diverse strategie
adottate dalle imprese industriali.
Analizzando i prezzi impliciti del burro nel 2008 (ottenuti dal rapporto
valore/quantità vendute) per tipologia di punto vendita, si nota infatti che
essi variano tra il minimo praticato nei discount di 4,60 euro/kg ed il
livello massimo dei negozi tradizionali di 8,10 (media Italia: 6,66 euro/
Kg). Per quanto concerne le variazioni 2008/2007, inoltre, gli incrementi
maggiori hanno interessato sia il canale distributivo più importante
(super+ipermercati) che le superette, mentre nei discount i valori unitari
sono leggermente diminuiti. I prezzi impliciti debbono essere utilizzati,
4
I consumi apparenti includono sia la componente domestica ed extradomestica sia
i reimpieghi, nonché gli scarti di lavorazione; essi vengono ottenuti dalla somma
algebrica dei seguenti aggregati: produzione, saldo import-export e variazione delle
scorte.
26
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
tuttavia, nella consapevolezza che essi possono riflettere aggregati molto
eterogenei sotto il profilo qualitativo.
Figura 8 Distribuzione % delle vendite al dettaglio del
burro (a) e dei prodotti lattiero-caseari (b) nel 2008 in
Italia per tipo di punto vendita.
(a)
(b)
Fonte: Elaborazioni Osservatorio Latte su dati AC Nielsen.
In Italia il burro viene consumato in prevalenza come ingrediente e/o
condimento e solo in minima parte come alimento. Ciò non incoraggia le
imprese produttrici ad introdurre vere e proprie innovazioni di prodotto
che troverebbero modesti sbocchi sul mercato interno. E’ pur vero che
alcune imprese hanno cercato di differenziare il burro lanciando prodotti
a basso contenuto di grassi e colesterolo, aromatizzati, o salati, il cui
consumo, nonostante i recenti segnali positivi, rimane del tutto marginale.
Questi prodotti differenziati non sembrano in grado di modificare il trend
negativo delle vendite di burro riconducibile essenzialmente al mutamento
degli stili di vita e dei modelli alimentari, sempre più improntati ad aspetti
“salutistici”.
Il trend negativo delle vendite condiziona le scelte delle grandi imprese
lattiero-casearie che non puntano sul burro come prodotto strategico e che
27
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
quindi perdono quote di mercato in favore delle medie imprese che sono
in grado di rapportarsi alla GDO. La struttura di mercato del prodotto
in esame appare, infatti, poco concentrata; la quota delle prime quattro
imprese produttive raggiunge appena il 26% e tende a diminuire.
Tutto ciò ha dato spazio alle iniziative della distribuzione moderna che si
manifestano soprattutto nella crescita delle marche commerciali, che per
il burro raggiungono il livello massimo riscontrato trai prodotti lattierocaseari.
Quote di mercato delle marche commerciali
Nel mercato italiano del burro il ruolo delle marche commerciali (o marche
dei distributori) è notevolmente cresciuto guadagnando oltre il 6% in 4
anni: sulla base di elaborazioni SMEA su dati IRI Infoscan esse, nel 2008,
hanno raggiunto quasi un terzo delle vendite, sia per il burro classico,
che per quelli alleggeriti o aromatizzati; per il burro salato il peso delle
“private label” scende, invece, al 10%.
Nel segmento nettamente prevalente del burro classico la struttura produttiva
risulta poco concentrata e le marche commerciali nel loro complesso sono
leader nel mercato al dettaglio. Nei segmenti marginali la concentrazione
della struttura industriale è molto più elevata; è utile soffermare l’attenzione,
in particolare, sulla categoria dei burri alleggeriti o aromatizzati nella
quale è cessata la leadership delle marche commerciali nel 2008, quando
la loro quota di mercato è scesa del 5% in favore di marche industriali.
A livello territoriale si osserva una notevole variabilità nella diffusione delle
“private-label”: le quote maggiori si riscontrano nel Centro (40%) e nel
Nord-est (32), mentre nelle rimanenti aree geografiche scendono al 27%.
Evoluzione dei margini distributivi
Il prezzo alla produzione del burro ha mostrato, a partire dal 2002,
una lunga fase discendente con un progressivo deterioramento che si è
consolidato con la riforma di medio termine della PAC e la conseguente
riduzione progressiva del prezzo di intervento.
Questa fase si è esaurita nel secondo trimestre del 2007, quando si è
verificata un’impennata delle quotazioni, trascinate dalla crescita della
domanda mondiale e dalla scarsa disponibilità di prodotto (evidenziata
dalla riduzione delle scorte). La media del prezzo alla produzione è
salita in un anno del 35,5% passando da 1,72 euro/Kg del 2006 a 2,33
del 2007. A partire dall’autunno del 2007 è iniziata una nuova fase
28
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
discendente che ha riportato la quotazione media nel 2008 a 1,76 euro/
Kg (-24,5% rispetto all’anno precedente) (Tabella 4).
Per quanto concerne il prezzo al consumo, invece, si osserva un andamento
sostanzialmente stazionario fino a metà del 2007; nella seconda metà
dell’anno è iniziata una fase crescente proseguita fino al febbraio 2008.
Dalla primavera successiva si registra un andamento decrescente. Il
punto di svolta superiore del ciclo delle quotazioni alla produzione ha
anticipato, perciò, di circa quattro mesi quello del prezzo al dettaglio;
quest’ultimo però presenta variazioni di minore intensità e in taluni casi di
segno opposto: +5,8% dal 2006 al 2007 e +9,3% nell’anno successivo.
Tabella 4 Dinamica prezzi al dettaglio e alla produzione
del burro.
Al Dettaglio
Anni
2005
2006
2007
2008
2009 (*)
2009/2008(*)
2008/2005
Alla Produzione
Euro/kg
Var.%
Euro/kg
Var.%
6,00
6,01
6,36
6,97
6,89
0,20
5,80
9,30
1,97
1,72
2,33
1,76
1,46
-12,70
35,50
-24,50
-
16,2
-10,7
(*) primo semestre.
Fonte: nostre elaborazioni su dati Ismea e AC Nielsen.
Prescindendo dagli effetti destabilizzanti (soprattutto per i produttori)
provocati dall’alternanza di fasi di crescita impetuosa e di caduta
repentina dei listini, il risultato dell’intero processo di aggiustamento
avvenuto nel triennio 2005-2008, appare molto negativo, in quanto ha
ulteriormente dilatato i margini distributivi. Infatti, a fronte di una flessione
delle quotazioni all’origine (-10,7%) si è registrato un rilevante incremento
dei prezzi al consumo (+16,2%).
Vale la pena di ricordare che l’aumento, parzialmente ingiustificato, dei
margini distributivi rilevato nel corso del 2008 ha richiamato l’attenzione
del Garante per la sorveglianza dei prezzi che, nell’ambito delle azioni
tese a calmierare il costo della vita, ha sollecitato le parti interessate a
trasferire più velocemente sui prezzi al dettaglio, i consistenti ribassi subiti,
nel corso dell’anno, dai listini alla produzione.
29
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
Il posizionamento del burro e la Grande
Distribuzione Organizzata
Il burro appartiene ai condimenti solidi affermato nella gastronomia
italiana sia come tale che come ingrediente di numerose ricette.
Da tempo sconta un decadimento della propria immagine nutrizionale
in relazione alla natura di grasso animale e alla tendenza a limitare il
contenuto calorico dei cibi.
Il basso consumo per famiglia ne implica anche una ridotta frequenza
d’acquisto (5-10 atti di acquisto).
Ciò contribuisce a rafforzare la percezione di prodotto “stantio” per la
lunga permanenza in frigorifero dove per la sua natura chimica, tende
ad irrancidire e ad adsorbire gli odori di volta in volta presenti (aglio,
cipolla, frutta, ecc.).
Il consumo come alimento “freddo e crudo” non è diffuso in Italia al
contrario dei Paesi del Nord Europa e di quelli della UE allargata.
Non si vede poi come tale divario nelle tipologie di consumo possa essere
recuperato anche attraverso proposte di cross-selling (burro+marmellata,
burro+fette biscottate) per il diffondersi di abitudini alimentari che vedono
la prima colazione perdere sempre più importanza.
Le ragioni principali di tale tendenza sono molteplici:
- tendenza a posticipare gli orari di riposo notturno,
- minore senso di appetito al risveglio (fattore fisiologico),
- tempi ristretti per raggiungere scuola e posto di lavoro,
inoltre, oltre il 20% della popolazione considera la colazione un pasto
minore che può essere “saltato”. La percentuale di popolazione abituata
ad una colazione corretta oscilla intorno al 30%. Si diffonde la tendenza
ad assumere una colazione sbrigativa (caffè , cappuccino ecc.) fuori casa
e come occasione conviviale.
Una migliore percezione di questo pasto, da ottenere con un’appropriata
informazione-comunicazione, gioverebbe anche alle occasioni di
consumo del burro tenendo conto che una colazione regolare e corretta
basata sui cardini: gusto-naturalità-salute è dimostrato garantisca migliori
prestazioni fisiche e cognitive nello studio e sul lavoro inoltre nel mediolungo termine, assicura la prevenzione di malattie metaboliche e facilita
il controllo del peso.
La colazione dovrebbe, secondo studi Inran (Istituto Nazionale di Ricerca
per gli Alimenti e la Nutrizione), apportare dal 15 al 20% del fabbisogno
calorico giornaliero. Spesso un fattore importante è la monotonia di questo
30
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
pasto che ne limita la possibilità di essere un appuntamento regolare col
cibo.
Per questo gli “spalmabili” potrebbero essere un fattore di gusto in grado
di coinvolgere anche il burro nelle sue forme aromatizzate.
Riguardo alla GDO il burro entra nell’assortimento dei condimenti
strettamente collegato agli altri prodotti lattiero-caseari. Essa copre ormai
oltre il 90% degli acquisti domestici; se si fa riferimento a super+iper la
quota è prossima ai due terzi.
La GDO ha da tempo inserito il burro nell’assortimento della Private
Labels con lo scopo di rafforzare il ruolo strategico delle medesime nel
posizionamento d’insegna. Nelle Private Labels il burro copre il 30%
circa, delle vendite.
Le innovazioni di prodotto sono per lo più focalizzate sulla grammaturaconfezionamento, sul contenuto in grassi e colesterolo e sulle specialità
quali burro salato o aromatizzato con erbe.
Riguardo alla grammatura il 63% delle vendite è concentrato sui panetti
da 250 gr mentre il 125 gr è intorno al 15%.
Rimangono statici (8%) i consumi di porzioni monodose da 10 gr
confezionate in blister da 20 pezzi, come pure quelli delle porzioni da 1
kg che pure sono presenti specie nelle grandi superfici di vendita.
Riguardo al packaging taluni produttori propongono la confezione in
vaschette di poliuretano, che oltre a garantire una migliore conservazione
in frigorifero, nel caso di consumo crudo agevolano la formazione dei
“riccioli” di burro.
Un discorso a parte meritano le posizioni dei burri speciali: “alleggeriti”
o “aromatizzati”.
I primi faticano ad affermarsi nonostante la presenza ultradecennale sia
per la scarsa attività promozionale resa problematica dal rapporto fra
costi di advertising a margine sui prodotti, sia per la qualità percepita che
raramente risulta attrattiva.
Per questi fattori il tema salutistico è difficilmente sfruttabile sia a livello
di industria che di GDO. E’ da segnalare, come completamento di linea,
anche la comparsa di burro prodotto con creme da produzione biologica,
anche nelle Privale Labels.
Considerazioni finali
Nel mercato italiano del burro operano imprese di trasformazione assai
diversificate: un ruolo importante è svolto dalle cooperative che producono
31
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
formaggio Grana, o da burrifici che acquistano la materia prima presso
i caseifici (specialmente nel comprensorio del Parmigiano-Reggiano)
per i quali il burro rappresenta un prodotto congiunto. In questo settore
operano anche grandi imprese lattiero-casearie per le quali il prodotto in
esame ha un’incidenza sul fatturato assai modesta. All’interno di queste
grandi imprese la produzione di burro generalmente non assume un ruolo
strategico, ma viene considerata solo in termini di completamento della
gamma dei prodotti offerti dall’azienda.
Esistono, tuttavia, anche alcune imprese focalizzate sul prodotto in esame
che, al fine di aumentare il grado di utilizzazione dei loro impianti, spesso
producono anche per conto terzi.
In una situazione di crisi economica caratterizzata da una contrazione del
reddito disponibile, la leva del prezzo ha assunto un ruolo determinante
nella scelta dei consumatori: ciò ha comportato una erosione dei profitti
delle imprese di trasformazione che hanno reagito attuando una strategia
di differenziazione del prodotto.
Le politiche di prodotto attuate dalle imprese del settore in un’ottica di
marketing hanno puntato anche (ma finora con scarso successo) alla
creazione di nuove occasioni di consumo. In realtà la principale minaccia
per la domanda di burro è rappresentata dal mutamento dei modelli di
consumo alimentare che tendono ad orientare i consumatori verso sostituti
di origine vegetale. Lo sviluppo di nuove occasioni di consumi andrebbe
perseguito, però, con un continuo sviluppo di nuove nicchie di mercato
individuate attraverso una più incisiva segmentazione della domanda.
In una fase di maturità come quello che sta attraversando il mercato del
burro, per rivitalizzare la domanda e per valorizzare il prodotto non si
può prescindere dall’attività di ricerca e sviluppo di prodotti evoluti ed
innovativi; le imprese italiane, anche a causa delle loro ridotte dimensioni,
sembrano, tuttavia, poco inclini ad investire risorse aziendali, non solo in
questa direzione, ma anche in comunicazione; ciò perché non considerano
il burro come prodotto strategico per la loro crescita.
L’esigenza di innovazione e promozione del marchio industriale dovrebbe
spingere le imprese del settore ad ampliare la loro dimensione sia per
contrastare il potere contrattuale crescente della GDO sia per cercare
nuovi sbocchi sui mercati esteri.
Le imprese di trasformazione infatti devono ormai competere direttamente
con quelle della GDO che, attraverso il fenomeno delle marche commerciali,
hanno progressivamente sottratto alle prime quote di mercato al dettaglio.
32
Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna
L’unica eccezione è rappresentata dal segmento del burro alleggerito e
aromatizzato che, nel 2008, ha visto il rilancio di alcune marche industriali.
In una fase di recessione e di margini distributivi crescenti occorre,
tuttavia, riconoscere che le marche commerciali hanno svolto un’azione
calmieratrice sui prezzi al dettaglio.
Bibliografia
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Fanfani R., Pieri R. (a cura di) (2010) Il sistema agroalimentare dell’EmiliaRomagna – Rapporto 2009, Maggioli Editore, Rimini.
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Ismea (2009) Indicatori del sistema agroalimentare italiano 2008, Roma.
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Siti consultati
www.clal.it
http://epp.eurostat.ec.europa.eu
www.inran.it
33
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Alimentazione delle bovine, produzione e
composizione del grasso del latte
Introduzione
Il grande interesse per il controllo dei fattori genetici e ambientali che
condizionano la sintesi del grasso del latte deriva dal fatto che i lipidi
influenzano le caratteristiche sensoriali, il valore merceologico, le rese
casearie e le proprietà nutrizionali del latte. L’attenzione al problema è
aumentata da quando malattie croniche come l’aterosclerosi sono state
associate al consumo dei grassi saturi e, poiché il latte apporta fra il 25 e
il 60% degli acidi grassi saturi assunti, il mondo medico si è allarmato. In
realtà questi timori sono in gran parte ingiustificati, tenuto conto che molti
degli acidi grassi contenuti nel latte sono a corta catena e questi, insieme
all’acido stearico e all’oleico (contenuto in notevoli quantità), sono favorevoli
sotto il profilo dietetico; il latte, inoltre, ha anche la peculiarità di contenere
alcuni isomeri degli acidi grassi insaturi, i coniugati dell’acido linoleico
(CLA), che svolgono documentate azioni favorevoli sulla salute dell’uomo.
Il principale CLA è l’acido rumenico (C18:2; cis-9, trans-11); esso deriva
dalla bio-idrogenazione dell’acido linoleico operata dalla microflora
nel rumine e dalla desaturazione dell’acido vaccenico che avviene nella
mammella per l’azione dell’enzima Stearoil-CoA Desaturasi (SCD).
La sintesi dei grassi del latte
Il 60% circa degli acidi grassi necessari alla sintesi dei trigliceridi deriva
dal circolo ematico, mentre la rimanente quota è prodotta nelle cellule
mammarie a partire da acetato e β-idrossibutirrato, che derivano dalla
fermentazione della sostanza organica degli alimenti nel rumine. La
mammella sintetizza completamente gli acidi grassi di lunghezza inferiore
o uguale a 14 atomi di carbonio e il 50% circa dell’acido palmitico (16
atomi di carbonio). Il processo vede l’intervento di due enzimi essenziali:
l’Acetil CoA Carbossilasi (ACC) e l’Acido Grasso Sintasi (FAS).
Nella ghiandola mammaria, al contrario di ciò che avviene negli altri
tessuti della bovina, l’acido palmitico non può essere allungato ad
acido stearico; quest’ultimo però può essere convertito ad acido oleico
per l’azione della Stearoil-CoA Desaturasi (SCD) che introduce un
doppio legame in posizione cis-Δ9 della catena carboniosa; attraverso
questo processo la mammella riesce a modulare la fluidità del latte.
34
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Gli acidi grassi che hanno una lunghezza di catena superiore a 16 atomi
di carbonio, derivano dall’assorbimento intestinale e dalle riserve adipose:
il contributo di queste ultime è interessante soprattutto nelle prime fasi
della lattazione.
L’apporto dei lipidi di origine alimentare è variabile e dipendente dalle
caratteristiche della dieta; in generale, nelle razioni basate sull’impiego
di foraggi, cereali e farine d’estrazione, i lipidi sono rappresentati in
quantità comprese entro il 3-3,5% della sostanza secca, e anche quando
si aggiungono alimenti ricchi di grassi, gli apporti si mantengono entro il
5,5- 6%.
I lipidi disponibili all’assorbimento intestinale derivano anche dalla
digestione dei batteri ruminali che sono in grado di sintetizzare ex-novo
gli acidi grassi e hanno un ruolo fondamentale nell’idrogenare quelli
insaturi presenti negli alimenti.
La biosintesi mammaria dei lipidi è direttamente influenzata dagli acidi
grassi disponibili.
Per esempio, la presenza di acido acetico e butirrico (entrambi derivati
dalle fermentazioni ruminali), comportano un’efficiente e intensa sintesi
mammaria di trigliceridi; viceversa, i saturi a lunga catena, che originano
dalle riserve o dagli alimenti, inibiscono le sintesi de novo degli acidi
grassi a corta catena. In tal senso si comprende la difficoltà di elevare la
quantità di grasso nel latte attraverso l’aggiunta di lipidi alle diete; nella
maggioranza dei casi, infatti, la maggiore disponibilità di acidi grassi
saturi a lunga catena, che generalmente costituiscono i grassi aggiunti
alle razioni, limita l’utilizzo dell’acetato e del butirrato da parte della
mammella. Queste molecole, quindi, possono essere utilizzate come fonti
di energia per la sintesi di una maggiore quantità di latte.
La presenza di alcuni coniugati dell’acido linoleico agisce direttamente
sull’attività della FAS; in questo senso possono essere spiegate le flessioni,
spesso repentine e imponenti, dei titoli lipidici del latte quando siano
presenti intermedi del ciclo di bio-idrogenazione ruminale dei grassi
insaturi.
Il punto di fusione del grasso
Il punto di fusione del grasso del latte, mediamente compreso tra 32 e i
39°C, varia notevolmente in funzione dell’alimentazione ed è influenzato
degli acidi grassi insaturi apportati con la dieta. Da esso dipende la
spalmabililità della crema e del burro. Il punto di solidificazione è compreso
35
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
tra 20 e 24°C. La variabilità dei punti di fusione e di solidificazione dipende
dal fatto che il grasso del latte è una miscela di trigliceridi a diverso peso
molecolare e grado d’insaturazione; il punto di fusione dei trigliceridi è,
con buona approssimazione, collegato a quello dei principali acidi grassi
che li compongono.
L’acido palmitico e stearico innalzano il punto di fusione mentre gli
acidi grassi mono e polinsaturi e quelli a corta catena lo abbassano;
la mammella attraverso l’azione dell’enzima SCD riesce a modulare
la fluidità riducendo la quantità di acido stearico e innalzando quella
dell’oleico. In generale, si può affermare che l’impiego di lipidi insaturi
nella dieta riduce il punto di fusione e di solidificazione rendendo più
spalmabile il burro.
Il controllo delle fermentazioni ruminali
La degradazione dei glucidi e delle proteine, operata dalle popolazioni
batteriche presenti nel rumine, porta alla formazione dell’acetato e del
butirrato che la mammella utilizza per la sintesi degli acidi grassi a corta e
media catena del latte; questi acidi grassi, peraltro, rappresentano anche
una delle principali fonti di energia per l’animale. E’ noto che la sintesi
di acetato è prevalente quando sono fermentati i glucidi fibrosi come la
cellulosa e le emicellulose che, principalmente, sono presenti nei foraggi;
il butirrato è invece prodotto dalla fermentazione delle pectine e degli
zuccheri. In generale, si può affermare che tanto più rapida e intensa è
la presenza e la degradazione di questi glucidi, tanto maggiore sarà la
disponibilità di substrati utili alla sintesi di acidi grassi a corta catena.
Perché la degradazione della fibra sia efficiente, è necessario che si creino
condizioni favorevoli allo sviluppo e all’attività dei batteri cellulosolitici nel
rumine. Queste popolazioni hanno un fabbisogno specifico di ammoniaca
che usano come substrato azotato, e temono valori di pH inferiori a 6,2.
Il pH nel rumine dipende dall’equilibrio che si realizza tra potere
acidificante degli acidi grassi prodotti, rispetto al potere assorbente
della mucosa ruminale e alla quantità di sostanze tampone disponibili.
Numerosi fattori intervengono nel regolare questo equilibrio; in genere
possiamo affermare che quando si ha una lenta produzione di acidi
grassi volatili (AGV), è relativamente facile mantenere elevato il pH; nel
caso in cui i glucidi apportati siano facilmente degradabili (zuccheri
semplici e amidi), la liberazione di AGV è più rapida, il rischio di un loro
accumulo aumenta e il pH più facilmente tende ad abbassarsi. Altri fattori
36
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
contribuiscono a mantenere relativamente costante il pH ruminale, e fra
questi ricordiamo il numero dei pasti e la struttura fisica degli alimenti,
foraggi in particolare. Senza volere entrare troppo nel dettaglio si ritiene
opportuno ricordare che, in condizioni naturali, il ruminante dedica molto
tempo all’assunzione di alimenti che avviene in molti e piccoli pasti; ciò
assicura un substrato costante di fermentazione ai batteri ruminali e un
regolare assorbimento di AGV da parte della mucosa. Negli allevamenti
si dovrebbero mettere in atto strategie di razionamento che perseguano lo
stesso obiettivo ; infatti, se l’ingestione di glucidi rapidamente fermentabili
(in pratica i mangimi) avviene in pochi e abbondanti pasti (meno di 4-6
al giorno), il pH ruminale fluttua più intensamente raggiungendo valori
inferiori a 5,6-5,8 per molte ore; questa condizione è sufficiente a ridurre
intensamente la digestione della fibra e con essa diminuiscono le quantità
di acidi grassi volatili utili alla sintesi del grasso del latte.
La struttura fisica dei foraggi e la loro resistenza alla frantumazione
influenza il numero di atti masticatori necessari per ingerire e ruminare gli
alimenti, la quantità di saliva prodotta e i ritmi di svuotamento del rumine.
Tutti questi fattori contribuiscono a influenzare i valori e la costanza del
pH ruminale; in genere tanto più la struttura degli alimenti è fine, tanto
più rapida è la loro ingestione e meno intense sono la masticazione e la
secrezione di saliva; quest’ultima, per il suo contenuto di bicarbonato,
fosfato, ed urea, è la principale sostanza tampone in grado di controllare
le fluttuazioni di pH nel rumine. Si può quindi affermare che esiste una
relazione diretta e positiva fra apporto di fibra fisicamente efficace (in
pratica l’apporto di foraggi), induzione della masticazione, e sintesi di
grasso nel latte.
L’impiego di quantità più elevate di mangimi modifica i rapporti di
produzione fra AGV riducendo l’acetato a favore del propionato ma,
com’è stato giustamente rilevato, ciò non è generalmente sufficiente per
giustificare le flessioni dei titoli di grasso che frequentemente si osservano
negli allevamenti; quasi mai, infatti, la produzione di acetato è così
depressa da apparire insufficiente per la normale attività di biosintesi
della mammella.
La giustificazione della cosiddetta “sindrome del latte magro” deve quindi
trovare spiegazione in altri fattori.
Nutrizione lipidica e titolo di grasso del latte
La maggior parte dei lipidi presenti negli alimenti assunti dal ruminante
37
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
è sotto forma di trigliceridi insaturi e a lunga catena. Quando giungono
nel rumine, i trigliceridi sono idrolizzati; il glicerolo è utilizzato come
immediata fonte di energia, mentre gli acidi grassi sono rapidamente
idrogenati da parte di numerosi ceppi batterici e in particolare di quelli
celluloso litici. La ragione per la quale i batteri agiscono prontamente a
carico dei lipidi, saturandoli, è legata al fatto che gli acidi grassi insaturi
ne alterano la fluidità di membrana, distruggono le proteine di trasporto,
e reagiscono con il magnesio e calcio batterico per formare dei saponi.
I ceppi cellulosolitici risentono particolarmente di questa potenziale
tossicità, infatti, la digeribilità della fibra si riduce di oltre il 10% quando
nella dieta sono presenti elevate quantità di grassi insaturi.
Il processo di bio-idrogenazione, che può essere considerato un
meccanismo di difesa dei batteri, procede per tappe successive che portano
alla formazione di prodotti intermedi e all’acido stearico come prodotto
finale. In figura 1 viene riportato uno schema semplificato raffigurante
le diverse tappe del processo che avviene a carico dell’acido linoleico.
La produzione di acido rumenico (CLA - cis-9, trans-11) è attuata molto
velocemente da un gruppo di batteri di cui fanno parte i butirrivibrio, i
clostridi e le spirochete; la saturazione ad acido stearico (C18:0) invece
avviene più lentamente, ed è operata da microorganismi non ancora
completamente identificati ma meno attivi dei primi.
Figura 1 Principali tappe che portano alla completa idrogenazione
dei lipidi insaturi nel rumine in presenza di diverse assetti fermentativi.
Il primo passaggio del processo è un’isomerizzazione che sposta uno
dei doppi legami di una posizione per produrre un intermedio coniugato
38
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
necessario per la successiva tappa di saturazione. Se l’acido grasso di
partenza è il linoleico, l’intermedio è definito CLA ovvero, Coniugato
dell’Acido Linoleico. Molto simile è anche la sorte dell’acido linolenico e
degli acidi grassi polinsaturi a lunga catena che, presentando più doppi
legami, necessitano di più passaggi per essere completamente saturati.
Il fatto che la trasformazione ad acido stearico dei CLA sia relativamente
lenta giustifica, almeno in parte, la comparsa di questi intermedi
nell’intestino. Il processo di formazione dei CLA è strettamente dipendente
dalle popolazioni microbiche presenti nel rumine, dalla quantità di acidi
grassi insaturi apportati con la dieta, e dalla velocità di transito degli
alimenti nel rumine. Nel caso in cui la dieta contenga quantità elevate di
acidi grassi insaturi e siano presenti condizioni critiche per l’attività dei
microorganismi capaci di bio idrogenare, si ha un’elevata formazione
di composti intermedi del processo. Recenti lavori hanno dimostrato
l’esistenza di almeno dieci differenti CLA. Senza dubbio, l’isomero cis9, trans-11 è il principale ma, in determinate condizioni fermentative
dipendenti solo in parte dal pH, si può avere la produzione di quantità
sensibili di trans-10, cis-12, un secondo isomero dell’acido linoleico;
quest’ultimo è in grado di inibire la sintesi dell’enzima acido grasso
sintasi nella ghiandola mammaria e si ritiene per questo il principale
responsabile della “sindrome del latte magro”.
In concomitanza con l’insorgere di questa sindrome è stata recentemente
riscontrata la presenza di alcune specie batteriche ruminali, altresì assenti
o difficilmente quantificabili in condizioni di concentrazione standard di
grasso.
Alcuni ceppi di Megasphaera Elsdenii sono, infatti, in grado di produrre
il trans-10, cis-12 CLA e, in molti casi, la loro presenza è promossa da
diete ricche di amidi e povere di fibra. Il fenomeno è riconducibile al
fatto che la crescita di questi batteri è stimolata dalla presenza di acido
lattico nel rumine. In razioni ricche di glucidi rapidamente fermentabili
(zuccheri e amidi), specie se assunte in pasti infrequenti e abbondanti, si
può registrare una repentina flessione del pH dovuta alla grande quantità
di AGV prodotti in seguito alla degradazione della sostanza organica.
Se la vacca non è in grado di tamponare efficientemente il sistema, il
pH continua la discesa favorendo lo sviluppo di Streptoccocus Bovis
che è il principale produttore di acido lattico; quest’ultimo ha un potere
acidificante dieci volte maggiore degli AGV, quindi il pH discende ancora
più velocemente e si può incorrere in accumulo di acido lattico che stimola
39
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
lo sviluppo di M. Elsdenii, in grado di utilizzare il lattato per ricavare
energia.
Come mantenere elevati titoli di grasso del latte?
In base alle considerazioni fin qui svolte appare chiaro che per esaltare
la sintesi di grasso nel latte si debba agire limitando le condizioni
che promuovono lo sviluppo di ceppi dei microorganismi produttori
dell’isomero trans-10, cis-12 nel rumine ed esaltando la formazione degli
acidi grassi che la mammella utilizzerà per le sintesi de-novo degli acidi
grassi.
Per perseguire questi obiettivi, nelle condizioni pratiche di allevamento, si
dovrà porre attenzione ai seguenti punti:
- includere nelle razioni sufficienti quantità di foraggi (minimo 4050% della sostanza secca della razione), dotati di adeguata struttura
(dimensione superiore a 0,8-1 centimetri di lunghezza) per indurre
un’efficiente attività masticatoria e produzione di saliva;
- formulare razioni con contenuti di fibra neutro detersa sempre superiori
al 28-30% della sostanza secca e caratterizzata da un’elevata
degradabilità ruminale per “nutrire” i batteri cellulosolitici; la fibra
neutro detersa degradabile non dovrà essere inferiore al 10-11% della
sostanza secca;
- adottare livelli prudenti di amido degradabile (rapporti inferiori
all’unità rispetto alla quota di fibra effettiva per la masticazione) per
evitare eccessive fluttuazioni del pH ruminale; in tal senso particolare
attenzione andrà posta anche alle modalità con cui le razioni sono
somministrate e assunte;
- limitare l’inclusione di acidi grassi insaturi (semi oleosi, sottoprodotti
ricchi di lipidi ad elevato punto di insaturazione), soprattutto quando
sussistano condizioni aziendali considerate a rischio di acidosi ruminale;
in termini pratici l’apporto di acidi grassi insaturi dovrebbe sempre
essere contenuto entro l’1,5-2% della sostanza secca della razione.
Strategie per modificare la composizione in acidi
grassi del latte
Le possibilità di modificare le frazioni lipidiche del latte si basano
sull’apporto di alimenti dotati di acidi grassi polinsaturi (vedi tabella 1) e
interessanti sono le possibilità di elevare il contenuto di CLA e di Omega 3.
40
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Strategie per innalzare il contenuto in Omega 3
Gli acidi grassi polinsaturi non sono sintetizzati dai tessuti animali. La
loro concentrazione nel latte dipende quindi dagli apporti dietetici e dalla
resistenza alla bio-idrogenazione ruminale delle fonti impiegate.
