Quaderni del Parmigiano-Reggiano IL BURRO: TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Reggio Emilia 15 Aprile 2010 Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Via Kennedy 18 - 42124 Reggio Emilia Tel. +39 0522 307741 - Fax +39 0522 307748 www.parmigiano-reggiano.it Alma Mater Studiorum, Consorzio del Formaggio Università di Bologna Parmigiano-Reggiano “Il burro: tra passato, presente e futuro” Reggio Emilia 15 Aprile 2010 A cura di: Dott. Alessandro Gori, Dott. Fabio Coloretti, Prof. Giuseppe Losi Ragazza che prepara il burro Jean-Francois Millet, 1869-1870 INDICE PREFAZIONE – Prof. N. G. Frega III RELAZIONI PRESENTATE Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna Presentazione del Seminario pag.8 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Tendenze recenti della produzione e del consumo di burro nell’unione europea e in Italia pag.12 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Alimentazione delle bovine, produzione e composizione del grasso del latte pag.34 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Composizione e struttura del grasso del latte pag.48 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Breve storia del burro nell’alimentazione umana e recenti acquisizioni sugli aspetti nutrizionali ed extra-nutrizionali pag.69 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi, DISA, Università di Bologna Nuove conoscenze sulla composizione acidica dei burri di zangola prodotti nel CFPR: primi risultati di una ricerca biennale pag.96 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi Analisi dei burri e difesa dalle frodi pag.125 Leo Bertozzi, Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Conclusioni pag.142 INTERVENTI PROGRAMMATI Emilio Braghin - Consorzio Granterre Scarl pag.146 Luciano Castellani - Grana d’oro S.P.A. pag.148 Carlo Pontiroli – Resp.le Produzione e Controllo Qualità, Montanari & Gruzza S.P.A. pag.149 Enrico Bussi - Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma pag.150 PREFAZIONE In passato ho scritto altre prefazioni ed editoriali per riviste scientifiche, ma sono particolarmente onorato di poter introdurre, nonostante la grande responsabilità che comporta, un libro redatto da studiosi di chiara fama e autentici conoscitori dell’argomento quali: Alfonso Bonezzi, Andrea Brugnoli, Giovanni Ballarini, Giovanna Contarini, Andrea Formigoni, Giovanni Lercker, Giuseppe Losi. Nella società attuale sia media che sedicenti conoscitori sembrano colpiti da una sorta di bulimia logorroica, dove predomina l’imperativo: parlare senza conoscere. A tal proposito vorrei ricordare una frase di Galileo: “parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro, pochissimi”. Quindi ben vengano iniziative come questo libro che senza dubbio contribuiscono a ridurre l’oscurità scientifica grazie alla lunga attività di ricerca e alla grande esperienza didattica degli Autori. Non è secondario ricordare che la ricerca scientifica è l’attività intellettuale che mira ad aumentare il grado di conoscenza e si pone alla base dello sviluppo di una società avanzata. É infatti impossibile elevare il livello culturale di una collettività senza ricerca, così come diventa impossibile l’innovazione e la competizione. Promuovere la ricerca oggi, in questi momenti congiunturali difficili, consente di ridurre domani la povertà, l’emarginazione e il disagio sociale. In questi ultimi anni la diversa struttura sociale, il differente stile di vita, hanno prodotto una modifica sostanziale del concetto di alimentazione: se fino a poco tempo fa alimentarsi significava soddisfare solo un bisogno primario, oggi la società orienta le sue scelte verso alimenti che, oltre ad apportare l’energia necessaria per lo svolgimento dei normali processi metabolici, sono in grado di preservare un buono stato di salute dell’organismo e di ridurre il rischio di insorgenza di alcune patologie. Il burro, come del resto altri tipi di grassi di origine animale, rappresenta oggi un alimento bersaglio, ha subito e subisce tutt’ora numerosi attacchi il più delle volte immeritati ed ingiustificati. Attualmente il burro non entra a far parte dei suggerimenti nutrizionali raccomandati, forse semplicemente per pregiudizio, per sentito dire o per scarsa conoscenza. Gli Autori, con magistrale chiarezza espressiva, riescono a dare un forte contributo alla conoscenza chimica compositiva, alle proprietà dietetiche nutrizionali, concorrendo a migliorare l’informazione sull’alimento, anche della stampa specializzata. Nessuno si sognerebbe di dire a chi giornalmente assume mezzo litro di latte intero che tale comportamento dietetico potrebbe produrre, nel tempo, l’insorgenza di patologie cronicodegenerative. Molti invece punterebbero il dito su chi con la propria dieta assume 20 g di burro al giorno. Forse non è secondario ricordare che in mezzo litro di latte intero sono presenti mediamente 17,5 g di grasso da cui si ricavano, circa 20-21g di burro. Il burro è il grasso alimentare ricavato dalla lavorazione della crema di latte vaccino. La sua storia è antichissima, risale al tempo degli egizi che lo ricavavano dal latte degli animali da allevamento. È un alimento ad alto valore energetico da integrare nella dieta sia come condimento che come ingrediente. È di particolare interesse per le sue caratteristiche nutrizionali, antinfettive e, come è stato dimostrato da recenti studi, anticancerogene. Queste caratteristiche sono determinate dalla particolare struttura della frazione lipidica del burro, in particolare, dalla composizione della frazione trigliceridica e della frazione dei componenti “minori” (insaponificabile). In questi ultimi anni una immeritata penalizzazione di questo alimento grasso, correlato alla quantità di colesterolo in esso presente, ha portato a contrazione dei consumi. In realtà, un aspetto che molto spesso viene omesso, mentre è ben precisato ed illustrato dagli Autori, è che il colesterolo presente nel burro è in diretto rapporto, nei soggetti sani, con il colesterolo HDL, meglio conosciuto come il colesterolo buono. La ricerca ha dimostrato che il burro presenta una serie di composti che determinano effetti benefici sulla salute, come l’acido linoleico coniugato, le sfingomieline, l’acido butirrico e tutta una serie di composti minori, tra cui i tocoferoli, lo squalene, i pigmenti carotenoidi, gli steroli, le vitamine liposolubili (vitamina A o retinolo). Questa composizione non sorprende in quanto questo derivato del latte è caratterizzato da una varietà di oltre 400 acidi grassi identificati mediante tecniche cromatografiche ad alta risoluzione, quali la gascromatografia (GC) e la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC), accoppiate alla spettrometria di massa (MS) di primo o secondo ordine (tandem MS, MS-MS). Importanza rilevante assume la dieta. In particolare oggi la tendenza è quella di orientare verso una dieta caratterizzata da un basso apporto di grassi, ma si è visto che questo non è abbastanza; bisogna valutare la qualità dei grassi assunti e in quest’ambito risultano di particolare interesse gli acidi grassi polinsaturi della serie ω3, PUFA (Polyunsaturated fatty acids) quali l’ac. a-linolenico (C18:3, ALA), l’ac. eicosapentaenoico (C20:5, EPA), l’ac. docosapentaenoico (C:22:5, DPA) e l’ac.docosaesaenoico (C22:6, DHA) per le loro funzioni, esiti e benefici che svolgono nell’organismo. Di notevole interesse sono gli effetti favorevoli dei PUFA ω3 sullo stato di salute, soprattutto riguardo le patologie cardiovascolari, per le funzioni preventive riconducibili alle molteplici azioni che svolgono nell’organismo, quali l’attività ipotensiva, ipotriglicerimizzante, antiaritmica, antitrombosica ed antiaterogenica. Tra queste spicca il ruolo protettivo nella patogenesi della placca ateromasica, correlato alla riduzione della concentrazione dei trigliceridi e del colesterolo LDL nel sangue ed all’aumento del colesterolo HDL. Rilevante è anche l’aumento della fluidità delle membrane cellulari con effetti anti-trombotici. Particolare importanza a fini salutistici è sicuramente la presenza in questo alimento degli isomeri coniugati dell’acido linoleico (C18:3, CLA) sulle cui proprietà la comunità scientifica, in questi anni, si è pronunciata in maniera molto chiara. Infatti, la National Academy of Science ha definito CLA “l’unico acido grasso che mostra in maniera inequivocabile attività anticancerogena in esperimenti condotti su animali”. I CLA si sono dimostrati attivi nel controllo di importanti patologie quali l’arterosclerosi, il diabete, l’obesità, svolgendo un’azione anticolesterolemica e di protezione dalle coronaropatie. Inoltre hanno mostrato effetti positivi anche sulla formazione ossea e come antinfiammatori, in patologie come l’artrite reumatoide. Da qui si comprendono i tentativi di incrementare la concentrazione di CLA nei prodotti alimentari quali la carne, le uova e i prodotti lattiero caseari. negli alimenti è l’acido Rumenico (C18:2 cis-9, trans-11) che è ampiamente predominante tra i CLA trovati nelle carni dei ruminanti e nei prodotti lattiero caseari (burro). Data l’importanza che riveste il burro come alimento, e la ricaduta nutrizionale dei suoi componenti, ampiamente descritti nel libro ed a cui ho accennato in questa prefazione, mi sento ancora una volta di sottolineare la levatura e l’importante ricaduta nel settore nutrizionale, dell’opera di ricerca svolta dagli Autori, anche nell’ottica della salvaguardia della qualità e della genuinità di questo alimento. Sono certo che il libro verrà apprezzato non solo dai tecnici del settore ma anche da tutti coloro che si accingano a leggerlo per aumentare le loro conoscenze nel campo dei lipidi in generale e del burro in particolare e sono certo che sarà di stimolo per i giovani ricercatori con l’esito di implementare ancor di più le nostre conoscenze. Natale G. Frega 6 Relazioni presentate 7 Presentazione del S eminario La mia generazione degli anni “30” è stata testimone della parabola evolutiva del burro: da alimento nobile, ricercato, di grande prestigio gastronomico e dietologico, a, progressivamente, alimento di tradizione gastronomica apprezzata ma con la macchia di essere un grasso animale, epperciò condannato dagli igienisti e mortificato presso l’opinione pubblica. Al burro si sono contrapposti altri grassi da condimento con in primo piano quelli vegetali e soprattutto l’olio d’oliva: quest’ultimo glorificato come depositario di ogni virtù. Ora, e questo Convegno ne è la testimonianza, grazie alle nuove conoscenze derivanti dai progressi scientifici realizzati sulla conoscenza delle effettive peculiarità del burro, questo prodotto può avere potenzialità di rilancio sulla base di dati obiettivi che ridimensionano le negatività e ne evidenziano le positività, così come, in effetti, la cultura popolare empiricamente aveva intuito. La tradizione alimentare popolare è specchio delle relazioni fra le risorse territoriali e le esigenze di sussistenza. Quanto essa permane nel tempo significa che le scelte, sottoposte a verifiche plurisecolari e plurigenerazionali, corrispondono ad aspetti reali. In Europa geograficamente si è sempre fatta una distinzione fra la “civiltà” dei grassi animali e quella dei grassi vegetali. La prima si è affermata negli areali nordici laddove l’olivo non poteva convenientemente vegetare mentre le condizioni ambientali favorivano lo sviluppo della zootecnia da latte e della suinicoltura. Viceversa, la seconda, era praticabile negli ambienti temperati caldi idonei alla coltivazione e dell’olivo e comparativamente, meno favorevoli alla zootecnia. La produzione di oli di semi si è inserita più tardivamente come opportunità “ponte” fra i diversi ambienti. Queste caratterizzazioni ambientali ed i relativi vincoli hanno determinato forti influenze nei modelli di consumo che, come dimostrano studi recenti, hanno a loro volta influenzato anche l’ “adattamento genetico” delle popolazioni. Pare infatti dimostrato che le popolazioni tradizionalmente assuefatte alle diete “nordiche” (e nei loro contesti) non subissero gli effetti negativi derivanti dal consumo di grassi animali, che, in assoluto, le opinioni dietetiche moderne attribuiscono. 8 Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna Ambiente, modalità di vita, alimentazione, tradizione come sintesi, hanno sempre testo ad esplicare equilibri positivi. Oggi sono soprattutto le modifiche delle modalità di vita a determinare, come logico, un profondo cambiamento nei modelli alimentari favorendo in essi equilibri dietologici che dovrebbero essere realizzati attraverso un ricco mix di alimenti, più che con scelte unilaterali o con ostracismi preconcetti: tanto più se questi scaturiscono da giudizi sommari. L’Italia è un paese che avendo una ampia longitudine comprende entrambe le tradizioni le quali hanno convissuto fino a tempi relativamente recenti determinando lo straordinario patrimonio produttivo gastronomico che la caratterizzano. Come già citato, appartenendo alla generazione degli anni ’30 sono stato testimone diretto di questa cultura popolare della convivenza dei diversi tipi di grasso alimentare così come delle sue evoluzioni. Era norma, nelle famiglie emiliane, che l’olio di oliva fosse utilizzato prevalentemente a “crudo” (anche perché costava molto) mentre nella cucina prevalevano i grassi di maiale ed il burro. Burro che, oltre ad essere di produzione industriale, era anche di produzione familiare. Infatti il latte (acquistato non confezionato dalla “lattaia”) veniva bollito prima di essere consumato e la “panna” che si isolava con la bollitura era successivamente raccolta in una tazza ove, con un cucchiaio di legno, si mescolava finchè non si fosse determinata l’aggregazione delle particelle di grasso in burro. Di solito il compito di questa “zangolatura” domestica era affidato ai ragazzi ed il premio era una fetta di pane con zucchero: una vera e propria leccornia di grandi virtù nutrizionali nel contesto di vita di allora. Estendendo queste concettualità in termini di economia territoriale si può comprendere anche del perché nell’area italiana più vocata alla produzione del latte bovino si sia affermata la produzione di formaggi e fra questi di quelli semigrassi come il grana. Facendo riferimento ai tempi trascorsi è ben noto come la produzione di latte fosse condizionata alla cadenza naturale dei parti delle vacche ed alla produzione foraggera locale. Le condizioni prevalenti di decadenza produttiva degli alimenti foraggeri in estate-autunno, nonché il freddo o la copertura nevosa, oppure la difficile 9 Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna accessibilità dei terreni nei periodi piovosi, hanno concorso nel favorire la concentrazione dei parti in fine inverno-primavera e, di conseguenza, al concentrazione della massima produzione di latte nei periodo da primavera a primo autunno. Fanno eccezione le zone a marcita. In tale situazione come era possibile conservare l’eccesso di produzione lattiera rispetto ai consumi? Con i formaggi, soprattutto con quelli a pasta dura (la tecnologia del latte in polvere è relativamente recente). I formaggi a pasta dura, tanto più se di lunga conservazione, consentono di garantire i rifornimenti alimentari nell’intero anno oltre che di compensare le annate di magra con quelle ricche. Nell’ambito dei formaggi duri per sfruttare al meglio il latte (e gli stessi processi caseari) si sono affermati i formaggi semimagri come i grana, scremando parzialmente i latti mediante la tecnica dell’affioramento. Ecco perché per lungo tempo in Italia il burro era in prevalenza da affioramento: con tutti i problemi che ne derivano. Ora questi vincoli si sono attenutati e le tecnologie si sono evolute. L’immagine storica del burro italiano è comunque rimasta con i suoi “chiaroscuri” perché essa è troppo radicata. Ma, come si notava all’inizio, il mondo cambia e così si evolvono le conoscenze intrinseche sui prodotti, quelle nutrizionali correlate all’uomo moderno, le tecniche di produzione e di lavorazione, le modalità di consumo e via dicendo. Alla luce delle nuove conoscenze per ogni prodotto (tanto più se ricco di una tradizione plurisecolare come è il burro) vi è però la necessità di una “reinterpretazione” e di una riproposizione sia sul piano intrinseco e sia su quello dell’immagine. In questa nuova prospettiva i burri italiani che derivano da latti prodotti secondo i rigidi disciplinari delle DOP, potrebbero avvantaggiarsi della immagine positiva di questi nobili formaggi. La regolamentazione Ue non consente questi sinergismi promozionali espliciti, ma riteniamo che oltre ad insistere per superare questi divieti, la fantasia italiana dovrebbe essere capaci di trovare qualche soluzione vantaggiosa. Purtroppo il burro è considerato una “commodity” derivante in modo congiunto dal latte ed in quanto tale (anche in relazione alla struttura produttiva del comparto specifico) non stimola investimenti promozionali rilevanti. 