La bio-idrogenazione può essere prevenuta attraverso una protezione
indotta da particolari trattamenti tecnologici effettuati a carico di alimenti
ricchi di Omega 3 o per mezzo di protezioni fisiche di olii ricchi in questi
acidi grassi.
Il seme di lino è l’alimento d’elezione (in quest’alimento il C18:3 rappresenta
più del 50% del titolo lipidico totale) e il trattamento tecnologico più usato
è l’estrusione. I risultati di numerose ricerche hanno dimostrato che il tasso
di trasferimento dell’acido α- linolenico, usando il lino estruso, non supera
in genere il 5-6% rispetto agli apporti. Di sovente, l’uso di seme di lino
estruso, specie se in quantità rilevanti (oltre i 200-300 grammi per capo
al giorno) in diete relativamente povere di fibra, provoca sensibili flessioni
dei tassi lipidici, dimostrabili alla luce delle considerazioni già svolte (vedi
tabella 2 ).
Tabella 1
Composizione in acidi grassi dei principali alimenti usati
per razionare le bovine da latte (g/KG/S.S.).
Alimento
Acidi
grassi
Acido
linoleico
Acido
linolenico
Medica erba “matura”
Medica erba “giovane”
Graminacee erba “giovane”
Medica fieno “giovane”
Medica fieno “maturo”
Graminacee fieno
Mais farina
Orzo farina
Sorgo farina
Soia seme integrale
Lino seme
16.3
22.8
35
19.3
13.4
21.7
35
20
23
147
308
3.1
4.3
5
3.6
2.5
3.1
17.8
11.2
11.3
80.3
44
8.1
11.3
10.6
7.1
5.1
6.6
0.7
0.9
0.4
14
166
41
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Tabella 2
Effetti della somministrazione di lino estruso (1.5 kg)
nell’alimentazione di bovine da latte (Formigoni et al.,
dati non pubblicati).
Gruppi
Latte
Grasso
Grasso
Acidi Grassi
< C14:0
C16:0
> C16:0
P.to fusione
kg/capo/d.
%
g/capo/d.
g/capo/d.
% del totale
% del totale
% del totale
°C
Controllo
Seme di
Lino
26.7
4.16
1100
1026
32.2
35.6
32.2
37.6
26.2
3.9
1020
952
31.5
28.5
40
36.2
Differenza
in % verso
il controllo
-1.7
-6.3
-7.3
-7.3
-2.1
-19.9
24.1
-3.7
Un incremento in acidi grassi della serie Omega 3 a più lunga catena
è possibile quando la dieta sia addizionata con olii di pesce o alghe,
entrambi ricchi di EPA e DHA. Anche in questi casi il rischio di flessioni
importanti dei titoli lipidici è concreto e l’efficienza di trasferimento al latte
è comunque modesta.
Una strategia che, almeno da un punto di vista teorico, consentirebbe
di aumentare il tasso di trasferimento senza interferire negativamente
con l’attività del microbiota ruminale e penalizzare i titoli di grasso del
latte, è rappresentata dalla protezione fisica di substrati (olii di lino e di
pesce, alghe, ecc.) con microsferule di materiali inerti per le fermentazioni
ruminali, che rendano quindi liberi all’assorbimento intestinale gli acidi
grassi. Questa tecnologia è efficacemente utilizzata per la protezione
di diversi nutrienti; tuttavia, nel caso dei lipidi, esistono delle difficoltà
tecnologiche rilevanti, considerato anche il fatto che la maggior parte
delle matrici di protezione sono esse stesse di natura lipidica; in effetti,
la bio-idrogenazione ruminale è molto intensa e rapida nel caso in cui la
protezione non sia perfetta. Ciò giustifica le numerose difficoltà, peraltro
segnalate anche in letteratura, nell’ottenere prodotti affidabili nel garantire
livelli costanti di arricchimento del latte.
Il pascolo, così come la somministrazione di foraggi freschi, permette
di mantenere una migliore assunzione di C18:3, con conseguente
42
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
trasferimento al latte fino a quattro volte maggiore di quello osservato con
alimentazione a base di fieni. In ogni caso, dall’esame dei dati reperibili in
bibliografia, sono difficilmente ottenibili valori di C18:3 nel latte superiori
all’1%.
Strategie per elevare il contenuto in CLA
I diversi studi che hanno permesso di individuare e raggruppare i fattori
in grado di influenzare il contenuto di CLA nel latte, hanno evidenziato
un importante effetto individuale dell’animale connesso all’espressione
dell’enzima SCD.
Da un punto di vista alimentare, le vie più concrete sono riferibili all’utilizzo
di maggiori quantità di substrati capaci di portare alla formazione di CLA o
acido vaccenico nel rumine; al contempo, è importante considerare anche
i fattori in grado di modificare l’attività microbica di bio-idrogenazione.
Considerando le vie di formazione dei CLA, appare evidente che la loro
concentrazione sarà tanto maggiore quando:
- la razione apporti elevate quantità di lipidi insaturi;
- il trattamento tecnologico cui sono sottoposti gli alimenti “esponga”
i lipidi - contenuti all’azione saturante dei batteri;
- il transito degli alimenti nel rumine sia veloce.
Queste condizioni si realizzano naturalmente con il consumo di foraggi
verdi e giovani (generalmente al pascolo ma anche forniti in stalla); in
questi casi, infatti, l’apporto di acidi grassi insaturi è più abbondante che
nei foraggi conservati e il transito ruminale degli alimenti è più veloce di
quando si usano dei fieni maturi.
In condizioni di allevamento confinato, l’inclusione nella dieta di semi
oleosi ricchi di acido linoleico (soia, girasole e colza), linolenico (semi di
lino) e LCPUFA (oli di pesce), è la più comune delle strategie adottabili per
arricchire il contenuto di CLA nel latte (tabella 3 e 4). L’inclusione di acido
linoleico e di LCPUFA, piuttosto che di linolenico, sarebbe più efficace
perché la velocità di bio-idrogenazione a carico di questi composti è più
lenta e quindi sarebbe maggiore la quantità di “intermedi” che giungono
alla mammella.
43
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Tabella 3
Influenza di diversi fattori alimentari sull’aumento della
concentrazione in CLA del latte (Nudda et al., 2007).
Quantità di lipidi addizionati
Controllo
mg/100 g
0.52
< 2% della s.s.
mg/100 g
0.78
2-2.99 % della s.s.
mg/100 g
0.99
3-3.99% della s.s.
mg/100 g
1.29
>4% della s.s.
mg/100 g
1.93
Controllo
mg/100 g
0.54
Ricco in 18:1
mg/100 g
0.95
Ricco in 18:2
mg/100 g
1.45
Ricco in 18:3
mg/100 g
1.17
Olio di pesce
mg/100 g
2.19
C16:0+C18:0
mg/100 g
0.71
Controllo
mg/100 g
0.44
Mangimi
mg/100 g
1.74
Olio
mg/100 g
1.78
Saponi
mg/100 g
0.62
Altro
mg/100 g
0.90
Qualità dei lipidi addizionati
Forma fisica dei lipidi addizionati
Considerazioni finali
Il controllo della sintesi mammaria del grasso, in termini quantitativi
e qualitativi, è perseguibile attraverso un’appropriata modulazione
degli apporti alimentari dei glucidi e dei lipidi; al contempo non è da
trascurare l’influenza della modalità con cui sono assunte le razioni da
parte dell’animale. In generale appare determinante il controllo delle
fermentazioni e dei processi di bio-idrogenazione che avvengono nel
rumine.
44
Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna
Tabella 4
Effetti dell’inclusione di semi integrali di soia (1 kg/
capo/giorno) e di lino estruso (0,4 kg/capo/giorno) sui
contenuti di CLA (mg/100 grammi di grasso) del latte di
bovine alimentate con razioni a base fieni di medica e
graminacee.
Settimane dal
trattamento
C18:2
C18:2
CLA
cis 9, trans 11
trans 10, cis 12
Totali
0.29
0.47*
0.37
0.46*
0.45*
0.45*
0.45*
0.44*
0.53*
0.49*
0.31
0.047
0.056
0.049
0.041
0.046
0.044
0.039
0.047
0.045
0.055
0.046
0.34
0.53
0.42
0.5
0.5
0.49
0.49
0.49
0.58
0.54
0.36
Controllo
2
4
6
8
10
13
15
17
19
21
(Gli asterischi indicano differenze significative rispetto al controllo).
(A.L. Mordenti et al., 2009).
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47
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Composizione e struttura del grasso del
latte
Riassunto
Il grasso del latte è costituito prevalentemente da globuli di dimensione
variabile da 0,1 a 10 µm, con prevalenza numerica dei globuli più piccoli,
ma quantitativamente determinata da quelli più grossi. La composizione
del grasso dei globuli di grasso del latte è caratterizzata da una prevalenza
di triacilgliceroli (trigliceridi), molto numerosi e di dimensioni ampiamente
variabili, insieme ad una piccola percentuale di lipidi polari di varia
composizione. La enorme variabilità della composizione dei triglicerisi va
considerata determinata da una varietà di oltre 400 acidi grassi differenti
già identificati. Le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e reologiche
del grasso del latte sono legate alla dimensione e all’insaturazione delle
catene idrocarburiche degli acidi grassi, che spaziano da 4 a 20 atomi di
carbonio totale e da 0 a 3 doppi legami presenti.
La composizione degli acidi grassi del grasso del latte è prevalentemente
costituita da acidi grassi saturi, fra i quali prevale l’acido palmitico.
Questa composizione ha avuto nell’ultimo mezzo secolo una cattiva fama,
in quanto considerata troppo ricca di acidi grassi saturi e per questo non
ottimale come fonte lipidica alimentare per la protezione della salute in
relazione alle malattie cardiovascolari.
Recentemente, è stato osservato che le membrane dei bambini sono
particolarmente ricche di acidi grassi saturi, a differenza degli adulti,
condizione legata alla presenza di minori quantità di colesterolo, molecola
nota anche per la proprietà irrigidente delle membrane.
La presenza di acidi grassi insaturi con la configurazione trans del doppio
legame è dovuta all’azione idrogenante del rumine, con il C18: t11 (acido
vaccenico) come componente principale degli acidi grassi trans isomeri e i
CLA (conjugated linoleic acids) gli isomeri trans più interessanti dal punto
di vista salutistico. L’acido vaccenico, quando assumiamo un insufficiente
livello calorico attraverso l’alimentazione, è trasformato in acido C18: c9,
t11 (denominato acido rumenico), che è l’acido grasso considerato più
attivo fra i CLA per gli aspetti salutistici.
I CLA comprendono una ventina d’isomeri geometrici e posizionali a 18
atomi di carbonio con due doppi legami coniugati.
La posizione dei doppi legami è localizzata compresa tra Δ7 e Δ14 e,
48
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
inoltre, la diversa disposizione nello spazio degli stessi gruppi funzionali
(doppi legami) conferisce alla molecola una diversa configurazione cis o
trans.
Oltre ai trigliceridi e agli acidi grassi, il grasso di latte contiene piccole
quantità di sostanze, per questo denominate “minori”, quali digliceridi,
monogliceridi, e componenti dell’insaponificabile. Tra questi ultimi sono
presenti: lo squalene, i pigmenti carotenoidi, i tocoferoli, altre vitamine
liposolubili e gli steroli. Fra gli steroli domina con oltre il 99,7%, il
colesterolo.
Introduzione
Componente principale della dieta di molti giovani consumatori e un
cibo di consumo giornaliero per tanti altri, il latte rappresenta uno degli
alimenti piu’ diffuso nei consumi dell’intero pianeta.
La composizione del latte è caratteristica e i latti di diverse specie animali
hanno una serie di somiglianze nella composizione che fanno ritenere
importante la presenza di nutrienti particolari: il lattosio, le proteine, il
grasso. Anche la forma nella quale queste sostanze sono contenute è
molto particolare, cioè, come micelle disperse, disperse in forma colloidale
ed emulsioni fini. Questo tipo di strutture determinano una notevole
omogeneità di composizione, associata ad una certa sua stabilità, ma
presentano anche una più rapida disponibilità all’elaborazione digestiva
delle sostanze in esse contenute, oltre alla conseguente maggiore
assimilazione dei costituenti nutritivi.
È necessario ricordare che gli acidi grassi di dimensione fino ai 10 atomi
di carbonio siano prontamente e direttamente utilizzati per uso energetico
come fossero zuccheri, oltre alla capacità del nostro organismo di
trasformare l’acido stearico introdotto in acido oleico molto rapidamente.
Pertanto, la quantità di acidi grassi saturi, tali come comportamento, si
attesterebbe su circa il 35-40 % del totale, inferiore al contenuto di saturi
dei grassi vegetali del settore alimentare, come ad esempio quello di
cocco e di palma.
Secondo i dati disponibili nella letteratura specializzata, dal 1991 al 2004
la produzione mondiale di grassi animali è passata da 19,8 milioni di
tonnellate a oltre 22,73 milioni di tonnellate con un aumento di circa il 15%,
ad eccezione del burro che invece è aumentato solo del 10% passando da
5,84 a 6,44 milioni di tonnellate (Tabella 1) (Gunstone F., 2005).
49
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Se si considera che nello stesso periodo la popolazione mondiale è,
in concreto, diventata 1,5 volte maggiore, questi dati congiuntamente
dimostrano che il consumo pro-capite di grassi animali non è cresciuto
negli ultimi 10 anni.
Tabella 1
Produzione di grassi animali in milioni di tonnellate
(metriche) degli ultimi anni
Anni
Grasso
animale
91-95 98-99 99-00 00-01 01-02
02-03
03-04
Aumento
nei 10 anni
Burro
5,84
5,87
5,94
6,00
6,22
6,29
6,44
10%
Lardo
5,39
6,59
6,68
6,69
6,88
7,09
7,28
35%
Sego
7,32
8,11
8,21
7,71
8,04
8,07
8,03
10%
Olio di
pesce
1,25
1,28
1,54
1,22
0,93
0,97
0,98
22%
totale
19,80
21,85
33,37
21,62
22,07
22,42
22,73
15%
Nel caso si considerassero anche le sostanze grasse di origine vegetale, le
produzioni dell’olio di soia e del grasso di palma, confrontando con tutti
gli altri andamenti, hanno mostrato molto più una crescita. La spiegazione
è abbastanza semplice: per l’olio di soia, che rappresenta un sottoprodotto
della produzione delle farine proteiche che hanno soppiantato le “farine
di pesce” e più recentemente anche quelle “di carne” per la destinazione a
formulazione di mangimi per l’allevamento animale, l’andamento è legato
al crescente impiego delle farine delipidizzate (“di estrazione”). Questa
grande disponibilità di olio ha creato la necessità di produrre derivati
dell’olio di soia, oltre a offrire in commercio tale olio miscelato con altri
che lo possano stabilizzare un po’ di più nei confronti dell’ossidazione, di
cui è particolarmente sensibile a causa della forte insaturazione.
Per quanto riguarda il grasso di palma, il suo impiego si è molto diffuso
e appare come ingrediente in numerosi alimenti, soprattutto nei prodotti
50
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
da forno e dolciari a causa delle sue caratteristiche di consistenza a
temperature ambientali, ma anche perché molto versatile negli impieghi e
anche delle sue possibili forme commerciali realizzabili, come ad esempio
i vari frazionati.
La composizione del latte
La composizione del latte di diversi mammiferi mostra differenze notevoli
nelle quantità relative di ogni nutriente (Tabella 2) (Park Y.W. et al., 2007).
Considerando che il latte costituisce l’unico alimento per l’organismo in
giovanissima età, la composizione del latte dovrà soddisfare la necessità
di maturazione dell’organismo, in relazione anche alla specie animale,
alla dimensione corporea e all’ambiente nel quale vive.
Tabella 2
Composizione del latte umano e di alcuni ruminanti
Composizione (%)
Grasso
Solido secco magro
Lattosio
Proteine
Caseine
Albumine, globuline
Azoto non proteico
Ceneri
Calorie/100 mL
Capra
Pecora
Vacca
Donna
3,8
7,9
3,6
4,0
8,9
12,0
9,0
8,9
4,1
4,9
4,7
6,9
3,4
6,2
3,2
1,2
2,4
4,2
2,6
0,4
0,6
10
0,6
0,7
0,4
0,8
0,2
0,5
0,8
0,9
0,7
0,3
70
105
69
68
La composizione dei nutrienti del latte di diversi mammiferi (Tabella 3)
(http://www.sciencedirect.com/science/book/9780123844309;
Huppertz et al., fra parentesi) è indice, salvo alcuni casi particolari,
di una variabilità quantitativa abbastanza contenuta, soprattutto se si
considerano i mammiferi ruminanti separati dagli altri.
51
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 3
Composizione in nutrienti del latte di diverse specie
animali
Specie
Acqua
%
Residuo
secco %
Proteine
%
Grasso
%
Lattosio
%
Ceneri
%
Donna
87,6
12,4 (12,6)
2,0 (1,1)
3,7 (4,5)
6,4 (6,8)
0,3 (0,2)
Vacca
87,3
12,7 (12,2)
3,4 (3,1)
3,7 (3,5)
4,9 (4,9)
0,7 (0,7)
Bufala
82,3
17,7 (21,5)
5,1 (5,9)
7,5 (10,4)
4,4 (4,3)
0,7 (0,8)
Pecora
83,6
16,4 (16,3)
5,1 (5,5)
6,2 (4,3)
4,2 (4,6)
0,9 (0,9)
Capra
86,8
13,2 (12,0)
3,8 (3,1)
4,0 (3,5)
4,6 (4,6)
0,8 (0,8)
Asina
90,1
9,9 (10,2)
1,8 (1,7)
1,4 (1,2)
6,2 (6,9)
0,5 (0,5)
Cavalla
90,6
9,4 (11,0)
2,0 (2,7)
1,1 (1,6)
5,9 (6,1)
0,4 (0,5)
Cagna
75,4
24,6 (20,7)
11,2 (9,5)
9,6 (8,3)
3,1 (3,7)
0,7 (1,2)
Coniglia
69,5
30,5 (26,4)
12,0 (10,4)
13,0
(12,2)
2,0 (1,8)
2,5 (2,0)
Scrofa
83,9
16,1 (19,9)
7,2 (5,8)
4,6 (8,2)
3,2 (4,8)
1,1 (0,6)
Renna
68,5
31,5 (34,1)
9,9 (10,4)
17,1
(19,7)
2,9 (2,6)
1,6 (1,4)
Elefante
79,3
20,7 (26,9)
2,5 (4,9)
9,1 (15,1)
8,6 (3,4)
0,5 (0.8)
Cammella
86,5
13,5 (14,4)
4,0 (3,7)
3,1 (4,9)
5.6 (5,1)
0,8 (0,7)
Composizione del grasso del latte
Il grasso del latte è costituito prevalentemente da globuli di dimensione
variabile da 0,1 a 10 μm, con maggioranza numerica dei globuli più
piccoli, ma quantitativamente determinata da quelli più grossi. La
composizione del grasso dei globuli di grasso del latte è caratterizzata
da una prevalenza di triacilgliceroli (trigliceridi), molto numerosi e di
dimensioni ampiamente variabili, insieme ad una piccola percentuale di
lipidi polari di varia composizione.
L’enorme variabilità della composizione dei trigliceridi va considerata
determinata da una varietà di oltre 400 acidi grassi differenti già
52
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
identificati. Le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e reologiche del
grasso del latte sono legate alla dimensione e all’insaturazione delle
catene idrocarburiche degli acidi grassi, che spaziano da 4 a 20 atomi di
carbonio totale e da 0 a 3 doppi legami presenti.
La composizione dei trigliceridi del grasso del latte vaccino (Figura 1)
(Lercker G. et al., 1992; Contarini G., Battelli G., 1997) è molto più
complessa di quasi tutte le composizione dei trigliceridi di sostanze grasse
alimentari, soprattutto quelle di provenienza vegetale. D’altra parte la
presenza di oltre 400 acidi grassi differenti (Jensen R.G., 2002), già tutti
identificati, fa intuire le possibilità di moltiplicazione dovute alle possibili
teoriche distribuzioni qualitative nella forma di trigliceridi.
Le quantità di proteine e grassi sono molto differenti nelle diverse specie
considerate e sembrano avere una relazione con le temperatura dei luoghi
dove vivono normalmente quegli animali e con la loro velocità di crescita.
Una maggiore uniformità appare avere il contenuto di lattosio.
Figura 1 - Tracciati gas cromatografici esaminati
in colonna capillare (cGC) dei trigliceridi del
grasso di latte
Analisi dei TG mediante colonna cGC
polare (lunghezza 25 m)
Analisi dei TG mediante il metodo ufficiale
UE (lunghezza 5 m)
In Tabella 4 è riportata la composizione del grasso di latte vaccino (Walstra
P. et al., 2006a), che appare molto complessa, come prevedibile dalla
natura del grasso nel latte nella forma di globuli dotati di membrana, in
sospensione acquosa (Figura 2).
53
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 4
Composizione dei lipidi del latte vaccino
nel
grasso
Mwt
Classe
lipidica
(medio)
x
y
%
nel
Membrana
cuore del globulo
del
%
globulo
%
Plasma
del
latte
%
Gliceridi
neutri
Trigliceridi
728
14,4
0,35
98,3
-100
+
Digliceridi
536
14,9
0,36
0,3
90?
10?
?
Monogliceridi
314
15,0
0,36
0.03
+
+
30
Acidi grassi
liberi
253
15,8
0,36
0,1
60
10?
35
0,6
0
65
Ph. Colina
Ph.
Etanolamminab
Ph. Serinab
764
17,2
0,6
0,27
742
17,9
1,0
0,25
784
17,8
0,8
0,03
Ph. Inositoloc
855
Sfingomielinad
770
19
0,2
0,20
Cerebrosidic,d
770
20
0,2
0,1
0
70
30
0,01
0
70
30?
0,32
80
10
10
95?
5?
+
98,7
Fosfolipidia
Gangliosidi
c,d,e
0,04
-1600
Steroli
Colesterolo
386
Esteri del
colesterolo
642
Carotenoidi
+ vitamina
A
0,30
16
0,4
0,02?
0,02
Approssimativamente l’1% è presente nella forma di lisofosfatidi;
Fosfatidiletanolammina + Ph. Serina = cefalina;
c
Glicolipidi; dSfingolipidi; econtenenti anche acido neuramminico;
x = dimensione media degli acidi grassi (n. di atomi di carbonio);
y = numero medio di doppi legami.
Mwt = peso molecolare
a
b
54
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Figura 9 Raffigurazione del globulo di grasso del latte
nelle sue principali componenti e loro localizzazione
Il globulo di grasso
La distribuzione delle dimensioni dei globuli di grasso è assai disomogenea:
essi variano fra 0,1 e 10 μm, con prevalenza quantitativa del numero dei
piccoli globuli (<3 μm), ma prevalenza in quantità di grasso (> 90% del
totale del grasso) nei globuli più grandi (Lopez C., Briard-Bion V., 2007).
In virtù dell’effetto della dimensione in relazione al volume di grasso, i
globuli più piccoli possiedono un rapporto membrana/gliceridi maggiore
ed una maggiore presenza di acidi grassi insaturi (Sharma S.K., Dalgleish
D.G., 1993).
In seguito al trattamento di omogeneizzazione sul latte e sui latticini,
condotto per rallentare l’affioramento del grasso, i globuli assumono una
dimensione mediamente più piccola e più uniforme, mentre la membrana,
che avvolge i globuli neoformati per frammentazione di quelli grandi, è
di natura proteica, con prevalenza di proteine caseiniche alle quali si
possono associare quelle globulari soprattutto a crescenti valori di acidità
(Corredig M., Dalgleish D.G., 1993).
55
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 5
Contenuto approssimato di lipidi in alcuni prodotti del
latte vaccino
Grasso
totale
%
Fosfolipidi
%
Steroli
%
Latte scremato
0,06
0,015
0,002
Acidi
grassi
liberi
%
0,002
Latte
4
0,035
0,013
0,008
Crema di latte
10
0,065
0,03
0,017
Crema di latte
20
0,12
0,06
0,032
Crema di latte
40
0,21
0,11
0,06
Latticello da crema al 20%
0,4
0,07
0,005
0,002
Latticello da crema al 40%
0,6
0,13
0,011
0,002
Burro
82
0,35
0,21
0.12
Burro anidro
> 99,8
0,00
0,25
0,15
Prodotto
In Tabella 5 (Walstra P., et al., 2006b) sono riportate la composizioni dei
principali costituenti dei lipidi in alcuni prodotti lattieri, ottenuti da latte
vaccino, con diverso contenuto di lipidi.
È da notare che il contenuto di acidi grassi liberi è modesto, perché per
quantità maggiori i prodotti indicati in Tabella 5 presenterebbero già un
odore di formaggio, non gradito al consumo di questi prodotti lattieri.
I fosfolipidi del grasso del latte vaccino (Tabella 4), posseggono una
rimarchevole quantità di fosfatidil serina. Quando paragonati ai fosfolipidi
dei lipidi del latte di altre specie animali (http://www.cyberlipid.org/
cyberlip/home0001.htm). In considerazione dell’importanza salutistica
di tale fosfolipide, il latte è ancora una volta un alimento importante per
la nostra nutrizione.
La composizione del burro
La composizione del burro è praticamente uguale a quella del grasso del
latte, se non viene considerata la presenza di acqua, che nel burro è di
circa il 16-17% del totale (“acqua tecnologica”)
La composizione degli acidi grassi del burro è stata indicata di recente
la Norme dei Grassi e dei Derivati, della Commissione Tecnica della
Stazione Sperimentale delle Industrie degli Oli e dei Grassi (NGD, 2010)
come riportato nella Tabella 6.
56
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 6
Composizione degli acidi grassi del burro (NGD)
Acido grasso
%
1
Acido butirrico (C4:0)
3,0 – 3,5
2
Acido capronico (C6:0)
1,6 – 3,0
3
Acido caprilico (C8:0)
1,1 – 1,8
4
Acido caprico (C10:0)
1,8 – 3,7
5
Acido caproleico (C10:1)
0,2 – 0,4
6
Acido laurico (C12:0)
2,3 – 3,9
7
Acido miristico (C14:0)
8,0 – 12,0
8
0,2 – 1,2
11
Acido miristoleico (C14:1)
Acido pentadecanoico ramificato
(C15 iso)
Acido pentadecanoico ramificato
(C15 anteiso)
Acido pentadecanoico (C15:0)
12
Acido esadecanoico ramificato (C16 iso)
0,1 – 0,4
13
Acido palmitico (C16:0)
14
Acido palmitoleico (C16:1)
1,0 – 2,0
15
Acido eptadecanoico ramificato (C17 iso)
0,2 – 0,4
16
Acido eptadecanoico ramificato (C17 anteiso)
0,2 – 0,6
17
Acido eptadecanoico (C17:0)
0,3 – 0,7
18
Acido eptadecenoico (C17:1)
0,1 – 0,3
19
Acido stearico (C18:0)
9,0 – 13,0
20
Acido oleico1 (C18:0)
19,0 – 29,0
21
Acido linoleico (C18:2)
1,0 – 3,5
22
0,2 – 1,3
24
Acido linolenico (C18:3)
Acido ottadecadienoico coniugato (C18:2
coniugato)
Acido arachico (C20:0)
25
Acido eicosenoico (C20:1)
0,1 – 0,3
9
10
23
0,2 – 0,4
0,3 – 0,7
0,2 – 1,3
25,0 – 33,0
1
1
0,3 – 1,5
0,1 – 0,3
Somma degli isomeri di posizione del doppio legame, che potrebbero non essere separati
57
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Relazione fra composizione e struttura
Il comportamento chimico-fisico dei lipidi del grasso di latte, ma anche di
altre sostanze grasse, è condizionato dal comportamento corrispondente
degli acidi grassi. Fra i parametri più utili a prevedere il comportamento
degli acidi grassi è il punto di fusione di ciascun acido grasso, in
quanto correlato alla lunghezza della catena idrocarburica e alla sua
insaturazione, come indicato nella Tabella 7 (http://www.cyberlipid.org/
cyberlip/home0001.htm).
Questo è dovuto alla maggiore possibilità di avvicinarsi delle catene più
lineari, caratteristiche degli acidi grassi saturi, fino a risentire delle forze di
attrazione di Van der Waals, di una certa intensità. Tali forze aumenteranno,
in proporzione, il punto di fusione del substrato grasso corrispondente.
58
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 7
Acidi grassi che maggiormente influenzano il punto di
fusione del grasso del latte
C15 anteiso
C15:0
C16 iso
C16
C16:1
C18
C18:1 cis
C18:1 trans
C18:1 n-7
C18:2
Nome triviale
Acido
Butirrico
Capronico
Caprilico
Caprico
(o Caprinico)
Caproleico
Laurico
Miristico
Miristoleico
Pentadecanoico
(ram.)
Pentadecanoico
(ram.)
Pentadecanoico
Esadecanoico
(ram,)
Palmitico
Palmitoleico
Stearico
Oleico
Elaidinico
Asclepico
Linoleico
C18:3 n-6
g-Linolenico
C18:3 n-3
a-Linolenico
C18:4
C20
C20:1
C22
C22:1
C20:4
C20:5
C22:5
C22:6
Stearidonico
Arachico
Gondoico
Beenico
Erucico
Arachidonico
(AA)
EPA
DPA
DHA
Sigla
C4:0
C6:0
C8:0
C10:0
C10:1
C12:0
C14:0
C14:1
C15 iso
n-3
n-9
n-9
n-6
n-3
n-3
n-3
Denominazione
IUPAC - Acido
Butanoico
Esanoico
Ottanico
Decanoico
5-cis-Tetradecenoico
Dodecanoico
Tetradecanoico
9-cis Tetradecenoico
Pentadecanoico (ram.)
PesoMolec.
88,1
116,1
144,2
172,3
170,3
200,3
228,4
228,4
232,4
Punto di
fusione
°C
-7,9
-3,4
16,7
31,6
44,2
53,9
-
Pentadecanoico (ram.)
Pentadecanoico
Esadecanoico (ram,)
Esadecanoico
9-cis-Esadecenoico
Ottadecanoico
9-cis-Ottadecenoico
9-trans-Ottadecenoico
11-cis-Ottadecenoico
9,12-cis,cisOttadecadienoico
6,9,12-cisOttadecatrienoico
9,12,15-cisOttadecatrienoico
6,9,12,15-cisOttadecatetraenoico
Eicosanoico
11-cis-Eicosenoico
Docosanoico
9-cis-Docosenoico
Eicosatetraenoico
Eicosapentaenoico
Docosapentaenoico
4,7,10,13,16,19-cisDocosaesaenoico
232,4
232,4
256,4
256,4
254,4
284,4
282,4
282,4
282,4
280,4
63,1
0,5
69,6
16,2
43,7
39
-5
278,4
-
278,4
- 11
276,4
312,5
310,5
340,5
338,6
304,5
302,5
330,6
328,6
- 57
75,3
79,9
33,4
- 50
- 54
- 44
In presenza, nella catena idrocarburica, di un doppio legame la struttura
molecolare dell’acido grasso appare più ricurva e meno capace di
instaurare forze di interazione di simile intensità fra tutti i gruppi CH2
delle catene che si avvicineranno, ma in maniera efficace solo per la
59
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
loro parte lineare (Figura 3). Pertanto, l’insaturazione “fluidizza” il lipide
e, analogamente anche per quanto riguarda la dimensione dell’acido
grasso quando si accorcia la catena idrocarburica, si riduce l’intensità
dell’interazione, che corrisponde ad una “fluidizzazione” del lipide.
Figura 3 Strutture di massima estensione molecolare
nello spazio degli acidi grassi principali, a differente
insaturazione.
Importanza della composizione degli acidi grassi
Il latte umano contiene una quantità di acido palmitico, acido grasso saturo
a 16 atomi di carbonio totali, nella parte grassa, della dimensione di
quello presente nel grasso del latte bovino (Tabella 8). Se poi si considera
la composizione degli acidi grassi in posizione 2 dei trigliceridi, quella
più importante dal punto di vista nutrizionale per l’assimilazione completa
degli acidi grassi in essa attaccati, la quantità di acido palmitico supera il
58% nella posizione 2 (http://www.cyberlipid.org/cyberlip/home0001.
htm; Blasi F. et al,, 2008), ma in letteratura è riportato anche il 72% (Tabella
9) (Sørensen A.D.M. et al., 2010.), Queste percentuali corrispondono a
60
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
circa i due terzi o più di tutti gli acidi grassi presenti. Ci deve essere un
buon motivo biologico-biochimico, poiché nei sistemi vegetali quello che
è stato verificato è esattamente l’opposto e cioè che la posizione centrale
porta un acido grasso insaturo quasi al 100%.
Tabella 8
Composizione percentuale degli acidi grassi nelle
tre posizioni dei trigliceridi del latte di donna e di
alcuni ruminanti
Sn
1
2
3
1
Pecora 2
3
1
Capra 2
3
1
Vacca 2
3
4:0
6:0
8:0
10:0 12:0 14:0 16:0 16:1 18.:0 18:1 18:2 18;3 20:1 20:4
0.9
0.2
7
0.7
0.1
11
0.9
2.3
2.2
0.2
0.2
1.8
3.1
2.7
14.2
4.9
2.2
30.2
2.5
6.1
3.6
Donna
1.9
0.3
32
1.4
0.2
16
5
2.9
43
0.3
2.6
8.4
0.4
0.7
8.6
3
4.8
11
1.3
2.1
6.1
2.8
3.9
3.2
3.3
5.9
3.4
3.1
6
3.5
3.2
7.3
7.1
8
11.6
3.4
9
9
18.6
10.5
20.4
7.1
16.1
58.2
6.2
35.5
27.2
2.6
38.4
35.7
1.4
35.9
32.8
10.1
3.6
4.7
7.3
0.9
1.3
0.4
0.5
0.8
0.2
2.9
2.1
0.9
15
3.3
2
17.3
14.6
7
17.6
12
7.1
14.7
6.4
4
46.1
12.7
49.7
25.7
30.9
18.8
21.7
21.1
19.2
20.6
13.7
14.9
11
7.3
2
2.6
4
2.4
0.7
2.2
1.6
1.2
2.5
0.5
0.4
0.6
1.6
1
0.8
0.9
0.5
0.4
0.6
1.5
0.7
0.5
0.9
0.3
Tabella 9
Composizione degli acidi grassi del grasso del
latte di donna e di vacca a confronto
4:0
6:0
8:0
10:0
12:0
14:0
16:0
16:1
18:0
18:1
18:2
18:3
20:1
20:4
Acido grasso
Butirrico
Capronico
Caprilico
Caprico
Laurico
Miristico
Palmitico
Palmitoleico
Stearico
Oleico
Linoleico
Linolenico
Eicosenoico
Arachidonico
Donna
sn-1 sn-2
sn-3
9,1
13,7
18,2
20,0
23,1
73,9
42,5
33,3
15,4
55,6
0,0
81,8
64,2
40,3
7,7
46,8
9,9
45,8
44,5
61,5
18,5
25,0
9,1
22,1
41,5
72,3
30,1
16,3
11,7
22,1
23,1
25,9
75,0
61
Vacca
sn-1
9,8
16,1
16,7
20,5
24,6
27,6
45,6
49,2
58,6
41,9
32,4
sn-2
5,7
25,8
42,6
50,0
47,6
53,7
41,6
35,6
25,5
27,8
67,6
sn-3
84,6
58,1
40,7
29,5
27,8
18,7
12,8
15,3
15,9
30,3
0,0
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Va ricordato che l’idrogenazione da parte dei microrganismi del rumine e
particolarmente selettiva per gli acidi grassi polinsaturi dei lipidi introdotti
dal bovino con il mangime o durante il pascolo.
È lecito ritenere che questa composizione “selettiva” debba essere protettiva
per il giovane animale in lattazione, perché la maggiore saturazione degli
acidi grassi delle membrane consente una più elevata rigidità delle stesse
e una minore esposizione all’ossidazione.
La motivazione per la quale le membrane relativamente sature dei
globuli di grasso del latte, alimento destinato ai bambini (o ai cuccioli
animali), costituiti prevalentemente da latte, sia così composta è ancora
da comprendere.
Gli acidi coniugati dell’acido linoleico (CLA)
I CLA comprendono una ventina d’isomeri geometrici e posizionali a 18
atomi di carbonio con due doppi legami coniugati.
La posizione dei doppi legami si trova compresa tra Δ e Δ14 e la diversa
disposizione spaziale degli stessi gruppi funzionali (doppi legami)
conferisce alla molecola una diversa configurazione cis o trans (Yurawecz
M.P. et al., 2006).
L’isomero più importante (Figura 4) (dal 75 al 90%) di tutti i CLA è il cis9,trans-11 (acido rumenico), seguito dagli isomeri trans-10,cis-12 (circa
il 10%) e il trans-7,cis-9 (circa il 2%).
Questi isomeri hanno effetti biologici diversi, dovuti alle loro differenti
proprietà chimiche e fisiche (Yurawecz M.P. et al., 2006).
Il motivo dell’interesse che si è sviluppato sui CLA è dovuto al fatto che
in numerosi esperimenti si sono dimostrati anticancerogeni attivi nei
confronti di diversi tumori del seno (1987), del colon, dell’epidermide,
dello stomaco e antiaterosclerotici (1994). Inoltre sono in grado di
incrementare la massa ossea e di rallentare la progressione del diabete
(1998). Tutto questo sembra essere legato al fatto che queste molecole
sono capaci di modulare la sintesi degli eicosanoidi e di svolgere una
azione antibatterica, anticancerogena e antidiabetica in quanto è stata
osservata una diminuzione del LDL-colesterolo nel plasma, con conseguente
diminuzione della formazione di placche ateromatose in ratti alimentati
con diete arricchite con questi acidi grassi. E’ comunque ritenuto che le
specifiche attività biologiche siano da attribuirsi ai singoli isomeri piuttosto
che all’intero pool dei CLA (Cocchi M., Mordenti A.L., 2005).
L’efficacia del cis9-trans11, nel caso del tumore della mammella, è dose
7
62
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
dipendente ed è maggiore se la sostanza è assunta durante lo sviluppo
del tumore (Boccioni A. et al., 2002), così come si potuto osservare per i
tumori dell’intestino e della prostata (Castagnetti G.B. et al., 2007).
Figura 4 Strutture degli acidi grassi di interesse lattiero
caseario, in comparazione con quelle di acidi grassi più
diffusi nei sistemi naturali.
COOH
Acido ottadecanoico (acido stearico)
COOH
COOH
Acido 9cis,12cis-ottadecadienoico
(acido linoleico)
Acido 9cis-ottadecenoico
(acido oleico)
COOH
CLA
9cis,11trans-ottadecadienoico (acido rumenico)
COOH
CLA
10trans,12cis-ottadecadienoico
Per quanto riguarda l’isomero trans-10,cis-12 gli si attribuisce la capacità
di ridurre l’assorbimento dei lipidi inibendo l’attività della Stearoil CoA
desaturasi.
La principale fonte di CLA, nella dieta umana, è rappresentata dagli
alimenti derivati dai ruminanti (carne e latticini) proprio in virtù delle
caratteristiche fisiologiche di tutti i ruminanti che hanno la capacità di
produrre medante bioidrogenazione ed altra via tutti i CLA e l’acido
vaccenico (Figura 5).
63
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Figura 5 Meccanismi di formazione dei CLA, proposti in
letteratura.
COOH
C18:2 n-6
C5H11
7
R°
idroperossidi
COOH
°
C5H11
7
proteine
C18:2 n-6
COOH
C5H11
7
isomerasi
del rumine
9
idrogenazione
catalitica
COOH
C5H11
' -desaturasi
C18:2 n-6
+ ulteriori isomeri CLA
7
reduttasi
COOH
C18:1 t 9
+
C18:0
COOH
C18:1 t11
Mediante l’inserimento nella dieta della vacca di una modesta quota di
lino integrale laminato è stato dimostrato che è possibile ottenere migliori
caratteristiche riproduttive, un migliore stato di salute dell’animale, un
aumento della produzione di latte e un incremento di alcuni componenti
che hanno una certa familiarità e una buona considerazione fra i
consumatori, quali gli acidi grassi w-3, gli acidi coniugati del linoleico
(CLA) e l’acido vaccenico. Tali peculiarità che sono inferiori, pur presenti,
in altri latti diversi da quelli del Comprensorio del Parmigiano Reggiano,
inevitabilmente faranno parte del formaggio (nella fase grassa) e nel
burro prodotto in parallelo alla caseificazione. Queste caratteristiche
potranno rilanciare e valorizzare il burro del Comprensorio, attraverso lo
sfruttamento delle componenti salutistiche.
Composizione degli steroli
Nella Tabella 10 sono riportati gli steroli identificati nel grasso del latte di
alcuni ruminanti [a) Park Y.W. et al., 2007; b) Contarini G. et al., 2002].
64
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Tabella 10
Composizione della frazione degli steroli del
grasso di latte
Margarinab
mg/100 g
Steroli
Grasso del lattea*
mg/100 g
Grasso del lattea**
mg/100 g
Burro bovinob
mg/100 g
Colesterolo
Latosterolo
Desmosterolo
Diidrolanosterolo
Lanosterolo
Brassicasterolo
7-colesterolo
Campesterolo
Stigmasterolo
β-Sitosterolo
5-Avenasterolo
341,8
1,47
1,39
2,25
9,75
288,4
1,81
0,41
4,15
6,86
262,0
2,6
0,0
3,3
0,0
0,0
2,3
0,0
14,5
0,0
63,2
5,4
97,7
6,3
di Capra* e Pecora**
In considerazione delle diverse identificazioni nel grasso di latte e di
burro, relative alla composizione degli steroli, riguardanti i componenti
presenti in minore quantità, ulteriori ricerche dovrebbero essere condotte
per stabilire definitivamente la corretta composizione.
Alcune considerazioni ed ipotesi
Sulla base delle osservazioni in campi diversi del settore scientifico,
emergono una serie di considerazioni, ipotesi e dubbi che si spera
siano condivisi anche da altri colleghi o che siano suggerite spiegazioni
plausibili, anche attraverso risultati perseguiti in future ricerche.
Il colesterolo è prodotto anche per irrigidire le membrane oppure la
produzione del colesterolo, peraltro utile in tanti altri impieghi, proprio per
la sua attività e presenza elevata nelle membrane deve essere contrastato
con una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi?
Ancora: una dieta varia, naturalmente ricca di acidi grassi insaturi, induce
la produzione di colesterolo per la necessità di attuare un sufficiente
irrigidimento delle membrane o è un effetto indotto dalla necessità di
modulare la rigidità delle membrane che si è incrementata con la maggiore
produzione di colesterolo (nella fase post-adolescenziale)?
65
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Se i bambini hanno membrane ricche in acidi grassi saturi e sintetizzano
poco colesterolo, è possibile che questo corrisponda alla necessità
biologica normale di colesterolo, per quell’età. Qualsiasi mutamento
dovuto a cambiamenti nell’alimentazione o nello sviluppo naturale
dell’organismo verso la “fase riproduttiva” dell’esistenza (che richiede
molto più colesterolo), provoca una maggiore produzione di colesterolo
e, di conseguenza, un incremento di rigidità delle membrane. A questo
punto il corpo tenta un bilanciamento desiderando e introducendo quei
cibi che portano sostanze grasse insature.
Se questo fosse provato, si concluderebbe che ad ogni età esista un modo
di alimentarsi che deve essere diverso, riguardo al mantenimento di
un’elevata rigidità delle membrane, e quando questa diventa eccessiva
per una serie di ragioni biochimico-biologiche, si è indotti a bilanciare
attraverso un cambiamento della dieta.
Inoltre, l’importanza delle membrane è molto maggiore di quella che è
stata loro attribuita, in considerazione delle correlazioni importanti con
la salute della loro funzionalità e della loro composizione in acidi grassi
(e degli antiossidanti) che tende a essere “mantenuta” nelle modalità
consentite dalla natura: biologia, alimentazione e assimilazione.
Con il consumo di acido oleico, attraverso gli oli vergini di oliva, si avrebbe
una modulazione della fluidità della membrana più graduale e, essendo gli
oli vergini (meglio gli extravergini) di oliva ricchi in antiossidanti (fenolici
e polifenolici), essi sarebbero anche utili ad aumentare il patrimonio
antiossidante che con gli acidi grassi insaturi è sempre comunque utile.
Gli acidi grassi in configurazione trans, avendo una struttura più lineare
di quelli in configurazione cis (Figura 3), sono più alto-fondenti (Tabella
7) e questo comportamento viene trasferito ai gliceridi che li contengono.
66
Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna
Bibliografia
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68
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Breve storia del burro nell’alimentazione
umana e recenti acquisizioni sugli aspetti
nutrizionali ed extra-nutrizionali
La tradizione che aveva valorizzato il burro aveva ragione e recenti
indagini indicano come i suoi grassi hanno rilevanti attività salutistiche,
in particolare di tipo extranutrizionale: psicodietetiche, immunitarie ed
anticancerogene, che rivalutano un alimento ingiustamente criminalizzato.
Riassunto
Una lunghissima preistoria ed un’ampia e diversificata storia hanno
celebrato gli aspetti positivi del burro, nelle sue molteplici applicazioni,
ma soprattutto in quelle alimentari, sia nutrizionali sia gastronomiche.
Aspetti positivi che sono ampiamente documentati dalla tradizione, ma
anche dal suo valore simbolico e, non da ultimo, anche dal suo valore
commerciale, quando ad esempio in pianura padana il burro aveva un
prezzo almeno pari a quello del formaggio grana.
Negli ultimi anni e per una non sempre limpida serie di motivi vi è stata
un’inversione di valutazione, fino ad un’ingiusta criminalizzazione del
burro.
Il recente sviluppo della ricerca sulle attività non soltanto nutrizionali, ma
anche sulle attività extranutrizionali e sulle caratteristiche salutistiche degli
alimenti, non solo sta dimostrando che la tradizione aveva ragione, ma
che il burro è dotato di particolari attività salutari, forse più d’altri alimenti
oggi di moda.
Il particolare interesse nutrizionale ed extranutrizionale risulta il quadro
degli acidi grassi presenti nel burro di mucca. Per quanto poi riguarda
il tanto criminalizzato colesterolo del burro, oggi è ben noto che questo
componente è in un corretto rapporto con le lecitine, con rapporti ottimali
alla produzione, in persone sane, di colesterolo HDL e quindi “buono”.
Di particolare interesse sono le attività antinfettive e psicodietetiche che
oggi sono riconosciute ad alcuni componenti del burro.
Estremamente importanti sono recenti indagini che indicano come i grassi
del burro hanno una rilevante attività anticancerogena preventiva. Di
particolare rilievo sono i seguenti componenti: acido linoleico coniugato,
sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni non
identificati. L’attività di prevenzione anticancerogena, anche in base
69
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
ad indagini sperimentali, è particolarmente evidente su neoplasie
dell’apparato digerente e della mammella.
La rivalutazione non solo nutrizionale, ma anche salutistica del burro e
quindi la possibilità di intesserne un elogio, su basi scientifiche e non
soltanto tradizionali, non deve stupire perché il burro è la componente
di un alimento, il latte, che come tale è stato “creato” dalla natura in una
selezione di oltre sessanta milioni d’anni e che ha portato al successo la
vastissima classe dei mammiferi, di cui anche l’uomo fa parte.
Cenni storici sul burro
Il rapporto che l’uomo ha con gli alimenti non è mai stato unicamente
ed esclusivamente di tipo nutrizionale o, come oggi si dice, fisiologico,
e neppure di tipo soltanto economico. La scelta degli alimenti e di
conseguenza anche il loro valore è dipesa e continua a dipendere anche
dal soddisfacimento d’altre esigenze, di tipo psicologico interno spesso
inconscio, ma anche di riferimento e legittimazione di valori e significati
culturali. Questi potevano anche essere il frutto di condizionamenti
spirituali e religiosi, poi tradotti in regole di vita od in rituali, quando
non erano la fonte di pregiudizi culturali, che spesso vediamo ancora
persistere od assumere nuove forme nelle attuali “religioni laiche”. In
quest’ambito, soprattutto per lo storico dell’alimentazione e del costume,
ma anche dell’economia e della salute, una particolare importanza
assumono i condimenti sia come fondi di cottura, sale ed aceto, spezie,
ma soprattutto le sostanze grasse che sono una componente irrinunciabile
ad ogni sistema alimentare, definendone caratteri, specificità ed identità,
tanto da poter essere inquadrati tra i marcatori culinari. In quest’ultimo
ambito il burro non può essere considerato da solo, ma in rapporto anche
ad altri grassi.
Lunga è la storia del burro, anzi la sua preistoria, perché si fa risalire
all’inizio della domesticazione degli animali da latte, anche se con una
contrapposizione ai latti fermentati. In modo molto schematico si ritiene
che la vasta area della domesticazione degli animali produttori di latte,
fin dai primordi sia stata inizialmente divisa in due sottoaree: a meridione
ed in ambito della fertile mezzaluna la temperatura elevata ha favorito
lo sviluppo dei latti acidi; a settentrione il clima freddo ha favorito la
produzione e l’utilizzo del burro.
Nella Naturalis Historia (libro XXVIII) Plinio il Vecchio scrive che dal latte
si ricava il burro e che questo è l’alimento più raffinato, e non soltanto un
70
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
condimento, dei popoli barbari: un prodotto alimentare il cui consumo
distingue i ricchi dai poveri (E lacte fit et butyrum, barbararum gentium
lautissimus cibus et qui divites a plebe discernat). Il burro, condimento
di lusso e grasso di élite dei popoli settentrionali, definiti “barbari”, si
contrappone all’olio d’oliva in uso presso i romani ed i greci, popoli
“civili”.
Oltre questa contrapposizione tra barbari e civili s’inseriscono già gli usi
non nutrizionali del burro. Sempre Plinio ricorda che il burro ha attività
protettive dai raggi solari e dall’umidità, per molti versi peraltro simili a
quelle dell’olio. Se i barbari hanno l’abitudine di spalmarlo sulla pelle,
Plinio ricorda che “anche noi lo facciamo con i nostri bambini”. A Roma,
infatti, il burro era reperibile, ma per uso diversi da quelli alimentari.
Per questo Caio Giulio Cesare si stupisce quando, nella Gallia Cisalpina,
gli sono offerti asparagi cotti nel burro. In tempi precedenti, in Grecia
Ippocrate ricordava che il burro era importato dall’Asia per essere usato
come unguento.
Nell’antichità la contrapposizione olio/burro era costantemente
rappresentativa di un contrasto tra civiltà e barbarie. Riferendosi ai
montanari dei Pirenei, Strabone con disprezzo afferma che “il burro serve
loro da olio”.
Passando al Medioevo Jean-Louis Flandrin individua il burro come alimento
popolare e provinciale, in contrapposizione anche all’olio. E’ soprattutto
nel Medioevo che però si stabilizza la gran divisione dell’Europa in due
parti. Nell’area mediterranea domina incontrastato l’olio d’oliva e poi di
altri vegetali, mentre nell’area continentale dominano i grassi animali,
da quello di maiale (lardo e strutto od oleum lardinum) al più prezioso
e raffinato burro. Una bipartizione tra grassi vegetali ed animali che
comporta anche pregiudizi: se il burro nei paesi nordici era ritenuto
ricco di virtù terapeutiche e capace di alleviare la fame e la sete, oltre
che imprimere energia, nell’Italia meridionale era considerato pericoloso
e causa di terribili malattie, quali la lebbra. Una concezione razzista
quest’ultima che vediamo ripetersi per ogni alimento esotico: tipica è
l’accusa, ancora nel settecento, alla patata di causare la lebbra.
Nell’ora accennata bipartizione s’inserirono anche valutazioni d’ordine
religioso e soprattutto quelle riguardanti i concetti di “magro” e “grasso”
e dell’astinenza dalle “carni”. Termini questi che devono essere virgolettati
perché di valore religioso che non coincide con quello odierno di tipo
“botanico” o “zoologico”. Infatti, già durante il Medioevo, il burro
71
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
fu ammesso come alternativa all’olio per i giorni di magro, dapprima
sporadicamente e, poi, in maniera sempre più generale. Negli ultimi
secoli del Medioevo le autorità ecclesiastiche di diverse comunità
dell’Europa settentrionale concessero il burro come condimento “magro”
e nel capitolare de villis di Carlo Magno il butirum è elencato fra i prodotti
quaresimali. In questo modo il burro viene a collocarsi vicino all’olio nella
cucina “magra”, mentre il lardo rimane sempre nella cucina “grassa”.
Anche se non strettamente necessario, è utile accennare a quello che
sembra sia stato il criterio religioso per discriminare tra “magro” e
“grasso”, qui di nuovo virgolettati. Con riferimento prima alla quaresima,
poi per estensione alle vigilie ed a tutte le altre occasioni d’astinenza,
sembra sia il criterio preso come riferimento sia stata l’arca di Noè che
durante quaranta giorni (la stessa durata della quaresima) portò in salvo
anche gli animali che, ovviamente non furono mangiati. Ciò che era fuori
dell’arca poteva essere mangiato da Noè e dalla sua famiglia: dal pesce
alle rane fino ad alcuni uccelli acquatici come le folaghe. Quest’ultima,
almeno, era, infatti, l’interpretazione data dai monaci dell’abbazia di
Pomposa. Inoltre tutto quello che era dentro all’arca era definito come
“grasso” e quello che era fuori, invece, era giudicato “magro”. La regola
poteva tuttavia essere interpretata ed è ovvio che se sull’arca vi era una
mucca, Noè e la sua famiglia si saranno cibati del latte e dei suoi derivati,
ad iniziare dal burro. Per questo il burro poteva essere definito “magro”.
Con il procedere dei tempi e soprattutto con il diminuire della forza delle
concezioni religiose, pur interpretate come facevano i monaci dell’abbazia
di Pomposa...., assumono maggiore importanza le componenti economiche
e da non trascurare quelle gastronomiche. Infatti, i caratteristici punti di
fusione dei diversi grassi li indirizza ad usi specifici: gli oli per condire,
i grassi per cucinare, ecc. In questa situazione il burro non ha un posto
di rilevo. Da una parte è confinato tra gli alimenti “magri” e dall’altro è
ritenuto un alimento per poveri, come sopra già indicato. Nel XV secolo
in Italia vi è ancora una certa ambivalenza di significazioni.
Il Platina nel suo famoso trattato De honesta voluptate et valetudine
composto a circa la metà del XV secolo afferma che il si può usare “in
luogo del grasso e dell’olio per cucinare qualsiasi vivanda”, ma nello
stesso periodo il padovano Michele Savonarola sostiene che “molti (il
burro) l’usano in loco de olio (...) ma el buthiero nuoce allo stomaco e
ai soi villi, quelli relaxendo, e a chi non l’ha usato, ge turba el stomaco”.
Nell’età moderna il burro assume un ruolo di élite. Già a metà del secolo
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Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
XVII Vincenzo Tanara nella sua opera L’economia del cittadino in villa
non solo riconosce la particolare vocazione nei paesi settentrionali di
quest’alimento, ma anche il suo utilizzo da parte dei ceti abbienti. Presso
gli antichi, riferisce Tanara, il burro era la separazione della nobiltà dalla
plebe, del ricco dal povero, perchè il plebeo povero non poteva usare il
burro per il suo prezzo elevato. Oltre alla possibilità di usare il burro al
posto dell’olio e d’altri grassi, molte proprietà medicinali gli sono ascritte:
dalle malattie respiratorie da raffreddamento al catarro ed alla tosse; dalle
scottature alla cura dei foruncoli; dall’azione benefica sulle gengive e di
rendere più fermi i denti alle screpolature delle labbra ed infiammazioni
della bocca; dalla capacità di far sputare, fino all’attività contro il veleno
di vipere ed aspidi, senza dimenticare le benefiche attività quando è
spalmato sul corpo. Nell’alimentazione è sottolineata la sua capacità di
sostituirsi all’olio, ma anche di essere utilizzato nelle decorazioni dei piatti
e come medicamento.
Poco tempo dopo, il cardinale Alberoni, proponendo al re di Spagna,
per le seconde nozze avvenute nel 1714, Elisabetta Farnese la descriveva
“impastata di butirro e di formaggio piacentino e cioè nutrita con quanto
di meglio vi era, il che doveva far immaginare una pelle liscia e vellutata.
Un rapporto tra burro e pelle d’altronde ben radicato anche negli
allevatori che dalla sottigliezza ed untuosità della pelle dicevano di poter
individuare la vitella o la vacca che avrebbe dato un latte ricco di grasso.
Come si vede il burro ha sempre avuto una duplice valutazione: positiva
e negativa, ma sempre per motivi estranei alla sua composizione. Una
lunghissima preistoria e un’ampia e diversificata storia hanno comunque
spesso celebrato gli aspetti positivi del burro, nelle sue molteplici applicazioni,
ma soprattutto in quelle alimentari, sia nutrizionali sia gastronomiche,
senza dimenticare le applicazioni cosmetiche e le utilizzazioni medicinali.
Aspetti positivi che sono ampiamente documentati dalla tradizione, ma
anche dal suo valore simbolico e, non da ultimo, anche dal suo valore
commerciale, quando ad esempio in pianura padana il burro aveva un
prezzo almeno pari a quello del formaggio grana.
Negli ultimi anni e per una non sempre limpida serie di motivi vi è stata
un’inversione di valutazione e dall’amore sembra che si sia passati ad un
odio, fino ad un’ingiusta criminalizzazione del burro che, nel quadro di
una religione salutistica “laica”, non è molto diversa dalla concezione che
derivava da una religione “fideistica” che lo inseriva tra i cibi “magri”,
perché prodotto da un animale portato da Noè sull’arca.
73
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Il recente sviluppo della ricerca sulle attività non soltanto nutrizionali, ma
anche sulle attività extranutrizionali e sulle caratteristiche salutistiche degli
alimenti, non solo sta dimostrando che la tradizione aveva ragione, ma
che il burro è dotato di particolari attività salutari, forse più d’altri alimenti
oggi di moda.
Antropologia darwiniana dei grassi
Grassi e oli, alimenti non naturali, ma soprattutto culturali
Nell’uomo vi è il comportamento fisso di ricerca del grasso, in quanto
fonte d’energia, anche se oli e grassi non sono alimenti naturali e sono
stati sviluppati dalla cultura umana. Oli e grassi sono alimenti culturali, il
cui uso eccessivo e squilibrato porta a patologie, prima di tutte obesità e
sovrappeso con tutte le nefaste conseguenze. Può sembrare impossibile,
ma oli e grassi non sono alimenti naturali nel senso che, come tali non si
trovano in natura. In gran parte sono stati sviluppati dalla cultura umana.
Sono quindi più alimenti culturali. I grassi sono stati inventati dall’uomo,
che soltanto qualche migliaia d’anni fa ha imparato ad estrarli, alcuni dai
vegetali (ad esempio dalle olive) o da talune parti o produzioni animali (ad
esempio lo strutto ed il burro). Nella sua alimentazione naturale e durante
il 99% della sua presenza sulla terra, l’uomo ha cercato ed apprezzato
soltanto alimenti contenenti quantità più o meno elevate di grassi, come
carni grasse e frutta oleose ad esempio olive, noci, mandorle, nocciole
ecc., ma non i rispettivi oli. L’olio d’oliva noto era ben noto nell’area
mediterranea fin dall’antichità, quando era usato come medicinale,
cosmetico o combustibile nelle lampade e meno come alimento, se non
dai più ricchi. Altri oli, ad esempio quelli di mais, arachide, girasole,
vinaccioli, sono entrati nell’alimentazione umana solo quando l’industria
é riuscita ad estrarli ed a purificarli.
74
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
GRASSI NELL’ALIMENTAZIONE PALEOLITICA E QUELL’AMERICANA OD
OCCIDENTALE ATTUALE (da Eaton, Eaton III, Konner, 1999)
ALIMENTAZIONE
ALIMENTAZIONE
NUTRIENTE
PALEOLITICA
OCCIDENTALE
3000
2000 - 2500 (3000)
ENERGIA (Kcal)
PROTEINE (grammi giorno)
GRASSI (% energia
alimentare)
COLESTEROLO (mg giorno)
CARBOIDRATI SEMPLICI
FIBRA ALIMENTARE (grammi
giorno)
200 – 250
100 – 200
Meno del 10%
Più del 30 – 40%
500
Più di 1000
Scarsi o assenti
Abbondanti
104
10-20
GRASSI NELL’ALIMENTAZIONE DELL’UOMO DEL PALEOLITICO E
DELL’UOMO ATTUALE (da McKully, 2001)
NUTRIENTE
PALEOLITICO
33%
PROTEINE ANIMALI (a)
20 – 25%
GRASSI (a)
6%
GRASSI SATURI (a)
100
FIBRE (grammi giorno)
a) Percentuale delle calorie
ATTUALE
12 – 14%
> 30%
14%
10 – 20
I grassi strutturali
I grassi presenti negli alimenti naturali sono intimamente connaturati
con altri componenti alimentari, sono grassi strutturali e per questo sono
in buon equilibrio con le proteine e gli amidi degli alimenti; questo é
una garanzia contro eventuali eccessi. All’opposto i grassi e gli oli puri,
inventati dall’uomo e creati dall’industria, per il loro alto valore energetico
(un grammo di grasso, pur essendovi diversità nella percentuale che è
digerita, apporta in media 8,5 chilocalorie), e per la loro alta disponibilità
ad un prezzo spesso basso che ne favorisce un uso eccessivo, possono
indurne un cattivo impiego e provocare inconvenienti nutrizionali,
dietetici e sanitari anche gravi. Basta ricordare l’obesità, l’arteriosclerosi
e talune malattie cardiovascolari favorite da eccessi di taluni grassi o da
alimentazioni con una quantità eccessiva di grassi. Quanto ora indicato
per l’uomo vale anche per gli animali allevati. Quando sono alimentati
con grassi di scadente qualità ed ossidati, l’uomo se li ritrova nel piatto.
75
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Alcuni oli e grassi hanno particolari doti benefiche e gli antichi sapevano
che l’olio d’oliva è un alimento salutare, quasi un farmaco ed un portatore
di bellezza. Recentemente la nostra società tecnologica, sviluppando
cattivi comportamenti, ha creato una spesso immeritata paura dei grassi
alimentari.
Tanti oli e grassi
Dal 1800 si è iniziato a comprendere la complessità dei grassi o lipidi
e che non differiscono tanto per l’energia (i grassi e gli oli hanno un
potere energetico che varia con la loro digeribilità e si aggira su circa
8,5 chilocalorie per grammo), quanto per il tipo di molecole di cui sono
costituiti. Una classificazione chimica molto semplice distingue i grassi in
saturi (non reagiscono bene con l’ossigeno) ed insaturi e polinsaturi (si
ossidano facilmente). La pura classificazione chimica è insufficiente, da
quando è stato scoperto che molti acidi grassi alimentari sono modificati
ed elaborati dall’organismo, anche in rapporto al tipo di dieta, stile di
vita ecc. Ad esempio nell’uomo, l’acido stearico di cui è ricco il grasso
bovino, é trasformato in acido oleico tipico dell’olio d’oliva. Con uno
stile di vita attiva sono maggiormente utilizzati gli acidi grassi saturi ed il
colesterolo. Importante é avere stabilito che i grassi non hanno soltanto
una funzione energetica, ma anche insostituibili funzioni plastiche o
costruttive dell’organismo. Per questo motivo alcuni acidi grassi, come già
indicato, devono essere necessariamente introdotti con l’alimentazione
(Acidi Grassi Essenziali - AGE), come l’acido linoleico e l’alfa-linolenico e
probabilmente gli acidi arachidonico e cervonico. Per una corretta dieta
sono importanti le significative differenze che esistono tra i grassi estratti
da animali e vegetali e quelli strutturati presenti nelle carni, latte o diversi
semi oleaginosi (olive, noci, soia, arachide, ecc.) o granaglie (mais, ecc.).