10 Giulio Zucchi, Professore Emerito Università di Bologna Tenuto conto di questo contesto, avendo potuto avere cognizione delle Relazioni che saranno svolte ritengo che questo Convegno consentirà un originale aggiornamento scientifico sulle peculiatià del burro. È su queste “novità” che possono ravvisarsi i presupposti per poterlo rilanciare. Va dato merito al Prof. Giuseppe Losi – che da molti anni sapientemente e tenacemente si è dedicato alle tematiche del burro – di avere avuto la determinazione di proseguire le ricerche e di avere organizzato questa assiste coinvolgendo non solo gli studiosi ma anche tutto il mondo operativo. La valorizzazione del burro riveste un forte interesse economico e sociale per tutta la filiera produttiva. L’ottica di analisi non può che essere internazionale ma, in essa, le peculiarità italiane possono trovare condizioni obiettive di competitività. Per esprimere queste potenzialità si deve puntare sull’innovazione – innestata sulla tradizione – evitando scelte che irretiscano nella ricerca di protezionismi, destinati, inevitabilmente, a creare attese illusorie. Se il mondo cambia è indispensabile porsi nella scia del cambiamento. Se possibile per orientarlo, ma mai per contrapporsi ad esso! 11 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Tendenze recenti della produzione e del consumo di burro nell’unione europea e in italia1 Riassunto La realtà del mercato nazionale del burro, in questo lavoro, viene affrontata in un’ottica di filiera evidenziando le tendenze evolutive di medio periodo in tutti i suoi segmenti, dall’industria di trasformazione ai consumi, senza trascurare il commercio estero ed i canali distributivi. Trattandosi di una commodity derivata dal latte si è ritenuto utile inquadrare il mercato del burro, nel contesto europeo ed internazionale dell’intero settore lattierocaseario al fine di meglio interpretarne le dinamiche. E’ noto infatti che la riduzione del prezzo d’intervento comunitario ha determinato una convergenza progressiva delle quotazioni nazionali ed europee verso il prezzo mondiale delle commodities del settore. L’elevata volatilità dei prezzi registrata negli ultimi anni ha prodotto effetti destabilizzanti sui mercati sia alla produzione che al dettaglio, innescando un processo di aggiustamento che ha dilatato ulteriormente i margini distributivi del burro. Nell’ultima parte del lavoro viene affrontato il problema del posizionamento del prodotto in esame in rapporto alla GDO. Recenti tendenze della produzione europea e mondiale di latte L’Unione europea a 27 Paesi, con circa 141 milioni di tonnellate di latte (di tutte le specie), pur rimanendo la principale area di produzione, a livello mondiale, registra un peso decrescente (dal 24,4% nel 2004 al 21,6% nel 2009): infatti nell’ultimo quinquennio, mentre nell’Ue la produzione è leggermente diminuita (-1,5%), nel resto del mondo ha registrato un balzo del 15,4% (+24,6% in Asia, +13% in America sia del Nord che del Sud e +12,5% in Africa). Gli incrementi produttivi maggiori riguardano i Paesi in via di sviluppo, mentre la crescita appare assai contenuta in importanti aree sviluppate come l’Oceania e il resto dell’Europa. La situazione del mercato europeo del latte (in particolare di quello vaccino) 1 Il lavoro è frutto dello sforzo congiunto di entrambi gli autori anche se A. Bonezzi ha curato prevalentemente i paragrafi: Evoluzione dei margini distributivi e Il posizionamento del burro e La Grande Distribuzione Organizzata 12 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna è caratterizzata da una notevole rigidità dell’offerta: tale rigidità dipende non solo dalla lunghezza del ciclo produttivo, ma anche dal principale strumento di regolazione del mercato costituito dalle quote. Va tuttavia rilevato che anche l’incertezza ricollegabile alla notevole volatibilità dei prezzi, che ha caratterizzato la dinamica negli ultimi anni, ha avuto un peso determinante. L’andamento sfavorevole dei prezzi registrato nel 2008 e 2009 appare, infatti, come la causa principale della contrazione produttiva prevista per il 2009, nell’Ue nonostante l’aumento delle quote avvenuto nel corso dell’anno. Sulla base dei dati definitivi concernenti il quinquennio 2003-’08 si desume che nell’Ue a 25, a fronte di una contrazione del patrimonio vacche di 1,5 milioni di capi (da 24 a 22,5 milioni) le consegne di latte nel quinquennio sono leggermente aumentate (da 131,4 a 132,1 milioni di t, pari a +0,6%). D’altra parte si deve rimarcare che negli anni 2006 e 2007 le consegne di latte erano inferiori al livello registrato nel 2003; solo nel 2008 esse hanno evidenziato un incremento significativo (dell’1,3%) sull’anno precedente. Questo incremento è stato determinato dall’impennata del prezzo del latte alla stalla registrata nel 2007 e all’inizio del 2008. Data la lunghezza del ciclo produttivo occorre infatti ammettere uno scarto temporale di almeno 12 mesi tra variazioni di prezzo e adattamento dell’offerta2. Se si disaggrega il dato tra vecchia Ue a 15 e nuovi Stati membri si osserva che nella prima area anche le consegne del 2008 restano inferiori dell’1% al dato del 2003 (114,9 milioni di t contro 116,1). Per contro, nei 10 Stati membri dell’Europa orientale entrati nell’Ue fino al 2004, le consegne di latte hanno registrato un balzo di quasi il 13%. Queste dinamiche produttive diversificate trovano una spiegazione nel processo di riavvicinamento fra i due blocchi di Paesi dell’Ue che ha ridotto il differenziale di prezzo del latte all’azienda: nel medio periodo, infatti, le quotazioni nei nuovi Paesi membri sono aumentate facendo registrare una variazione (35%) quasi doppia rispetto alla vecchia Europa a 15 (19%). Analizzando la dinamica delle consegne di latte dei principali partner europei (di fonte Eurostat), a conferma di quanto osservato sopra, si rileva che la massima performance produttiva è stata realizzata dalla Polonia 2 In Francia gli accordi interprofessionali prevedono che il prezzo del latte venga determinato sulla base delle quotazioni dell’anno precedente, di un determinato gruppo di prodotti. 13 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna (+24% del latte consegnato nel quinquennio): l’unico Paese del blocco orientale che appare in grado di competere con i grandi produttori della “vecchia” Europa. D’altra parte non va dimenticato che la Polonia è uno dei Paesi in cui, nell’ultimo quinquennio, le quotazioni del latte all’azienda hanno registrato i maggiori incrementi. Tra i principali Paesi produttori della “vecchia Europa”, solo Francia, Olanda, e Danimarca nel medio periodo, evidenziano dinamiche positive con incrementi ridotti ma significativi delle consegne di latte (+3%, +2,2% e +1,1% rispettivamente); il principale produttore dell’Ue - la Germania - registra un incremento lieve (+0,5%) che gli consente comunque di mantenere invariata al 20,8% la propria quota di latte consegnato. Gli altri principali partner della vecchia Europa, nel medio termine, hanno subito flessioni che risultano più accentuate nel Regno Unito (-8,3%), in Italia (-5,2%) e in Irlanda (-3,8%) rispetto a quella registrata in Spagna (-1,1%). Evoluzione della produzione di trasformati del latte Nel medio termine nell’Ue si osservano dinamiche produttive assai diversificate per i principali derivati del latte: a fronte di un incremento per il formaggio e di una sostanziale stabilità della produzione di latte alimentare e della polvere di latte intero (con una crescita nell’ultimo biennio), si rilevano flessioni che risultano accentuate per il latte scremato in polvere e più contenute per il burro (stabile nell’ultimo biennio). L’offerta di burro L’offerta mondiale di burro, nel 2007, ha sfiorato i 9,5 milioni di t; negli ultimi anni essa è cresciuta rapidamente, trainata soprattutto dall’India (primo Paese produttore) e dagli Stati Uniti (che si collocano al 3° posto, dopo l’Ue). La Nuova Zelanda - 4° produttore mondiale - presenta, invece, un’offerta che oscilla da un anno all’altro del 5% attorno ad una media di 400 mila t. Analizzando più dettagliatamente la dinamica della produzione di burro nella Ue si osserva, nel medio periodo, una flessione del 6% che si è, tuttavia, arrestata nel biennio 2007-’08, allorquando la quantità prodotta nelle latterie si è stabilizzata intorno a 1.890.000 t. La contrazione produttiva, nel quinquennio 2003-’08, è risultata più accentuata nei nuovi Paesi membri (-11%) rispetto alla vecchia Ue-15, ove la flessione è stata 14 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna contenuta al 5%. Tra i nuovi membri (che detengono complessivamente una quota assai modesta pari al 14% della produzione comunitaria di burro), la Polonia, terzo produttore dell’Ue (con 174 mila t nel 2008), risulta in controtendenza, segnando un incremento del 4%, nel medio termine. Tra i principali competitor della vecchia Europa, soltanto Olanda e Germania hanno realizzato, nel medio termine incrementi significativi della produzione di burro (del 13% e 3% rispettivamente). Gli altri grandi produttori, per contro, hanno subito flessioni abbastanza consistenti che vanno dal -10%, -11% di Italia e Irlanda, al -15% del Regno Unito (Figura 1). La Francia, 2° Paese produttore europeo dopo la Germania, ha contenuto la flessione sotto il 2%. Si deve rimarcare, tuttavia, l’evoluzione positiva, nel biennio 2007-’08, registrata nei due principali competitor che hanno ormai superato il 47% dell’offerta totale comunitaria di burro. L’offerta di formaggi L’offerta mondiale di formaggi risulta anch’essa in crescita, ma ad un tasso notevolmente inferiore rispetto al burro; tale crescita è trainata anzitutto dalle due principali aree di produzione – Ue e soprattutto Stati Uniti – che detengono quote produttive rispettivamente di Figura 1 Dinamica della produzione di burro nei principali Paesi UE dal 2003 al 2008 (000 t) Fonte: Eurostat oltre un terzo e quasi un quinto del totale mondo. Molto più elevato risulta il tasso di crescita dell’offerta di formaggi negli altri tre Paesi produttori che seguono nella graduatoria decrescente (Brasile, Argentina e Russia). Per quanto concerne l’Unione europea è possibile effettuare un’analisi 15 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna di medio periodo limitatamente alla “vecchia” Ue-15, ove si concentra, però, l’86% della produzione comunitaria di formaggi (per alcuni dei nuovi Paesi membri non sono disponibili dati anteriori al 2005). Nel quinquennio 2003-08 l’offerta di formaggi nell’Ue-15 è aumentata di oltre il 7%: nell’ambito dei tre maggiori produttori – Germania, Francia e Italia – solo il primo Paese evidenzia una crescita superiore alla media Ue, mentre l’Italia, con un incremento del 6%, si colloca leggermente al di sotto. Tra i principali Paesi produttori dell’Europa occidentale, anche Olanda, Regno Unito e soprattutto Irlanda evidenziano alti tassi di crescita. Per contro, l’offerta di formaggi risulta in flessione in Spagna e Svezia, in Austria e Danimarca appare stazionaria. Tra i nuovi membri dell’Europa orientale emergono alcuni Paesi con alti tassi di crescita dell’offerta tra cui: Polonia (che è il 5° maggior produttore dell’Ue-27) e Lituania. Offerta di latte in polvere Per quanto concerne la polvere di latte si osserva anzitutto che l’offerta mondiale, nel 2007, ammontava a 8,8 milioni di t, di cui poco più della metà (50,6%) ottenuta da latte scremato ed il rimanente 49,4% da latte intero. Il principale Paese produttore di polvere di latte intero è la Cina, con un’offerta in forte crescita che, nel 2007 ha superato il 26% del totale mondo. Dopo l’Ue – che si colloca al 2° posto - gli altri comprimari sono: Nuova Zelanda (con un’offerta stazionaria) e Brasile che, nel medio termine, presenta un’evoluzione molto positiva. A livello comunitario nello stesso anno 2007 la produzione complessiva di polvere di latte ha superato il quantitativo di 1,8 milioni di t, con uno scarto maggiore tra le due commodities (54,2% ottenuta da latte scremato e 45,8% da latte intero) rispetto a quello osservato sul totale mondiale. Le diverse dinamiche evidenziate nel corso del 2008 dall’offerta di queste commodities (decrescente per la polvere magra e crescente per quella di latte intero) hanno però ridotto lo scarto tra l’offerta delle due categorie merceologiche. L’area principale per la produzione di latte scremato in polvere, a livello mondiale, è rappresentata dall’Ue (con oltre un quinto del totale mondo) seguita da USA e India (con produzioni in forte crescita) e dalla Nuova Zelanda. I principali Paesi produttori di latte scremato in polvere nell’Unione Europea Poiché la produzione di burro è strettamente correlata a quella di polvere 16 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna magra di latte conviene prendere in esame le dinamiche produttive di quest’ultima commodity nei Paesi dell’Ue. Nel medio termine si rileva una forte flessione dell’offerta comunitaria (-27%); analizzando la serie annuale dal 2003 al 2008 si osserva un andamento ciclico con una fase decrescente fino al 2006, seguita da una rapida ripresa nel 2007 e da un’ulteriore flessione nel 2008. Si deve considerare, infatti, che il latte scremato in polvere è una commodity la cui offerta risulta molto influenzata dall’andamento del mercato internazionale. I maggiori produttori europei sono Francia, Germania e Polonia che, nel 2008, controllavano quasi i due terzi dell’offerta comunitaria di questa commodity; tra questi Paesi la Francia, nel medio termine, ha registrato una lieve crescita produttiva che le ha consentito di superare la Germania (la cui produzione è calata del 30%) nella graduatoria dei Paesi membri dell’Ue. In sintesi si osserva che le due graduatorie dei principali Paesi produttori di burro e di polvere magra di latte, tranne qualche scambio di posizione, sono simili. Per quanto concerne le prime sette posizioni, entrambe comprendono i sei Paesi seguenti: Germania, Francia, Polonia, Olanda, Irlanda e Regno Unito. Gli unici Paesi che compaiono in una sola graduatoria sono, da un lato, l’Italia, che non produce latte in polvere e dall’altro, il Belgio, che occupa il 4° posto per questa commodity pur producendo solo una modestissima quantità di burro3. Non soltanto i livelli produttivi ma anche le loro dinamiche di medio termine confermano l’esistenza di una stretta correlazione tra i due derivati del latte. In ben 8 Paesi membri dell’Ue-15 si osserva infatti una concordanza (stesso segno) tra le variazioni (anche se di diversa intensità) dell’offerta di polvere magra e di burro. Dinamica dei prezzi internazionali e delle giacenze comunitarie Il prezzo del burro, così come avviene in generale per le commodities agroalimentari, subisce un’influenza diretta degli equilibri che si formano sul mercato globale, con rapidi adeguamenti alle nuove situazioni che si vengono a determinare. 