Negli alimenti grassi od oleaginosi, a parte la citata coesistenza equilibrata
con proteine ed amidi, la digeribilità dei grassi è diversa e calibrata con
l’attività digestiva. Molto diverso è l’effetto di un olio che arriva tal quale,
anche se mescolato agli alimenti, nello stomaco, o che invece per l’azione
digestiva dello stomaco viene lentamente e gradualmente liberato da
carni, olive o noci che lo contengono in forma strutturata e che arriva come
grasso od olio libero a livello intestinale, dove trova gli enzimi adatti per
una sua digestione. Negli alimenti grassi e molto meno nei grassi ed oli
da questi derivati sono presenti altri nutrienti come i fosfolipidi, le lecitine,
il colesterolo, che in opportuna quantità deve essere presente nella dieta,
alcune vitamine liposolubili (soprattutto E ed A), fitormoni, ecc.
76
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Rischi e virtù dei grassi
Tutti i grassi al tempo stesso sono buoni e cattivi. O, meglio, sono ben o
mal usati. Un grasso è spesso cattivo in quanto mal usato ed in eccesso
rispetto al fabbisogno energetico.
Nell’uomo paleolitico e nell’uomo agricoltore era difficile avere un eccesso
di grassi. Il tipo di vita attiva con forte lavoro muscolare, ammetteva
una sostanziosa quantità d’acidi grassi saturi, senza alcun significativo
inconveniente. Con un’alimentazione in gran prevalenza basata su grassi
strutturali era difficile avere squilibri con eccessi di grassi. Da quando
abbiamo a disposizione i grassi e gli oli puri e non soltanto strutturati,
non é soltanto quello della quantità, ma anche della qualità. Con la
conservazione i grassi vanno incontro all’ossidazione (irrancidimento) da
cui originano pericolosi perossidi. Di pari passo nei grassi sono distrutti
gli antiossidanti naturali, ad iniziare dalla vitamina E. In un’alimentazione
equilibrata sono necessari alcuni tipi di grassi. Una dieta che contenga
“grassi sbagliati” e non adatti allo stile di vita, causa patologie metaboliche
che oggi preoccupano. I “grassi sbagliati” provocano alterazioni delle
membrane cellulari, che divengono fragili e sensibili alle aggressioni. Per
la paura dei grassi e riducendoli drasticamente nell’alimentazione, oggi
rischiamo una carenza di grassi, dimenticando che alcuni sono necessari
per la vita, la salute, l’equilibrio psicofisico e per la bellezza del corpo.
Una carenza di grassi nella dieta, nei paesi sottosviluppati avviene per
mancanza d’alimenti e, nei paesi industrializzati, per l’uso di cibi troppo
purificati o di diete squilibrate ed uniformi. Per un buono stato di salute vi è
la necessità di introdurre con l’alimentazione taluni acidi grassi essenziali
(AGE): ogni giorno un uomo adulto deve assumere almeno dieci grammi
d’acido linoleico, due grammi d’acido alfa-linolenico e quantità ancora
non ben definite d’acido arachidonico e d’acido cervonico. Rischiano una
carenza d’AGE coloro che seguono una dieta, carnivorana, vegetariana
o vegana, con poco olio o grasso, o soltanto di un unico tipo e soprattutto
coloro che non privilegiano alimenti animali e vegetali contenenti grassi
strutturati. Le carni magre contengono acidi grassi essenziali di tipo insaturo
molto utili per una corretta alimentazione e in questi ultimi tempi vi é stata
un’evoluzione favorevole di molte carni, tra le quali quella di maiale, per
quanto riguarda l’acido oleico e l’acido linoleico. Anche degli acidi grassi
insaturi non bisogna abusare ed un’alimentazione ricca d’acido linoleico
favorisce la formazione di calcoli biliari ed altri disturbi. Anche per i
grassi vale il concetto dell’equilibrio alimentare e del est modus in rebus.
77
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
I grassi possono diventare pericolosi in diverse condizioni: presenza di
composti chimici indesiderati, cattiva conservazione ed uso non corretto.
Soprattutto oggi è necessaria una strategia alimentare dei grassi. Quale
grasso usare nell’alimentazione? A parte le spinte pubblicitarie per
questo ogni categoria di produttori vorrebbe che fosse utilizzato soltanto
o prevalentemente il suo grasso od olio (strutto, olio di oliva o di mais,
ecc.), vi sono alcune regole che oggi sono chiare e devono essere seguite
per una sana alimentazione.
1 - In una dieta equilibrata sono da privilegiare i grassi strutturali, di tipo
animale e vegetale.
2 – Limitare l’uso dei grassi accumulati negli organi d’animali, in
particolare nelle frattaglie (ad esempio fegato, rognoni, ecc.).
3 - I grassi od oli, anche se genuini e naturali, devono essere aggiunti alla
dieta in quantità opportune e non eccessive, integrando quelli strutturali
senza sostituirli.
4 - Privilegiare un uso crudo degli oli ed usare preferibilmente quelli ricchi
di acidi grassi insaturi ed essenziali.
QUANTITA’ (GRAMMI) DI OLIO O GRASSO NECESSARIO PER COPRIRE
IL FABBISOGNO GIORNALIERO DI ACIDI GRASSI ESSENZIALI DI
UN UOMO ADULTO = N.B. La quantità di grassi, in una dieta
equilibrata, non deve superare il 30% delle calorie (25% nei
sedentari), pari a 1000-625, calorie che corrispondono a 115-75
grammi di olio o grasso il giorno.
OLIO O GRASSO
ACIDO LINOLEICO
OLI VEGETALI
ARACHIDE
MAIS
OLIVA
AC.ALFALINOLENICO
38
20
2.000
200
SOIA
VINACCIOLO
SEMI VARI
MARGARINA
GRASSI ANIMALI
BURRO
LARDO
STRUTTO
107
370
19
15
18
24
400
66
100
200
535
132
160
===
117
571
78
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Grassi e nutrizione darwiniana
Un’irresistibile voglia di grasso è profondamente iscritta nel comportamento
alimentare dell’uomo. Nella sua alimentazione naturale e durante il 99%
della sua presenza sulla terra, l’uomo ha cercato ed apprezzato ogni
alimento contenente quantità più o meno elevate di grassi. Come sta
insegnando la nutrizione evoluzionista, quest’impellente voglia di grasso
che ancora oggi tormenta tutti coloro che vogliono o debbono calare
di peso o sono a dieta, dipende dallo stile di vita sviluppato dall’uomo
nell’ultimo milione d’anni. Egli era un grande corridore che a piccolo
trotto, con brevi spunti veloci, percorreva venti, venticinque e più chilometri
il giorno, con una grande necessità d’energia, che solamente il grasso
poteva fornire. Ancor oggi il grasso deve fornire da un quarto ad un terzo
dell’energia alimentare. La voglia di grasso trova un preciso riferimento
ed un potenziamento nell’imprinting alimentare. Il colostro prima ed il
latte poi di cui si nutre il neonato sono il principale alimento umano nei
primi tre, quattro anni di vita. Entrambi gli alimenti sono ricchi di grassi.
Soprattutto nel passato il grasso alimentare era di tipo animale. Solo
recentemente il grasso vegetale è comparso nell’alimentazione umana.
In un’analisi evoluzionista darwiniana, i grassi della carne sono stati
esaminati da Eaton (1998) che hanno studiato l’introduzione alimentare
d’acidi grassi polinsaturi a lunga catena nella dieta paleolitica umana.
Broadhurst (1997) ha considerato l’uso alimentare bilanciato dei trigliceridi
naturali sotto la prospettiva nutrizionale ed evoluzionista. In quest’ultima
prospettiva, gli alimenti naturali contengono una gran varietà di grassi
strutturali, di tipo polinsaturo, monoinsaturo e saturo e quindi è difficile
giustificare un’alimentazione che non contenga un’equilibrata miscela di
trigliceridi e di fosfolipidi (Britton M., Fong C., Wickens D., 1992). Nessun
grasso naturale è intrinsecamente buono o cattivo, ma può diventarlo
la loro proporzione od associazione. Da un punto di vista evoluzionista
bisogna raccomandare una grande varietà di grassi, sotto il profilo della
loro struttura, grado di saturazione, lunghezza delle catene. Gran parte
delle patologie connesse allo squilibrio tra grassi polinsaturi del tipo n-3/
n/6 sono dovuti all’uso dei cereali in alimentazione umana e degli animali
produttori d’alimenti per l’uomo ed i processi di raffinazione degli alimenti
che n’amplificano le conseguenze. Altrettanto importanti sono i processi
di lavorazione e di raffinazione in quanto numerosi composti fitochimici
presenti negli oli non raffinati e vegetali oleosi, svolgono un’importante
protezione contro la perossidazione dei grassi e malattie croniche.
79
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
La voglia di grasso, soprattutto quello animale, ricco d’acidi grassi saturi
e di colesterolo é adeguato ad uno stile di vita molto attiva, e gli acidi
grassi saturi ed il colesterolo sono preferibilmente mobilizzati ed utilizzati
nel lavoro muscolare. Una riduzione di questi componenti è necessaria
per stili di vita di tipo sedentario.
COMPOSIZIONE IN ACIDI GRASI DEL LATTE DI DIVERSE SPECIE E DEL
BURRO
ACIDI GRASSI
BUTIRRICO
LATTE
LATTE
LATTE
LATTE BURRO
VACCA
BURRO
DONNA DONNA
VACCA
mg/
mg/
%
mg/etto
%
%
etto
etto
=
120
2600
CAPROLICO
61
82
1500
CAPRILICO
=
46
900
CAPRICO
=
96
2000
LAURICO
210
120
2200
MIRISTICO
340
380
8100
PALMITICO
96
4,39
96
21100
33,68
STEARICO
29
1,32
36
970
1,54
ARACHIDICO
46
25
=
PALMITOLEIC
0,12
0,11
180
OLEICO
1340
61,29
94
LINOLEICO
38
1,73
LINOLENICO
22
1,01
ARACHIDONIC
4,20
2,89
7,54
20100
32,08
89
1800
2,87
61
1200
1,09
=
=
Attività extra-nutrizionali del burro
Gli alimenti, oltre alle caratteristiche tipicamente nutrizionali (apporto
di energia, proteine, vitamine e sali minerali, ecc.) quasi costantemente
posseggono anche caratteristiche che superano o esulano la nutrizione,
che non raramente sconfinano in effetti farmacologici (ad esempio alimenti
nutraceutici) con attività di tipo nervoso, ormonale, immunitario, ecc. che,
80
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
nel loro insieme e varietà, sono dette attività extra-nutrizionali. Per queste
attività, in quanto capaci di indurre modificazioni dirette e soprattutto
indirette di tipo psichico, si parla di attività psicodietetiche.
Nel burro vengono oggi individuate alcune attività extranutrizionali (per
il particolare tipo di alimento definite anche “extraenergetiche”) ed in
particolari le seguenti.
• Azione antinfettiva, tramite una migliore immunità
• Attività psicodietetiche
• Attività anticancerogene
• Attività ormonali, dirette ed indirette.
Le singole attività extranutrizionali considerate tendono a potenziarsi a
vicenda, per cui il risultato è di norma superiore alla somma dei singoli effetti.
Buona parte di queste attività sono collegate alla quota lipidica ed in
particolare agli acidi grassi, oltre che al colesterolo.
Oggetto della presente esposizione è di focalizzare l’attenzione su
alcuni recenti acquisizioni riguardanti alcune attività extranutrizionali
(extraenergetiche) di tipo salutistico del burro.
Attività antinfettive del burro
Ci si è più volte domandato perchè durante le malattie infettive si
dimagrisce, Si è anche visto come recenti ricerche abbiano dimostrato che
quando il Sistema Immunitario viene stimolato da un’infezione od anche
da una semplice vaccinazione, vi sono modificazioni del metabolismo
(febbre, riduzione dell’appetito, perdita di proteine e soprattutto di quelle
muscolari) che fanno calare di peso, mentre nei bambini e nei giovani vi
è anche una riduzione dell’accrescimento corporeo. Una delle cause che
negli ultimi cinquanta anni, nei paesi sviluppati, ha indotto un aumento
della statura media della popolazione senza dubbio è stata la riduzione
degli attacchi infettivi, associata però ad un’alimentazione capace di
contrastare gli sfavorevoli effetti metabolici conseguenti alla stimolazione
del Sistema Immunitario.
Il burro contiene vitamine liposolubili (A, D, E) importanti per le reazioni
immunitarie.
Recenti studi, come recentemente ha affermato Michael PARIZA del
College of Agricultural & Life Sciences dell’Università del WisconsinMadison (USA), dimostrano l’importanza dell’Acido Linoleico Coniugato
(ALC) nella prevenzione del calo di peso da infezioni e da stimolazione
del Sistema Immunitario.
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Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Il termine di Acido Linoleico Coniugato (ALC) viene usato per identificare
i diversi isomeri dell’acido linoleico: i doppi legami coniugati sono
usualmente quelli in posizione 9 e 11 o 10 e 12.
E’ oggi noto che l’acido linoleico ed in particolare l’ALC, noto anche per
le sue Attività Anticancerogene e le sue Proprietà Antiossidanti, svolgono
anche azioni di Protezione Metabolica in caso di infezioni, vaccinazioni
e stimolazione del Sistema Immunitario. L’acido linoleico è inoltre un
composto naturale diffuso negli alimenti di origine animale prodotti dai
ruminanti come il latte, i latticini ed il burro, oltre e la carne bovina.
Le quantità di acido linoleico necessarie per ottenere gli effetti desiderati
sono dell’ordine di qualche grammo il giorno, una quantità che può essere
ottenuta con una dieta che contenga buone quantità di carne di bovina o
di latte intero o di burro di mucca. Le stesse quantità esercitano anche una
buona azione antiossidante ed anti-cancro.
Attività ormonali del burro
Le attività ormonali del burro sono di tipo diretto ed indiretto.
Le attività ormonali dirette derivano soprattutto dagli ormoni naturali, di
tipo liposolubile e soprattutto di tipo steroideo (estrogeni, progestinici ecc.)
e dai fitormoni presenti nell’alimentazione del bestiame.
Le attività ormonali indirette sono da collegare soprattutto ad alcune
vitamine liposolubili (in particolare Vitamina D) ed al colesterolo, in quanto
base biochimica degli ormoni steroidei (ormoni sessuali, corticosteroidi, ecc.).
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Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
ATTIVITA’ ORMONALE DI ALCUNI OLI E GRASSI
(mg equivalenti a Follicolina ed Estrone, per 100 grammi di alimento)
OLIO O GRASSO
OLIO DI OLIVA - PRESSIONE
OLIO DI OLIVA - ESTRAZIONE
OLIO DI OLIVA - PURIFICATO
ARACHIDE
LINO
SOIA
COLZA
MAIS
GIRASOLE
BURRO DI CACAO
BURRO
LARDO
STRUTTO
FOLLICOLINA EQ
15
35
5
10
3,5
10
8
11
18
3
28
21
4
ESTRONE EQ.
4,00
5,20
0,25
0,25
0,20
0,80
1,00
1,50
0,50
0,80
0,80
0,30
0,10
Attività psico-dietetiche del burro
Oltre ad apportare energia, i grassi hanno altre due principali funzioni
alimentari.
a) Partecipano in modo attivo alla costruzione dell’organismo e soprattutto
delle membrane cellulari.
b) Hanno un ruolo essenziale a livello del sistema nervoso, soprattutto di
quello centrale, (cerebrale), particolarmente nella fase del suo sviluppo.
L’azione costruttiva dei grassi si svolge soprattutto nella membrana che
delimita ed avvolge ogni cellula. Le membrane delle cellule sono costituite
da un aggregato di lipidi (o grassi) e proteine. I Fosfolipidi rappresentano il
50-60 % dei lipidi di membrana, mentre il 20% è costituito da Colesterolo.
Più di un terzo degli Acidi Grassi dei Fosfolipidi di membrana è costituito
da Acidi Grassi Essenziali (AGE) di origine alimentare, con particolare
preminenza degli Acidi Linoleico ed Alfa-linolenico. Una cellula di misura
media contiene, nella sua membrana, almeno tredici miliardi di molecole
lipidiche. Una membrana cellulare ricca di Acidi Grassi Insaturi è elastica,
fluida, flessibile e dinamica e rende la cellula attiva e sana.
I grassi di membrana, detti anche strutturali sono estremamente importanti
nell’alimentazione ed in una dieta equilibrata dovrebbero coprire gran parte
del fabbisogno lipidico, soprattutto nei bambini e giovani in accrescimento.
Oggi, sempre più, si pensa che analoghe necessità vi siano nella terza età.
83
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Una carenza di Acidi Grassi Essenziali provoca gravi alterazioni
dell’organismo, fino alla morte. Tutti gli organi sono interessati, ma
particolarmente evidenti sono le alterazioni della pelle che diviene
secca, fragile e facile preda ad infezioni o parassitosi; aumenta anche la
recettività alle infezioni.
Azioni a livello cerebrale dei grassi.
Tra gli organi che soprattutto durante il loro sviluppo risentono di carenze
di Acidi Grassi Essenziali vi è il cervello, come anche recentemente è stato
studiato Jean-Marie BOURRE, Direttore dell’Istituto Nazionale Francese
per le Ricerche Mediche.
Il cervello è l’organo in assoluto più ricco di grassi. Come tutto il sistema
nervoso, per circa la metà (escludendo l’acqua) il cervello è costituito
da grassi, anche se ricava l’energia prevalentemente dallo zucchero
(glucosio) che gli arriva con il sangue.
Nel cervello sono presenti diversi tipi di grassi, ma soprattutto taluni lipidi
elementari e molti lipidi complessi.
Tra i lipidi elementari del cervello vi è il Colesterolo che controlla la fluidità
delle membrane delle cellule. Se un eccesso di colesterolo rende difficoltoso
il funzionamento delle cellule nervose, lo stesso vale per una sua scarsità.
Gran parte dei lipidi complessi presenti nel cervello è costituita da Fosfolipidi
e Sfingolipidi, che contengono acidi grassi saturi e monoinsaturi. Alcuni
di questi acidi grassi devono essere introdotti dall’esterno, come gli acidi
Lignocerico, Linoleico ed Alfa-linolenico. I lipidi complessi del cervello
hanno funzioni prevalentemente strutturali ed è ovvio che un cervello mal
costruito non può funzionare bene.
Una carenza degli acidi polinsaturi alimentari è particolarmente grave
nel periodo dello sviluppo cerebrale, immediatamente dopo la nascita e
nei primi anni di vita. Per questo il latte umano contiene rilevanti di Acido
Alfa-linolenico e del suo derivato Acido Cervonico. Per fornire questi acidi
grassi essenziali per tutto il periodo di massimo sviluppo cerebrale del
bambino, l’allattamento veniva protratto fin verso i quattro anni, quando il
cervello si era ben formato. Purtroppo oggi i latti artificiali non contengono
quantità sufficienti di tali acidi grassi, tanto che alcuni sostengono che la
carenza che ne deriva possa ridurre il Quoziente Intellettuale ed indurre
o predisporre a turbe intellettuali e comportamentali persistenti. Gli stessi
acidi grassi necessari per lo sviluppo cerebrale del neonato e del bambino
84
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
sembrano lo siano anche nel resto della vita, ma soprattutto nella vecchiaia
nella quale pare siano importanti per il mantenimento di una completa
efficienza intellettuale.
Colesterolo ed intelligenza
Oggi ci si sta accorgendo dei rischi di un colesterolo “basso”! Da tempo
era stato segnalato il collegamento tra i bassi livelli di colesterolo nel
sangue e la riduzione della produzione degli ormoni steroidei e tra questi
anche quelli sessuali (vedi Attività Ormonali).
Recentissime indagini di un gruppo di ricercatori del Centro di Ricerca
sulla Nutrizione del Bambino di Huston, dell’Università di Praire (USA)
e dell’INRA francese, guidati da P.A. Schoknecht, hanno stabilito che
nel giovane maiale, una specie animale vicina all’uomo, bassi livelli di
colesterolo alimentare hanno un’influenza negativa sullo sviluppo del
cervello e sul comportamento. Un risultato che è stato correlato al fatto
che il colesterolo è un importante ed abbondante componente del cervello
e soprattutto della mielina, che si forma nella vita neonatale.
Se si riportano all’uomo i risultati di queste ricerche, che confermano
quanto era stato già visto sui topi, risulta l’importanza che il bambino
sia nutrito al seno con un latte molto ricco di colesterolo e di acidi grassi
essenziali e che successivamente abbia un’alimentazione con cibi di
origine animale adeguatamente dotati di colesterolo.
Il latte di donna è, infatti, più ricco di colesterolo che non quello di altri
animali (in particolare di quello di mucca) e del latte artificiale. Il bambino
inoltre, per il suo grande sviluppo cerebrale che si prolunga fino ai
quattro, cinque anni di età, ha necessità di buone quantità di colesterolo
alimentare.
Attualmente l’allattamento al seno è stato fortemente abbreviato, ma è
sempre necessario assicurare al neonato e poi al bambino una sufficiente
quantità di colesterolo alimentare, indispensabile per un regolare sviluppo
del cervello. In base alla necessità di colesterolo alimentare del bambino
è stato anche interpretato il più alto Quoziente di Intelligenza nei bambini
alimentati con latte materno (ricco di colesterolo), in confronto di quello
dei bambini alimentati con latte artificiale (povero di colesterolo).
Anche dopo lo svezzamento, il bambino, il cui cervello non si è ancora
completamente sviluppato ed i processi di apprendimento sono ancora
in piena attività, necessita di un’alimentazione con cibi che contengono
colesterolo. A questo riguardo, il burro risulta particolarmente indicato.
85
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
E’ utile ricordare che i grassi sono indispensabili in ogni dieta equilibrata,
nella quale non devono fornire più del 30-35% delle calorie totali. Molti
dei problemi attribuiti ai grassi (ed al colesterolo) derivano da un loro
eccesso, più che dalla loro qualità.
In relazione al Problema Colesterolo, strettamente legato ai grassi ed oggi
tanto temuto, bisogna ricordare alcuni punti fermi riportati in una tabella.
Come anche recentemente ha sottolineato il Prof. E. Turchetto dell’Università
di Bologna, per il latte ed i suoi derivati, ivi compreso il burro, non viene
sempre tenuto conto dei seguenti punti, validi per le persone normali.
Una significativa quota di grassi del latte e quindi dei suoi derivati, quindi
anche del burro, è di tipo insaturo od a corta catena e quindi sono grassi
buoni.
I grassi del latte e prodotti derivati sono soltanto una parte di quelli
introdotti, sia di origine animale che vegetale.
La quantità di colesterolo normalmente ammessa nell’alimentazione di
persone sane è di 300 mg, quanto ne è contenuto il oltre 2 litri di latte
intero, o 300 grammi di formaggio, od in 120 grammi di burro.
La sostituzione del burro normale con burro senza colesterolo (od olio
vegetale) nella dieta degli italiani porterebbe ad una diminuzione media
del colesterolo nel sangue dello 0,6% (vale a dire che se nel sangue vi
sono 250 milligrammi, questi diverrebbero 248 per 100 millilitri). Una
diminuzione di scarsissimo significato pratico.
Quando il contenuto di grasso totale di una dieta è basso (non superiore
al 30% delle calorie totali) l’effetto del burro sul colesterolo del sangue è
minimo, anche se è l’unico grasso alimentare.
Nella maggior parte degli individui il colesterolo alimentare influenza in
minima parte la sua quantità nel sangue, perchè l’organismo dispone di
efficienti meccanismi che controllano la produzione di colesterolo. In altri
termini, se si ingerisce poco colesterolo l’organismo ne fabbrica molto e
quando se ne introduce molto l’organismo riduce la sua produzione.
In generale la capacità del colesterolo alimentare di aumentare quello del
sangue, è stata eccessivamente sottolineata. Tuttavia esistono individui con
scarse capacità di adattare la loro produzione di colesterolo, per cui ad un
aumento della sua assunzione segue un incremento della sua quantità nel
sangue. In questo caso bisogna modificare la dieta. In questi individui è
molto importante una riduzione delle calorie della dieta, ad incominciare
da quelle portate dai grassi, soprattutto quelli che contengono quote più
o meno elevate di acidi grassi saturi.
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Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
ALCUNI PUNTI FERMI SU COSIDDETTO “PROBLEMA COLESTEROLO”
• La quantità di colesterolo alimentare è solo una parte di quello che ogni giorno
viene prodotto dall’organismo.
• Nelle persone sane esistono degli efficaci meccanismi di controllo e quando
aumenta l’introduzione di colesterolo con gli alimenti, diminuisce la sua produzione
endogena e vice-versa.
• Non tutto il colesterolo alimentare viene assorbito ed il tipo di dieta influisce sulla
quantità di colesterolo non utilizzato ed eliminato con le feci.
• Diete iperenergetiche e ricche di grassi (soprattutto saturi) favoriscono
l’assorbimento del colesterolo.
• Gli acidi grassi polinsaturi contrastano l’aumento del colesterolo nel sangue.
• Diete equilibrate come energia e con sufficienti quantità di fibra alimentare
riducono l’assorbimento del colesterolo.
• Alcuni alimenti contengono fattori anticolesterolici, ad esempio le saponine delle
leguminose (fagioli, ecc.) od altri composti della soia.
• Molto importante per il metabolismo del colesterolo e quindi per il suo tipo
(“buono” o “cattivo” nel sangue) è la presenza nella dieta di sufficienti quantità di
Fosfolipidi (lecitine). Quando nella dieta i Fosfolipidi sono abbondanti rispetto al
Colesterolo, si ha formazione di colesterolo HDL o buono.
• Nel latte sono contenute elevate quantità di Fosfolipidi, che in parte si mantengono
anche nel burro.
Attività anticancerogene del burro
Le attività anticancerogene dei grassi del latte bovino, costituenti del burro,
sono state oggetto di una rassegna da parte di PARODI (1997), con
particolare riguardo all’Acido Linoleico Coniugato, (CLA), Sfingomieline
e loro metaboliti, Acido Butirrico, Eteri Lipidici. Cope e coll. (1996) hanno
invece studiato l’azione protettiva del burro nei riguardi della protezione
della cute dalla radiazione ultravioletta. A queste due pubblicazioni si
rimanda per ulteriori precisazioni.
Tumori ed alimentazione
Negli ultimi venticinque anni il quadro dei tumori umani è notevolmente
cambiato e soprattutto diversi tipi e localizzazioni tumorali sono diminuite
di frequenza. Sono anche migliorate le conoscenze sulla loro eziologia
che oggi viene stimata multifattoriale. In questo ambito una rilevante
importanza ha indubbiamente l’alimentazione.
87
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Oggi circa il 35% dei tumori (dal 20 al 60% a seconda del tipo
o localizzazione) sono ritenuti dipendere, in toto od in parte,
dall’alimentazione. Tuttavia oggi all’alimentazione viene anche attribuito
un ruolo di prevenzione. Negli alimenti, infatti, accanto a principi dotati
di attività cancerogena o co-cancerogena, sono stati individuati principi
con attività anti-cancerogena diretta, indiretta o protettiva.
Oggi, un obiettivo ritenuto prioritario, è quello di modulare l’alimentazione
riducendo il rischio cancerogeno e contemporaneamente aumentando la
protezione anticancerogena. In questo quadro, tuttavia, le diverse classi
di alimenti sembrano essere state valutate in modo difforme, sulla base
anche di indagini epidemiologiche spesso grossolane.
Per gli alimenti vegetali si sono enfatizzate le attività anticancerogene,
troppo spesso trascurando o sottacendo quelle cancerogene, anche se di
rilevante importanza, forti ed evidenti, ad incominciare dalle micotossine
presenti in questi alimenti.
Per gli alimenti di origine animale, al contrario, si sono spesso enfatizzate
le attività cancerogene, spesso soltanto presunte, sottacendo o sorvolando
sulle molteplici ed indubbie attività anticancerogene e protettive di questi
alimenti.
In questo sia pur sommario quadro si sono inoltre eseguite schematizzazioni
quanto mai dubbi e per lo meno eccessive, arrivando ad una concezione
manichea dell’alimentazione che ad esempio separa i grassi vegetali
(definiti ed accettati come “buoni”) da quelli animali (condannati come
“cattivi”).
Ogni alimento, sotto il profilo del rischio cancerogeno o delle sue attività
anticancerogene, deve essere esaminato sulla base di precisi elementi
sperimentali, evitando ogni preconcetto od ideologia. Un’impostazione
questa che oggi viene sempre più applicata e che porta a sorprese e
non raramente a più o meno completi rovesciamenti di fronte, sfatando
e dimostrando errate idee largamente diffuse, che non avevano altra
giustificazione se non quella di... essere largamente diffuse.
Un caso esemplare che sta venendo alla luce è quello del burro, un alimento
di origine animale che in un recente passato è stato criminalizzato e
demonizzato, spesso anche per favorire il consumo di grassi vegetali.
Numerose e recenti ricerche, infatti, stanno dimostrando che il grasso del
burro contiene numerosi componenti con potenzialità anticancerogene
che vengono schematicamente considerate in questa esposizione.
88
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Componenti anticancerogeni del burro
Diversi sono i componenti del grasso del burro con caratteristiche
anticancerogene: i più importanti sono: acido linoleico coniugato,
sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni non
identificati.
Acido linoleico coniugato. Il termine di Acido Linoleico Coniugato (ALC)
viene usato per identificare i diversi isomeri dell’acido linoleico: i doppi
legami coniugati sono usualmente quelli in posizione 9 e 11 o 10 e 12.
Il latte è l’alimento che contiene la maggiore quantità di ALC e questo
viene inoltre concentrato nel burro (Lin H., Boylstoin T.D., Chang M.J.
et alii, 1995).Un altro alimento che contiene ALC, sia pure in minori
concentrazioni, è la carne magra di bovino. In entrambi i casi, l’ALC
deriva dalle fermentazioni che avvengono nel rumine, in particolare quelle
provocate dal batterio ruminale Butyrivibrio fibrisolvens. Il grasso del latte
bovino contiene da 8,6 a 100 micromoli per grammo di ALC.
Diverse ricerche sperimentali dimostrano che l’ALC inibisce l’azione di
potenti cancerogeni e tra questi anche quelli che si generano per attività
del calore (ad esempio grigliatura delle verdure e carni) ( Ip C., Briggs S.P,
Haegele A.D., Thompson H.J. et alii – 1996; Liew C., Schut H.A.J., Pariza
M.W., et alii, 1995). Sempre da ricerche sperimentali risulta che l’ALC
ha un’azione protettiva nei tumori del colon e della mammella. Ricerche
in vitro indicano un’attività protettiva anche verso il melanoma. L’ALC
agisce come anticancerogeno con diversi meccanismi già individuati, ma
soprattutto come antiossidante.
Per quanto riguarda l’alimentazione umana, in base ad estrapolazioni
dei risultati ottenuti negli animali, si ritiene che per avere un’azione
anticancerogena sia necessaria una quantità di un grammo di ALC ogni
chilogrammo di alimento, una quantità che può essere ottenuta con una
dieta che contenga latte intero o burro. E’ anche interessante che le donne
di popolazioni che consumano latte bovino e suoi derivati hanno, nel loro
latte, il doppio di ALC di quello delle donne nella cui dieta il grasso di latte
è assente o molto ridotto.
Sfingomieline. Le sfingomieline sono fosfolipidi componenti della parete
cellulare che si trovano nel latte bovino (0,2 - 1,0 grammi per 100 grammi di
lipidi totali). Dalle sfingomieline derivano diversi metaboliti biologicamente
attivi e soprattutto la sfingosina ed il ceramide che hanno caratteristiche
anticancerogene messe in evidenza anche negli animali e nei riguardi del
tumore del colon (DillehaY D. L., Webb S. K., Schmelz E. M. et alii, 1994).
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Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
Acido butirrico e Butirrato. Tipico componente del grasso del latte dei
ruminanti è l’acido butirrico ed i suoi derivati (butirrato).
Il butirrato è un potente inibitore della proliferazione in linee di cellule
cancerose, si è anche vista un’attività preventiva nella diffusione
metastatica dei tumori. Queste attività antitumorali dell’acido butirrico
sembrano particolarmente attive a livello del colon, dove tale acido svolge
anche un’attività di stimolo delle cellule normali.
Il butirrato, aggiunto alla dieta di animali, previene tumori mammari ed
adenocarcinomi indotti da cancerogeni. Anche per questo il butirrato è
stato usato nella terapia dei tumori dell’uomo.
Eteri lipidici. Alchilgliceroli ed alkilglicerolfosfolipidi e loro derivati,
presenti nel grasso del latte bovino e di conseguenza nel burro, hanno
attività anticarcerogena.
Fattori anticancerogeni non identificati
Nel latte sono presenti altri fattori anticancerogeni non necessariamente
collegati alla parte grassa: infatti, le proteine del latte, il calcio e soprattutto
i batteri lattici hanno attività anticancerogene che non sono sempre facile
distinguere da quelle del grasso.
Nel latte possono essere presenti sostanze anticancerogene contenute
nell’alimentazione degli animali, ed in particolare i beta-caroteni dotati
di attività antiossidante, che si concentrano nel grasso e quindi nel burro.
Altri componenti ad azione anticancerosa, presenti negli alimenti dei
bovini e che passano nel latte e nel burro, sono: il gossipolo presente
nel seme di cotone; l’isoprenoide-beta-ionone (o beta-ionone) contenuto
nell’erba medica. Non bisogna tuttavia dimenticare che nell’alimentazione
dei bovini possono essere presenti anche cancerogeni, ad esempio quello
della felce presente nei pascoli (ma non nei foraggi coltivati) e comunque
non liposolubile e quindi assente nel burro.
Burro e prevenzione dei tumori. Oltre a quanto sopra brevemente indicato,
in letteratura vi sono diversi studi che dimostrano come, negli animali
d’esperimento e soprattutto in quelli esposti all’azione di cancerogeni,
il grasso del latte (burro) ha un’azione protettiva e quindi preventiva
significativamente superiore alle margarine od ai grassi vegetali, anche
di quelli ricchi di acidi grassi polinsaturi.
Lo stesso risultato protettivo e preventivo del grasso del latte (burro) lo
si è visto anche nei riguardi dei tumori spontanei (Knekt P., Jarvien R.,
Seppanen R. et alii 1996).
Tutti gli studi che sono stati eseguiti indicano che non solo un’alimentazione
90
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
con latte, ma soprattutto con il suo grasso (burro), diminuisce il rischio
cancerogeno ed aumenta le difese anticancerogene, coeme quelle
riguardanti l’azione dei raggi ultravioletti (Cope R.B., Bosnic M., BoehnWilcox Ch. et alii, 1996).
Risultati questi che non si ottengono - e lo dimostrano indagini sperimentali
comparative - con altri grassi, come le margarine ed i grassi vegetali.
Una conclusione, quella ora enunciata, che deve portare a rivalutare l’uso
del grasso del latte, anche sotto forma di burro, ovviamente nell’ambito
di una dieta equilibrata e correlata al fabbisogno energetico, nella dieta
umana, con particolare riguardo alla fascia di età con maggiore rischio
cancerogeno (seconda e terza età).
Una conclusione inoltre che non dovrebbe stupire, se si considera che
il latte, con il suo grasso (dal quale deriva il burro) è un alimento che è
il risultato di una selezione naturale durata oltre centocinquanta milioni
di anni. Una selezione che non poteva dare che risultati positivi, come
quelli ora indicati, e sui quali si basa un ELOGIO DEL BURRO e non
una sua irrazionale demonizzazione, senza alcun preciso motivo, come
recentemente abbiamo dovuto costatare, soprattutto dopo quanto è stato
chiarito a proposito del colesterolo alimentare.
Conclusioni
Da quanto esposto, di particolare interesse risulta la composizione della
quota lipidica del burro ed in particolare il quadro degli acidi grassi. Per
quanto poi riguarda il tanto criminalizzato colesterolo del burro, oggi è
ben noto che questo componente è in un corretto rapporto con le lecitine,
con rapporti ottimali alla produzione, in persone sane, di colesterolo HDL
e quindi “buono”.
Di particolare interesse sono le attività psicodietetiche che oggi vengono
riconosciute ad alcuni componenti del burro.
Estremamente importanti sono recenti indagini che indicano come i grassi
del burro hanno una rilevante attività anticancerogena preventiva. Di
pericolare rilievo sono i seguenti componenti: acido linoleico coniugato,
sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni
non identificati. L’attività di prevenzione anticancerogena, anche in
base ad indagini sperimentali, è particolarmente evidente su neoplasie
dell’apparato digerente e della mammella.
La rivalutazione non solo nutrizionale, ma anche salutistica del burro e
quindi la possibilità di intesserne un elogio, su basi scientifiche e non
91
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
soltanto tradizionali, non deve stupire in quanto il burro è la componente
di un alimento, il latte, che come tale è stato “creato” dalla natura in una
selezione di oltre sessanta milioni di anni e che ha portato al successo la
vastissima classe dei mammiferi, di cui anche l’uomo fa parte.
ELOGIO DEL BURRO
RIVALUTAZIONE NON SOLO
NUTRIZIONALE, MA ANCHE
SALUTISTICA DI UN ALIMENTO,
IL LATTE, CHE È STATO “CREATO”
DALLA NATURA IN UNA
SELEZIONE DI OLTRE SESSANTA
MILIONI DI ANNI E CHE HA
PORTATO AL SUCCESSO LA
VASTISSIMA CLASSE DEI
MAMMIFERI, DI CUI ANCHE
L’UOMO FA PARTE.
92
Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma.
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95
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Nuove conoscenze sulla composizione
acidica dei burri di zangola prodotti nel
CFPR: primi risultati di una ricerca biennale
Riassunto
I più recenti progressi della gas cromatografia (GC), applicata all’analisi
degli Acidi Grassi (AG) della componente lipidica del latte, hanno portato
alla separazione ed al riconoscimento di oltre 400 AG dai circa 20-25
identificati dalla GC quando era ancora agli inizi 40-50 anni fa’.
Se è vero che molti di questi AG sono presenti in piccole quantità, è
altrettanto vero che alcuni di essi sono molto importanti dal punto di vista
salutistico e nutrizionale.
Nel tracciato GC riportato in figura 1, possiamo vedere che accanto
ai circa 20 AG maggiori dal punto di vista quantitativo, ne vengono
evidenziati altri 20 presenti in piccolissime quantità ma altrettanto
importanti, quali gli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA), gli AG
in configurazione trans (TFA) e gli AG della serie ω 3.
In questa ricerca sono stati identificati e dosati quantitativamente 41 AG;
di cui 15 saturi (SFA), 15 monoinsaturi (MUFA), e 11 polinsaturi (PUFA).
In particolare, la nostra attenzione, in questa sede si è soffermata sugli AG
insaturi, mono e poli, in configurazione cis e trans. Sono state studiate le
variazioni dell’acido rumenico e dei CLA in numerosi campioni di burro,
prodotti in laboratorio, a partire dalle panne prelevate durante tre periodi
diversi dell’anno, da caseifici con bovine alimentate tradizionalmente e
con l’unifeed.
La stessa attenzione è stata posta alle variazioni degli acidi grassi trans
(TFA) e dell’acido acido vaccenico (C18:1 trans 11).
Nelle nostre condizioni sperimentali, con una corsa di 55 minuti, non è
stato possibile dosare tutti gli AG della serie ω 3.
Infatti, nella figura riportata, è visibile e dosabile solo l’acido
eicosapentaenoico (EPA), ma non l’ acido docoesaenoico (DHA), che è
altrettanto importante dell’EPA se non di più.
96
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 1 Tracciato GC di un burro di Gavasseto che riporta
gli acidi grassi identificati e quantificati in questa ricerca.
Figura 1 Tracciato GC di un burro di Gavasseto che riporta gli acidi grassi identificati e quantificati in
questa ricerca.
97
85
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
I risultati ottenuti relativi alla composizione in AG degli oltre 170 campioni
di burri e panne analizzati in questa ricerca vengono confrontati con quelli
ottenuti da Strocchi e collaboratori nel 1967, presso l’Istituto di Industrie
Agrarie dell’Università di Bologna, su oltre 200 campioni di burri emiliani,
gran parte dei quali provenivano da caseifici compresi nel CFPR.
Particolarmente interessante, in quella ricerca, è che veniva già evidenziata
una stretta correlazione tra, il contenuto in acido vaccenico ed il contenuto
in dieni coniugati cis-trans (allora, nel 1967, non si parlava ancora di
acido rumenico).
Concludevano, inoltre quegli Autori, che i campioni di burro prelevati
nelle province del Consorzio di Produzione del Formaggio ParmigianoReggiano (CFPR) avevano una composizione in AG e delle caratteristiche
chimico-fisiche più omogenee rispetto a quelli prelevati nelle province
limitrofe.
La nostra ricerca, limitatamente alla composizione in AG, conferma
sostanzialmente i dati di quella precedente per quanto riguarda molti degli
AG maggiori, a testimonianza di una certa uniformità della componente
maggiore dei burri del CFPR.
Relativamente agli AG minori quantitativamente, ma importantissimi dal
punto di vista nutrizionale e salutistico, si notano differenze statisticamente
molto significative tra il contenuto in CLA (e di acido rumenico in
particolare) tra i burri provenienti da bovine alimentate tradizionalmente
e quelle alimentate con l’unifeed a vantaggio dei primi e, tra quelli prodotti
in pianura rispetto a quelli prodotti in collina-montagna, a vantaggio dei
secondi.
Introduzione
Oltre un secolo fa’ Pellegrino Spallanzani (1904), in un a sua nota
memoria, a commento dell’esposizione Internazionale tenutosi a Reggio
Emilia nel 1904, scrisse, a proposito dei burri reggiani, “che quelli
presentati dai nostri caseifici, erano di poco inferiori, se lo erano, a quelli
migliori presentati da altri paesi concorrenti”, e affermava inoltre che “la
questione del burro nel reggiano è più commerciale che tecnica”. La sua
conclusione era che già allora era possibile, con l’impiego di fermenti
selezionati, produrre del buon burro all’interno della provincia di Reggio
Emilia, e che non lo si faceva bene perché non conveniva farlo.
Ancora prima, in una sua pubblicazione del 1889, lo stesso Autore
notava per la prima volta che i burri prodotti in provincia di Reggio Emilia,
98
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
avevano un n° di RMV che in diversi periodi dell’anno era inferiore a
quello minimo fissato per tutti gli altri burri italiani ed esteri.
In quella pubblicazione lo Spallanzani non si limitò solamente a constatare
il fatto, ma cerca poi “,nel 1895,” di individuare le possibili cause.
Mezzo secolo più tardi, nel 1934, un altro Autore reggiano, Carlo
Manicardi, analizzando oltre 110 campioni di burro prodotti all’interno
del CFPR, non solo conferma il dato del suo predecessore, ma notava
che anche il n° di Polenske era diverso da quello dei burri prodotti nelle
province limitrofe al comprensorio. In particolare, il Manicardi notava
come, durante il periodo estivo, il n° di RMV fosse sempre inferiore a 26
, ed il n° di Polenske superiore a 3-3,5.
Successivamente, nel 1967, dopo l’avvento della GLC, il collega Strocchi
1967a-b e Coll., analizzavano oltre 200 campioni di burro emiliani,
rilevando come quelli prodotti all’interno delle province comprese nel
CFPR avessero una composizione in AG e caratteristiche chimico-fisiche
più omogenee rispetto a quelli prodotti nelle restanti province limitrofe.
Il lavoro di Strocchi e Coll., può essere considerato il vero e proprio
punto di riferimento sia sulla composizione in AG, che sulle principali
caratteristiche chimico-fisiche dei burri prodotti in quegli anni all’interno
del CFPR.
E qui permettetemi una breve parentesi, per ricordare che tra i collaboratori
di Strocchi c’erano due nomi prestigiosi a me molto cari: quello del Prof.
Pallotta U., il mio maestro, e quello del Prof. Capella P., un grandissimo
lipochimico a livello mondiale (vincitori entrambi del premio “CHEUREUL”,
medaglia d’oro a Capella nel giugno 1989).
Ritornando ad oggi, poiché sono passati 40 anni, durante i quali la GLC
ha compiuto enormi progressi, abbiamo ritenuto di proporre prima e di
condurre poi un’analoga ricerca su oltre 170 tra campioni di creme e di
burro prodotti, in 3 diversi periodi dell’anno, in 40 dei circa 400 caseifici
attivi ancora nel CFPR. Questi 40 caseifici (il 10% di tutti i caseifici da
PR) sono stati individuati e scelti in modo da rappresentare al meglio
quella che è la realtà attuale relativa alla diversa dislocazione dei nostri
caseifici sul territorio indicato all’interno del CFPR (figura 2). Di questi,
32 campioni sono stati prelevati in caseifici con bovine alimentate con
l’unifeed, 62 sono stati prelevati in caseifici di pianura, 41 sono stati
prelevati in caseifici ubicati in collina ed in montagna sempre da bovine
con alimentazione tradizionale.
Sono stati analizzati anche 46 campioni di panna prelevati tutti durante
99
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
il primo periodo e confrontate con le analisi dei rispettivi burri prodotti in
laboratorio.
Tali risultati, come vedremo, relativi agli AG maggiori, sia saturi che insaturi
dimostrano, a conferma di quelli di altri Autori citati precedentemente,
una certa omogeneità naturale nella composizione dei burri prodotti ed
analizzati in questa ricerca. Quelli che variano di più sono invece alcuni
AG presenti, sì in piccola quantità, ma di notevole interesse nutrizionale
ed anche extra-nutrizionale.
Figura 2 Mappa del CFPR. Nei cerchi in verde sono indicati i
caseifici dove sono state prelevate le creme di affioramento
nei 3 periodi sperimentali.
Figura 2 Mappa del CFPR. Nei cerchi in verde sono indicati i caseifici dove sono state prelevate le creme di
affioramento nei 3 periodi sperimentali.
In questa mia breve introduzione, pertanto, mi limiterò a fare solo alcune
considerazioni sul contenuto in CLA in generale, e dei TFA, con particolare
In
questa mia all’acido
breve introduzione,
pertanto,
mi limiterò
a fare vaccenico
solo alcune considerazioni
attenzione
rumenico
tra i CLA,
ed acido
tra i TFA. sul
contenuto
in CLA
in generale,
e dei eTFA,
con particolare
attenzione
all’acido
rumenico
Per quanto
riguarda
i CLA
l’acido
rumenico,
abbiamo
notato
che tra
il i
loro ed
contenuto
diminuisce
CLA,
acido vaccenico
tra i TFA.notevolmente nei burri provenienti da bovine
alimentate
con
l’unifeed
rispetto a quelli provenienti da bovine alimentate
Per quanto riguarda i CLA e l’acido rumenico, abbiamo notato che il loro contenuto
tradizionalmente, fino a dimezzarsi nei burri prodotti dalle vacche di
diminuisce notevolmente nei burri provenienti da bovine alimentate con l’unifeed rispetto a
razza reggiana.
quelli provenienti da bovine alimentate tradizionalmente, fino a dimezzarsi nei burri prodotti
dalle vacche di razza reggiana.
100
I TFA e l’acido vaccenico, invece sono presenti in quantità sensibilmente inferiori nei burri
da unifeed rispetto a quelli prodotti con l’alimentazione tradizionale. Questa prima
osservazione è perfettamente in linea, dal punto di vista biochimico, col fatto che l’acido
rumenico C18:2 c9t11 (figura 3) deriva dall’acido vaccenico C18:2 t11 per azione
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
I TFA e l’acido vaccenico, invece sono presenti in quantità sensibilmente
inferiori nei burri da unifeed rispetto a quelli prodotti con l’alimentazione
tradizionale. Questa prima osservazione è perfettamente in linea, dal
punto di vista biochimico, col fatto che l’acido rumenico C18:2 c9t11
(figura 3) deriva dall’acido vaccenico C18:2 t11 per azione dell’enzima
Δ9-desaturasi che è in grado di inserire un doppio legame in configurazione
cis nell’acido acido vaccenico, trasformandolo in acido rumenico.
È noto da tempo (1972) che nei ruminanti la Δ9-desaturasi (SCD, stearoilCoA-desaturasi), è attiva durante tutta la lattazione nel tessuto mammario
(Kinsella 1972). La mammella è dunque in grado di regolare la fluidità
del grasso nel latte mediante la conversione dell’acido stearico in acido
oleico e non solo (figura 4).
Figura 3 Processo di formazione dell’acido rumenico
nel rumine e nei tessuti della ghiandola mammaria,
rispettivamente ad opera di enzimi isomerasi e denaturasi.
Figura 3 Processo di formazione dell’acido rumenico nel rumine e nei tessuti della ghiandola mammaria,
rispettivamente ad opera di enzimi isomerasi e denaturasi.
Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione di sangue di vacca.
101
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione
di sangue di vacca.
Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione di sangue di vacca.
Piùrecentemente,
recentemente,
nel (Corl
1998,
(Corl
1998)
è stato
dimostrato
cheanche
la SCD
Più
nel 1998,
1998)
è stato
dimostrato
che la
SCD è in grado
di
è insull’acido
grado anche
di agire
sull’acido inacido
vaccenico,
agire
acido vaccenico,
trasformandolo
acido rumenico.
trasformandolo in
acido rumenico.
Questo acido ha una doppia origine, infatti, oltre alla prima (che
mammario) che abbiamo appena visto, viene anche prodotto a livello ruminale (figura 5) da
avviene a livello del tessuto mammario) che abbiamo appena
visto, viene anche prodotto a livello ruminale (figura 5) da
Questo acido ha una doppia origine, infatti, oltre alla prima (che avviene a livello del tessuto
Figura 5 Isomeri di CLA identificati in GC, in un campione di
fluido ruminale di vacca.
Figura 5 Isomeri di CLA identificati in GC, in un campione di fluido ruminale di vacca.
6
102presenti in quell’organo: il butyrivibrium
uno dei tantissimi microrganismi che sono
fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente dall’80 al 90% di tutti i CLA
presenti nel grasso del latte, e questo, a differenza dei CLA ottenuti per sintesi (figura 6) che
si vendono in farmacia (che sono composti solo per il 50% di acido rumenico), questo è un
fatto molto importante, in quanto l’altro isomero che si forma durante la sintesi, il C18:2
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
uno dei tantissimi microrganismi che sono presenti in quell’organo: il
butyrivibrium fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente
dall’80 al 90% di tutti i CLA presenti nel grasso del latte, e questo, a
uno differenza
dei tantissimidei
microrganismi
che sono
in quell’organo:
il butyrivibrium
CLA ottenuti
per presenti
sintesi (figura
6) che
si vendono in
farmacia
(che
sono
composti
solo
per
il
50%
di
acido
rumenico),
questo è
fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente dall’80 al 90% di tutti i CLA
un nel
fatto
molto
importante,
quantodeil’altro
isomero
che si(figura
forma
presenti
grasso
del latte,
e questo, a in
differenza
CLA ottenuti
per sintesi
6) durante
che
la
sintesi,
il
C18:2
t10c12,
è
dotato
di
proprietà
antinutrizionali
con
si vendono in farmacia (che sono composti solo per il 50% di acido rumenico), questo è un
complicanze a livello epatico (steatosi), e causa anche una lieve riduzione
fatto molto importante, in quanto l’altro isomero che si forma durante la sintesi, il C18:2
del grasso nel latte.
t10c12, è dotato di proprietà antinutrizionali con complicanze a livello epatico (steatosi), e
causa anche una lieve riduzione del grasso nel latte.
Figura 6 Reazione chimica che avviene durante la produzione
di CLA per via sintetica.
Figura 6 Reazione chimica che avviene durante la produzione di CLA per via sintetica.
Da qui l’utilità di assumere questo acido molto importante attraverso il grasso dei prodotti
Da qui l’utilità di assumere questo acido molto importante attraverso il
grasso dei prodotti lattiero caseari (burro, panna, formaggi, ecc...) e non
nelle attraverso
farmacie.
pillole, che sono in vendita nelle farmacie.
E’ stato dimostrato, sperimentalmente, da numerosi autori (Corl 1998) e
recentemente anche da noi nella razza reggiana (Castagnetti 2008), che
7
è possibile aumentare fino a raddoppiare il contenuto di acido rumenico
nel grasso del latte, alimentando le bovine con una dieta ricca di acido
α-linolenico.
lattiero caseari (burro, panna, formaggi, ecc...) e non attraverso pillole, che sono in vendita
103
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Questo aumento può essere ottenuto con un’alimentazione ricca di erba
(che com’è noto, nei suoi grassi, contiene tantissimo acido α-linolenico),
oppure inserendo nel concentrato semi ricchi di quest’acido quali il lino,
la soia, ad anche altri, opportunamente trattati.
Ora, poiché come è noto l’erba non può essere usata nell’unifeed, volendo
aumentare il contenuto di CLA e di acido rumenico in particolare, o si
somministra erba a parte, oppure si aumenta nel carro miscelatore il
contenuto di acido α-linolenico con semi di lino laminati o estrusi, o anche
altri purché ricchi di quest’acido.
Questo aumento di di acido rumenico nel grasso del latte è importante
non solo perché si trasferisce nella panna prima e nel burro poi, ma
perché comporta anche un pari aumento nel grasso del formaggio PR
che, come è noto è composto per circa 1/3 del suo peso da grassi. Con
l’alimentazione unifeed, potremo dire che, limitatamente al contenuto in
acido rumenico nel grasso del formaggio, è come se noi producessimo PR
vernengo tutto l’anno anziché maggengo come avviene ora dopo il 1984
quando, in seguito alla scomparsa del vernengo, il PR viene prodotto tutto
l’anno, anziché solo dal 1 aprile all’11 novembre come avveniva prima
del 1984.
Vorrei concludere, questa breve premessa, con un particolare
ringraziamento al CFPR per aver cofinanziato al 50% un’assegno di
ricerca biennale all’Università di Bologna che ci ha permesso di fare
questa ricerca e di ottenere i risultati che verranno discussi qui di seguito
in modo più particolareggiato anche per quanto riguarda il problema
dei TFA, che io ho solo sfiorato quando ho accennato all’acido acido
vaccenico (che rappresenta l’80-90% di tutti i TFA) a proposito della
sintesi dell’acido rumenico.
Infine, per sgombrare il campo da possibili equivoci, vogliamo ricordare
che in una recente ricerca (Bisig 2007), è stato dimostrato che, sulla
stabilità durante la conservazione e sulle caratteristiche organolettiche
e sensoriali, i prodotti lattiero caseari arricchiti in CLA, non presentano
differenze statisticamente significative rispetto a quelli non arricchiti.
Concludendo veramente, noi non vogliamo che gli Italiani in futuro
consumino più burro, vogliamo invece, così come avviene già da tempo
per l’olio di oliva, andando al supermercato gli italiani potessero trovare
tra i tanti tipi di burro già presenti, anche il “burro extravergine”
104
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Materiali e Metodi
Campioni
In questo progetto di ricerca sono stati analizzati campioni di creme di
latte ottenute per affioramento e il rispettivo burro prodotto, prelevati
nell’ambito del comprensorio di produzione del Parmigiano-Reggiano,
in numero ed in siti di provenienza significativi in grado di rappresentare
uniformemente l’intera area consortile.
Complessivamente, durante l’intera durata della prova nel biennio 20072009, sono stati prelevati ed analizzati da n°40 caseifici, n°41 campioni
di panna e n°134 campioni di burro (tabella 1).
Tabella 1
Schema di campionamento sperimentale relativo al I e II
anno della ricerca, in relazione al periodo del prelievo e
del regime alimentare.
Stagione
Primavera - I prelievo
Estate - II prelievo
Inverno - III prelievo
totale
Dieta
A
21
24
18
62
B
13
14
13
41
C
6
11
14
32
A: “Tradizionale” – Pianura; B: “Tradizionale”- Collina/Montagna;
C: “Unifeed”
Le creme sono state prelevate dai caseifici dell’area consortile con la
collaborazione del responsabile tecnico del CFPR per la provincia di
Reggio Emilia e Mantova, dalla Montanari e Gruzza per la provincia di
Parma, e di Granterre, per quella di Modena. Quattro campioni sono
stati prelevati direttamente dai Professori Giuseppe Losi e Gian Battista
Castagnetti. Successivamente, le creme sono state stoccate a –20°C fino
alla produzione di zangolato fresco presso il DISA, sede di Reggio Emilia.
Per meglio osservare la presenza di differenze nella composizione degli
AG, tutte le creme sono state classificate, in primo luogo, a seconda
del periodo di produzione delle creme, e poi in relazione del tipo di
alimentazione delle bovine: Alimentazione “tradizionale” (erba, fieno
105
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
e concentrato) di pianura o di collina/montagna, ed Alimentazione
“Unifeed”.
Preparazione dello zangolato fresco
Lo zangolato fresco e’ stato ottenuto artigianalmente per sbattimento delle
creme a 12-15°C in appositi contenitori di vetro, ottenendo per shock
meccanico l’inversione delle fasi provocato dalla coalescenza dei globuli
di grasso. Dopo la separazione del latticello, lo zangolato e’ stato lavato
con acqua a 12-15°C per 3 volte, e successivamente impastato per circa
5 min per permettere lo spurgo dell’acqua in eccesso; dopodichè 50 g di
burro sono stati depositati in contenitori di plastica per materiale biologico
da 100 mL con tappo a vite, e conservati a - 40°C.
Estrazione della sostanza grassa
In un secondo momento gli stessi campioni sono stati riportati a temperatura
ambiente e sottoposti ad estrazione in doppio della frazione lipidica
secondo il metodo Hara-Radin (1978). Circa 300 mg di burro sono stati
omogeneizzati in 5.4 mL di esano e isopropanolo (3:2 v/v) per 30 sec in
una provetta troncoconica precedentemente pesata. Al fine di separare
le componenti non lipidiche, si e’ aggiunto 3.6 mL di sodio solfato in
soluzione acquosa (1 g di sodio solfato anidro in 15 mL di acqua), ed
agitato per 30 sec al vortex. Dopo aver lasciato riposare per alcuni min,
così permettendo la formazione di due fasi sovrapposte, si e’ prelevato
con pipette tipo Pasteur la fase superiore contenente la frazione lipidica.
Si e’ proceduto poi ad eliminare il solvente portando a secco, l’aliquota di
grasso presente, fino a peso costante, ponendo la provetta troncoconica
in un blocco riscaldante (≈40°C) sotto debole flusso di azoto. Il grasso
così ottenuto, e’ stato prima pesato e poi ridisciolto in 3 mL di esano e
isopropanolo (4:1 v/v), e poi conservato a -40°C per le successive analisi.
Tale metodo e’ stato applicato anche per l’estrazione della frazione
lipidica dalle panne del I Prelievo.
Preparazione degli Esteri Metilici degli Acidi Grassi (FAME)
Gli AG sono stati metilati a partire dal grasso mediante derivatizzazione
impiegando una soluzione di sodio metossido (#33080, supelco Inc.,
Bellafonte, PA) in metanolo secondo il metodo di Cruz-Hernandez (2004)
con alcune modifiche.
Circa 20 mg di grasso disciolto in esano e isopropanolo e’ stata portata
106
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
a secco fino a peso costante sotto debole flusso di azoto in una provetta
troncoconica precedentemente pesata, e posta in un blocco riscaldante
(≈40°C). Prima di procedere con la derivatizzazione degli AG legati si e’
provveduto a metilare gli AG liberi, aggiungendo al grasso nella provetta
100 μL di Diazometano. Dopo averla agitata lievemente, la provetta viene
posta sotto debole flusso di azoto per far evaporare il solvente in eccesso.
Il campione è stato quindi addizionato di 2 mL di n-esano, dello standard
interno (0.5 mg dell’estere metilico dell’acido undecanoico, Nuchek e
Sigma), seguito da 40 μL di methyl acetato e 300 μL di sodio metossido in
metanolo (0.5N). Successivamente, la provetta troncoconica e’ stata fatta
posta nuovamente sotto un leggero flusso di azoto per pochi secondi poi,
agitata in vortex per 30 sec, riscaldata per 10 min a 50°C in un blocco
riscaldante, ed infine raffreddata a -20°C per 10 min. La reazione viene
interrotta aggiungendo 180 μL di acido ossalico (0.5 g in 15 mL di etere
dietilico), poi la miscela è stata agitata su vortex per almeno 30 sec e
centrifugata a 2500 rpm per 3 min per facilitare la separazione della
fase esanica (soprastante), contenente gli esteri metilici degli AG (FAME),
da quella metanolica (sottostante). Successivamente si e’ provveduto a
trasferire un’aliquota della fase esanica in vials munite di riduttore per
l’analisi gas cromatografica.
Tale metodo e’ stato applicato anche per l’estrazione della frazione
lipidica dalle panne del I Prelievo.
Determinazione degli acidi grassi totali in gas cromatografia
capillare
Gli esteri metilici degli AG sono stati analizzati in doppio mediante un
gas-cromatografo Perkin Elmer Clarus 500 fornito di auto-campionatore,
di un detector a ionizzazione di fiamma (FID). E’ stato utilizzato l’elio come
gas di trasporto, di una colonna capillare SBP 70 (50 m x 0.22 mm i.d.,
0.25 μm spessore film, fase stazionaria). Il detector FID è stato mantenuto
a 240°C con un flusso di aria di 400 ml/min, un flusso di idrogeno di 40
ml/min e un flusso di elio di 0.75 ml/min. L’iniettore è stato mantenuto
a 240°C con un rapporto di splittaggio di 1:60. La temperatura della
colonna è stata programmata come segue: incremento di 1.5°C/min da
100°C fino a 115°C; incremento di 5°C/min fino a 180°C per 10 min, ed
infine 3°C/min fino a 240°C per 10 min. Per identificare i singoli FAME
nei campioni di panna e burro e’ stata utilizzata una miscela standard
composta da 52 AG (GLC 463 Nuchek), una miscela di AG coniugati
107
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
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dell’acido linoleico (UC-59M Nuchek), e materiale cartaceo riportato in
bibliografia (3).
Verifica del metodo Sperimentale
La verifica dei metodi di estrazione della frazione lipidica e preparazione
degli esteri metilici degli AG, proposti per l’analisi delle creme e dello
zangolato fresco, e’ stata necessaria per valutare la ripetibilità del
metodo sperimentale adottato. Tale verifica ha comportato l’estrazione
della frazione lipidica e la diretta derivatizzazione degli esteri metilici
degli AG su di un campione di burro, ripetuta 5 volte. Inoltre, sono stati
calcolati anche la quantità minima rivelabile (LOD) e la quantità minima
quantificabile (LOQ) che sono rispettivamente di 0.10 e 0.24 mg/100mg
di FAME.
Analisi statistica
Prima di procedere all’analisi statistica delle quantità di AG dei 3 prelievi,
è stata effettuata un’indagine preliminare sui campioni del I prelievo, volta
ad individuare la presenza di differenze significative tra gli AG della
panna e del burro ottenuto da essa. I dati di panna e burro provengono
dallo stesso soggetto sperimentale, e quindi possono essere considerati
a coppie. Tale modello consente di includere campioni provenienti da
produzioni anche molto diverse, inoltre, calcolando le differenze tra
burri e panne entro lo stesso campione si elimina l’effetto del caseificio
(ovvero del latte proveniente da una certa zona del consorzio). Attraverso
un’analisi della deviazione standard e la costruzione di grafici a scatole,
è stata verificata la presenza di outliers; sono emersi quattro valori
anomali nelle rilevazioni degli AG relative ai prelievi di burro della prima
campagna. I valori riscontrati erano tali da essere imputabili ad un errore
di tipo strumentale, poiché molto lontani dalle normali misurazioni degli
AG del burro. Per questo motivo tali campioni del primo prelievo sono
stati esclusi dall’analisi statistica dei dati. Le coppie di valori su cui è stata
effettuata l’analisi sono 37 e, ad un livello di confidenza del 95%, non
esistono differenze significative nella presenza di grassi saturi e monoinsaturi, tuttavia si rileva una differenza, ad un livello di significatività
dello 0.043, relativa agli AG poli-insaturi.