3 Una simile correlazione anche se meno stretta si osserva anche a livello mondiale; in particolare per Ue, USA e India. Vale la pena di annotare la situazione della Cina che pur detenendo la quarta posizione per la produzione del latte, non appare tra le prime 11 nazioni produttrici, di burro, formaggio e polvere magra di latte; essa però si colloca in testa alla graduatoria della produzione mondiale di latte intero in polvere. 17 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Generalmente per osservare l’andamento delle quotazioni internazionali dei prodotti lattiero-caseari si fa riferimento al mercato della Nuova Zelanda che è uno dei principali Paesi esportatori di questi prodotti. L’evoluzione del prezzo internazionale del burro, ha registrato, una prima fase di crescita - dal 2002 a metà del 2005 - seguita da un’accentuata discesa nell’anno successivo. A partire dal 4° trimestre 2006, sotto la spinta di una domanda sostenuta, è iniziata una nuova ed accentuata fase ascendente che, dopo 12 mesi ha portato le quotazioni internazionali del burro oltre i 4000 dollari/t. A partire dall’ottobre 2007 il suddetto prezzo ha subito una repentina flessione che è proseguita fino al febbraio 2009 (Figura 2). Il meccanismo dei prezzi garantiti, combinato con il sistema delle quote produttive, aveva garantito fino al 2004 una notevole stabilità dei prezzi nel settore lattiero. La progressiva riduzione dell’intervento comunitario negli ultimi anni ha esposto il mercato europeo agli effetti di una liberalizzazione sempre più spinta che ha determinato una progressiva convergenza delle quotazioni europee verso i prezzi internazionali. Poiché l’Ue, assieme alla Nuova Zelanda, rappresenta una delle principali aree strutturalmente eccedentarie, non si può prescindere dell’evoluzione delle giacenze comunitarie di “commodities” lattiero-casearie per valutare lo stato di salute del settore. Figura 2 Prezzi Fob Nuova Zelanda dei principali prodotti lattiero-caseari. Fonte: Elaborazione Osservatorio Latte su dati FAS-USDA Le variazioni delle scorte generalmente influenzano rapidamente le quotazioni delle commodities determinando su queste variazioni di segno opposto. Le giacenze di burro nell’Ue e particolarmente quelle private presentano 18 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna una spiccata stagionalità, con valori minimi nel primo trimestre e valori massimi nei mesi centrali dell’anno. I valori minimi sono diminuiti dal 2004 al 2008: le scorte pubbliche, che dal 2004 al 2006 superavano quelle private, si sono drasticamente ridotte fino a scomparire a metà del 2007 per ricomparire all’inizio del 2009. Nel corso del 2008 le scorte private, invece, hanno evidenziato un andamento stagionale anomalo, con un primo picco a marzo, seguito da un azzeramento e quindi da un secondo picco molto alto ad agosto (Figura 3). Si deve ricordare che gli acquisti all’intervento devono essere considerati come misure connesse a situazioni contingenti di pesantezza del mercato; l’Ue infatti ha manifestato un orientamento sfavorevole nei confronti di misure permanenti di sostegno dei prezzi. Tendenze dei consumi e del grado di autoapprovvigionamento di burro nei principali Paesi produttori dell’Ue I consumi apparenti di prodotti lattiero-caseari nell’Ue mostrano tendenze analoghe a quelle osservate per i flussi produttivi: si tratta di dati medi che scontano, da un lato un più basso livello dei consumi nei Paesi dell’Europa orientale e dall’altro una più lenta crescita, se non addiritturaun regresso per taluni prodotti, nell’Europa occidentale. Figura 3 Giacenze di burro e di latte scremato in polvere nella UE dal 2000 al 2009 (000 t). Fonte: Elaborazione Osservatorio Latte su dati Commissione Europea. 19 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna A fronte di una dinamica crescente osservata per i formaggi (+6% nel periodo 2003-08), il cui consumo medio ha raggiunto i 17,7 Kg “procapite”, il latte scremato in polvere evidenzia una domanda in forte regresso (-22%) dovuta anche alla crisi dell’allevamento del vitello a carne bianca (Tabella1). Tabella 1 Consumo apparente di prodotti lattiero-caseari nella UE, nel 2007 e 2008 (.000 t) 2007 2008 var. % kg pro-capite 2008 Burro 1930 1910 -1,0 3,9 Formaggio 8710 8750 0,5 17,7 Latte scremato in polvere 850 770 -9,4 Fonte: Elaborazioni Osservatorio Latte su dati Eurostat e ZMP. Per quanto concerne il burro, invece, si riscontra una sostanziale stagnazione del consumo medio per abitante che, nella Ue, nel 2008, si aggira intorno ai 4 Kg. Le statistiche di fonte Eurostat risultano incomplete e, per quanto concerne il bilancio di auto-approvvigionamento del burro, consentono di analizzare le dinamiche dei flussi soltanto nei principali Paesi produttori della vecchia Ue. Nel periodo 2000-2005 quasi tutti i suddetti Paesi evidenziano contrazioni più o meno accentuate dei consumi apparenti con l’eccezione del Regno Unito che registra, nel quinquennio considerato, una lieve crescita (Figura 4). Figura 4 Evoluzione dei consumi pro-capite di burro in alcuni Paesi Ue dal 2000 al 2005. Fonte: Eurostat (il dato iniziale dell’Olanda è riferito al 1999). 20 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Nonostante la diminuzione di 1 kg dei consumi “pro-capite” (da 8,7 a 7,7 kg osservata nel medio periodo), i francesi rimangono i maggiori utilizzatori di burro nella vecchia Ue, seguiti da tedeschi (6,4 kg) e olandesi (5,5 kg nel 2005 con una domanda in forte flessione). Irlanda e Italia, nel 2005, registravano livelli simili dei consumi apparenti (2,8 Kg “pro-capite”) e inferiori al dato osservato nel Regno Unito (3,3 kg); a differenza dell’Irlanda, ove la domanda di burro risulta in netto calo, l’Italia registra una tendenziale stagnazione. Le dinamiche produttive e dei consumi determinano l’evoluzione del grado di auto- approvvigionamento del burro che, nello stesso quinquennio 2000-’05, è aumentato nella maggior parte dei Paesi produttori della “vecchia Ue”. Tali incrementi hanno riguardato principalmente i due Paesi strutturalmente eccedentari (Irlanda e Olanda), ma anche Germania e Francia hanno migliorato l’indice; per contro, Regno Unito e Italia hanno registrato un arretramento del tasso percentuale di autoapprovvigionamento del prodotto in esame. Gli scambi di prodotti lattiero-caseari dell’Unione europea con i Paesi terzi Negli scambi internazionali di burro l’Ue-27 occupa il secondo posto nelle graduatorie sia dei principali esportatori (preceduta dalla Nuova Zelanda e seguita dagli Stati Uniti), sia degli importatori (preceduta dalla Russia): da ciò si deduce che l’Ue pur risultando nettamente eccedentaria è coinvolta anche in un commercio di tipo orizzontale di questa commodity. I successivi allargamenti dell’Ue consentono un confronto omogeneo limitatamente al biennio 2007-’08. I dati analizzati permettono di affermare che l’Ue rimane un’area strutturalmente eccedentaria sul mercato internazionale, nonostante la riduzione del saldo (export-import) rilevata nel 2008 per tutti i derivati del latte ad eccezione della polvere di latte intero. Si deve annotare, infatti, che a causa della crisi economica globale da un lato, e della scarsa competitività dei prodotti europei dall’altro nel 2008, le esportazioni di prodotti lattiero-caseari dell’Ue hanno subito un sensibile regresso. Tra i derivati del latte il burro, con un calo del 30% dei volumi esportati, è il prodotto che ha manifestato la maggiore debolezza (Figura 5). 21 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Figura 5 Saldo (export-import) del 2007 e 2008, riguardante lo scambio dei principali prodotti lattierocaseari della UE con i paesi terzi (000 t). Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat e ZMP. Il lieve incremento delle consegne di latte del 2008 è stato destinato, infatti, alla produzione di polvere di latte intero che è stata esportata in gran parte nei Paesi terzi: le esportazioni di questo prodotto, nel 2008, sono cresciute del 32% ed hanno compensato la forte riduzione dell’export di burro. Occorre inoltre ricordare che nel 2° semestre 2007 e per tutto il 2008 le esportazioni di burro non hanno beneficiato delle restituzioni comunitarie, che sono state ripristinate (anche se in misura ridotta) solo nel 2009. La situazione del mercato nazionale del burro Evoluzione della produzione e degli scambi con l’estero In Italia dal 2005 si rileva una continua flessione della produzione di burro che è scesa da 124.100 a 110.200 t nel 2008. Parallelamente si è assistito ad una crescita continua della produzione di crema da consumo (da 121.900 a 148.600 t). Tale dinamica trova una parziale giustificazione nella evoluzione sfavorevole del prezzo (relativo) all’origine del burro rispetto a quello della crema; tale andamento negativo si è accentuato nel corso del 2008 ed è proseguito anche nella prima metà del 2009. Per quanto concerne l’evoluzione della struttura industriale negli ultimi 25 anni, in Italia, si osserva una forte contrazione delle piccole unità 22 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna produttive (nel 2007 ne erano rimaste 632) ed una sostanziale stabilità delle medio-grandi (che erano 112 nel 2007); queste ultime controllano ormai quasi il 90% della produzione nazionale di burro. L’Italia è un Paese strutturalmente deficitario per i grassi del latte; il saldo normalizzato del nostro commercio estero di burro è nettamente peggiorato nel periodo 2005/2008. Ciò è avvenuto nonostante il consumo sia leggermente calato (da 2,8 a 2,6 kg pro-capite). Le dinamiche della produzione e dei consumi hanno determinato come effetto congiunto una riduzione di tre punti del tasso di autoapprovvigionamento dell’Italia che, dal 2005 al 2008, è sceso dal 75 al 72% (Tabella 2). I nostri principali fornitori sono Benelux, Francia, Germania e Regno Unito (da cui importiamo soprattutto burro anidro) (Figura 6). Nell’ultimo decennio la ragione di scambio si è determinata progressivamente, infatti il prezzo all’importazione dal 2000 risulta sistematicamente superiore a quello di esportazione (Figura 7); il prodotto nord-europeo è infatti generalmente considerato di qualità superiore a quello italiano (ottenuto come prodotto congiunto della produzione di formaggi). Tabella 2 Evoluzione dei consumi pro-capite, del tasso di auto approvvigionamento e saldo normalizzato in Italia per i principali prodotti lattiero-caseari. (Fonte: Nostre elaborazioni su dati Istat) Media 2007-08 Differenza Media 2004-05 Media 2007-08 Differenza Media 2004-05 -1,7 86,3 87,8 1,5 -98,6 -97,1 1,5 Formaggi 21,2 21,4 0,2 83,5 83,3 -0,2 -3,2 -2,0 1,2 Media 2007-08 Latte alimentare 57,4 55,7 Media 2004-05 Differenza Consumi pro-capite (kg) Tasso di autoapprov. (%) Saldo normalizzato (%) Yogurt 7,0 8,4 1,4 64,3 61,3 -3,0 -92,8 -90,5 2,3 Burro 2,8 2,6 -0,2 74,9 71,9 -3,0 -54,7 -72,3 -17,6 23 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Figura 6 Saldo tra export ed import con i principali fornitori di burro dell’Italia nel 2008 - (t) Fonte: nostre elaborazioni su dati INEA. Figura 7 Evoluzione dei prezzi di import ed export del burro dell’Italia. Fonte: nostre elaborazioni su dati INEA. Dinamica dei consumi alimentari Le recenti tendenze dei consumi alimentari degli italiani hanno risentito degli effetti prodotti, da un lato dalla crisi economica e dall’altro dalla impennata dei prezzi. L’insieme di queste condizioni ha determinato negli anni 2006-2008 una contrazione della spesa reale delle famiglie per alimenti e bevande che è risultata più accentuata nel 2008, allorquando l’aumento dei prezzi di questi beni (5,5%) è andato ben oltre il livello generale di inflazione (3,3%). Un indicatore che riflette la riduzione del potere di acquisto dei consumatori è rappresentato dalla quota di spesa nominale destinata all’alimentazione 24 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna che, nel 2008, è leggermente risalita (al 19,1% rispetto al 18,8% dell’anno precedente). La composizione della spesa alimentare degli italiani da alcuni anni sembra essersi ormai stabilizzata per quanto concerne le voci principali considerate dalla Contabilità Nazionale: carne (22,6%), frutta e ortaggi (18%), latte formaggi e uova (13,5%), zucchero, caffè, cacao ecc. (9,8%) e bevande (9,1%). Cresce, invece, la quota di spesa per pane e cereali che, nel 2008, a causa soprattutto del forte aumento dei prezzi, ha raggiunto il 14,6%, mentre calano quelle per il pesce (8,5%) e per gli oli e grassi (3,7%). Gli acquisti domestici di burro Sulla base dei dati Ismea-AC Nielsen si può delineare un quadro sintetico delle tendenze degli acquisti domestici dei prodotti lattiero-caseari, sia in quantità che in valore. In particolare nel 2008 gli acquisti domestici di burro hanno raggiunto le 39.469 tonnellate superando il dato del 2006, dopo la forte flessione registrata nel 2007. L’incremento in valore degli acquisti 2008 sull’anno precedente (13,7%) è nettamente superiore a quello registrato in termini quantitativi (4,1%); esso risente, infatti, del forte aumento del prezzo al dettaglio del burro rilevato nell’anno in esame (9,3%). Il grado di penetrazione del prodotto nell’universo delle famiglie italiane, pur mostrando un regresso rimane, tuttavia, abbastanza elevato (81,1% nel 2008) ma con forti differenziazioni sul territorio nazionale. Esso tende, infatti, a ridursi significativamente man mano che dal nord-ovest (86,2%) si scende alle regioni meridionali (72,1%), ove i consumatori preferiscono prodotti sostitutivi di origine vegetale (Tabella 3). Tabella 3 Indici di penetrazione del burro in Italia – 2008. Ripartizione geografica Indice di penetrazione % Nord-ovest 86,2 Nord-est 84,7 Centro 83,2 Sud 72,1 Italia 81,1 Fonte: Ismea-AC Nielsen. 25 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna I canali distributivi del burro In riferimento alla distribuzione si deve ricordare anzitutto che i dati sulle vendite al dettaglio, rilevati da AC Nielsen escludono alcuni punti vendita tradizionali come il commercio ambulante e gli spacci aziendali che per taluni derivati del latte hanno un ruolo non trascurabile. Ciò spiega, in parte, la differenza che si riscontra tra vendita al dettaglio e consumi delle famiglie analizzati nel paragrafo precedente. Le vendite al dettaglio di burro nel 2008 sono scese di poco sotto le 45 mila tonnellate registrando una contrazione del 13,6% rispetto al 2007, per un controvalore di 300 milioni di euro (-10,7%). Le vendite in quantità rilevate da AC Nielsen rappresentano, perciò, quasi il 30% dei consumi apparenti4 (154 mila t) desunti dal bilancio di approvvigionamento di questo prodotto per l’anno 2008. Riguardo alla tipologia dei punti vendita, il burro è indubbiamente un prodotto che privilegia i canali moderni: la quota dei super+ipermercati nel 2008 è del 62%, superiore a quella rilevata sul totale del mercato lattiero-caseario (58%) (Figura 8). La tipologia super+ipermercati nel 2008 ha però segnato un regresso in favore dei negozi tradizionali e soprattutto dei discount; questi ultimi infatti con la loro politica di bassi prezzi sono riusciti ad attrarre un numero crescente di famiglie colpite dalla crisi economica. L’andamento delle vendite nei diversi canali distributivi dipende, infatti, in misura rilevante dalle loro strategie di prezzo: queste presentano un’accentuata variabilità, che è influenzata anche dalle diverse strategie adottate dalle imprese industriali. Analizzando i prezzi impliciti del burro nel 2008 (ottenuti dal rapporto valore/quantità vendute) per tipologia di punto vendita, si nota infatti che essi variano tra il minimo praticato nei discount di 4,60 euro/kg ed il livello massimo dei negozi tradizionali di 8,10 (media Italia: 6,66 euro/ Kg). Per quanto concerne le variazioni 2008/2007, inoltre, gli incrementi maggiori hanno interessato sia il canale distributivo più importante (super+ipermercati) che le superette, mentre nei discount i valori unitari sono leggermente diminuiti. I prezzi impliciti debbono essere utilizzati, 4 I consumi apparenti includono sia la componente domestica ed extradomestica sia i reimpieghi, nonché gli scarti di lavorazione; essi vengono ottenuti dalla somma algebrica dei seguenti aggregati: produzione, saldo import-export e variazione delle scorte. 26 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna tuttavia, nella consapevolezza che essi possono riflettere aggregati molto eterogenei sotto il profilo qualitativo. Figura 8 Distribuzione % delle vendite al dettaglio del burro (a) e dei prodotti lattiero-caseari (b) nel 2008 in Italia per tipo di punto vendita. (a) (b) Fonte: Elaborazioni Osservatorio Latte su dati AC Nielsen. In Italia il burro viene consumato in prevalenza come ingrediente e/o condimento e solo in minima parte come alimento. Ciò non incoraggia le imprese produttrici ad introdurre vere e proprie innovazioni di prodotto che troverebbero modesti sbocchi sul mercato interno. E’ pur vero che alcune imprese hanno cercato di differenziare il burro lanciando prodotti a basso contenuto di grassi e colesterolo, aromatizzati, o salati, il cui consumo, nonostante i recenti segnali positivi, rimane del tutto marginale. Questi prodotti differenziati non sembrano in grado di modificare il trend negativo delle vendite di burro riconducibile essenzialmente al mutamento degli stili di vita e dei modelli alimentari, sempre più improntati ad aspetti “salutistici”. Il trend negativo delle vendite condiziona le scelte delle grandi imprese lattiero-casearie che non puntano sul burro come prodotto strategico e che 27 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna quindi perdono quote di mercato in favore delle medie imprese che sono in grado di rapportarsi alla GDO. La struttura di mercato del prodotto in esame appare, infatti, poco concentrata; la quota delle prime quattro imprese produttive raggiunge appena il 26% e tende a diminuire. Tutto ciò ha dato spazio alle iniziative della distribuzione moderna che si manifestano soprattutto nella crescita delle marche commerciali, che per il burro raggiungono il livello massimo riscontrato trai prodotti lattierocaseari. Quote di mercato delle marche commerciali Nel mercato italiano del burro il ruolo delle marche commerciali (o marche dei distributori) è notevolmente cresciuto guadagnando oltre il 6% in 4 anni: sulla base di elaborazioni SMEA su dati IRI Infoscan esse, nel 2008, hanno raggiunto quasi un terzo delle vendite, sia per il burro classico, che per quelli alleggeriti o aromatizzati; per il burro salato il peso delle “private label” scende, invece, al 10%. Nel segmento nettamente prevalente del burro classico la struttura produttiva risulta poco concentrata e le marche commerciali nel loro complesso sono leader nel mercato al dettaglio. Nei segmenti marginali la concentrazione della struttura industriale è molto più elevata; è utile soffermare l’attenzione, in particolare, sulla categoria dei burri alleggeriti o aromatizzati nella quale è cessata la leadership delle marche commerciali nel 2008, quando la loro quota di mercato è scesa del 5% in favore di marche industriali. A livello territoriale si osserva una notevole variabilità nella diffusione delle “private-label”: le quote maggiori si riscontrano nel Centro (40%) e nel Nord-est (32), mentre nelle rimanenti aree geografiche scendono al 27%. Evoluzione dei margini distributivi Il prezzo alla produzione del burro ha mostrato, a partire dal 2002, una lunga fase discendente con un progressivo deterioramento che si è consolidato con la riforma di medio termine della PAC e la conseguente riduzione progressiva del prezzo di intervento. Questa fase si è esaurita nel secondo trimestre del 2007, quando si è verificata un’impennata delle quotazioni, trascinate dalla crescita della domanda mondiale e dalla scarsa disponibilità di prodotto (evidenziata dalla riduzione delle scorte). La media del prezzo alla produzione è salita in un anno del 35,5% passando da 1,72 euro/Kg del 2006 a 2,33 del 2007. A partire dall’autunno del 2007 è iniziata una nuova fase 28 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna discendente che ha riportato la quotazione media nel 2008 a 1,76 euro/ Kg (-24,5% rispetto all’anno precedente) (Tabella 4). Per quanto concerne il prezzo al consumo, invece, si osserva un andamento sostanzialmente stazionario fino a metà del 2007; nella seconda metà dell’anno è iniziata una fase crescente proseguita fino al febbraio 2008. Dalla primavera successiva si registra un andamento decrescente. Il punto di svolta superiore del ciclo delle quotazioni alla produzione ha anticipato, perciò, di circa quattro mesi quello del prezzo al dettaglio; quest’ultimo però presenta variazioni di minore intensità e in taluni casi di segno opposto: +5,8% dal 2006 al 2007 e +9,3% nell’anno successivo. Tabella 4 Dinamica prezzi al dettaglio e alla produzione del burro. Al Dettaglio Anni 2005 2006 2007 2008 2009 (*) 2009/2008(*) 2008/2005 Alla Produzione Euro/kg Var.% Euro/kg Var.% 6,00 6,01 6,36 6,97 6,89 0,20 5,80 9,30 1,97 1,72 2,33 1,76 1,46 -12,70 35,50 -24,50 - 16,2 -10,7 (*) primo semestre. Fonte: nostre elaborazioni su dati Ismea e AC Nielsen. Prescindendo dagli effetti destabilizzanti (soprattutto per i produttori) provocati dall’alternanza di fasi di crescita impetuosa e di caduta repentina dei listini, il risultato dell’intero processo di aggiustamento avvenuto nel triennio 2005-2008, appare molto negativo, in quanto ha ulteriormente dilatato i margini distributivi. Infatti, a fronte di una flessione delle quotazioni all’origine (-10,7%) si è registrato un rilevante incremento dei prezzi al consumo (+16,2%). Vale la pena di ricordare che l’aumento, parzialmente ingiustificato, dei margini distributivi rilevato nel corso del 2008 ha richiamato l’attenzione del Garante per la sorveglianza dei prezzi che, nell’ambito delle azioni tese a calmierare il costo della vita, ha sollecitato le parti interessate a trasferire più velocemente sui prezzi al dettaglio, i consistenti ribassi subiti, nel corso dell’anno, dai listini alla produzione. 29 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna Il posizionamento del burro e la Grande Distribuzione Organizzata Il burro appartiene ai condimenti solidi affermato nella gastronomia italiana sia come tale che come ingrediente di numerose ricette. Da tempo sconta un decadimento della propria immagine nutrizionale in relazione alla natura di grasso animale e alla tendenza a limitare il contenuto calorico dei cibi. Il basso consumo per famiglia ne implica anche una ridotta frequenza d’acquisto (5-10 atti di acquisto). Ciò contribuisce a rafforzare la percezione di prodotto “stantio” per la lunga permanenza in frigorifero dove per la sua natura chimica, tende ad irrancidire e ad adsorbire gli odori di volta in volta presenti (aglio, cipolla, frutta, ecc.). Il consumo come alimento “freddo e crudo” non è diffuso in Italia al contrario dei Paesi del Nord Europa e di quelli della UE allargata. Non si vede poi come tale divario nelle tipologie di consumo possa essere recuperato anche attraverso proposte di cross-selling (burro+marmellata, burro+fette biscottate) per il diffondersi di abitudini alimentari che vedono la prima colazione perdere sempre più importanza. Le ragioni principali di tale tendenza sono molteplici: - tendenza a posticipare gli orari di riposo notturno, - minore senso di appetito al risveglio (fattore fisiologico), - tempi ristretti per raggiungere scuola e posto di lavoro, inoltre, oltre il 20% della popolazione considera la colazione un pasto minore che può essere “saltato”. La percentuale di popolazione abituata ad una colazione corretta oscilla intorno al 30%. Si diffonde la tendenza ad assumere una colazione sbrigativa (caffè , cappuccino ecc.) fuori casa e come occasione conviviale. Una migliore percezione di questo pasto, da ottenere con un’appropriata informazione-comunicazione, gioverebbe anche alle occasioni di consumo del burro tenendo conto che una colazione regolare e corretta basata sui cardini: gusto-naturalità-salute è dimostrato garantisca migliori prestazioni fisiche e cognitive nello studio e sul lavoro inoltre nel mediolungo termine, assicura la prevenzione di malattie metaboliche e facilita il controllo del peso. La colazione dovrebbe, secondo studi Inran (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), apportare dal 15 al 20% del fabbisogno calorico giornaliero. Spesso un fattore importante è la monotonia di questo 30 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna pasto che ne limita la possibilità di essere un appuntamento regolare col cibo. Per questo gli “spalmabili” potrebbero essere un fattore di gusto in grado di coinvolgere anche il burro nelle sue forme aromatizzate. Riguardo alla GDO il burro entra nell’assortimento dei condimenti strettamente collegato agli altri prodotti lattiero-caseari. Essa copre ormai oltre il 90% degli acquisti domestici; se si fa riferimento a super+iper la quota è prossima ai due terzi. La GDO ha da tempo inserito il burro nell’assortimento della Private Labels con lo scopo di rafforzare il ruolo strategico delle medesime nel posizionamento d’insegna. Nelle Private Labels il burro copre il 30% circa, delle vendite. Le innovazioni di prodotto sono per lo più focalizzate sulla grammaturaconfezionamento, sul contenuto in grassi e colesterolo e sulle specialità quali burro salato o aromatizzato con erbe. Riguardo alla grammatura il 63% delle vendite è concentrato sui panetti da 250 gr mentre il 125 gr è intorno al 15%. Rimangono statici (8%) i consumi di porzioni monodose da 10 gr confezionate in blister da 20 pezzi, come pure quelli delle porzioni da 1 kg che pure sono presenti specie nelle grandi superfici di vendita. Riguardo al packaging taluni produttori propongono la confezione in vaschette di poliuretano, che oltre a garantire una migliore conservazione in frigorifero, nel caso di consumo crudo agevolano la formazione dei “riccioli” di burro. Un discorso a parte meritano le posizioni dei burri speciali: “alleggeriti” o “aromatizzati”. I primi faticano ad affermarsi nonostante la presenza ultradecennale sia per la scarsa attività promozionale resa problematica dal rapporto fra costi di advertising a margine sui prodotti, sia per la qualità percepita che raramente risulta attrattiva. Per questi fattori il tema salutistico è difficilmente sfruttabile sia a livello di industria che di GDO. E’ da segnalare, come completamento di linea, anche la comparsa di burro prodotto con creme da produzione biologica, anche nelle Privale Labels. Considerazioni finali Nel mercato italiano del burro operano imprese di trasformazione assai diversificate: un ruolo importante è svolto dalle cooperative che producono 31 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna formaggio Grana, o da burrifici che acquistano la materia prima presso i caseifici (specialmente nel comprensorio del Parmigiano-Reggiano) per i quali il burro rappresenta un prodotto congiunto. In questo settore operano anche grandi imprese lattiero-casearie per le quali il prodotto in esame ha un’incidenza sul fatturato assai modesta. All’interno di queste grandi imprese la produzione di burro generalmente non assume un ruolo strategico, ma viene considerata solo in termini di completamento della gamma dei prodotti offerti dall’azienda. Esistono, tuttavia, anche alcune imprese focalizzate sul prodotto in esame che, al fine di aumentare il grado di utilizzazione dei loro impianti, spesso producono anche per conto terzi. In una situazione di crisi economica caratterizzata da una contrazione del reddito disponibile, la leva del prezzo ha assunto un ruolo determinante nella scelta dei consumatori: ciò ha comportato una erosione dei profitti delle imprese di trasformazione che hanno reagito attuando una strategia di differenziazione del prodotto. Le politiche di prodotto attuate dalle imprese del settore in un’ottica di marketing hanno puntato anche (ma finora con scarso successo) alla creazione di nuove occasioni di consumo. In realtà la principale minaccia per la domanda di burro è rappresentata dal mutamento dei modelli di consumo alimentare che tendono ad orientare i consumatori verso sostituti di origine vegetale. Lo sviluppo di nuove occasioni di consumi andrebbe perseguito, però, con un continuo sviluppo di nuove nicchie di mercato individuate attraverso una più incisiva segmentazione della domanda. In una fase di maturità come quello che sta attraversando il mercato del burro, per rivitalizzare la domanda e per valorizzare il prodotto non si può prescindere dall’attività di ricerca e sviluppo di prodotti evoluti ed innovativi; le imprese italiane, anche a causa delle loro ridotte dimensioni, sembrano, tuttavia, poco inclini ad investire risorse aziendali, non solo in questa direzione, ma anche in comunicazione; ciò perché non considerano il burro come prodotto strategico per la loro crescita. L’esigenza di innovazione e promozione del marchio industriale dovrebbe spingere le imprese del settore ad ampliare la loro dimensione sia per contrastare il potere contrattuale crescente della GDO sia per cercare nuovi sbocchi sui mercati esteri. Le imprese di trasformazione infatti devono ormai competere direttamente con quelle della GDO che, attraverso il fenomeno delle marche commerciali, hanno progressivamente sottratto alle prime quote di mercato al dettaglio. 