Successivamente sono stati considerati solo i campioni di burro per
determinare la variazione nella composizione degli AG in base al
periodo di riferimento (autunno, primavera, inverno). Gli effetti della
108
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
stagionalità e dell’alimentazione delle vacche, distinta in questo caso
anche in base anche alla localizzazione del caseificio (tradizionalepianura, tradizionale-collina e montagna, unifeed), sono stati misurati sul
totale dei campioni analizzati.
Per fare questo è stata utilizzata l’analisi della varianza a due fattori,
considerando dunque come fattori di variazione il periodo, il tipo di
alimentazione e l’interazione tra le due fonti di variabilità.
La presenza di una differenza significativa causata da un particolare
fattore non rivela però quali siano i livelli delle singole variabili che
determinano effettivamente tale differenza.
Per questo, ad ogni tabella ANOVA sono susseguiti i test post-hoc, per
valutare quali modalità di una variabile siano in realtà discriminanti. I
questo caso sono stati utilizzati il test di Tukey e il test di Scheffè, per
valutare la coerenza dei risultati.
Risultati e Discussione
I primi campioni di panne sono stati prelevati durante il periodo primaverile
del 2008, e sono stati analizzati in gas cromatografia, analogamente al
burro ottenuto dalle rispettive panne prelevate in precedenza. Dall’esame
dei risultati ottenuti nella fase preliminare e’ emerso che, a livello della
composizione in AG, c’e’ una perfetta corrispondenza tra quella della
panna e quella del burro derivato (dati non riportati). Per questo motivo,
nei prelievi dei 2 periodi successivi, quello estivo del 2008 e quello
invernale del 2009, sono stati analizzati solo 49 e 45 campioni di
burro rispettivamente, visto che la composizione delle panne del primo
periodo era praticamente identica a quello del burro derivato. I risultati
dei principali AG ottenuti in seguito all’analisi statistica sono riportati in
tabella 2.
109
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Tabella 2
Principali risultati ottenuti in seguito all’analisi statistica
ANOVA.
mg/100mg di
FAME
Periodo di rilevazione
SEM
Effetto della
Stagione
Effetto dell’
Alimentazione
I
II
III
Saturi
66,532d
63,120c
65,282d
0.247
**
*
c4:0
1,849c
2,033d
2,181d
0.027
**
NS
Mono-insaturi
28,788c
32,140d
29,994c
0.232
**
*
c18:1 c 9
22,051
25,576
24,245
0.233
**
*
Poli-insaturi
4,679a
4,740b
4,724a
0.05
NS
NS
c
c
d
d
Trans
3,357
2,928
2,677
0.049
**
**
c13:1 t
0,152d
0,002c
0,000c
0.006
**
**
c16:1t
0,059
0,059d
0,046c
0.002
NS
**
c18:1 t9
0,502
0,503
0,472
0.009
NS
NS
c18:1 t11
1,857b
1,751
1,652a
0.033
NS
**
c18:1 t12
0,307
0,303
0,311
0.008
NS
NS
c18:1 t15
0,194d
0,095cd
0,007c
0.01
**
NS
c18:2 9t12t
0,286d
0,216c
0,189c
0.006
**
**
CLA
c18:2 c9, t11
(CLA)
0.852
0.871
0.818
0.015
NS
**
0,629
0,636
0,594
0.014
NS
**
c18:2 cc (CLA)
0,223
0,236
0,224
0.003
NS
*
Omega 3
0,819d
0,745c
0.799
0.009
*
**
c18:3 w3
0,654d
0,604c
0,642
0.008
*
**
c20:5 w3 (EPA)
0,063
0,057
0,062
0.001
NS
NS
c22:5 w3 (DPA)
0,102d
0,088c
0,095
0.002
*
NS
d
c
Omega 6
2.689
2.897
2.907
0.05
NS
NS
c18:2 w6
2,389
2,638
2,620
0.048
NS
NS
c18:3 w6
0,007d
0,000c
0,000c
0.001
**
NS
c20:3 w6
0,120
0,109
0,127d
0.002
**
*
c20:4 w6
0,172
0,149
0,159
0.006
NS
NS
AG Ematici
75,689c
77,384d
76,199c
0.147
**
NS
AG di Sintesi
24,310d
22,616c
23,801d
0.147
**
NS
SFA/UFA
2,781d
2,327c
2,613d
0.03
**
**
c
** significativo allo 0,01; * significativo allo 0,05; NS non significativo; a,b differenze significative allo
0,05; c,d differenze significative allo 0,01
110
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
In particolare, dall’esame dei dati relativi ai principali gruppi di AG
(tabella 7), possiamo dire quanto segue:
Acidi
grassi saturi ed acido butirrico. Le differenze statisticamente
In particolare, dall’esame dei dati relativi ai principali gruppi di AG (tabella 7), possiamo dire
significative sono state riscontrate tra il primo ed il secondo periodo di
quanto segue:
prelievo, e tra il secondo ed il terzo, con più saturi in campioni prelevati
grassi saturi
ed acido
Le differenze
significative
sono
state
inAcidi
primavera
rispetto
a butirrico.
quelli prelevati
nel statisticamente
periodo estivo,
e meno
saturi
tra il primo
il secondoinvernale
periodo di prelievo,
e tra7).
il secondo
il terzo,emerse
con più
inriscontrate
estate rispetto
aledperiodo
(figura
Inoltre,ed sono
saturi in campioni
prelevati in primavera
a quelli prelevati
nel periodo
estivo, e meno
differenze
significative
dovute rispetto
sia all’effetto
della
stagionalità
che
dell’alimentazione
(sialè periodo
notato invernale
che i campioni
in pianura
hanno
saturi in estate rispetto
(figura 7).prelevati
Inoltre, sono
emerse differenze
quantità
più
elevate
che
quelli
prelevati
in
collina/montagna).
significative dovute sia all’effetto della stagionalità che dell’alimentazione (si è notato che i
Figura
Contenuto
saturi
(mg/100mg
FAME)
campioni 7
prelevati
in pianura inhanno
quantità
più elevate che di
quelli
prelevatinei
in
campioni
di
burro
analizzati.
I
valori
riportati
nelle
colonne
collina/montagna).
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.:
estate;
inverno),
edneiacampioni
seconda
tenuta
Figura
7 ContenutoIII-pr.:
in saturi (mg/100mg
di FAME)
di burro della
analizzati.dieta
I valori riportati
nelle
colonne sibovine
riferiscono ai 3durante
periodi sperimentali
(I-pr.: primavera;
II-pr.:(Tr.
estate; III-pr.:
inverno), ed a seconda
dalle
i tre
prelievi
P.: Tradizionale
della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Pianura;
Tr.Unifeed).
m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
Collina/montagna;
SFA
68.00
67.00
66.00
65.00
64.00
63.00
62.00
61.00
60.00
59.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Al gruppo dei saturi appartiene un’acido grasso molto importante dal
Al gruppo dei saturi appartiene un’acido grasso molto importante dal punto di vista
punto
di vista salutistico-nutrizionale, l’acido butirrico. Questo acido ed
salutistico-nutrizionale,
Questo
ed il butirrato,
potenti
il butirrato, sono deil’acido
potentibutirrico.
inibitori
dellaacido
proliferazione
di sono
lineedei
cellulari
inibitori dellaprevengono
proliferazione la
di linee
cellulari cancerose,
prevengono
la proliferazione
di
cancerose,
proliferazione
di metastasi
tumorali.
L’attività
antitumorale
dell’acido
butirrico
è
stata
dimostrata
soprattutto
nei
tumori
metastasi tumorali. L’attività antitumorale dell’acido butirrico è stata dimostrata soprattutto
del
Adcolon.
oggiAdnon
statestate
riscontrate
contenuto
in
nei colon.
tumori del
oggisono
non sono
riscontrate relazioni
relazioni tratra
contenuto
in acido
acido
butirrico
nei
prodotti
lattiero
caseari
e
tipo
di
alimentazione
delle
butirrico nei prodotti lattiero caseari e tipo di alimentazione delle bovine (Molkentin, 1999).
bovine (Molkentin, 1999). Sono state riscontrate differenze statisticamente
Sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra la prima e la seconda, e tra la
significative tra la prima e la seconda, e tra la prima e la terza stagione
e la terzaed
stagione
di prelievo, ed iin valori
particolare
i valori dell’acido
butirrico
aumentano
diprima
prelievo,
in particolare
dell’acido
butirrico
aumentano
progressivamente con l’avanzare delle stagioni di prelievo (figura 8). Per quanto riguarda
111
l’effetto della dieta, non è stata rilevata nessuna differenza statisticamente significativa.
14
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
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progressivamente con l’avanzare delle stagioni di prelievo (figura 8).
Per quanto riguarda l’effetto della dieta, non è stata rilevata nessuna
differenza statisticamente significativa.
Figura 8 Contenuto in acido butirrico (mg/100mg di
FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.:
primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda
della Figura
dieta
tenuta
dalle
bovinedi FAME)
durante
i tre
prelievi
(Tr.riportati
8 Contenuto
in acido
butirrico (mg/100mg
nei campioni
di burro
analizzati. I valori
nelle colonne si riferiscono
ai 3 periodi sperimentali
(I-pr.: Tradizionale
primavera; II-pr.: estate; Collina/
III-pr.: inverno), ed a
P.: Tradizionale
Pianura;
Tr. m/c:
seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
montagna;
Unifeed).
Collina/montagna;
Unifeed).
C4:0
2.50
2.00
1.50
1.00
0.50
0.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Acidi grassi
mono-insaturi. Le differenze statisticamente significative sono
Acidi grassi mono-insaturi. Le differenze statisticamente significative sono state trovate,
state trovate, sempre, tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo
sempre, tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo, con meno MUFA in
periodo, con meno MUFA in campioni prelevati in primavera rispetto a
campioni prelevati
in primavera
rispetto a quelli prelevati
nel periodo estivo-autunnale,
quelli prelevati
nel periodo
estivo-autunnale,
e più mono-insaturi
in estate e più
estate rispetto
al periodo
(figura 9).
aumento
nel periodo
rispettomono-insaturi
al periodoininvernale
(figura
9).invernale
Tale aumento
nelTale
periodo
estivo
di AG estivo
mono-insaturi
è senza dubbio
da attribuire
all’acido
di AG mono-insaturi
è senza dubbio
da attribuire
all’acidooleico
oleico (c18:1
(c18:1 c9), il
c9), il principale
principale
rappresentate
di questo
gruppo.
L’acido
oleiconella
viene
rappresentate
di questo gruppo.
L’acido
oleico viene
sia sintetizzo
mammella
sia sintetizzo
nella
mammella
a
partire
dall’acido
stearico
(c18:0)
a partire dall’acido stearico (c18:0) ad opera della ǻ9-desaturasi (figura 3), ad
ma anche
opera della Δ9-desaturasi (figura 3), ma anche introdotto con la dieta.
introdotto con la dieta. Quindi possiamo dedurre che in questo periodo, aumentando la
Quindi possiamo dedurre che in questo periodo, aumentando la quantità
di erba a disposizione delle bovine (maggiore apporto di AG poli-insaturi e monodi erbaquantità
a disposizione
delle bovine (maggiore apporto di AG poli-insaturi
insaturi),
viene
stimolata
l’attività ruminale
produzionealla
dei precursori
di questo
e mono-insaturi), viene stimolata
l’attivitàallaruminale
produzione
dei acido
grasso,diche
a loroacido
volta favoriscono
l’attività
ǻ9-desaturasi
nellal’attività
mammella alla
precursori
questo
grasso, che
a lorodella
volta
favoriscono
della Δ9-desaturasi
nellaquantità
mammella
alla
produzione di maggiori quantità
produzione di maggiori
di acido
oleico.
di acido oleico.
112
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
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Figura 9 Contenuto in MUFA (mg/100mg di FAME) nei
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta
Figura 9 Contenuto
in MUFA
(mg/100mg di
campioni di burro
I valori riportati nelle
dalle
bovine
durante
i FAME)
tre nei
prelievi
(Tr.analizzati.
P.: Tradizionale
colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda
Pianura;
Tr.
m/c:
Tradizionale
Collina/montagna;
Unifeed).
della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c:
Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
MUFA
34.00
33.00
32.00
31.00
30.00
29.00
28.00
27.00
26.00
25.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Sono emerse differenze significative dovute sia all’effetto della stagionalità
Sonodella
emerse
differenze
significative idovute
sia all’effetto
dellainstagionalità
della dieta; in
che
dieta;
in particolare
campioni
prelevati
caseificiche
di montagna/
collina
(con
bovine prelevati
alimentate
tradizionalmente)
risultano
contenere
più
particolare
i campioni
in caseifici
di montagna/collina
(con bovine
alimentate
MUFA
che
i
campioni
di
pianura
(con
dieta
tradizionale)
e
quelli
ottenuti
tradizionalmente) risultano contenere più MUFA che i campioni di pianura (con dieta
da
bovine alimentate ad unifeed.
tradizionale) e quelli ottenuti da bovine alimentate ad unifeed.
Acidi Grassi Poli-insaturi. Dalle analisi effettuate e dai risultati ottenuti
Acidi Grassi Poli-insaturi. Dalle analisi effettuate e dai risultati ottenuti abbiamo riscontrato
abbiamo riscontrato differenze statisticamente significative, durante
statisticamente significative, durante i tre periodi di prelievo sperimentali. In
idifferenze
tre periodi
di prelievo sperimentali. In particolare, abbiamo trovato
particolare,
trovato più
PUFA nel
periodo
di prelievo
rispetto al
ed al
più
PUFA abbiamo
nel secondo
periodo
disecondo
prelievo
rispetto
al primo
edprimo
al terzo
terzo (figura
10). L’effetto
L’effetto della
della stagionalità
e della
dieta non
sononon
risultati
influire
nel
(figura
10).
stagionalità
e della
dieta
sono
risultati
influire
nel
contenuto
di
questo
gruppo
di
AG.
Vedremo
però
più
avanti
contenuto di questo gruppo di AG. Vedremo però più avanti che, per qualche acido grasso
che,
per qualche
acidointeresse
grasso poli-insaturo
di rilevante
interesse
poli-insaturo
di rilevante
biologico e nutrizionale,
esistono
delle biologico
differenze
estatisticamente
nutrizionale,
esistono
delle
differenze
statisticamente
significative
sia
significative sia dovuti all’effetto del periodo di prelievo, che del tipo di dieta.
dovuti all’effetto del periodo di prelievo, che del tipo di dieta.
113
16
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 10 Contenuto in PUFA (mg/100mg di FAME) nei
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.:
estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta
Figura 10 Contenuto in PUFA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle
colonne si bovine
riferiscono ai 3durante
periodi sperimentali
(I-pr.: primavera;
II-pr.: (Tr.
estate; III-pr.:
ed a seconda
dalle
i tre
prelievi
P.: inverno),
Tradizionale
della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Pianura;
Tr.Unifeed).
m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
Collina/montagna;
PUFA
4.90
4.85
4.80
4.75
4.70
4.65
4.60
4.55
4.50
4.45
4.40
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
TFA (in gran parte Acido Vaccenico). Questo gruppo, si riferisce a tutti gli
TFAinsaturi
(in gran parte
Acido Vaccenico).
Questo un
gruppo,
si riferisce
a tutti
AG insaturi che
AG
che contengono
almeno
doppio
legame
in gli
configurazione
contengono
almeno un doppio
legame
in configurazione
trans,
escludendocon
da tale
trans,
escludendo
da tale
definizione
gli AG
coniugati
undefinizione
doppio
legame
trans, con
come
gli isomeri
dell’acido
(CLA) L’importanza
gli AG coniugati
un doppio
legame trans,
come glilinoleico
isomeri dell’acido
linoleico (CLA)
diL’importanza
questo gruppo
pressoché
parte
di questoderiva
gruppo dall’immagine
deriva dall’immagine
pressoché negativa
negativa dada
parte
dei
dei
consumatori.
Numerosi
studi
scientifici
hanno
evidenziato
gli
effetti
consumatori. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato gli effetti che questo gruppo ha
che questo gruppo ha sulla salute umana, tra cui l’azione negativa sull’
sulla salute umana, tra cui l’azione negativa sull’ rapporto LDL/HDL, innalzando il livello
rapporto LDL/HDL, innalzando il livello delle LDL (“colesterolo cattivo”)
LDL (“colesterolo
cattivo”)
a scapito delle
HDL (“colesterolo
buono”),
e l’aumento
adelle
scapito
delle HDL
(“colesterolo
buono”),
e l’aumento
del
rischio del
di
rischio
di
insorgenza
di
patologie
dell’apparato
cardio-vascolare
e
neoplasie,
come
quello
alla
insorgenza di patologie dell’apparato cardio-vascolare e neoplasie, come
prostata.alla prostata.
quello
AAfronte
crescenteinteresse
interesse
mondo
scientifico
effetti
fronte di
di un
un crescente
del del
mondo
scientifico
riguardoriguardo
agli effettiagli
metabolici
metabolici
negativi
dagli TFA sull’organismo
umano,
molti
governi
negativi causati
dagli causati
TFA sull’organismo
umano, molti governi
hanno
quindi
reso
hanno quindi reso obbligatorio di riportare sulle etichette degli alimenti e
obbligatorio di riportare sulle etichette degli alimenti e degli integratori dietetici il loro
degli integratori dietetici il loro contenuto, mentre in altri paesi è ancora
in altri paesi è ancora in fase di studio. Il Canada è stato il primo paese del
incontenuto,
fase dimentre
studio.
Il Canada è stato il primo paese del nord America a
nord
America
a
rendere
tale procedura,
esattamente dal
gennaio
2005,
rendere obbligatoriaobbligatoria
tale procedura,
esattamente
dalprimo
primo
gennaio
mentre gli
Stati Uniti
primo
gennaio
Europea
non èL’unione
rimasta insensibile
2005,
mentre
gli dal
Stati
Uniti
dal 2006.
primoL’unione
gennaio
2006.
Europeaa
non
è rimasta insensibile
a tali cambiamenti
infatti,dihaTFA
introdotto
una
tali cambiamenti
e, infatti, ha introdotto
una riduzione e,
volontaria
negli alimenti,
mentre la Danimarca ha deciso di imporre un limite massimo già dal 2003.
114
Come ci aspettavamo, le principali differenze statisticamente significative a livello dei TFA le
abbiamo riscontrate tra il primo e secondo, e tra il primo ed il terzo periodo di prelievo. In
17
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
riduzione volontaria di TFA negli alimenti, mentre la Danimarca ha deciso
di imporre un limite massimo già dal 2003.
Come ci aspettavamo, le principali differenze statisticamente significative
a livello dei TFA le abbiamo riscontrate tra il primo e secondo, e tra il
primo ed il terzo periodo di prelievo. In particolare il loro contenuto
diminuisce significativamente passando dal periodo primaverile a quello
invernale (figura 11).
Figura
in significativamente
TFA (mg/100mg
FAME)
neia
particolare 11
il loro Contenuto
contenuto diminuisce
passando daldi
periodo
primaverile
campioni
di
burro
analizzati.
I
valori
riportati
nelle
colonne
quello invernale (figura 11).
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.:
estate;
III-pr.:
inverno),
edneiacampioni
seconda
tenuta
Figura
11 Contenuto
in TFA (mg/100mg
di FAME)
di burro della
analizzati. dieta
I valori riportati
nelle
colonne si bovine
riferiscono ai 3durante
periodi sperimentali
(I-pr.: primavera;
II-pr.: (Tr.
estate; III-pr.:
ed a seconda
dalle
i tre
prelievi
P.: inverno),
Tradizionale
della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Pianura;
Tr.Unifeed).
m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
Collina/montagna;
TFA
4.00
3.50
3.00
2.50
2.00
1.50
1.00
0.50
0.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Inoltre, i i campioni
ottenuti
da bovine
presentano contenuti
Inoltre,
campioni
ottenuti
daalimentate
bovine tradizionalmente
alimentate tradizionalmente
maggiori in TFA
rispetto maggiori
a quelli ottenuti
da bovine
alimentate
conottenuti
unifeed. da
L’effetto
del
presentano
contenuti
in TFA
rispetto
a quelli
bovine
alimentate
con unifeed.
del periodo
prelievo
e delladi questo
dieta
periodo di prelievo
e della dietaL’effetto
hanno mostrato
influire condip<0.01
sul contenuto
hanno
influireincon
p<0.01 sul
contenuto
di questoneigruppo
AG.
gruppo mostrato
di AG. L’isomero
configurazione
trans
più rappresentativo
prodotti di
lattieroL’isomero
in configurazione trans più rappresentativo nei prodotti lattierocaseari è senza dubbio l’acido vaccenico. Relativamente al suo contenuto (figura 12),
caseari è senza dubbio l’acido vaccenico. Relativamente al suo contenuto
abbiamo rilevato differenze significative tra i campioni prelevati in primavera con quelli
(figura 12), abbiamo rilevato differenze significative tra i campioni
prelevati in inverno, ed inoltre i campioni ottenuti da bovine alimentate tradizionalmente
prelevati
in primavera con quelli prelevati in inverno, ed inoltre i campioni
hanno
contenuti
più elevati
di quelli
ottenuti da bovinehanno
alimentate
con unifeed.
L’acido
ottenuti da bovine
alimentate
tradizionalmente
contenuti
più elevati
è risultato essere
influenzato
solo dall’effetto
tipo di alimentazione.
divaccenico
quelli ottenuti
da bovine
alimentate
con del
unifeed.
L’acido vaccenico è
risultato essere influenzato solo dall’effetto del tipo di alimentazione.
115
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 12 Contenuto in acido vaccenico (mg/100mg di
FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.:
primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda
Figura 12 Contenuto in acido vaccenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori
della
tenuta
dalle
bovine
treestate;
prelievi
(Tr.ed
riportatidieta
nelle colonne
si riferiscono
ai 3 periodi
sperimentalidurante
(I-pr.: primavera;i II-pr.:
III-pr.: inverno),
della dieta tenuta dalle
bovine durante iTr.
tre prelievi
(Tr. P.:Tradizionale
Tradizionale Pianura; Tr. Collina/
m/c: Tradizionale
P.:a seconda
Tradizionale
Pianura;
m/c:
Collina/montagna; Unifeed).
montagna; Unifeed).
c18:1 t11
2.50
2.00
1.50
1.00
0.50
0.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
CLA, isomeri coniugati dell’ acido linoleico (in gran parte acido rumenico).
CLA e’ un termine collettivo usato per descrivere uno o l’insieme degli
CLA, isomeri coniugati dell’ acido linoleico (in gran parte acido rumenico). CLA e’ un
isomeri geometrici e posizionali dell’acido octadecadienoico che contiene
per descrivere
uno o l’insieme
degli isomeri
geometrici
e posizionali
duetermine
doppicollettivo
legamiusato
coniugati.
Nel grasso
dei ruminanti
l’isomero
principale
octadecadienoico
che contiene
due doppi
legami
coniugati.
Nel grasso
deidell’acido
CLA e’ senza
dubbio l’acido
rumenico
(c18:2
cis-9
trans-11),
oltre aldei
ruminanti
l’isomero
principale
dei CLA
e’ senza dubbio
(c18:2 cis-9
transtrans-7
cis-9,
cis-11
trans-13,
trans-10
cis-12l’acido
e adrumenico
altri isomeri
minori.
Questi
AGalsono
diventati
molto
importanti
ventennio
dopo che
11), oltre
trans-7
cis-9, cis-11
trans-13,
trans-10nell’ultimo
cis-12 e ad altri
isomeri minori.
Questi
e’ AG
statosono
dimostrato
sperimentalmente
la
loro
capacità
anti-cancerogena,
diventati molto importanti nell’ultimo ventennio dopo che e’ stato dimostrato
come di ridurre sensibilmente l’incidenza del tumore al seno, ed inoltre
sperimentalmente la loro capacità anti-cancerogena, come di ridurre sensibilmente l’incidenza
di rallentare la progressione del diabete (11). Dell’ acido rumenico si e’
del tumore al seno, ed inoltre di rallentare la progressione del diabete (11). Dell’ acido
già parlato in precedenza; gli altri isomeri, meno studiati, sono più di
rumenico
si e’ giàin
parlato
in precedenza;
glibasse.
altri isomeri,
meno
studiati, sono piùi di
venti e
venti
e contenuti
percentuali
molto
Come
ci aspettavamo
valori
in percentuali
molto basse. Come
ci aspettavamo
i valori
alti riscontrati
di CLA, ed in
piùcontenuti
alti di CLA,
ed in particolare
di acido
rumenico,
sonopiùstati
neiparticolare
campioni
di bovine
alimentate
con piùneierba
(dieta
tradizionale),
edpiù
di acido
rumenico,
sono stati riscontrati
campioni
di bovine
alimentate con
i più
bassi
nei
campioni
di
quelle
alimentate
con
unifeed,
che
come
erba (dieta tradizionale), ed i più bassi nei campioni di quelle alimentate con unifeed,e’
che
noto
esclude
l’impiego
dell’erba
nel
carro
miscelatore
(figure
13
e
14).
come e’ noto esclude l’impiego dell’erba nel carro miscelatore (figure 13 e 14). Non sono
Non sono emerse differenze significative tra i tre periodi sperimentali, ma
emerse differenze significative tra i tre periodi sperimentali, ma l’effetto del tipo di
l’effetto del tipo di alimentazione è risultato influire sul contenuto in CLA.
alimentazione è risultato influire sul contenuto in CLA.
116
19
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME) nei
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta
Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle
dalle
bovine
i tre (I-pr.:
prelievi
(Tr. estate;
P.: III-pr.:
Tradizionale
colonne
si riferisconodurante
ai 3 periodi sperimentali
primavera; II-pr.:
inverno), ed a seconda
della dietaTr.
tenuta
dalle bovine
durante i tre prelievi
(Tr. P.: Tradizionale Pianura; Unifeed).
Tr. m/c: Tradizionale
Pianura;
m/c:
Tradizionale
Collina/montagna;
Collina/montagna; Unifeed).
CLA nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle
Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME)
colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda
della
1.20 dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
1.00
CLA
0.80
1.20
0.60
1.00
0.40
0.80
0.20
0.60
0.00
0.40
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
0.20
Figura
14 Contenuto in acido rumenico (mg/100mg di
0.00 nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
FAME)
II-pr
III.pr
Tr. c/m
Tr. P.
Unifeed
nelle
colonneI-pr.
si riferiscono
ai 3 periodi
sperimentali
(I-pr.:
Figura 14 Contenuto in acido rumenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
primavera;
III-pr.: (I-pr.:
inverno),
a III-pr.:
seconda
nelle colonne siII-pr.:
riferiscono estate;
ai 3 periodi sperimentali
primavera; II-pr.:ed
estate;
inverno), ed a
seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
della
dieta
tenuta
dalle
bovine
durante
i
tre
prelievi
(Tr.
Collina/montagna; Unifeed).
P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/
c18:2 c9, t11
(CLA)nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
Figura 14 Contenuto
in acido rumenico (mg/100mg
di FAME)
montagna;
Unifeed).
nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a
seconda
0.80 della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
0.70
c18:2 c9, t11 (CLA)
0.60
0.50
0.80
0.40
0.70
0.30
0.60
0.20
0.50
0.10
0.40
0.00
0.30
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
0.20
0.10
0.00
Acidi grassi della
serie omega-3.
L’acido
Į-linolenico
(ALA) è risultato
essere il più
Tr. c/m
Unifeed
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state rilevate differenze statisticamente
significative tra il primo ed il secondo periodo
117 di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo
Acidi
serie
omega-3.
L’acido
Į-linolenico
di
dietagrassi
hanno della
risultato
influire
sul loro
contenuto
(figure 15(ALA)
e 16). è risultato essere il più
rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state rilevate differenze statisticamente
significative tra il primo ed il secondo periodo di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo
di dieta hanno risultato influire sul loro contenuto
20 (figure 15 e 16).
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Acidi grassi della serie omega-3. L’acido α-linolenico (ALA) è risultato
essere il più rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state
rilevate differenze statisticamente significative tra il primo ed il secondo
periodo di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo di dieta hanno
risultato influire sul loro contenuto (figure 15 e 16).
Figura 15 Contenuto in omega-3 (mg/100mg di FAME) nei
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIFigura
15 Contenuto
in omega-3inverno),
(mg/100mg di FAME)
nei
di burrodella
analizzati.dieta
I valori riportati
nelle
pr.:
estate;
III-pr.:
edprimavera;
a campioni
seconda
tenuta
Figura
di (I-pr.:
FAME)
nei
campioni
di estate;
burro analizzati.
I valori riportati
nelle
colonne15
si Contenuto
riferiscono inai omega-3
3 periodi(mg/100mg
sperimentali
II-pr.:
III-pr.: inverno),
ed a seconda
colonne
si bovine
riferiscono
ai 3bovine
periodidurante
sperimentali
(I-pr.: primavera;
II-pr.: (Tr.
estate; Pianura;
III-pr.:
a seconda
dalle
durante
prelievi
P.: inverno),
Tradizionale
della dieta
tenuta dalle
i itre tre
prelievi
(Tr. P.: Tradizionale
Tr. m/c: ed
Tradizionale
della dieta tenuta Unifeed).
dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna;
Pianura;
Tr.Unifeed).
m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
Collina/montagna;
omega-3
omega-3
1.00
1.00
0.90
0.90
0.80
0.80
0.70
0.70
0.60
0.60
0.50
0.50
0.40
0.40
0.30
0.30
0.20
0.20
0.10
0.10
0.00
0.00
I-pr.
I-pr.
II-pr
II-pr
III.pr
III.pr
Tr. P.
Tr. P.
Tr. c/m
Tr. c/m
Unifeed
Unifeed
Figura 16 Contenuto in acido α-linolenico (mg/100mg di
FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
Figura 16 Contenuto in acido Į-linolenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori
nelle
colonne
si
riferiscono
ai 3di (I-pr.:
periodi
sperimentali
(I-pr.:
Figura
Contenuto
acido
Į-linolenico
(mg/100mg
FAME)
nei campioni
burroIII-pr.:
analizzati.
I valori
riportati 16
nelle
colonne siinriferiscono
ai 3 periodi
sperimentali
primavera;
II-pr.:diestate;
inverno),
ed
riportati
nelle
colonne
si
riferiscono
ai
3
periodi
sperimentali
(I-pr.:
primavera;
II-pr.:
estate;
III-pr.:
inverno),
ed
a
seconda
della
dieta
tenuta
dalle
bovine
durante
i
tre
prelievi
(Tr.
P.:
Tradizionale
Pianura;
Tr.
m/c:
Tradizionale
primavera;
II-pr.:
estate;
III-pr.:
inverno),
ed
a
seconda
aCollina/montagna;
seconda della dieta
tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Unifeed).
della
dietaUnifeed).
tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr.
Collina/montagna;
ALAm/c: Tradizionale Collina/
P.: Tradizionale Pianura; Tr.
ALA
montagna;
Unifeed).
0.80
0.80
0.70
0.70
0.60
0.60
0.50
0.50
0.40
0.40
0.30
0.30
0.20
0.20
0.10
0.10
0.00
0.00
I-pr.
I-pr.
II-pr
II-pr
III.pr
III.pr
118
Tr. P.
Tr. P.