32 Andrea Brugnoli Alfonso Bonezzi, DIPROVAL, Università di Bologna L’unica eccezione è rappresentata dal segmento del burro alleggerito e aromatizzato che, nel 2008, ha visto il rilancio di alcune marche industriali. In una fase di recessione e di margini distributivi crescenti occorre, tuttavia, riconoscere che le marche commerciali hanno svolto un’azione calmieratrice sui prezzi al dettaglio. Bibliografia Barboni M. (2010) Il punto sul packaging, Largo Consumo, 2, 78-81. Fanfani R., Pieri R. (a cura di) (2010) Il sistema agroalimentare dell’EmiliaRomagna – Rapporto 2009, Maggioli Editore, Rimini. Inea (2009) Il commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari-2008, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. 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Consorzio fra Produttori e Cooperative Agricole, Reggio Emilia Siti consultati www.clal.it http://epp.eurostat.ec.europa.eu www.inran.it 33 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Alimentazione delle bovine, produzione e composizione del grasso del latte Introduzione Il grande interesse per il controllo dei fattori genetici e ambientali che condizionano la sintesi del grasso del latte deriva dal fatto che i lipidi influenzano le caratteristiche sensoriali, il valore merceologico, le rese casearie e le proprietà nutrizionali del latte. L’attenzione al problema è aumentata da quando malattie croniche come l’aterosclerosi sono state associate al consumo dei grassi saturi e, poiché il latte apporta fra il 25 e il 60% degli acidi grassi saturi assunti, il mondo medico si è allarmato. In realtà questi timori sono in gran parte ingiustificati, tenuto conto che molti degli acidi grassi contenuti nel latte sono a corta catena e questi, insieme all’acido stearico e all’oleico (contenuto in notevoli quantità), sono favorevoli sotto il profilo dietetico; il latte, inoltre, ha anche la peculiarità di contenere alcuni isomeri degli acidi grassi insaturi, i coniugati dell’acido linoleico (CLA), che svolgono documentate azioni favorevoli sulla salute dell’uomo. Il principale CLA è l’acido rumenico (C18:2; cis-9, trans-11); esso deriva dalla bio-idrogenazione dell’acido linoleico operata dalla microflora nel rumine e dalla desaturazione dell’acido vaccenico che avviene nella mammella per l’azione dell’enzima Stearoil-CoA Desaturasi (SCD). La sintesi dei grassi del latte Il 60% circa degli acidi grassi necessari alla sintesi dei trigliceridi deriva dal circolo ematico, mentre la rimanente quota è prodotta nelle cellule mammarie a partire da acetato e β-idrossibutirrato, che derivano dalla fermentazione della sostanza organica degli alimenti nel rumine. La mammella sintetizza completamente gli acidi grassi di lunghezza inferiore o uguale a 14 atomi di carbonio e il 50% circa dell’acido palmitico (16 atomi di carbonio). Il processo vede l’intervento di due enzimi essenziali: l’Acetil CoA Carbossilasi (ACC) e l’Acido Grasso Sintasi (FAS). Nella ghiandola mammaria, al contrario di ciò che avviene negli altri tessuti della bovina, l’acido palmitico non può essere allungato ad acido stearico; quest’ultimo però può essere convertito ad acido oleico per l’azione della Stearoil-CoA Desaturasi (SCD) che introduce un doppio legame in posizione cis-Δ9 della catena carboniosa; attraverso questo processo la mammella riesce a modulare la fluidità del latte. 34 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Gli acidi grassi che hanno una lunghezza di catena superiore a 16 atomi di carbonio, derivano dall’assorbimento intestinale e dalle riserve adipose: il contributo di queste ultime è interessante soprattutto nelle prime fasi della lattazione. L’apporto dei lipidi di origine alimentare è variabile e dipendente dalle caratteristiche della dieta; in generale, nelle razioni basate sull’impiego di foraggi, cereali e farine d’estrazione, i lipidi sono rappresentati in quantità comprese entro il 3-3,5% della sostanza secca, e anche quando si aggiungono alimenti ricchi di grassi, gli apporti si mantengono entro il 5,5- 6%. I lipidi disponibili all’assorbimento intestinale derivano anche dalla digestione dei batteri ruminali che sono in grado di sintetizzare ex-novo gli acidi grassi e hanno un ruolo fondamentale nell’idrogenare quelli insaturi presenti negli alimenti. La biosintesi mammaria dei lipidi è direttamente influenzata dagli acidi grassi disponibili. Per esempio, la presenza di acido acetico e butirrico (entrambi derivati dalle fermentazioni ruminali), comportano un’efficiente e intensa sintesi mammaria di trigliceridi; viceversa, i saturi a lunga catena, che originano dalle riserve o dagli alimenti, inibiscono le sintesi de novo degli acidi grassi a corta catena. In tal senso si comprende la difficoltà di elevare la quantità di grasso nel latte attraverso l’aggiunta di lipidi alle diete; nella maggioranza dei casi, infatti, la maggiore disponibilità di acidi grassi saturi a lunga catena, che generalmente costituiscono i grassi aggiunti alle razioni, limita l’utilizzo dell’acetato e del butirrato da parte della mammella. Queste molecole, quindi, possono essere utilizzate come fonti di energia per la sintesi di una maggiore quantità di latte. La presenza di alcuni coniugati dell’acido linoleico agisce direttamente sull’attività della FAS; in questo senso possono essere spiegate le flessioni, spesso repentine e imponenti, dei titoli lipidici del latte quando siano presenti intermedi del ciclo di bio-idrogenazione ruminale dei grassi insaturi. Il punto di fusione del grasso Il punto di fusione del grasso del latte, mediamente compreso tra 32 e i 39°C, varia notevolmente in funzione dell’alimentazione ed è influenzato degli acidi grassi insaturi apportati con la dieta. Da esso dipende la spalmabililità della crema e del burro. Il punto di solidificazione è compreso 35 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna tra 20 e 24°C. La variabilità dei punti di fusione e di solidificazione dipende dal fatto che il grasso del latte è una miscela di trigliceridi a diverso peso molecolare e grado d’insaturazione; il punto di fusione dei trigliceridi è, con buona approssimazione, collegato a quello dei principali acidi grassi che li compongono. L’acido palmitico e stearico innalzano il punto di fusione mentre gli acidi grassi mono e polinsaturi e quelli a corta catena lo abbassano; la mammella attraverso l’azione dell’enzima SCD riesce a modulare la fluidità riducendo la quantità di acido stearico e innalzando quella dell’oleico. In generale, si può affermare che l’impiego di lipidi insaturi nella dieta riduce il punto di fusione e di solidificazione rendendo più spalmabile il burro. Il controllo delle fermentazioni ruminali La degradazione dei glucidi e delle proteine, operata dalle popolazioni batteriche presenti nel rumine, porta alla formazione dell’acetato e del butirrato che la mammella utilizza per la sintesi degli acidi grassi a corta e media catena del latte; questi acidi grassi, peraltro, rappresentano anche una delle principali fonti di energia per l’animale. E’ noto che la sintesi di acetato è prevalente quando sono fermentati i glucidi fibrosi come la cellulosa e le emicellulose che, principalmente, sono presenti nei foraggi; il butirrato è invece prodotto dalla fermentazione delle pectine e degli zuccheri. In generale, si può affermare che tanto più rapida e intensa è la presenza e la degradazione di questi glucidi, tanto maggiore sarà la disponibilità di substrati utili alla sintesi di acidi grassi a corta catena. Perché la degradazione della fibra sia efficiente, è necessario che si creino condizioni favorevoli allo sviluppo e all’attività dei batteri cellulosolitici nel rumine. Queste popolazioni hanno un fabbisogno specifico di ammoniaca che usano come substrato azotato, e temono valori di pH inferiori a 6,2. Il pH nel rumine dipende dall’equilibrio che si realizza tra potere acidificante degli acidi grassi prodotti, rispetto al potere assorbente della mucosa ruminale e alla quantità di sostanze tampone disponibili. Numerosi fattori intervengono nel regolare questo equilibrio; in genere possiamo affermare che quando si ha una lenta produzione di acidi grassi volatili (AGV), è relativamente facile mantenere elevato il pH; nel caso in cui i glucidi apportati siano facilmente degradabili (zuccheri semplici e amidi), la liberazione di AGV è più rapida, il rischio di un loro accumulo aumenta e il pH più facilmente tende ad abbassarsi. Altri fattori 36 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna contribuiscono a mantenere relativamente costante il pH ruminale, e fra questi ricordiamo il numero dei pasti e la struttura fisica degli alimenti, foraggi in particolare. Senza volere entrare troppo nel dettaglio si ritiene opportuno ricordare che, in condizioni naturali, il ruminante dedica molto tempo all’assunzione di alimenti che avviene in molti e piccoli pasti; ciò assicura un substrato costante di fermentazione ai batteri ruminali e un regolare assorbimento di AGV da parte della mucosa. Negli allevamenti si dovrebbero mettere in atto strategie di razionamento che perseguano lo stesso obiettivo ; infatti, se l’ingestione di glucidi rapidamente fermentabili (in pratica i mangimi) avviene in pochi e abbondanti pasti (meno di 4-6 al giorno), il pH ruminale fluttua più intensamente raggiungendo valori inferiori a 5,6-5,8 per molte ore; questa condizione è sufficiente a ridurre intensamente la digestione della fibra e con essa diminuiscono le quantità di acidi grassi volatili utili alla sintesi del grasso del latte. La struttura fisica dei foraggi e la loro resistenza alla frantumazione influenza il numero di atti masticatori necessari per ingerire e ruminare gli alimenti, la quantità di saliva prodotta e i ritmi di svuotamento del rumine. Tutti questi fattori contribuiscono a influenzare i valori e la costanza del pH ruminale; in genere tanto più la struttura degli alimenti è fine, tanto più rapida è la loro ingestione e meno intense sono la masticazione e la secrezione di saliva; quest’ultima, per il suo contenuto di bicarbonato, fosfato, ed urea, è la principale sostanza tampone in grado di controllare le fluttuazioni di pH nel rumine. Si può quindi affermare che esiste una relazione diretta e positiva fra apporto di fibra fisicamente efficace (in pratica l’apporto di foraggi), induzione della masticazione, e sintesi di grasso nel latte. L’impiego di quantità più elevate di mangimi modifica i rapporti di produzione fra AGV riducendo l’acetato a favore del propionato ma, com’è stato giustamente rilevato, ciò non è generalmente sufficiente per giustificare le flessioni dei titoli di grasso che frequentemente si osservano negli allevamenti; quasi mai, infatti, la produzione di acetato è così depressa da apparire insufficiente per la normale attività di biosintesi della mammella. La giustificazione della cosiddetta “sindrome del latte magro” deve quindi trovare spiegazione in altri fattori. Nutrizione lipidica e titolo di grasso del latte La maggior parte dei lipidi presenti negli alimenti assunti dal ruminante 37 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna è sotto forma di trigliceridi insaturi e a lunga catena. Quando giungono nel rumine, i trigliceridi sono idrolizzati; il glicerolo è utilizzato come immediata fonte di energia, mentre gli acidi grassi sono rapidamente idrogenati da parte di numerosi ceppi batterici e in particolare di quelli celluloso litici. La ragione per la quale i batteri agiscono prontamente a carico dei lipidi, saturandoli, è legata al fatto che gli acidi grassi insaturi ne alterano la fluidità di membrana, distruggono le proteine di trasporto, e reagiscono con il magnesio e calcio batterico per formare dei saponi. I ceppi cellulosolitici risentono particolarmente di questa potenziale tossicità, infatti, la digeribilità della fibra si riduce di oltre il 10% quando nella dieta sono presenti elevate quantità di grassi insaturi. Il processo di bio-idrogenazione, che può essere considerato un meccanismo di difesa dei batteri, procede per tappe successive che portano alla formazione di prodotti intermedi e all’acido stearico come prodotto finale. In figura 1 viene riportato uno schema semplificato raffigurante le diverse tappe del processo che avviene a carico dell’acido linoleico. La produzione di acido rumenico (CLA - cis-9, trans-11) è attuata molto velocemente da un gruppo di batteri di cui fanno parte i butirrivibrio, i clostridi e le spirochete; la saturazione ad acido stearico (C18:0) invece avviene più lentamente, ed è operata da microorganismi non ancora completamente identificati ma meno attivi dei primi. Figura 1 Principali tappe che portano alla completa idrogenazione dei lipidi insaturi nel rumine in presenza di diverse assetti fermentativi. Il primo passaggio del processo è un’isomerizzazione che sposta uno dei doppi legami di una posizione per produrre un intermedio coniugato 38 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna necessario per la successiva tappa di saturazione. Se l’acido grasso di partenza è il linoleico, l’intermedio è definito CLA ovvero, Coniugato dell’Acido Linoleico. Molto simile è anche la sorte dell’acido linolenico e degli acidi grassi polinsaturi a lunga catena che, presentando più doppi legami, necessitano di più passaggi per essere completamente saturati. Il fatto che la trasformazione ad acido stearico dei CLA sia relativamente lenta giustifica, almeno in parte, la comparsa di questi intermedi nell’intestino. Il processo di formazione dei CLA è strettamente dipendente dalle popolazioni microbiche presenti nel rumine, dalla quantità di acidi grassi insaturi apportati con la dieta, e dalla velocità di transito degli alimenti nel rumine. Nel caso in cui la dieta contenga quantità elevate di acidi grassi insaturi e siano presenti condizioni critiche per l’attività dei microorganismi capaci di bio idrogenare, si ha un’elevata formazione di composti intermedi del processo. Recenti lavori hanno dimostrato l’esistenza di almeno dieci differenti CLA. Senza dubbio, l’isomero cis9, trans-11 è il principale ma, in determinate condizioni fermentative dipendenti solo in parte dal pH, si può avere la produzione di quantità sensibili di trans-10, cis-12, un secondo isomero dell’acido linoleico; quest’ultimo è in grado di inibire la sintesi dell’enzima acido grasso sintasi nella ghiandola mammaria e si ritiene per questo il principale responsabile della “sindrome del latte magro”. In concomitanza con l’insorgere di questa sindrome è stata recentemente riscontrata la presenza di alcune specie batteriche ruminali, altresì assenti o difficilmente quantificabili in condizioni di concentrazione standard di grasso. Alcuni ceppi di Megasphaera Elsdenii sono, infatti, in grado di produrre il trans-10, cis-12 CLA e, in molti casi, la loro presenza è promossa da diete ricche di amidi e povere di fibra. Il fenomeno è riconducibile al fatto che la crescita di questi batteri è stimolata dalla presenza di acido lattico nel rumine. In razioni ricche di glucidi rapidamente fermentabili (zuccheri e amidi), specie se assunte in pasti infrequenti e abbondanti, si può registrare una repentina flessione del pH dovuta alla grande quantità di AGV prodotti in seguito alla degradazione della sostanza organica. Se la vacca non è in grado di tamponare efficientemente il sistema, il pH continua la discesa favorendo lo sviluppo di Streptoccocus Bovis che è il principale produttore di acido lattico; quest’ultimo ha un potere acidificante dieci volte maggiore degli AGV, quindi il pH discende ancora più velocemente e si può incorrere in accumulo di acido lattico che stimola 39 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna lo sviluppo di M. Elsdenii, in grado di utilizzare il lattato per ricavare energia. Come mantenere elevati titoli di grasso del latte? In base alle considerazioni fin qui svolte appare chiaro che per esaltare la sintesi di grasso nel latte si debba agire limitando le condizioni che promuovono lo sviluppo di ceppi dei microorganismi produttori dell’isomero trans-10, cis-12 nel rumine ed esaltando la formazione degli acidi grassi che la mammella utilizzerà per le sintesi de-novo degli acidi grassi. Per perseguire questi obiettivi, nelle condizioni pratiche di allevamento, si dovrà porre attenzione ai seguenti punti: - includere nelle razioni sufficienti quantità di foraggi (minimo 4050% della sostanza secca della razione), dotati di adeguata struttura (dimensione superiore a 0,8-1 centimetri di lunghezza) per indurre un’efficiente attività masticatoria e produzione di saliva; - formulare razioni con contenuti di fibra neutro detersa sempre superiori al 28-30% della sostanza secca e caratterizzata da un’elevata degradabilità ruminale per “nutrire” i batteri cellulosolitici; la fibra neutro detersa degradabile non dovrà essere inferiore al 10-11% della sostanza secca; - adottare livelli prudenti di amido degradabile (rapporti inferiori all’unità rispetto alla quota di fibra effettiva per la masticazione) per evitare eccessive fluttuazioni del pH ruminale; in tal senso particolare attenzione andrà posta anche alle modalità con cui le razioni sono somministrate e assunte; - limitare l’inclusione di acidi grassi insaturi (semi oleosi, sottoprodotti ricchi di lipidi ad elevato punto di insaturazione), soprattutto quando sussistano condizioni aziendali considerate a rischio di acidosi ruminale; in termini pratici l’apporto di acidi grassi insaturi dovrebbe sempre essere contenuto entro l’1,5-2% della sostanza secca della razione. Strategie per modificare la composizione in acidi grassi del latte Le possibilità di modificare le frazioni lipidiche del latte si basano sull’apporto di alimenti dotati di acidi grassi polinsaturi (vedi tabella 1) e interessanti sono le possibilità di elevare il contenuto di CLA e di Omega 3. 40 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Strategie per innalzare il contenuto in Omega 3 Gli acidi grassi polinsaturi non sono sintetizzati dai tessuti animali. La loro concentrazione nel latte dipende quindi dagli apporti dietetici e dalla resistenza alla bio-idrogenazione ruminale delle fonti impiegate. La bio-idrogenazione può essere prevenuta attraverso una protezione indotta da particolari trattamenti tecnologici effettuati a carico di alimenti ricchi di Omega 3 o per mezzo di protezioni fisiche di olii ricchi in questi acidi grassi. Il seme di lino è l’alimento d’elezione (in quest’alimento il C18:3 rappresenta più del 50% del titolo lipidico totale) e il trattamento tecnologico più usato è l’estrusione. I risultati di numerose ricerche hanno dimostrato che il tasso di trasferimento dell’acido α- linolenico, usando il lino estruso, non supera in genere il 5-6% rispetto agli apporti. Di sovente, l’uso di seme di lino estruso, specie se in quantità rilevanti (oltre i 200-300 grammi per capo al giorno) in diete relativamente povere di fibra, provoca sensibili flessioni dei tassi lipidici, dimostrabili alla luce delle considerazioni già svolte (vedi tabella 2 ). Tabella 1 Composizione in acidi grassi dei principali alimenti usati per razionare le bovine da latte (g/KG/S.S.). Alimento Acidi grassi Acido linoleico Acido linolenico Medica erba “matura” Medica erba “giovane” Graminacee erba “giovane” Medica fieno “giovane” Medica fieno “maturo” Graminacee fieno Mais farina Orzo farina Sorgo farina Soia seme integrale Lino seme 16.3 22.8 35 19.3 13.4 21.7 35 20 23 147 308 3.1 4.3 5 3.6 2.5 3.1 17.8 11.2 11.3 80.3 44 8.1 11.3 10.6 7.1 5.1 6.6 0.7 0.9 0.4 14 166 41 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Tabella 2 Effetti della somministrazione di lino estruso (1.5 kg) nell’alimentazione di bovine da latte (Formigoni et al., dati non pubblicati). Gruppi Latte Grasso Grasso Acidi Grassi < C14:0 C16:0 > C16:0 P.to fusione kg/capo/d. % g/capo/d. g/capo/d. % del totale % del totale % del totale °C Controllo Seme di Lino 26.7 4.16 1100 1026 32.2 35.6 32.2 37.6 26.2 3.9 1020 952 31.5 28.5 40 36.2 Differenza in % verso il controllo -1.7 -6.3 -7.3 -7.3 -2.1 -19.9 24.1 -3.7 Un incremento in acidi grassi della serie Omega 3 a più lunga catena è possibile quando la dieta sia addizionata con olii di pesce o alghe, entrambi ricchi di EPA e DHA. Anche in questi casi il rischio di flessioni importanti dei titoli lipidici è concreto e l’efficienza di trasferimento al latte è comunque modesta. Una strategia che, almeno da un punto di vista teorico, consentirebbe di aumentare il tasso di trasferimento senza interferire negativamente con l’attività del microbiota ruminale e penalizzare i titoli di grasso del latte, è rappresentata dalla protezione fisica di substrati (olii di lino e di pesce, alghe, ecc.) con microsferule di materiali inerti per le fermentazioni ruminali, che rendano quindi liberi all’assorbimento intestinale gli acidi grassi. Questa tecnologia è efficacemente utilizzata per la protezione di diversi nutrienti; tuttavia, nel caso dei lipidi, esistono delle difficoltà tecnologiche rilevanti, considerato anche il fatto che la maggior parte delle matrici di protezione sono esse stesse di natura lipidica; in effetti, la bio-idrogenazione ruminale è molto intensa e rapida nel caso in cui la protezione non sia perfetta. Ciò giustifica le numerose difficoltà, peraltro segnalate anche in letteratura, nell’ottenere prodotti affidabili nel garantire livelli costanti di arricchimento del latte. Il pascolo, così come la somministrazione di foraggi freschi, permette di mantenere una migliore assunzione di C18:3, con conseguente 42 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna trasferimento al latte fino a quattro volte maggiore di quello osservato con alimentazione a base di fieni. In ogni caso, dall’esame dei dati reperibili in bibliografia, sono difficilmente ottenibili valori di C18:3 nel latte superiori all’1%. Strategie per elevare il contenuto in CLA I diversi studi che hanno permesso di individuare e raggruppare i fattori in grado di influenzare il contenuto di CLA nel latte, hanno evidenziato un importante effetto individuale dell’animale connesso all’espressione dell’enzima SCD. Da un punto di vista alimentare, le vie più concrete sono riferibili all’utilizzo di maggiori quantità di substrati capaci di portare alla formazione di CLA o acido vaccenico nel rumine; al contempo, è importante considerare anche i fattori in grado di modificare l’attività microbica di bio-idrogenazione. Considerando le vie di formazione dei CLA, appare evidente che la loro concentrazione sarà tanto maggiore quando: - la razione apporti elevate quantità di lipidi insaturi; - il trattamento tecnologico cui sono sottoposti gli alimenti “esponga” i lipidi - contenuti all’azione saturante dei batteri; - il transito degli alimenti nel rumine sia veloce. Queste condizioni si realizzano naturalmente con il consumo di foraggi verdi e giovani (generalmente al pascolo ma anche forniti in stalla); in questi casi, infatti, l’apporto di acidi grassi insaturi è più abbondante che nei foraggi conservati e il transito ruminale degli alimenti è più veloce di quando si usano dei fieni maturi. In condizioni di allevamento confinato, l’inclusione nella dieta di semi oleosi ricchi di acido linoleico (soia, girasole e colza), linolenico (semi di lino) e LCPUFA (oli di pesce), è la più comune delle strategie adottabili per arricchire il contenuto di CLA nel latte (tabella 3 e 4). L’inclusione di acido linoleico e di LCPUFA, piuttosto che di linolenico, sarebbe più efficace perché la velocità di bio-idrogenazione a carico di questi composti è più lenta e quindi sarebbe maggiore la quantità di “intermedi” che giungono alla mammella. 43 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Tabella 3 Influenza di diversi fattori alimentari sull’aumento della concentrazione in CLA del latte (Nudda et al., 2007). Quantità di lipidi addizionati Controllo mg/100 g 0.52 < 2% della s.s. mg/100 g 0.78 2-2.99 % della s.s. mg/100 g 0.99 3-3.99% della s.s. mg/100 g 1.29 >4% della s.s. mg/100 g 1.93 Controllo mg/100 g 0.54 Ricco in 18:1 mg/100 g 0.95 Ricco in 18:2 mg/100 g 1.45 Ricco in 18:3 mg/100 g 1.17 Olio di pesce mg/100 g 2.19 C16:0+C18:0 mg/100 g 0.71 Controllo mg/100 g 0.44 Mangimi mg/100 g 1.74 Olio mg/100 g 1.78 Saponi mg/100 g 0.62 Altro mg/100 g 0.90 Qualità dei lipidi addizionati Forma fisica dei lipidi addizionati Considerazioni finali Il controllo della sintesi mammaria del grasso, in termini quantitativi e qualitativi, è perseguibile attraverso un’appropriata modulazione degli apporti alimentari dei glucidi e dei lipidi; al contempo non è da trascurare l’influenza della modalità con cui sono assunte le razioni da parte dell’animale. In generale appare determinante il controllo delle fermentazioni e dei processi di bio-idrogenazione che avvengono nel rumine. 44 Andrea Formigoni, Nico Brogna, Nicola Panciroli, DIMORFIPA, Università di Bologna Tabella 4 Effetti dell’inclusione di semi integrali di soia (1 kg/ capo/giorno) e di lino estruso (0,4 kg/capo/giorno) sui contenuti di CLA (mg/100 grammi di grasso) del latte di bovine alimentate con razioni a base fieni di medica e graminacee. Settimane dal trattamento C18:2 C18:2 CLA cis 9, trans 11 trans 10, cis 12 Totali 0.29 0.47* 0.37 0.46* 0.45* 0.45* 0.45* 0.44* 0.53* 0.49* 0.31 0.047 0.056 0.049 0.041 0.046 0.044 0.039 0.047 0.045 0.055 0.046 0.34 0.53 0.42 0.5 0.5 0.49 0.49 0.49 0.58 0.54 0.36 Controllo 2 4 6 8 10 13 15 17 19 21 (Gli asterischi indicano differenze significative rispetto al controllo). (A.L. Mordenti et al., 2009). Bibliografia Barber M.C., Clegg R.A., Travers M.T., Vernon R.G., (1997): Lipid metabolism in the lactating mammary gland. Biochim. 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Le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e reologiche del grasso del latte sono legate alla dimensione e all’insaturazione delle catene idrocarburiche degli acidi grassi, che spaziano da 4 a 20 atomi di carbonio totale e da 0 a 3 doppi legami presenti. La composizione degli acidi grassi del grasso del latte è prevalentemente costituita da acidi grassi saturi, fra i quali prevale l’acido palmitico. Questa composizione ha avuto nell’ultimo mezzo secolo una cattiva fama, in quanto considerata troppo ricca di acidi grassi saturi e per questo non ottimale come fonte lipidica alimentare per la protezione della salute in relazione alle malattie cardiovascolari. Recentemente, è stato osservato che le membrane dei bambini sono particolarmente ricche di acidi grassi saturi, a differenza degli adulti, condizione legata alla presenza di minori quantità di colesterolo, molecola nota anche per la proprietà irrigidente delle membrane. La presenza di acidi grassi insaturi con la configurazione trans del doppio legame è dovuta all’azione idrogenante del rumine, con il C18: t11 (acido vaccenico) come componente principale degli acidi grassi trans isomeri e i CLA (conjugated linoleic acids) gli isomeri trans più interessanti dal punto di vista salutistico. L’acido vaccenico, quando assumiamo un insufficiente livello calorico attraverso l’alimentazione, è trasformato in acido C18: c9, t11 (denominato acido rumenico), che è l’acido grasso considerato più attivo fra i CLA per gli aspetti salutistici. I CLA comprendono una ventina d’isomeri geometrici e posizionali a 18 atomi di carbonio con due doppi legami coniugati. La posizione dei doppi legami è localizzata compresa tra Δ7 e Δ14 e, 48 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna inoltre, la diversa disposizione nello spazio degli stessi gruppi funzionali (doppi legami) conferisce alla molecola una diversa configurazione cis o trans. Oltre ai trigliceridi e agli acidi grassi, il grasso di latte contiene piccole quantità di sostanze, per questo denominate “minori”, quali digliceridi, monogliceridi, e componenti dell’insaponificabile. Tra questi ultimi sono presenti: lo squalene, i pigmenti carotenoidi, i tocoferoli, altre vitamine liposolubili e gli steroli. Fra gli steroli domina con oltre il 99,7%, il colesterolo. Introduzione Componente principale della dieta di molti giovani consumatori e un cibo di consumo giornaliero per tanti altri, il latte rappresenta uno degli alimenti piu’ diffuso nei consumi dell’intero pianeta. La composizione del latte è caratteristica e i latti di diverse specie animali hanno una serie di somiglianze nella composizione che fanno ritenere importante la presenza di nutrienti particolari: il lattosio, le proteine, il grasso. Anche la forma nella quale queste sostanze sono contenute è molto particolare, cioè, come micelle disperse, disperse in forma colloidale ed emulsioni fini. Questo tipo di strutture determinano una notevole omogeneità di composizione, associata ad una certa sua stabilità, ma presentano anche una più rapida disponibilità all’elaborazione digestiva delle sostanze in esse contenute, oltre alla conseguente maggiore assimilazione dei costituenti nutritivi. È necessario ricordare che gli acidi grassi di dimensione fino ai 10 atomi di carbonio siano prontamente e direttamente utilizzati per uso energetico come fossero zuccheri, oltre alla capacità del nostro organismo di trasformare l’acido stearico introdotto in acido oleico molto rapidamente. Pertanto, la quantità di acidi grassi saturi, tali come comportamento, si attesterebbe su circa il 35-40 % del totale, inferiore al contenuto di saturi dei grassi vegetali del settore alimentare, come ad esempio quello di cocco e di palma. Secondo i dati disponibili nella letteratura specializzata, dal 1991 al 2004 la produzione mondiale di grassi animali è passata da 19,8 milioni di tonnellate a oltre 22,73 milioni di tonnellate con un aumento di circa il 15%, ad eccezione del burro che invece è aumentato solo del 10% passando da 5,84 a 6,44 milioni di tonnellate (Tabella 1) (Gunstone F., 2005). 