Tr. c/m
Tr. c/m
Unifeed
Unifeed
Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al c14:0) viene sintetizzato
Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al c14:0) viene sintetizzato
in gran parte nella mammella a partire dall’ acido acetico, ed in minima parte prodotti nel
in gran parte nella mammella a partire dall’ acido acetico, ed in minima parte prodotti nel
rumine dall’acido ȕ-idrossi-butirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di
rumine dall’acido ȕ-idrossi-butirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di
fibra e della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il
fibra e della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il
secondo e tra il secondo ed il terzo periodo di prelievo. In particolare abbiamo trovato più AG
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al
c14:0) viene sintetizzato in gran parte nella mammella a partire dall’
acido acetico, ed in minima parte prodotti nel rumine dall’acido β-idrossibutirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di fibra e
della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il
primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo di prelievo. In
particolare abbiamo trovato più AG di sintesi mammaria in primavera
(figura 17). solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire
sui loro contenuti assoluti.
Figura 17 Contenuto in acidi grassi di sintesi mammaria
(mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati.
I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi
sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno),
ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre
prelievi
(Tr. P.:
Pianura;
Tr. m/c:
Tradizionale
Figura 17 Contenuto
in acidiTradizionale
grassi di sintesi mammaria
(mg/100mg di FAME)
nei campioni
di burro analizzati.
I
valori
riportati
nelle
colonne
si
riferiscono
ai
3
periodi
sperimentali
(I-pr.:
primavera;
II-pr.:
estate;
III-pr.:
Collina/montagna;
Unifeed).
inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c:
Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
AG di sintesi mammaria
25.00
24.50
24.00
23.50
23.00
22.50
22.00
21.50
21.00
20.50
20.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Acidi Grassi
Grassi di
Ematica.
Sono
un gruppo
di AGdicompreso
dal c16:0dal
in c16:0
poi, ed
Acidi
di Origine
Origine
Ematica.
Sono
un gruppo
AG compreso
nel grasso del latte
quando ladel
lattifera
piùlattifera
o meno durante
il periodo
di
inaumentano
poi, ed aumentano
nel grasso
lattedimagrisce
quando la
dimagrisce
più
olattazione.
meno durante
periodo differenze
di lattazione.
Abbiamo
riscontrato
differenze
Abbiamoilriscontrato
significative
tra il primo
ed il secondo
e tra il
significative
tra
il
primo
ed
il
secondo
e
tra
il
secondo
ed
il
terzo
periodo
secondo ed il terzo periodo di prelievo, con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per
diquesto
prelievo,
con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per questo
gruppo di AG, solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire sui loro
gruppo di AG, solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire
contenuti assoluti.
sui loro contenuti assoluti.
119
Figura 18 Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori
riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed
a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
AG ematici
78.00
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
Figura 18 Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di
FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.:
primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda
della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr.
Figura 17 Contenuto in acidi grassi di sintesi mammaria (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati.
P.:I valori
Tradizionale
Tr. sperimentali
m/c: (I-pr.:
Tradizionale
Collina/
riportati nelle colonne siPianura;
riferiscono ai 3 periodi
primavera; II-pr.: estate;
III-pr.:
inverno),
ed
a
seconda
della
dieta
tenuta
dalle
bovine
durante
i
tre
prelievi
(Tr.
P.:
Tradizionale
Pianura;
Tr. m/c:
montagna;
Unifeed).
Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
AG di sintesi mammaria
25.00
24.50
24.00
23.50
23.00
22.50
22.00
21.50
21.00
20.50
20.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Ora,
la “fotografia”
che diritrae
il comportamento
dellaed
Acidiavendo
Grassi diosservato
Origine Ematica.
Sono un gruppo
AG compreso
dal c16:0 in poi,
frazione
grasso
burrodimagrisce
prodotto
2008
aumentanoacidica
nel grassodel
del latte
quandodel
la lattifera
più onel
meno
duranteall’interno
il periodo di
del CFPR, ci è parso interessante confrontare i nostri risultati con quelli
lattazione. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il secondo e tra il
ottenuti da altri Autori che, sia passato che recentemente, hanno compiuto
secondo ed il terzo periodo di prelievo, con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per
ricerche
analoghe alla nostra. In particolare ricordiamo quella di
questo gruppo
di AG, solo l’effetto
della (14),
stagione
prelievo
ha mostrato
sui loro
Strocchi
e collaboratori
del 1967
suidi burri
Emiliani,
cheinfluire
già allora
contenuti assoluti.
impiegarono
la GLC con colonne capillari e la spettrometria di massa
per l’identificazione di alcuni AG, compresi i dieni coniugati dell’acido
linoleico (che allora non venivano ancora definiti con il termine CLA). In
particolare, i valori trovati allora sono mediamente un più elevati rispetto
Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori
a Figura
quelli18 da
noi trovati nella presente ricerca. Tale differenza e’ dovuta
riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed
seconda della
dieta tenuta dalle bovine
durante i tre prelievi (Tr.
P.: Tradizionale Pianura; Tr.verde,
m/c: Tradizionale
, amolto
probabilmente
all’abbondanza
dell’alimentazione
che
Collina/montagna; Unifeed).
nel 1967 era sicuramente più elevata rispetto al 2008. Infatti i valori
AG ematici
più elevati lievemente superiori all’1%
vennero riscontrati nei campioni
prelevati
78.00nei mesi estivi e quelli più bassi, intorno allo 0.6-0.7%, nei
77.50 invernali. Questa interpretazione e’ ancora più plausibile se
campioni
77.00
confrontiamo
i valori degli AG di sintesi mammaria che aumentano
76.50
con l’aumentare
della quantità di fibra introdotta con la dieta; quelli da
76.00
75.50
noi rilevati
risultano
nettamente inferiori rispetto a quelli di Strocchi e
75.00
74.50
120
74.00
73.50
73.00
I-pr.
II-pr
III.pr
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
collaboratori. In quella ricerca venne anche notata, crediamo per la prima
volta, una stretta correlazione tra gli isomeri trans totali (soprattutto c18:1
trans 11, denominato acido vaccenico) ed il contenuto in dieni coniugati
(CLA). Inoltre dal confronto con lavori analoghi svolti più di recente, il
livello dei CLA nel burro del CFPR ha valori tra i più elevati in Europa
se confrontato con quelli prodotti da altri paesi della UE; siamo secondi
solo alla Danimarca, e soprattutto superiori a quei paesi come Francia
e Germania dai quali l’Italia ne importa abbondantemente. (Precht e
Molkentin 1999b, Collomb 2001, Ledoux 2005, Prandini 2001).
Conclusioni
Nel corso di questa ricerca biennale sono stati identificati e dosati, per i
singoli campioni, complessivamente 41 AG, soffermandoci sia su quelli
maggiori per quantità ma anche su quelli che, pur essendo presenti in
quantità appena dosabili, presentano un rilevante interesse dal punto
di vista salutistico (tra cui i CLA). Quindi, considerando il contenuto in
AG maggiori trovati nel nostro studio biennale, 40 anni dopo quello
svolto da Strocchi e collaboratori, possiamo concludere che, in accordo
con loro, la componente grassa del latte prodotto all’interno del CFPR è
caratterizzata da una buona omogeneità (figura 19 e 20), e dati i
rigidi parametri fissati per l’alimentazione delle lattifere, si presuppone
che il suo comportamento sia analogo a quello trovato nel 1967.
Figura 19 Principali gruppi di AG (mg/100mg di FAME) nei
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta
Figura 19 Principali gruppi di AG (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle
dalle
bovine
i tre
prelievi
(Tr.III-pr.:P.:
Tradizionale
colonne
si riferiscono aidurante
3 periodi sperimentali
(I-pr.: primavera;
II-pr.: estate;
inverno),
ed a seconda
della dieta Tr.
tenutam/c:
dalle bovine
durante i tre prelievi (Tr.
P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Pianura;
Tradizionale
Collina/montagna;
Unifeed).
Collina/montagna; Unifeed).
35.00
30.00
25.00
20.00
15.00
10.00
5.00
0.00
I-pr.
II-pr.
III-pr.
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
c16:0
30.99
30.26
30.48
30.60
29.78
31.58
c18:1 c 9
22.05
25.58
24.24
23.65
24.88
23.46
c14:0
11.46
10.48
10.81
10.98
10.74
10.98
c18:0
11.24
10.47
11.05
11.04
11.09
10.36
Figura 20 Principali AG (mg/100mg di FAME) riscontrati
121 nei campioni di burro analizzati. I valori riportati
nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a
seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
80.00
70.00
60.00
25.00
20.00
15.00
10.00
5.00
Alessandro Gori,
0.00 Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
II-pr.dell’Università
III-pr. di Bologna
Tr. P.
Tr. c/m
Dipartimento di ScienzeI-pr.
degli Alimenti
30.99
c16:0
30.26
30.48
30.60
29.78
Unifeed
31.58
22.05
25.58 (mg/100mg
24.24
23.65di FAME)
24.88 riscontrati
23.46
Figurac18:1
20c 9 Principali
AG
nei
11.46
10.48
10.81
10.98
10.74
10.98
c14:0
campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne
11.24
10.47
11.05
11.04
11.09
10.36
c18:0
si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate;
III-pr.:
inverno),
ed aneiseconda
della
tenuta
Figura 20 Principali
AG (mg/100mg
di FAME) riscontrati
campioni di burro
analizzati.dieta
I valori riportati
colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a
dallenelle
bovine
durante
i
tre
prelievi
(Tr.
P.:
Tradizionale
seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale
Collina/montagna; Unifeed).
Pianura;
Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed).
80.00
70.00
60.00
50.00
40.00
30.00
20.00
10.00
0.00
I-pr.
II-pr.
III-pr.
Tr. P.
Tr. c/m
Unifeed
Saturi
66.53
63.12
65.28
65.17
64.03
65.82
Mono-Insaturi
28.79
32.14
29.99
30.09
31.25
29.57
Poli-insaturi
4.68
4.74
4.72
4.74
4.72
4.61
Il contenuto in TFA e CLA variano in modo significativo soprattutto con
in TFA e CLA
variano
in modo in
significativo
soprattutto
con il tipo di con
il tipoIl contenuto
di alimentazione
delle
bovine,
particolare,
diminuiscono
alimentazione
delle unico,
bovine, ined
particolare,
diminuiscono
con l’utilizzo del piattotradizionale,
unico, ed
l’utilizzo
del piatto
aumentano
con l’alimentazione
aumentano
con
l’alimentazione
tradizionale,
soprattutto
nel
periodo
primaverile-estivo
soprattutto nel periodo primaverile-estivo quando c’è un naturale apporto
quando
c’è un naturale
apporto dei loro
attraverso
la dieta.
Dato ormai
che è notada
ormai
dei loro
precursori
attraverso
la precursori
dieta. Dato
che
è nota
tempo
da tempo l’importanza
di aumentare
contenuto di alcuni
AG minori
(CLA,
Ȧ3,) nei(CLA,
prodotti ω3,)
l’importanza
di aumentare
il ilcontenuto
di alcuni
AG
minori
lattiero caseari,
qualora
adottassimo
le più recenti
strategie alimentari,
prevedono
di
nei prodotti
lattiero
caseari,
qualora
adottassimo
le piùche
recenti
strategie
alimentari, che prevedono di aumentare il contenuto di acido α-linolenico
24
nella razione alimentare, si potrebbero
produrre burri e formaggi con
un contenuto maggiore in CLA. In particolare, sia il formaggio che il
burro prodotto nel CFPR, acquisirebbero un’ulteriore valore aggiunto e
verrebbero valorizzati ancor di più in ambito nutrizionale.
122
Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna
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.
124
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Analisi dei burri e difesa dalle frodi
Riassunto
Un alimento è genuino quando risponde alle sue caratteristiche naturali,
è “vero” ed autentico, cioè non solo ha come caratteristiche peculiari la
freschezza e il buono stato di conservazione, ma non presenta sostanze
estranee alla sua stessa natura. Qualsiasi azione volontaria e consapevole
messa in atto con lo scopo di trarre personale vantaggio a scapito della
genuinità è una frode.
Le frodi relative al burro sono principalmente ascrivibili alla parziale o
totale sostituzione della matrice lipidica con grassi di minor pregio, valore
nutrizionale e costo. In qualche caso si è assistito alla sostituzione del
grasso di latte vaccino con grasso di latte di altre specie, quali pecora,
capra o bufala e, in casi più rari, è stata anche verificata la presenza di
grassi di sintesi.
La determinazione della composizione in acidi grassi è certamente
la valutazione analitica più conosciuta ed applicata nel controllo delle
caratteristiche di una matrice lipidica. Il grasso di latte è certamente, tra i
diversi lipidi, il più complesso per la grande varietà di acidi grassi presenti
che differiscono per lunghezza della catena, numero e posizione dei doppi
legami, isomeria strutturale e geometrica. Ne consegue una incrementata
difficoltà, in termini analitici, per ottenere una completa separazione,
riconoscimento e quantificazione. Fino agli anni ‘90, la composizione
in acidi grassi era l’unico mezzo insieme alla composizione in steroli,
quest’ultima limitatamente al riconoscimento dei grassi di origine vegetale,
per determinare la presenza di grassi estranei. Nel 1995 è stato pubblicato
il Regolamento CEE n.454 che descrive un nuovo metodo, basato sulla
composizione dei trigliceridi, per la valutazione della genuinità del grasso
di latte e quindi anche del burro. Tale metodo, tutt’ora metodo ufficiale
per la valutazione della genuinità del burro, si è dimostrato molto efficace
anche se la individuazione del grasso bovino di deposito è ancora la
frode che presenta il limite di rilevabilità più elevato (5,4%). A fianco della
determinazione dei trigliceridi sono stati individuati, in alcune ricerche
specifiche, altri possibili parametri utili ad accertare la presenza di grassi
estranei, in particolare sego, anche in basse percentuali. Di particolare
interesse, a questo scopo, si sono dimostrate la valutazioni relative alla
presenza di 3,5-colestadiene, di particolari rapporti tra alcune molecole
125
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
digliceridiche e alcuni esteri del colesterolo. Anche i singoli costituenti
della frazione insaponificabile hanno fornito utili indicazioni, soprattutto
quando la frode era una vera e propria contraffazione attuata mediante
procedimenti di transesterificazione e/o miscelazione a partire da prodotti
di sintesi e/o grassi di diversa origine.
Non bisogna comunque dimenticare che le ricerche volte alla sempre
più puntuale determinazione dei costituenti del grasso di latte, se da una
parte hanno lo scopo di reprimere le possibili frodi, hanno altresì il merito
di fornire validi parametri per la salvaguardia, la tutela e la promozione
dei prodotti di qualità.
La frode alimentare
Un alimento è genuino quando risponde alle sue caratteristiche naturali,
è “vero” ed autentico, cioè non solo ha come caratteristiche peculiari la
freschezza e il buono stato di conservazione, ma non presenta sostanze
estranee alla sua stessa natura. Qualsiasi azione volontaria e consapevole
messa in atto con lo scopo di trarre personale vantaggio a scapito della
genuinità, è una frode.
Già nel primo secolo a.C. è possibile ritrovare una definizione di frode;
infatti nel De Officiis, di Cicerone, un trattato indirizzato alla formazione
etico-politica della gioventù e alla costruzione di un modello di
comportamento pubblico e privato, Caio Aquilio alla richiesta di definire
cosa fosse la frode, rispondeva: “cum esset aliud simulatum aliud actum”
cioè “che essa si verifica quando si finge una cosa e se ne fa un’altra”.
Attualmente il termine frode, nel linguaggio comune, è sinonimo di raggiro
a danno di altri per ottenere un vantaggio personale e quindi di truffa,
mentre, nel linguaggio giuridico, è un’azione illecita con cui qualcuno,
ricorrendo all’inganno, al raggiro, alle false dichiarazioni e simili, mira a
ledere diritti altrui o a eludere precise disposizioni
Nella sua accezione più specifica, in particolare nel settore alimentare, ma
non solo, spesso viene definita con termini differenti quali: adulterazione,
sofisticazione, contraffazione o alterazione. Nel linguaggio comune
spesso questi termini vengono confusi anche se ciascuno ha un significato
differente:
• ADULTERAZIONE: comprende tutte quelle operazioni che determinano
modificazioni nella composizione analitica del prodotto alimentare,
attuate mediante l’aggiunta o la sottrazione di alcuni componenti
dell’ alimento stesso, allo scopo di ottenere un maggior tornaconto
126
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
economico, senza che apparentemente il prodotto venga modificato in
maniera apprezzabile. Tipici esempi di adulterazione sono la vendita
di latte scremato o parzialmente scremato per latte intero o il vino
annacquato.
• SOFISTICAZIONE: consiste nell’aggiungere all’alimento sostanze
estranee alla sua composizione con lo scopo di migliorarne
l’aspetto o di coprirne i difetti, come l’impiego di coloranti o
conservanti non autorizzati per mascherare l’utilizzo di materie
prime di cattiva qualità o difetti dei procedimenti produttivi.
CONTRAFFAZIONE: è la totale sostituzione di una sostanza
alimentare con un’altra di minor pregio in modo da indurre in inganno
il compratore. È il caso della margarina spacciata per burro. È una
frode che può essere molto pericolosa quando, per sostituire i prodotti
originali o naturali, vengono utilizzate sostanze nocive alla salute.
• ALTERAZIONE: si ha quando la composizione di una sostanza
alimentare si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei,
determinati da errate modalità tecnologiche o eccessivo prolungamento
dei tempi di conservazione. Di per sé questa non è una frode, a meno
che non esista l’intenzionalità nel celare il reale stato di conservazione,
modificando ad esempio, la vera data di scadenza.
In ogni modo una frode alimentare per avere successo deve essere facile
da eseguire, difficile da scoprire e lucrosa.
I differenti parametri di genuinità
Gli acidi grassi
Il burro è costituito per la maggior parte di materia grassa cui si
accompagna una quota di acqua (non superiore al 16%) e una parte
di materia secca non grassa indicata come “residuo secco magro” alla
cui definizione concorrono differenti sostanze di natura proteica nonché
residui di lattosio. La matrice lipidica del burro è costituita per il 97-98%
circa da trigliceridi, esteri della glicerina con acidi grassi a numero di
atomi di carbonio variabile tra 4 e 24. Le numerose ricerche effettuate
in questo settore hanno permesso di individuare circa 400 acidi grassi
differenti (Jensen, 2002) che possono essere suddivisi, con buona
approssimazione, in 4 classi, in base alla loro origine (Palmquist, 2006).
La prima classe, a cui appartengono gli acidi saturi a corta e media
catena da 4 a 14 atomi di carbonio, include acidi grassi che vengono
127
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
sintetizzati direttamente nella ghiandola mammaria; la seconda (C16:0 e
C16:1) comprende acidi grassi che possono essere sia sintetizzati nella
ghiandola mammaria sia derivare dal sangue, come diretta conseguenza
dell’alimentazione; la terza (C18:0, C18:2 e C18:3) comprende acidi
grassi che derivano esclusivamente dal flusso sanguigno. Infine gli acidi
palmitoleico (C16:1) e oleico (C18:1) possono avere origine sia dal
sangue, sia dall’acido palmitico e stearico nella ghiandola mammaria,
ad opera di una specifica desaturasi. La concentrazione di questi gruppi
non è indipendente; nel caso in cui si verifichi un aumento della quota di
acidi grassi a lunga catena derivanti dal torrente sanguigno, si realizza
una contemporanea diminuzione della biosintesi di quelli a catena
più corta, direttamente nella mammella. Da quanto esposto si evince
come la composizione in acidi grassi sia soggetta a variazioni qualiquantitative assolutamente non trascurabili, soprattutto alla luce delle
diversificate pratiche zootecniche che, negli ultimi 25 anni, hanno previsto
anche l’utilizzo di mangimi grassati protetti, in grado cioè di passare
indenni la barriera ruminale e quindi incidere profondamente sulla
composizione soprattutto degli acidi a più lunga catena, saturi e insaturi.
Questa notevole variabilità ha determinato la progressiva inapplicabilità
dei rapporti tra acidi grassi che, a partire dalla diffusione delle tecniche
gascromatografiche negli anni ‘60, costituivano i parametri su cui valutare
la genuinità del burro (M.A.F.,1964). Tali rapporti, alcuni di questi indicati
in Tabella 1, derivavano da studi sulla composizione dei burri di origine
sia nazionale che estera (Parodi, 1971; Huyghebaert & Hendrickx, 1971;
Gallacier, 1974; Vanoni, 1978; Toppino, 1982; Muuse, 1986; Ulberth,
1991; Collomb & Spahni, 1991). Il rischio, nell’applicazione di questi
parametri e dei corrispondenti limiti, derivava soprattutto dalla reale
possibilità di indicare come non genuino un burro, cioè aggiunto di grassi
di altra origine, quando in realtà, era solo derivante da un latte di animali
nutriti con alimentazione grassata.
128
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Tabella 1
Rapporti tra acidi grassi e relativi limiti di genuinità
Rapporti
C4/(C6+C8)
C12/C10
C14/C12
C18:1/C18
C14/C18:2
C18:2/C8
C18/(C6+C8)
C18/C8
C14/C18
(C6+C8+C10+C12)/C18
LIMITI
0.7---1.7
1.0---1.3
> 2.80
>2.34
4.95---13.0
0.56---1.71
1.78---2.87
< 7.63
>1.02
> 0.95
La difficile applicabilità di questi parametri si è determinata anche a
seguito dell’evoluzione tecnologica delle metodiche di analisi. Le colonne
gascromatografiche e i gas cromatografi stessi hanno subito negli anni
notevoli cambiamenti che hanno determinato la possibilità di separare
con sempre maggiore risoluzione la molteplicità dei costituenti della
matrice lipidica.
La figura 1 riporta, a titolo esemplificativo la differente separazione della
zona di eluizione degli acidi grassi da C18:0 a C18:2, ottenibile con le
diverse strumentazioni e colonne tra le maggiormente diffuse negli anni
’70 (a), ’90 (b) e oggigiorno (c).
129
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
a
18:1
18:1
18
9c+10c
b
15t
11t
18:2
6t+8t
10t
9t 12t
4t 5t
c
11c
12c
16t
18:2 t,t
18
18
13t+14t
18:1
18:2 9c,12c
Figura 1 Zona di eluizione degli acidi grassi di un burro
tra C18 e e C18:2 ottenibile con colonna impaccata di 2 m
di lunghezza (a), capillare di 30 m (b) e capillare di 100 m
(c) (Contarini, 2010)
13c 15c
Come è evidente, acidi grassi che venivano separati, a parità di atomi
di carbonio, in base solo al grado di insaturazione, ora appaiono
separati nei differenti isomeri, non solo posizionali, ma anche geometrici.
Considerando che i rapporti tra acidi grassi, con i relativi limiti di
genuinità, sono stati studiati utilizzando quantificazioni fatte con profili
del tipo (a), risulterebbe non privo di imprecisioni ed errori applicarli agli
altri profili, dovendo ipotizzare quale degli isomeri andrebbe sommato
all’uno o all’altro picco principale.
Dalla metà degli anni ‘90, la valutazione degli acidi grassi, con i relativi
rapporti, è stata sostituita dalla determinazione dei trigliceridi.
I trigliceridi
Poiché ogni molecola trigliceridica contiene 3 acidi grassi, da quanto
precedentemente esposto circa l’elevato numero di acidi diversi presenti, è
prevedibile che nella matrice lipidica del burro esistano numerose possibili
forme trigliceridiche diverse, la maggior parte in tracce. La valutazione
di tutti o della maggior parte dei composti presenti (Mottram & Evershed,
2001) se pur certamente ricca di informazioni, sarebbe difficilmente
130
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
applicabile al settore della repressione delle frodi che necessita sempre
di metodi rapidi, il più possibile semplici, ma soprattutto ripetibili e
riproducibili.
Si è invece rivelato particolarmente efficace per l’individuazione di
aggiunte di grassi estranei al burro, un metodo, comunemente chiamato
metodo di “Precht”, (Precht, 1991) dal cognome del suo ideatore, che
prevede una analisi basata sulla separazione dei trigliceridi solo in base
alla somma del numero degli atomi di carbonio dei tre acidi grassi che li
costituiscono, indipendentemente quindi dalla eventuale insaturazione o
isomeria di qualsiasi tipo.
Questo metodo, diventato metodo ufficiale della UE (Reg. CE 273, 2008)
e anche metodo ISO, è stato originariamente messo a punto utilizzando
colonne di tipo impaccato, ma è applicabile anche con colonne di tipo
capillare. Esso permette l’individuazione dei grassi estranei, con limiti
di rivelabilità che variano dal 4 al 6% a seconda del grasso adulterante,
mediante l’applicazione, ai risultati ottenuti sui 16 picchi individuati
(Figura 2), di formule matematiche derivanti da regressioni multiple, i cui
limiti sono riportati in Tabella 2.
131
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Tabella 2
Formule per il calcolo dei parametri S
Formula totale
- 2,7575 · C26 + 6,4077 · C28 + 5,5437 · C30 – 15,3247 · C32 + 6,2600 · C34 +
8,0108 · C40 – 5,0336 · C42 + 0,6356 · C44 + 6,0171 · C46 - Limiti: 95,68 104,32
Formula per gli oli di soia, girasole, oliva, ravizzone, semi di lino, germe di grano,
germe di granturco, semi di cotone e olio di pesce
2,0983 · C30 + 0,7288 · C34 + 0,6927 · C36 + 0,6353 · C38 + 3,7452 · C40
– 1,2929 · C42 + 1,3544 · C44 + 1,7013 · C46 + 2,5283 · C50 Limiti: 98,05 101,95
Formula per il grasso di cocco e di palmisto
3,7453 · C32 + 1,1134 · C36 + 1,3648 · C38 + 2,1544 · C42 + 0,4273 · C44
+ 0,5809 · C46 + 1,2926 · C48 + 1,0306 · C50 + 0,9953 · C52 + 1,2396 · C54
Limiti: 99,42 - 100,58
Formula per l’olio di palma e il sego
3,6644 · C28 + 5,2297 · C30 – 12,5073 · C32 + 4,4285 · C34 – 0,2010 · C36 +
1,2791 · C38 + 6,7433 · C40 – 4,2714 · C42 + 6,3739 · C46 Limiti: 95,90 104,10
Formula per il lardo
6,5125 · C26+ 1,2052 · C32 + 1,7336 · C34 + 1,7557 · C36 + 2,2325 · C42 +
2,8006 · C46 + 2,5432 · C52 + 0,9892 · C54 Limiti: 97,96 - 102,04
132
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Figura 2 Profilo GC dei trigliceridi di un burro genuino,
dell’olio di soya e di un burro con il 5% di soya. La tabella
riporta il risultato dei parametri di genuinità relativi alla
miscela con il 5% di soya
38
50
40
52
36
48
42 46
44
Burro genuino
54
34
54
soya
52
32
30
24 26 28
+5 %
soya
Totale
soya
cocco
sego
lardo
LIMITI
95.68-104.32
98.05-101.95
99.42-100.58
95.90-104.10
97.96-102.04
5%
94.92
95.20
100.67
94.82
102.17
L’utilizzo di questo tipo di analisi ha costituito un valido mezzo per
l’individuazione delle frodi, sostituendo la determinazione degli acidi grassi
e i relativi rapporti. In figura 2 è riportato un esempio dell’applicazione
del metodo ufficiale dei trigliceridi ad un campione contenente solo il
5% di soya. E’ possibile osservare come, a fronte di un profilo GC molto
simile a quello di un burro genuino, i 5 parametri di genuinità presentino
tutti valori oltre i limiti, non lasciando adito a dubbi sull’interpretazione
del risultato.
I parametri di genuinità sono applicabili solo a frodi relative all’aggiunta,
al grasso di latte vaccino, di grassi estranei al latte, ma rimane aperta la
problematica relativa ai burri prodotti con miscele di grassi provenienti da
latte di specie diverse quali bufala, capra e pecora.
Questo tipo di frode, che non è tale nel caso siano dichiarate chiaramente
in etichetta le specie di origine del grasso, è peraltro comune, perché è
pratica diffusa recuperare il grasso di siero della lavorazione dei formaggi
anche di latte di specie differenti dalla vaccina, nonché quello rimanente
nell’acqua di filatura delle mozzarelle.
133
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Allo scopo di verificare il comportamento dei grassi di specie diversa
dal grasso vaccino, alcuni autori hanno applicato il metodo ufficiale dei
trigliceridi anche a questo tipo di matrici (Fontecha, 1998; Romano, 2004;
Povolo, 2008). La figura 3 riporta un esempio dei profili trigliceridici del
grasso delle 4 specie lattifere più comunemente usate nel settore lattiero
caseario.
L’osservazione di questi profili permette di osservare importanti differenze
tra le quattro specie, differenze che paiono certamente molto più evidenti
di quanto sia possibile individuare dalla composizione media in acidi
grassi (Tabella 3), soprattutto per quanto riguarda le due coppie di specie
più simili: vacca/bufala e pecora/capra.
Benchè, come già osservato, i parametri di genuinità del metodo ufficiale
non siano applicabili alle miscele con latti di specie diversa, pare
interessante osservare come, relativamente all’aggiunta di grasso di bufala
al grasso vaccino (Figura 4), il comportamento dei valori del parametro
relativo alla formula “Totale” abbia un comportamento molto particolare
e specifico. Infatti per l’aggiunta di un qualsiasi altro grasso sia vegetale
che animale, i valori tendono comunque a diminuire, mentre l’aggiunta di
grasso di bufala determina, se pure per aggiunte superiori al 15%, valori
che si pongono al di sopra del limite superiore dell’intervallo caratteristico
del burro genuino. Del tutto inefficace appare questo parametro per la
individuazione di miscela di vacca con capra e pecora, a conferma che
nuove formule devono essere messe a punto per la specifica problematica.
134
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Figura 3 Profilo GC dei trigliceridi dei grassi di latte delle
principali specie di interesse lattiero caseario
PECORA
VACCA
CAPRA
BUFALA
Tabella 3
Composizione media degli acidi grassi del grasso di latte
di differenti specie.
C4
C6
C8
C10
C12
C14
C16
C16:1
C18
C18:1
C18:2
C18:3
C18:2conj
Vacca
4.8
2.4
1.2
2.6
3.0
10.7
28.5
1.2
11.9
23.4
2.2
0.5
0.7
Bufala
4.8
2.3
1.1
1.9
2.5
10.4
29.3
1.6
13.4
23.9
2.4
0.3
0.6
135
Pecora
4.4
2.9
2.6
7.1
3.9
9.9
23.2
1.0
11.4
24.1
3.2
0.6
1.0
Capra
3.8
2.8
2.7
8.3
3.5
9.1
23.6
0.6
11.3
24.9
2.8
0.6
0.9
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Figura 4 Variazione del parametro relativo alla formula
“Totale” per progressive aggiunte di grassi diversi. In
grigio l’intervallo di variazione del burro genuino.
110
bufala
100
pecora
capra
formula Totale
90
80
sego
70
soya
60
50
40
0
10
20
30
40
50
60
% grasso adulterante
I costituenti minori
La determinazione della frazione sterolica (ISO, 2006) rimane certamente
una delle più affidabili per l’individuazione della presenza di matrici
lipidiche vegetali, considerando che tutte i grassi animali, burro compreso,
contengono per il 98% solo colesterolo. E’ però opportuno tenere in
considerazione il fatto che sono disponibili anche matrici lipidiche
desterolizzate, il che rende questo tipo di valutazione del tutto inefficace.
Proprio alla luce dei possibili trattamenti tecnologici cui le matrici lipidiche
possono essere sottoposte, non solo a scopo fraudolento, è importante
spesso abbinare più valutazioni analitiche, per trovare conferma
dell’ipotetica frode (Povolo, 1999). Oltre alle valutazioni ufficiali, sono
risultate di particolare efficacia anche le determinazioni su alcuni
costituenti minori
Ad esempio il 3,5 colestadiene è un derivato che è assente nel burro
genuino, ma è presente nei grassi di tipo animale (sego) se sottoposti al
processo di decolorazione per passaggio su terre attive (Mariani, 1994).