49 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Se si considera che nello stesso periodo la popolazione mondiale è, in concreto, diventata 1,5 volte maggiore, questi dati congiuntamente dimostrano che il consumo pro-capite di grassi animali non è cresciuto negli ultimi 10 anni. Tabella 1 Produzione di grassi animali in milioni di tonnellate (metriche) degli ultimi anni Anni Grasso animale 91-95 98-99 99-00 00-01 01-02 02-03 03-04 Aumento nei 10 anni Burro 5,84 5,87 5,94 6,00 6,22 6,29 6,44 10% Lardo 5,39 6,59 6,68 6,69 6,88 7,09 7,28 35% Sego 7,32 8,11 8,21 7,71 8,04 8,07 8,03 10% Olio di pesce 1,25 1,28 1,54 1,22 0,93 0,97 0,98 22% totale 19,80 21,85 33,37 21,62 22,07 22,42 22,73 15% Nel caso si considerassero anche le sostanze grasse di origine vegetale, le produzioni dell’olio di soia e del grasso di palma, confrontando con tutti gli altri andamenti, hanno mostrato molto più una crescita. La spiegazione è abbastanza semplice: per l’olio di soia, che rappresenta un sottoprodotto della produzione delle farine proteiche che hanno soppiantato le “farine di pesce” e più recentemente anche quelle “di carne” per la destinazione a formulazione di mangimi per l’allevamento animale, l’andamento è legato al crescente impiego delle farine delipidizzate (“di estrazione”). Questa grande disponibilità di olio ha creato la necessità di produrre derivati dell’olio di soia, oltre a offrire in commercio tale olio miscelato con altri che lo possano stabilizzare un po’ di più nei confronti dell’ossidazione, di cui è particolarmente sensibile a causa della forte insaturazione. Per quanto riguarda il grasso di palma, il suo impiego si è molto diffuso e appare come ingrediente in numerosi alimenti, soprattutto nei prodotti 50 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna da forno e dolciari a causa delle sue caratteristiche di consistenza a temperature ambientali, ma anche perché molto versatile negli impieghi e anche delle sue possibili forme commerciali realizzabili, come ad esempio i vari frazionati. La composizione del latte La composizione del latte di diversi mammiferi mostra differenze notevoli nelle quantità relative di ogni nutriente (Tabella 2) (Park Y.W. et al., 2007). Considerando che il latte costituisce l’unico alimento per l’organismo in giovanissima età, la composizione del latte dovrà soddisfare la necessità di maturazione dell’organismo, in relazione anche alla specie animale, alla dimensione corporea e all’ambiente nel quale vive. Tabella 2 Composizione del latte umano e di alcuni ruminanti Composizione (%) Grasso Solido secco magro Lattosio Proteine Caseine Albumine, globuline Azoto non proteico Ceneri Calorie/100 mL Capra Pecora Vacca Donna 3,8 7,9 3,6 4,0 8,9 12,0 9,0 8,9 4,1 4,9 4,7 6,9 3,4 6,2 3,2 1,2 2,4 4,2 2,6 0,4 0,6 10 0,6 0,7 0,4 0,8 0,2 0,5 0,8 0,9 0,7 0,3 70 105 69 68 La composizione dei nutrienti del latte di diversi mammiferi (Tabella 3) (http://www.sciencedirect.com/science/book/9780123844309; Huppertz et al., fra parentesi) è indice, salvo alcuni casi particolari, di una variabilità quantitativa abbastanza contenuta, soprattutto se si considerano i mammiferi ruminanti separati dagli altri. 51 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 3 Composizione in nutrienti del latte di diverse specie animali Specie Acqua % Residuo secco % Proteine % Grasso % Lattosio % Ceneri % Donna 87,6 12,4 (12,6) 2,0 (1,1) 3,7 (4,5) 6,4 (6,8) 0,3 (0,2) Vacca 87,3 12,7 (12,2) 3,4 (3,1) 3,7 (3,5) 4,9 (4,9) 0,7 (0,7) Bufala 82,3 17,7 (21,5) 5,1 (5,9) 7,5 (10,4) 4,4 (4,3) 0,7 (0,8) Pecora 83,6 16,4 (16,3) 5,1 (5,5) 6,2 (4,3) 4,2 (4,6) 0,9 (0,9) Capra 86,8 13,2 (12,0) 3,8 (3,1) 4,0 (3,5) 4,6 (4,6) 0,8 (0,8) Asina 90,1 9,9 (10,2) 1,8 (1,7) 1,4 (1,2) 6,2 (6,9) 0,5 (0,5) Cavalla 90,6 9,4 (11,0) 2,0 (2,7) 1,1 (1,6) 5,9 (6,1) 0,4 (0,5) Cagna 75,4 24,6 (20,7) 11,2 (9,5) 9,6 (8,3) 3,1 (3,7) 0,7 (1,2) Coniglia 69,5 30,5 (26,4) 12,0 (10,4) 13,0 (12,2) 2,0 (1,8) 2,5 (2,0) Scrofa 83,9 16,1 (19,9) 7,2 (5,8) 4,6 (8,2) 3,2 (4,8) 1,1 (0,6) Renna 68,5 31,5 (34,1) 9,9 (10,4) 17,1 (19,7) 2,9 (2,6) 1,6 (1,4) Elefante 79,3 20,7 (26,9) 2,5 (4,9) 9,1 (15,1) 8,6 (3,4) 0,5 (0.8) Cammella 86,5 13,5 (14,4) 4,0 (3,7) 3,1 (4,9) 5.6 (5,1) 0,8 (0,7) Composizione del grasso del latte Il grasso del latte è costituito prevalentemente da globuli di dimensione variabile da 0,1 a 10 μm, con maggioranza numerica dei globuli più piccoli, ma quantitativamente determinata da quelli più grossi. La composizione del grasso dei globuli di grasso del latte è caratterizzata da una prevalenza di triacilgliceroli (trigliceridi), molto numerosi e di dimensioni ampiamente variabili, insieme ad una piccola percentuale di lipidi polari di varia composizione. L’enorme variabilità della composizione dei trigliceridi va considerata determinata da una varietà di oltre 400 acidi grassi differenti già 52 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna identificati. Le caratteristiche chimiche, chimico-fisiche e reologiche del grasso del latte sono legate alla dimensione e all’insaturazione delle catene idrocarburiche degli acidi grassi, che spaziano da 4 a 20 atomi di carbonio totale e da 0 a 3 doppi legami presenti. La composizione dei trigliceridi del grasso del latte vaccino (Figura 1) (Lercker G. et al., 1992; Contarini G., Battelli G., 1997) è molto più complessa di quasi tutte le composizione dei trigliceridi di sostanze grasse alimentari, soprattutto quelle di provenienza vegetale. D’altra parte la presenza di oltre 400 acidi grassi differenti (Jensen R.G., 2002), già tutti identificati, fa intuire le possibilità di moltiplicazione dovute alle possibili teoriche distribuzioni qualitative nella forma di trigliceridi. Le quantità di proteine e grassi sono molto differenti nelle diverse specie considerate e sembrano avere una relazione con le temperatura dei luoghi dove vivono normalmente quegli animali e con la loro velocità di crescita. Una maggiore uniformità appare avere il contenuto di lattosio. Figura 1 - Tracciati gas cromatografici esaminati in colonna capillare (cGC) dei trigliceridi del grasso di latte Analisi dei TG mediante colonna cGC polare (lunghezza 25 m) Analisi dei TG mediante il metodo ufficiale UE (lunghezza 5 m) In Tabella 4 è riportata la composizione del grasso di latte vaccino (Walstra P. et al., 2006a), che appare molto complessa, come prevedibile dalla natura del grasso nel latte nella forma di globuli dotati di membrana, in sospensione acquosa (Figura 2). 53 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 4 Composizione dei lipidi del latte vaccino nel grasso Mwt Classe lipidica (medio) x y % nel Membrana cuore del globulo del % globulo % Plasma del latte % Gliceridi neutri Trigliceridi 728 14,4 0,35 98,3 -100 + Digliceridi 536 14,9 0,36 0,3 90? 10? ? Monogliceridi 314 15,0 0,36 0.03 + + 30 Acidi grassi liberi 253 15,8 0,36 0,1 60 10? 35 0,6 0 65 Ph. Colina Ph. Etanolamminab Ph. Serinab 764 17,2 0,6 0,27 742 17,9 1,0 0,25 784 17,8 0,8 0,03 Ph. Inositoloc 855 Sfingomielinad 770 19 0,2 0,20 Cerebrosidic,d 770 20 0,2 0,1 0 70 30 0,01 0 70 30? 0,32 80 10 10 95? 5? + 98,7 Fosfolipidia Gangliosidi c,d,e 0,04 -1600 Steroli Colesterolo 386 Esteri del colesterolo 642 Carotenoidi + vitamina A 0,30 16 0,4 0,02? 0,02 Approssimativamente l’1% è presente nella forma di lisofosfatidi; Fosfatidiletanolammina + Ph. Serina = cefalina; c Glicolipidi; dSfingolipidi; econtenenti anche acido neuramminico; x = dimensione media degli acidi grassi (n. di atomi di carbonio); y = numero medio di doppi legami. Mwt = peso molecolare a b 54 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Figura 9 Raffigurazione del globulo di grasso del latte nelle sue principali componenti e loro localizzazione Il globulo di grasso La distribuzione delle dimensioni dei globuli di grasso è assai disomogenea: essi variano fra 0,1 e 10 μm, con prevalenza quantitativa del numero dei piccoli globuli (<3 μm), ma prevalenza in quantità di grasso (> 90% del totale del grasso) nei globuli più grandi (Lopez C., Briard-Bion V., 2007). In virtù dell’effetto della dimensione in relazione al volume di grasso, i globuli più piccoli possiedono un rapporto membrana/gliceridi maggiore ed una maggiore presenza di acidi grassi insaturi (Sharma S.K., Dalgleish D.G., 1993). In seguito al trattamento di omogeneizzazione sul latte e sui latticini, condotto per rallentare l’affioramento del grasso, i globuli assumono una dimensione mediamente più piccola e più uniforme, mentre la membrana, che avvolge i globuli neoformati per frammentazione di quelli grandi, è di natura proteica, con prevalenza di proteine caseiniche alle quali si possono associare quelle globulari soprattutto a crescenti valori di acidità (Corredig M., Dalgleish D.G., 1993). 55 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 5 Contenuto approssimato di lipidi in alcuni prodotti del latte vaccino Grasso totale % Fosfolipidi % Steroli % Latte scremato 0,06 0,015 0,002 Acidi grassi liberi % 0,002 Latte 4 0,035 0,013 0,008 Crema di latte 10 0,065 0,03 0,017 Crema di latte 20 0,12 0,06 0,032 Crema di latte 40 0,21 0,11 0,06 Latticello da crema al 20% 0,4 0,07 0,005 0,002 Latticello da crema al 40% 0,6 0,13 0,011 0,002 Burro 82 0,35 0,21 0.12 Burro anidro > 99,8 0,00 0,25 0,15 Prodotto In Tabella 5 (Walstra P., et al., 2006b) sono riportate la composizioni dei principali costituenti dei lipidi in alcuni prodotti lattieri, ottenuti da latte vaccino, con diverso contenuto di lipidi. È da notare che il contenuto di acidi grassi liberi è modesto, perché per quantità maggiori i prodotti indicati in Tabella 5 presenterebbero già un odore di formaggio, non gradito al consumo di questi prodotti lattieri. I fosfolipidi del grasso del latte vaccino (Tabella 4), posseggono una rimarchevole quantità di fosfatidil serina. Quando paragonati ai fosfolipidi dei lipidi del latte di altre specie animali (http://www.cyberlipid.org/ cyberlip/home0001.htm). In considerazione dell’importanza salutistica di tale fosfolipide, il latte è ancora una volta un alimento importante per la nostra nutrizione. La composizione del burro La composizione del burro è praticamente uguale a quella del grasso del latte, se non viene considerata la presenza di acqua, che nel burro è di circa il 16-17% del totale (“acqua tecnologica”) La composizione degli acidi grassi del burro è stata indicata di recente la Norme dei Grassi e dei Derivati, della Commissione Tecnica della Stazione Sperimentale delle Industrie degli Oli e dei Grassi (NGD, 2010) come riportato nella Tabella 6. 56 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 6 Composizione degli acidi grassi del burro (NGD) Acido grasso % 1 Acido butirrico (C4:0) 3,0 – 3,5 2 Acido capronico (C6:0) 1,6 – 3,0 3 Acido caprilico (C8:0) 1,1 – 1,8 4 Acido caprico (C10:0) 1,8 – 3,7 5 Acido caproleico (C10:1) 0,2 – 0,4 6 Acido laurico (C12:0) 2,3 – 3,9 7 Acido miristico (C14:0) 8,0 – 12,0 8 0,2 – 1,2 11 Acido miristoleico (C14:1) Acido pentadecanoico ramificato (C15 iso) Acido pentadecanoico ramificato (C15 anteiso) Acido pentadecanoico (C15:0) 12 Acido esadecanoico ramificato (C16 iso) 0,1 – 0,4 13 Acido palmitico (C16:0) 14 Acido palmitoleico (C16:1) 1,0 – 2,0 15 Acido eptadecanoico ramificato (C17 iso) 0,2 – 0,4 16 Acido eptadecanoico ramificato (C17 anteiso) 0,2 – 0,6 17 Acido eptadecanoico (C17:0) 0,3 – 0,7 18 Acido eptadecenoico (C17:1) 0,1 – 0,3 19 Acido stearico (C18:0) 9,0 – 13,0 20 Acido oleico1 (C18:0) 19,0 – 29,0 21 Acido linoleico (C18:2) 1,0 – 3,5 22 0,2 – 1,3 24 Acido linolenico (C18:3) Acido ottadecadienoico coniugato (C18:2 coniugato) Acido arachico (C20:0) 25 Acido eicosenoico (C20:1) 0,1 – 0,3 9 10 23 0,2 – 0,4 0,3 – 0,7 0,2 – 1,3 25,0 – 33,0 1 1 0,3 – 1,5 0,1 – 0,3 Somma degli isomeri di posizione del doppio legame, che potrebbero non essere separati 57 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Relazione fra composizione e struttura Il comportamento chimico-fisico dei lipidi del grasso di latte, ma anche di altre sostanze grasse, è condizionato dal comportamento corrispondente degli acidi grassi. Fra i parametri più utili a prevedere il comportamento degli acidi grassi è il punto di fusione di ciascun acido grasso, in quanto correlato alla lunghezza della catena idrocarburica e alla sua insaturazione, come indicato nella Tabella 7 (http://www.cyberlipid.org/ cyberlip/home0001.htm). Questo è dovuto alla maggiore possibilità di avvicinarsi delle catene più lineari, caratteristiche degli acidi grassi saturi, fino a risentire delle forze di attrazione di Van der Waals, di una certa intensità. Tali forze aumenteranno, in proporzione, il punto di fusione del substrato grasso corrispondente. 