La determinazione di tale costituente ha permesso di individuare aggiunte
di sego al burro, in percentuali inferiori rispetto al limite di rivelabilità del
metodo ufficiale dei trigliceridi.
Anche la determinazione del rapporto tra colesterolo libero e colesterolo
136
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
legato, che nei burri genuini è pari circa a 9:1 (Mariani,1990), ha
dimostrato notevole efficacia nella individuazione dell’applicazione
fraudolenta di processi di transesterificazione, non ammessi nella
produzione di burro. Parimenti il profilo della frazione digliceridica del
grasso di latte è risultato caratteristico in confronto ad altri grassi animali
di deposito (Figura 5).
Spesso anche lo studio critico e attento delle analisi più tradizionali
rappresenta un mezzo di verifica della genuinità molto attendibile.
Un esempio è fornito dai risultati relativi alla composizione in acidi grassi,
ottenuti su un campione di materia grassa dichiarata “burro” .(Figura 6,
campione C). A fronte di una composizione, relativamente agli acidi grassi
presenti in percentuale superiore all’1%, non diversa dalla composizione
media di un burro, si è osservata la completa assenza degli acidi grassi
cosiddetti “minori” ovvero presenti in ragione dello 0,1-0,4 %.
Figura 5 Profilo GC dei digliceridi del burro e del sego.
I numeri indicano la somma degli atomi di carbonio degli
acidi grassi che costituiscono la molecola digliceridica e le
lettere indicano i diversi di gliceridi, a parità di atomi di
carbonio.
Standard interno
B
Burro
genuino
A
A
B
A
B
30
D
D
C
C
32
34
B
A
C DE
36
Sego
137
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
Figura 6 Profilo GC della zona di eluizione degli acidi
grassi da 10 a 14 atomi di carbonio.
C10
Burro genuino
C12
C14
C10:1
C12:1
C13I
C11
Campione C
L’analisi dei trigliceridi del medesimo campione aveva indicato la presenza
di grassi estranei, in ragione di circa il 13%. Il colesterolo era l’unico
sterolo presente, ma in quantità pari a circa 100 mg/100 g di grasso, che
è meno della metà del contenuto medio di colesterolo del burro. Inoltre
circa il 50% del colesterolo era risultato in forma esterificata, a fronte
di un normale 10%. Infine, la valutazione della frazione insaponificabile
aveva evidenziato la presenza di costituenti normalmente assenti nel
burro genuino (Figura 7). L’analisi tramite GC/MS di questa frazione
ha portato al riconoscimento di questi composti come chetoni alifatici
derivanti soprattutto da acidi grassi a lunga catena (C16 e C18) a seguito
di reazioni di condensazione e decarbossilazione.
La valutazione di tutti i risultati ottenuti ha permesso di concludere che
il campione oggetto di indagine non era il risultato di una “semplice”
frode per aggiunta di una quota di grasso estraneo, come l’analisi
ufficiale lasciava prevedere, ma ragionevolmente era il risultato della
transesterificazione di miscela di un grasso animale tipo sego con acidi
grassi o trigliceridi a corta catena ( da 4 a 14 atomi di carbonio). In tale
campione il grasso di origine vaccina, ovvero il burro, poteva definirsi del
tutto assente o presente in minime quantità.
138
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
colesterolo
Figura 7 Profilo GC della frazione in saponificabile. Le
frecce indicano i chetoni alifatici a lunga catena.
(IS)
Burro genuino
Campione C
Conclusioni
Il “mercato” della frode, purtroppo, non è mai in crisi, anzi dimostra di
essere sempre un passo avanti soprattutto rispetto alle metodiche ufficiali
di analisi. Il livello di attenzione degli organi di controllo preposti non
deve dunque mai diminuire, anche e soprattutto per difendere il prodotto
genuino e di qualità.
Spesso, infatti, è proprio dalle ricerche mirate alla evidenziazione dei
parametri che determinano la qualità, che si mettono in luce costituenti
naturali che in un prodotto adulterato risultano assenti o presenti in
concentrazione ridotta.
Proprio in questa ottica si auspica che siano sempre maggiori le ricerche
atte a legare le caratteristiche del burro a quelle della materia prima
d’origine, il latte, individuando particolarmente quei costituenti liposolubili
che hanno uno stretto legame con il territorio d’origine e le differenti
pratiche zootecniche adottate.
139
Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi.
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141
Leo Bertozzi, Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano
Conclusioni
La valorizzazione del burro è un tema ricorrente nel settore lattiero-caseario
e questo vale anche per la zona di produzione del Parmigiano-Reggiano.
In un convegno tenuto a Mantova nel 1972 sulla valorizzazione del
burro italiano, l’allora presidente del Consorzio avv. Mora, affermando
che le caratteristiche del burro di affioramento sono diverse da quelle
del burro di centrifuga, ne sosteneva l’attribuzione di un marchio di
qualità, sottolineando la necessità di migliorare le strutture produttive. I
caseifici odierni sono stati notevolmente ristrutturati ed anche la qualità
microbiologica del latte si è adeguata alla normativa vigente, superando
quanto affermava Annibaldi con una efficace espressione: “l’affioramento
è la salute del formaggio ma è la malattia del burro”.
Dopo periodi in cui abbiamo assistito quasi ad un ostracismo nei confronti
di questo prodotto, oggi il burro torna di attualità, come dimostra anche la
presenza, in punti vendita di specialità alimentari a New York o Tokyo, del
prodotto ottenuto nei nostri caseifici . Questo dimostra come sia possibile
ricercare nicchie di penetrazione in mercati di alto profilo, a condizione
che siano valorizzate, oltre al legame col territorio, specifiche qualità
del burro, derivanti ad esempio dalla alimentazione delle vacche e dalla
assenza di additivi.
Il tema della valorizzazione del burro resta comunque di attualità e può
essere affrontato adottando due schemi: la standardizzazione del prodotto
orientato al mercato o la specificità. Se il primo aspetto è quello tipico
della grande industria lattiero-casearia mondiale, nell’Unione Europea
alcuni hanno risposto a tale esigenza cercando una valorizzazione (ed
una tutela) attraverso la DOP. E’ questo il caso di paesi a grande consumo
di burro come la Francia, con il beurre d’Isigny (e la crema DOP d’Isigny),
il beurre Charentes-Poitou, des Charentes, des Deux-Sèvres; il Belgio con
il beurre d’Ardenne; il Lussemburgo col beurre rose du Grand Duché. Un
caso originale è quello della Spagna, paese dell’olio per antonomasia,
con consumi di un terzo di quelli dell’Italia, che ha riconosciuto due
burri con DOP: mantequilla de Soira e mantequilla de l’Alt Urgell y
la Cerdanya. Per assicurare il valore dei componenti di questo nobile
alimento, i disciplinari prevedono l’assenza di coloranti, antiossidanti o
correttori di acidità e la pastorizzazione delle creme, elementi essenziali
per differenziare un burro di qualità rispetto ad un prodotto generico.
Riguardo l’anteriorità, fattore essenziale per giustificare l’ancoraggio di
142
Leo Bertozzi, Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano
un prodotto al territorio, queste indicazioni geografiche si sono sviluppate
a partire dal XVIII secolo e più in generale fra la fine del 1800 e l’inizio
del 1900, a seguito della modifica della fisionomia agricola dovuta alla
diffusione della fillossera.
Nella nostra realtà non risulta che il burro prodotto nei caseifici del
comprensorio sia stato qualificato in passato con una denominazione
tradizionale specifica; un richiamo compare sull’incarto e su scritte
pubblicitarie di un prodotto della Cremeria Emiliana di Cavriago
(Burro Montano Reggiano e Parmigiano), ottenuto per centrifugazione,
ma generalmente è stata utilizzata la dizione “burro di caseificio”.
Eppure, documenti che testimoniano la pratica dell’affioramento del latte
risalgono, secondo Zannoni, all’inizio del ‘600 e dunque la pratica della
burrificazione é da sempre affermata nel nostro comprensorio. Bisogna
considerare come questo metodo di separazione del grasso era diffuso in
Europa nella produzione dei formaggi a pasta cotta da latte di vacca, come
testimoniano le bacinelle (ronds) utilizzate nella zona del Comté, del tutto
simili alle nostre, ma negli altri paesi, dopo l’introduzione delle scrematrici
meccaniche verso la fine del XIX secolo, la pratica dell’affioramento è
andata riducendosi e permane in modo esteso solo in Italia. Il disciplinare
del Parmigiano-Reggiano, che prevede come il latte debba essere
“parzialmente scremato per affioramento naturale del grasso in vasche
d’acciaio a cielo aperto” ne è la prova più eloquente. Con tale pratica si
ottiene la maturazione del latte, l’eliminazione di gran parte delle spore
di clostridi e la debatterizzazione del latte per cui costituisce ancora oggi
una fase essenziale del ciclo produttivo del formaggio.
In conclusione, il tema della valorizzazione del burro resta di attualità.
Infatti, il miglioramento delle strutture e delle condizioni produttive
permette oggi di avere un prodotto in grado di trovare spazio sui
diversi mercati, valorizzando il legame col territorio e la sua naturalità.
Se le tecniche produttive sono ormai acquisite, molto resta da fare per
stabilire quali azioni di marketing adottare affinchè il burro ottenuto
dalle panne di affioramento dei nostri caseifici non sia più considerato un
prodotto secondario della trasformazione casearia. Si tratta di sfruttare
in modo adeguato gli elementi che sono insiti nel Parmigiano-Reggiano:
alimentazione delle vacche, assenza di additivi o conservanti, stagionalità
e, per ultimo ma non meno importante, una immagine unificante.
143
144
Interventi programmati
Emilio Braghin,
Consorzio Granterre Sca
Luciano Catellani,
CVPARR
Carlo Pontiroli,
Responsabile Produzione e Controllo Qualità,
Montanari & Gruzza S.P.A.
Enrico Bussi,
Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola,
Parma.
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Emilio Braghin, Consorzio Granterre Scarl
Ringrazio gli organizzatori per l’invito ricevuto alla partecipazione
a questo interessantissimo seminario che tratta di un prodotto spesso
bistrattato, come il burro.
Rappresento l’Organizzazione Produttori Parmigiano-Reggiano e Burro
Consorzio Granterre Scarl, riconosciuta dalla Regione Emilia Romagna:
il nostro compito è quello di commercializzare e valorizzare al massimo i
prodotti Parmigiano-Reggiano e Burro conferiti dai nostri soci.
Il burro è un indicatore molto importante del mercato lattiero-caseario
mondiale insieme alla polvere di latte scremato SMP. Essi rappresentano i
riferimenti sia del prezzo, che della quantità di latte prodotto in Europa e
nel mondo, in quanto sono i prodotti, insieme ai formaggi, per trasferire il
latte anche a lunghe distanze e stoccarlo per periodi medio-lunghi.
Il burro, che è la parte grassa del latte, viene ottenuto principalmente nel
mondo per scrematura del latte attraverso la centrifugazione, mentre la
parte magra viene poi polverizzata.
Nell’ambito Italiano, il burro si ottiene principalmente dalla trasformazione
del latte nei formaggi Parmigiano-Reggiano e Grana Padano, diventando
un loro co-prodotto attraverso l’affioramento del latte in bacinelle a
cielo aperto per il Parmigiano-Reggiano o in torri di affioramento nel
Grana Padano, integrato con il grasso ottenuto dalla centrifugazione
del siero dopo l’estrazione delle forme di formaggio. Le due procedure
di separazione della parte grassa del latte, per centrifugazione e per
affioramento, ottengono due prodotti con caratteristiche diverse: infatti le
creme ottenute per centrifugazione in Italia vengono usate principalmente
per altri usi diversi dal burro, come panna da cucina, panna da dolci,
mascarpone e altri, mentre le panne di affioramento principalmente per
il burro.
Il Burro, come evidenziato nelle relazioni precedentemente ascoltate, ha
proprietà indiscutibili e mi fa molto piacere che siano emerse in modo
chiaro, infatti il burro è uno degli alimenti più salubri al mondo e che la
storia certifica. Crea problemi solamente, come accade per molti alimenti,
se si abusa nel consumo.
Per valorizzare tale prodotto è bene conoscere al meglio le caratteristiche
positive e legarlo se possibile al territorio attraverso una D.O.P. o una
I.G.P., procedura complessa, che stiamo tentando di promuovere insieme
al Consorzio Parmigiano-Reggiano e alla Regione Emilia Romagna.
Se non si ottiene ciò è assolutamente vietato indicare sugli incarti
“Parmigiano-Reggiano” come provenienza.
146
Emilio Braghin, Consorzio Granterre Scarl
Il mercato mondiale del latte, come già detto, è influenzato dalla
produzione di burro in maniera assoluta e questo viene stoccato, quando
se ne produce in eccesso, attraverso l’ammasso pubblico e privato,
sovvenzionato dalla CE per mantenere l’equilibrio del prezzo sul mercato.
Tale procedura è fondamentale per i paesi europei, tanto che questo
contributo viene richiesto anche per il latte in polvere all’interno della
PAC come rete di sicurezza in caso di crisi, in sostituzione delle Quote
Latte. Tale operazione in passato non è risultata sufficiente, tanto che
nel 1982/83 sono state istituite le quote latte per ridurre gli eccessi di
stoccaggio del latte in polvere e del burro.
Per l’Italia, essendo un paese deficitario di prodotti lettiero-caseari,
l’ammasso pubblico e privato del burro è quasi nullo, pertanto ininfluente
ai fini dei produttori di latte italiani, mentre le posizioni molto importanti
che stiamo cercando di sostenere a livello nazionale e Comunitario, sono
la possibilità di poter programmare la produzione all’interno delle D.O.P.
per migliorare e garantire uno standard qualitativo alto per i consumatori
e l’obbligo di dichiarare in etichetta la provenienza del latte con il quale
viene ottenuto il prodotto lattiero-caseario. Questo per rendere il più
trasparente possibile la provenienza e dare la possibilità al consumatore
di scegliere ciò che acquista e consuma.
147
Luciano Catellani, CVPARR
Sono molto felice di aver partecipato a questo convegno perché i risultati
delle relazioni confermano che il lavoro svolto con la razza reggiana è
stato proficuo.
Aver creato negli anni passati un regolamento che prevede non solo l’utilizzo
di mangime OGM FREE ma anche l’utilizzo dell’erba nell’alimentazione
di questi bovini e che favorisce un aumento considerevole degli omega 3
e C.L.A nel grasso del latte, ci permette di dire che i nostri prodotti danno
migliori garanzie per i consumatori, rispetto ad altri.
Gli acidi grassi essenziali, come è stato illustrato nelle relazioni precedenti,
hanno delle caratteristiche importanti da un punto di vista salutistico e
nutrizionale.
La razza reggiana è una razza antica, ma molto moderna. Il fatto di
non aver ceduto alle lusinghe dell’Unifeed, che avrebbe certamente fatto
aumentare le produzioni dei nostri animali, ma che da un punto di vista
qualitativo avrebbe peggiorato i nostri prodotti e la possibilità poi di
inserire il lino nella razione invernale, ci permette di avere tutto l’anno
sia il burro che il formaggio con percentuali elevate di omega 3 e CLA.
La sperimentazione fatta nei nostri allevamenti nel periodo invernale ci ha
dato anche la sensazione di un aumento del benessere animale, in quanto
da un punto di vista visivo, le vacche presentavano un pelo più lucido e un
aspetto generale migliore.
Ritengo che negli anni passati nel comprensorio del Parmigiano Reggiano,
si siano fatte delle scelte sbagliate sull’alimentazione delle bovine, che
hanno determinato delle differenzazioni molto basse rispetto ad altri
grana, con risvolti commerciali e di immagine negativi e poco distintivi
Concludo dicendo che la strada indicataci dai relatori è ben chiara e noi
con la rossa reggiana la seguiremo, cercando sempre di migliorare le
qualità delle nostre produzioni, a vantaggio dei consumatori, solo cosi si
fa mercato, immagine e comunicazione.
Un ringraziamento particolare va da parte nostra al Prof. Losi e ai suoi
collaboratori per l’impegno e la dedizione profusi per questa ricerca che
ha dimostrato ancora una volta che le nostre scelte guardano lontano. A
loro saremo per sempre grati.
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Carlo Pontiroli, Responsabile Produzione e Controllo Qualità, Montanari & Gruzza S.P.A.
In merito al quesito se è possibile o meno produrre un burro dop da panne
derivanti la lavorazione del parmigiano reggiano aventi caratteristiche
tali da renderlo migliori degli altri burri,per contenuto in cla,mi sento di
fare alcune considerazioni.
Come abbiamo visto dalle ricerche portate avanti dal professor Losi e dai
suoi collaboratori,per avere un contenuto alto di CLA nel burro bisogna
alimentare la bovine con foraggio verde e/o aggiungere alla razione
un certo quantitativo di farina di lino estruso,altrimenti il contenuto in cla
diventa simile a tutti gli altri burri in commercio.
Peccato che negli ultimi tempi, nel comprensorio del parmigiano sia
andata prendendo piede sempre di più l’alimentazione a secco per
tutto l’anno,non da ultimo ha influito anche l’approvazione da parte
del consorzio del “carro” come metodo di alimentazione,quindi si sta
andando esattamente nella direzione opposta.
Per ottenere un burro ad elevato contenuto di cla bisognerebbe che il
consorzio imponesse a tutti gli allevatori del comprensorio per tutto l’anno
di aggiungere alla loro razione il quantitativo necessario di farina di lino
estruso per compensare la carenza di foraggio verde.dato che non credo
che il consorzio sia interessato ad un operazione simile,il burro ottenuto
dalla lavorazione di tali creme non potrà avere in futuro un contenuto alto
in CLA.
Un altro aspetto che mi preme sottolineare è che finora il consorzio ha
impedito che si potesse legare il nome parmigiano reggiano al burro
prodotto con le creme derivanti dalla sua lavorazione.
Infatti se un’azienda appone sulla sua etichetta la dicitura”burro ottenuto
dalla lavorazione delle creme raccolta nella zona di produzione del
parmigiano-reggiano”, o similari, si incorre in sanzioni da parte del
consorzio e nel sequestro degli incarti,per cui anche sotto questo aspetto
bisogna cambiare molto da un punto di vista della mentalità e della volontà
di voler veramente valorizzare il prodotto burro e non come è stato fatto
finora relegandolo al ruolo di sottoprodotto o poco più.
Per questi motivi la mia risposta al quesito iniziale è senz’altro negativa
al permanere delle condizioni tecniche,politiche ed economiche attuali.
149
Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
Il Convegno si colloca in un momento adatto per esprimere alcune
considerazioni.
In retrospettiva, sulla presenza a Reggio Emilia del Corso di Laurea in
Scienze della Produzione Animale. I suoi ricercatori hanno illustrato
ricerche approfondite e contribuiscono a sperare in un sano ripensamento
degli orientamenti dell’Università di Bologna per tenerlo in quest’area.
In prospettiva, sull’azione da svolgere per rendere più trasparenti le filiere
agroalimentari e assicurare la sopravvivenza della cultura contadina.
L’Unione Europea si sta orientando a fare propri questi due obiettivi,
pertanto la realtà locale verrà stimolata a superare il condizionamento
esercitato dagli stili diffusi negli ultimi tempi nel consumo e nella produzione
di alimenti.
Il Corso di Laurea si insedia a Reggio all’inizio degli anni ’70
quando si apre un’importante stagione per attivare una politica per
l’agricoltura e per la trasformazione alimentare mirata alla realtà locale.
Nella CEE i Regolamenti approvati nel 1968 hanno messo in funzione le
Organizzazioni Comuni di Mercato - tra le quali l’imponente OCM per
il settore lattiero caseario - e le Direttive strutturali hanno impegnato gli
Stati a sostenere le aziende agricole in modo omogeneo. In Italia inizia
l’esperienza delle Regioni cui vengono affidate competenze per l’agricoltura
e si giunge a varare un Piano Agricolo Nazionale sotto la regia del Ministero
dell’Agricoltura. La Provincia, la Camera di Commercio, il Comune di
Reggio Emilia avviano il consorzio CRPA per realizzare sperimentazioni
e servizi rivolte alle due condizioni più importanti dell’agricoltura
locale: il cambiamento epocale nelle produzioni zootecniche, nelle
trasformazioni del latte e delle carni, nella commercializzazione dei
prodotti, il radicamento profondo delle produzioni di alimenti di origine
animale nelle caratteristiche dell’ambiente, nella storia economica e nelle
tradizioni alimentari.
In quel quadro diventa possibile ottenere un avvicinamento degli studi
universitari e rivolgere importanti programmi di ricerca incentrati sui
processi di produzione che prendono origine dai terreni, dalle colture
foraggere, dalle razze locali per arrivare al formaggio tipico, al burro
e ai suini allevati con siero per rifornire l’ampia e apprezzata gamma
della salumeria tradizionale. Le proposte delle istituzioni scientifiche si
combinano con le richieste dei produttori e con le politiche agricole.
150
Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
Non è facile, ma per mezzo del CRPA si tenta di stabilire un più solido
collegamento tra le scelte nella ricerca, nei servizi associativi e negli
interventi pubblici. Si arriva a un discreto livello di condivisione del
bisogno di favorire l’introduzione di innovazioni coerenti in campagna,
nell’allevamento, nella trasformazione. I progetti di ricerca comprendono
competenze che vanno dalla genetica all’agronomia, alla meccanica, dalla
zootecnia, alle industrie alimentari, dall’impiantistica, alle costruzioni,
alla gestione dei sottoprodotti, dalla gestione aziendale al mercato…
In un clima nuovo e attraversando contrapposizioni accanite si riesce a
decidere di impiantare molte prove in pieno campo. Per il settore oggetto del
convegno di oggi, si concretizza la possibilità di quantificare le differenze
nella caseificazione del latte che deriva dalle vacche locali e da quelle
importate. La collaborazione interdisciplinare tra i Professori Giuseppe
Losi, Primo Mariani, Vincenzo Russo e loro collaboratori delle Università
di Bologna e Parma permette di giungere a risultati di importanza storica
sulle interazioni tra razze bovine, varianti genetiche delle proteine del
latte, tecniche di trasformazione e caratteristiche del formaggio.
A distanza di 40 anni una verifica analoga è stata ripresa con
la sperimentazione condotta da Losi e collaboratori - sostenuta dal
Consorzio di Tutela del formaggio Parmigiano Reggiano - per individuare
le caratteristiche particolari del burro ottenuto da latte di vacche alimentate
con diversi tipi di foraggio.
Si può dire che i risultati delle ricerca presentati in questa sede completano
una gamma di conoscenze che conferma la validità dell’impostazione
produttiva consolidata in questa zona negli ultimi 150 anni. Infatti essa si
consolida in seguito alla grande crisi del mercato dei cereali avvenuta nella
seconda metà del 1800. Ne deriva la spinta ad aumentare la praticoltura
e l’allevamento delle vacche autoctone, la rossa Reggiana, la bianca
Carpigiana, Modenese e la grigia Montanara (da tempo scomparsa) per
produrre latte da trasformare in burro e formaggio (in seguito denominato
Parmigiano Reggiano). Di conseguenza si afferma il suino da casello con
l’introduzione dei tipi genetici che permettono di raggiungere le maggiori
dimensioni per meglio utilizzare il siero e valorizzare il sottoprodotto
del latte con i salumi di alta qualità (in seguito denominati Prosciutto
di Parma, Culatello di Zibello, Prosciutto di Modena, Salame di Felino,
Coppa di Parma, ecc.). In quell’epoca le esigenze alimentari impongono
151
Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
di aumentare il consumo di calorie, il burro vale più del formaggio e
la parte grassa vale più della parte magra del maiale. Una gerarchia
tra alimenti che viene rovesciata solo nell’ultimo dopoguerra in seguito
all’industrializzazione del paese, alla meccanizzazione, alla disponibilità
di energia fossile a basso costo.
Per il futuro, facendo tesoro delle varie esperienze fatte durante
i cambiamenti avvenuti, siamo in grado di constatare che l’impianto
agricolo-alimentare originario è in grado di mantenere:
• la validità di un indirizzo zootecnico che consente di ricavare foraggio
da terre difficili e di reggere la competizione con zone più vocate e
con allevamenti impostati per ottenere la maggiore quantità di latte per
vacca nell’anno
• la tenuta del sistema del Parmigiano Reggiano imperniato su centinaia
di piccoli caseifici (cooperativi, artigianali, aziendali), dato che il
processo artigianale tradizionale remunera il latte trasformato a un
prezzo più alto rispetto ai processi industriali, mantiene una preziosa
gamma di differenze qualitative, evitando così la standardizzazione e
la fine del prodotto tipico
• il livello di eccellenza che il mercato riconosce al formaggio prodotto
con il latte delle vacche di razza autoctona
• un collegamento più stretto tra i suini alimentati con siero di latte e
i salumi ricavati allo fine di differenziare ulteriormente i prodotti sui
mercati
• la produzione del burro all’interno del Comprensorio per esaltare le
caratteristiche peculiari del prodotto ottenuto dal latte delle vacche
alimentate con foraggio di prato, come dimostrano le ricerche condotte
negli ultimi anni e i risultati presentati nel Convegno.
Le ricerche forniscono elementi probanti e sempre più sottolineano il
valore delle conoscenze empiriche - praticate da generazioni di operatori
e di esperti - e spiegano in quali modi è stato possibile:
• valorizzare le terre in destra Po del tutto differenti da quelle presenti in
sinistra Po e nei Paesi del nord Europa
• fornire al consumatore degli alimenti con solidi requisiti per la
sicurezza alimentare, il valore nutritivo, assieme alle rinomate qualità
organolettiche
• riconoscere al campo, alla stalla e al caseificio la più alta quota del
valore finale raggiunto dall’alimento al termine della filiera.
Le conoscenze remote e quelle più recenti portano a fare tre valutazioni.
152
Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
È importante riconoscere gli errori commessi dato che si sono
esauriti tre tipi di ammortizzatori che hanno assorbito i danni. La riserva di
contadini, casari, norcini, dettaglianti si trova agli sgoccioli. Non ci sono
le disponibilità per ripetere l’investimento destinato in 50 anni a costruire
allevamenti di grandi dimensioni che sono falliti nella forma cooperativa
sovvenzionata negli anni passati e si dimostrano sempre più vulnerabili
nell’azienda industriale diffusa in tempi recenti. L’occasione fornita dal
regime comunitario di mercato amministrato per il latte e derivati è stata
vanificata da 25 anni di liti tra organizzazioni sulle quote latte e dagli
spropositi dei cultori della “libertà di spingere” senza limiti lo sfruttamento
di piante, animali e consumatori rompendo ogni equilibrio nel micro e nel
macroambiente. Soprattutto in una sede di studi come questa dobbiamo
essere capaci di riconoscere che le innovazioni imitate ciecamente dalle
altre zone non hanno rafforzato il sistema agroalimentare presente in
questa zona e in generale hanno reso l’intero Paese più povero di risorse
e dipendente da importazioni di formaggi, creme, carni bovine e suine,
cereali e loro derivati.
La Baviera è più vicina dato che questa regione europea, con
elevato tenore di vita, non esporta solo prodotti di un’industria avanzata
(meccanica, chimica, aerospaziale, ecc.), aumenta anche l’esportazione
di prodotti agricoli ricavati da un territorio popolato più intensamente di
quello della pianura padana. E’ di importanza decisiva andare a veder
quali sono le scelte corrette che hanno consentito di rendere competitivo il
versante nord dell’arco alpino, valorizzando un ambiente meno favorito
per ottenere ed esportare verso l’Italia prodotti di buona qualità: latte,
latticini e carne bovina, carne suina e salumi, fiumi di birra ricavata da
cereali e luppolo (domani anche il lambrusco dalle colline vitate lungo il
Meno).
La Baviera (come l’Austria) riceve il nostro turismo attratto da un paesaggio ben
curato e da un’accoglienza conveniente. Con servizi efficienti ha rafforzato
una rete omogenea di allevamenti - non si discostano dalla media di 33
vacche e di 150 maiali.-.che si sottrae ai rischi del mercato dei mangimi,
utilizza il potere concimante ed energetico delle deiezioni, limita l’impiego dei
prodotti chimici, genera energia da fonti rinnovabili. Ha creato un’economia
agricola più avanzata della nostra senza particolari sovvenzioni, ha evitato di
sprecare i suoli con l’estensione disordinata degli usi non agricoli, ha diffuso
innovazioni tecnologiche ben mirata, ha prevenuto le diseconomie alla lunga
insostenibili per l’impresa e la collettività.
153
Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
Concezioni sbagliate si sono affermate dalle nostre parti e hanno
ritenuto risibile quella struttura dell’allevamento bavarese, invece si è
rivelata vincente dopo che la competizione è diventata più difficile. La
sua efficienza consiste nel consentire l’impiego ottimale dei foraggi
aziendali, nell’evitare lo sfruttamento delle coltivazioni e degli animali, nel
valorizzare l’apporto di lavoro part-time di tutti i membri della famiglia,
nel premiare la qualità che sorregge i prodotti sul mercato. Inoltre si giova
della vitalità dei villaggi all’interno del territorio rurale dove i mestieri
differenti si possono integrare e il turismo enogastronomico aggiunge un
contributo sempre più incisivo.
Il sistema bavarese assomiglia, per alcuni aspetti, a quello costruito dalle
generazioni precedenti nel Comprensorio del Parmigiano Reggiano con
la rete di stalle e caseifici, la qualità del burro, del formaggio e delle carni.
Purtroppo nel nostro caso ha pesato la tendenza a non ritenere validi gli
elementi che hanno dato continuità al modello locale e a inseguire degli
esempi esterni che si sono rivelati controproducenti.
Abbiamo bisogno della ricerca per fare un bilancio ufficiale
dell’insieme dei costi provocato dal fallimento delle stalle di grandi
dimensioni, dall’espulsione dell’agricoltura da molte aree di pianura e di
montagna, dalla separazione del caseificio dal burrificio, dalla proiezione
della suinicoltura verso una dimensione svincolata dalle superfici coltivate
e così via.
L’Università può fornire un aiuto decisivo per evitare la scomparsa di
una base produttiva e alimentare, rendendo consapevole l’intera società
dei pericoli gravi che derivano dalla fine della presenza contadina,
dell’artigianato alimentare e della distribuzione tradizionale. Le ricerche
condotte sulle interazioni tra foraggio di prato e vacche da erba, tra
grasso del latte e caratteristiche del burro mettono in risalto, non solo
una bontà alimentare facoltativa, ma anche il nesso imprescindibile tra
la salute umana e la scelta delle tecniche produttive. Di fronte ai nuovi
cambiamenti si avverte sempre di più il bisogno di una sede di formazione
rivolta ad arricchire le conoscenze sui sistemi per ricavare alimenti e a
sviluppare l’educazione alimentare. Con questo apporto diventa possibile
controbilanciare la promozione pubblicitaria che aumenta l’ignoranza ed
esalta il consumo di alimenti con qualità decrescenti sino a creare pericoli
per la salute delle nuove generazioni.
I risultati raggiunti con le approfondite ricerche sul burro aiutano a
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Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma.
confidare nella diffusione di una cultura adeguata e per questa via si può
riuscire a contrastare le forme di decadenza della nostra società che si
manifestano con l’aumento dell’obesità infantile o con l’industrializzazione
nel sistema del Parmigiano Reggiano, entrambi i fenomeni provocano,
in modi diversi, danni irreversibili per il singolo individuo e per l’intera
società.
la diffusione di una cultura adeguata riesca a contrastare sia l’aumento
dell’obesità infantile, sia l’industrializzazione nel sistema del Parmigiano
Reggiano poiché entrambi i fenomeni provocano, in modi diversi, dei
danni irreversibili per il singolo individuo e per l’intera società.
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Stampato da
Dicembre 2010
Quaderni del Parmigiano-Reggiano
IL BURRO:
TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Reggio Emilia 15 Aprile 2010
Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano
Via Kennedy 18 - 42124 Reggio Emilia
Tel. +39 0522 307741 - Fax +39 0522 307748
www.parmigiano-reggiano.it
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