58 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 7 Acidi grassi che maggiormente influenzano il punto di fusione del grasso del latte C15 anteiso C15:0 C16 iso C16 C16:1 C18 C18:1 cis C18:1 trans C18:1 n-7 C18:2 Nome triviale Acido Butirrico Capronico Caprilico Caprico (o Caprinico) Caproleico Laurico Miristico Miristoleico Pentadecanoico (ram.) Pentadecanoico (ram.) Pentadecanoico Esadecanoico (ram,) Palmitico Palmitoleico Stearico Oleico Elaidinico Asclepico Linoleico C18:3 n-6 g-Linolenico C18:3 n-3 a-Linolenico C18:4 C20 C20:1 C22 C22:1 C20:4 C20:5 C22:5 C22:6 Stearidonico Arachico Gondoico Beenico Erucico Arachidonico (AA) EPA DPA DHA Sigla C4:0 C6:0 C8:0 C10:0 C10:1 C12:0 C14:0 C14:1 C15 iso n-3 n-9 n-9 n-6 n-3 n-3 n-3 Denominazione IUPAC - Acido Butanoico Esanoico Ottanico Decanoico 5-cis-Tetradecenoico Dodecanoico Tetradecanoico 9-cis Tetradecenoico Pentadecanoico (ram.) PesoMolec. 88,1 116,1 144,2 172,3 170,3 200,3 228,4 228,4 232,4 Punto di fusione °C -7,9 -3,4 16,7 31,6 44,2 53,9 - Pentadecanoico (ram.) Pentadecanoico Esadecanoico (ram,) Esadecanoico 9-cis-Esadecenoico Ottadecanoico 9-cis-Ottadecenoico 9-trans-Ottadecenoico 11-cis-Ottadecenoico 9,12-cis,cisOttadecadienoico 6,9,12-cisOttadecatrienoico 9,12,15-cisOttadecatrienoico 6,9,12,15-cisOttadecatetraenoico Eicosanoico 11-cis-Eicosenoico Docosanoico 9-cis-Docosenoico Eicosatetraenoico Eicosapentaenoico Docosapentaenoico 4,7,10,13,16,19-cisDocosaesaenoico 232,4 232,4 256,4 256,4 254,4 284,4 282,4 282,4 282,4 280,4 63,1 0,5 69,6 16,2 43,7 39 -5 278,4 - 278,4 - 11 276,4 312,5 310,5 340,5 338,6 304,5 302,5 330,6 328,6 - 57 75,3 79,9 33,4 - 50 - 54 - 44 In presenza, nella catena idrocarburica, di un doppio legame la struttura molecolare dell’acido grasso appare più ricurva e meno capace di instaurare forze di interazione di simile intensità fra tutti i gruppi CH2 delle catene che si avvicineranno, ma in maniera efficace solo per la 59 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna loro parte lineare (Figura 3). Pertanto, l’insaturazione “fluidizza” il lipide e, analogamente anche per quanto riguarda la dimensione dell’acido grasso quando si accorcia la catena idrocarburica, si riduce l’intensità dell’interazione, che corrisponde ad una “fluidizzazione” del lipide. Figura 3 Strutture di massima estensione molecolare nello spazio degli acidi grassi principali, a differente insaturazione. Importanza della composizione degli acidi grassi Il latte umano contiene una quantità di acido palmitico, acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio totali, nella parte grassa, della dimensione di quello presente nel grasso del latte bovino (Tabella 8). Se poi si considera la composizione degli acidi grassi in posizione 2 dei trigliceridi, quella più importante dal punto di vista nutrizionale per l’assimilazione completa degli acidi grassi in essa attaccati, la quantità di acido palmitico supera il 58% nella posizione 2 (http://www.cyberlipid.org/cyberlip/home0001. htm; Blasi F. et al,, 2008), ma in letteratura è riportato anche il 72% (Tabella 9) (Sørensen A.D.M. et al., 2010.), Queste percentuali corrispondono a 60 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna circa i due terzi o più di tutti gli acidi grassi presenti. Ci deve essere un buon motivo biologico-biochimico, poiché nei sistemi vegetali quello che è stato verificato è esattamente l’opposto e cioè che la posizione centrale porta un acido grasso insaturo quasi al 100%. Tabella 8 Composizione percentuale degli acidi grassi nelle tre posizioni dei trigliceridi del latte di donna e di alcuni ruminanti Sn 1 2 3 1 Pecora 2 3 1 Capra 2 3 1 Vacca 2 3 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 16:1 18.:0 18:1 18:2 18;3 20:1 20:4 0.9 0.2 7 0.7 0.1 11 0.9 2.3 2.2 0.2 0.2 1.8 3.1 2.7 14.2 4.9 2.2 30.2 2.5 6.1 3.6 Donna 1.9 0.3 32 1.4 0.2 16 5 2.9 43 0.3 2.6 8.4 0.4 0.7 8.6 3 4.8 11 1.3 2.1 6.1 2.8 3.9 3.2 3.3 5.9 3.4 3.1 6 3.5 3.2 7.3 7.1 8 11.6 3.4 9 9 18.6 10.5 20.4 7.1 16.1 58.2 6.2 35.5 27.2 2.6 38.4 35.7 1.4 35.9 32.8 10.1 3.6 4.7 7.3 0.9 1.3 0.4 0.5 0.8 0.2 2.9 2.1 0.9 15 3.3 2 17.3 14.6 7 17.6 12 7.1 14.7 6.4 4 46.1 12.7 49.7 25.7 30.9 18.8 21.7 21.1 19.2 20.6 13.7 14.9 11 7.3 2 2.6 4 2.4 0.7 2.2 1.6 1.2 2.5 0.5 0.4 0.6 1.6 1 0.8 0.9 0.5 0.4 0.6 1.5 0.7 0.5 0.9 0.3 Tabella 9 Composizione degli acidi grassi del grasso del latte di donna e di vacca a confronto 4:0 6:0 8:0 10:0 12:0 14:0 16:0 16:1 18:0 18:1 18:2 18:3 20:1 20:4 Acido grasso Butirrico Capronico Caprilico Caprico Laurico Miristico Palmitico Palmitoleico Stearico Oleico Linoleico Linolenico Eicosenoico Arachidonico Donna sn-1 sn-2 sn-3 9,1 13,7 18,2 20,0 23,1 73,9 42,5 33,3 15,4 55,6 0,0 81,8 64,2 40,3 7,7 46,8 9,9 45,8 44,5 61,5 18,5 25,0 9,1 22,1 41,5 72,3 30,1 16,3 11,7 22,1 23,1 25,9 75,0 61 Vacca sn-1 9,8 16,1 16,7 20,5 24,6 27,6 45,6 49,2 58,6 41,9 32,4 sn-2 5,7 25,8 42,6 50,0 47,6 53,7 41,6 35,6 25,5 27,8 67,6 sn-3 84,6 58,1 40,7 29,5 27,8 18,7 12,8 15,3 15,9 30,3 0,0 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Va ricordato che l’idrogenazione da parte dei microrganismi del rumine e particolarmente selettiva per gli acidi grassi polinsaturi dei lipidi introdotti dal bovino con il mangime o durante il pascolo. È lecito ritenere che questa composizione “selettiva” debba essere protettiva per il giovane animale in lattazione, perché la maggiore saturazione degli acidi grassi delle membrane consente una più elevata rigidità delle stesse e una minore esposizione all’ossidazione. La motivazione per la quale le membrane relativamente sature dei globuli di grasso del latte, alimento destinato ai bambini (o ai cuccioli animali), costituiti prevalentemente da latte, sia così composta è ancora da comprendere. Gli acidi coniugati dell’acido linoleico (CLA) I CLA comprendono una ventina d’isomeri geometrici e posizionali a 18 atomi di carbonio con due doppi legami coniugati. La posizione dei doppi legami si trova compresa tra Δ e Δ14 e la diversa disposizione spaziale degli stessi gruppi funzionali (doppi legami) conferisce alla molecola una diversa configurazione cis o trans (Yurawecz M.P. et al., 2006). L’isomero più importante (Figura 4) (dal 75 al 90%) di tutti i CLA è il cis9,trans-11 (acido rumenico), seguito dagli isomeri trans-10,cis-12 (circa il 10%) e il trans-7,cis-9 (circa il 2%). Questi isomeri hanno effetti biologici diversi, dovuti alle loro differenti proprietà chimiche e fisiche (Yurawecz M.P. et al., 2006). Il motivo dell’interesse che si è sviluppato sui CLA è dovuto al fatto che in numerosi esperimenti si sono dimostrati anticancerogeni attivi nei confronti di diversi tumori del seno (1987), del colon, dell’epidermide, dello stomaco e antiaterosclerotici (1994). Inoltre sono in grado di incrementare la massa ossea e di rallentare la progressione del diabete (1998). Tutto questo sembra essere legato al fatto che queste molecole sono capaci di modulare la sintesi degli eicosanoidi e di svolgere una azione antibatterica, anticancerogena e antidiabetica in quanto è stata osservata una diminuzione del LDL-colesterolo nel plasma, con conseguente diminuzione della formazione di placche ateromatose in ratti alimentati con diete arricchite con questi acidi grassi. E’ comunque ritenuto che le specifiche attività biologiche siano da attribuirsi ai singoli isomeri piuttosto che all’intero pool dei CLA (Cocchi M., Mordenti A.L., 2005). L’efficacia del cis9-trans11, nel caso del tumore della mammella, è dose 7 62 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna dipendente ed è maggiore se la sostanza è assunta durante lo sviluppo del tumore (Boccioni A. et al., 2002), così come si potuto osservare per i tumori dell’intestino e della prostata (Castagnetti G.B. et al., 2007). Figura 4 Strutture degli acidi grassi di interesse lattiero caseario, in comparazione con quelle di acidi grassi più diffusi nei sistemi naturali. COOH Acido ottadecanoico (acido stearico) COOH COOH Acido 9cis,12cis-ottadecadienoico (acido linoleico) Acido 9cis-ottadecenoico (acido oleico) COOH CLA 9cis,11trans-ottadecadienoico (acido rumenico) COOH CLA 10trans,12cis-ottadecadienoico Per quanto riguarda l’isomero trans-10,cis-12 gli si attribuisce la capacità di ridurre l’assorbimento dei lipidi inibendo l’attività della Stearoil CoA desaturasi. La principale fonte di CLA, nella dieta umana, è rappresentata dagli alimenti derivati dai ruminanti (carne e latticini) proprio in virtù delle caratteristiche fisiologiche di tutti i ruminanti che hanno la capacità di produrre medante bioidrogenazione ed altra via tutti i CLA e l’acido vaccenico (Figura 5). 63 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Figura 5 Meccanismi di formazione dei CLA, proposti in letteratura. COOH C18:2 n-6 C5H11 7 R° idroperossidi COOH ° C5H11 7 proteine C18:2 n-6 COOH C5H11 7 isomerasi del rumine 9 idrogenazione catalitica COOH C5H11 ' -desaturasi C18:2 n-6 + ulteriori isomeri CLA 7 reduttasi COOH C18:1 t 9 + C18:0 COOH C18:1 t11 Mediante l’inserimento nella dieta della vacca di una modesta quota di lino integrale laminato è stato dimostrato che è possibile ottenere migliori caratteristiche riproduttive, un migliore stato di salute dell’animale, un aumento della produzione di latte e un incremento di alcuni componenti che hanno una certa familiarità e una buona considerazione fra i consumatori, quali gli acidi grassi w-3, gli acidi coniugati del linoleico (CLA) e l’acido vaccenico. Tali peculiarità che sono inferiori, pur presenti, in altri latti diversi da quelli del Comprensorio del Parmigiano Reggiano, inevitabilmente faranno parte del formaggio (nella fase grassa) e nel burro prodotto in parallelo alla caseificazione. Queste caratteristiche potranno rilanciare e valorizzare il burro del Comprensorio, attraverso lo sfruttamento delle componenti salutistiche. Composizione degli steroli Nella Tabella 10 sono riportati gli steroli identificati nel grasso del latte di alcuni ruminanti [a) Park Y.W. et al., 2007; b) Contarini G. et al., 2002]. 64 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Tabella 10 Composizione della frazione degli steroli del grasso di latte Margarinab mg/100 g Steroli Grasso del lattea* mg/100 g Grasso del lattea** mg/100 g Burro bovinob mg/100 g Colesterolo Latosterolo Desmosterolo Diidrolanosterolo Lanosterolo Brassicasterolo 7-colesterolo Campesterolo Stigmasterolo β-Sitosterolo 5-Avenasterolo 341,8 1,47 1,39 2,25 9,75 288,4 1,81 0,41 4,15 6,86 262,0 2,6 0,0 3,3 0,0 0,0 2,3 0,0 14,5 0,0 63,2 5,4 97,7 6,3 di Capra* e Pecora** In considerazione delle diverse identificazioni nel grasso di latte e di burro, relative alla composizione degli steroli, riguardanti i componenti presenti in minore quantità, ulteriori ricerche dovrebbero essere condotte per stabilire definitivamente la corretta composizione. Alcune considerazioni ed ipotesi Sulla base delle osservazioni in campi diversi del settore scientifico, emergono una serie di considerazioni, ipotesi e dubbi che si spera siano condivisi anche da altri colleghi o che siano suggerite spiegazioni plausibili, anche attraverso risultati perseguiti in future ricerche. Il colesterolo è prodotto anche per irrigidire le membrane oppure la produzione del colesterolo, peraltro utile in tanti altri impieghi, proprio per la sua attività e presenza elevata nelle membrane deve essere contrastato con una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi? Ancora: una dieta varia, naturalmente ricca di acidi grassi insaturi, induce la produzione di colesterolo per la necessità di attuare un sufficiente irrigidimento delle membrane o è un effetto indotto dalla necessità di modulare la rigidità delle membrane che si è incrementata con la maggiore produzione di colesterolo (nella fase post-adolescenziale)? 65 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Se i bambini hanno membrane ricche in acidi grassi saturi e sintetizzano poco colesterolo, è possibile che questo corrisponda alla necessità biologica normale di colesterolo, per quell’età. Qualsiasi mutamento dovuto a cambiamenti nell’alimentazione o nello sviluppo naturale dell’organismo verso la “fase riproduttiva” dell’esistenza (che richiede molto più colesterolo), provoca una maggiore produzione di colesterolo e, di conseguenza, un incremento di rigidità delle membrane. A questo punto il corpo tenta un bilanciamento desiderando e introducendo quei cibi che portano sostanze grasse insature. Se questo fosse provato, si concluderebbe che ad ogni età esista un modo di alimentarsi che deve essere diverso, riguardo al mantenimento di un’elevata rigidità delle membrane, e quando questa diventa eccessiva per una serie di ragioni biochimico-biologiche, si è indotti a bilanciare attraverso un cambiamento della dieta. Inoltre, l’importanza delle membrane è molto maggiore di quella che è stata loro attribuita, in considerazione delle correlazioni importanti con la salute della loro funzionalità e della loro composizione in acidi grassi (e degli antiossidanti) che tende a essere “mantenuta” nelle modalità consentite dalla natura: biologia, alimentazione e assimilazione. Con il consumo di acido oleico, attraverso gli oli vergini di oliva, si avrebbe una modulazione della fluidità della membrana più graduale e, essendo gli oli vergini (meglio gli extravergini) di oliva ricchi in antiossidanti (fenolici e polifenolici), essi sarebbero anche utili ad aumentare il patrimonio antiossidante che con gli acidi grassi insaturi è sempre comunque utile. Gli acidi grassi in configurazione trans, avendo una struttura più lineare di quelli in configurazione cis (Figura 3), sono più alto-fondenti (Tabella 7) e questo comportamento viene trasferito ai gliceridi che li contengono. 66 Giovanni Lercker, DISA, Università di Bologna Bibliografia Blasi F. , Montesano D., De Angelis M, Maurizi A., Ventura F., Cossignani L, Simonetti M.S., Damiani P. (2008) J. Food Comp. Anal., 21, 1-7. Boccioni A., Petacchi F., Antongiovanni M. (2002) Attività ruminali e presenza di acidi grassi trans e di CLA nei lipidi del latte e della carne. 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Riassunto Una lunghissima preistoria ed un’ampia e diversificata storia hanno celebrato gli aspetti positivi del burro, nelle sue molteplici applicazioni, ma soprattutto in quelle alimentari, sia nutrizionali sia gastronomiche. Aspetti positivi che sono ampiamente documentati dalla tradizione, ma anche dal suo valore simbolico e, non da ultimo, anche dal suo valore commerciale, quando ad esempio in pianura padana il burro aveva un prezzo almeno pari a quello del formaggio grana. Negli ultimi anni e per una non sempre limpida serie di motivi vi è stata un’inversione di valutazione, fino ad un’ingiusta criminalizzazione del burro. Il recente sviluppo della ricerca sulle attività non soltanto nutrizionali, ma anche sulle attività extranutrizionali e sulle caratteristiche salutistiche degli alimenti, non solo sta dimostrando che la tradizione aveva ragione, ma che il burro è dotato di particolari attività salutari, forse più d’altri alimenti oggi di moda. Il particolare interesse nutrizionale ed extranutrizionale risulta il quadro degli acidi grassi presenti nel burro di mucca. Per quanto poi riguarda il tanto criminalizzato colesterolo del burro, oggi è ben noto che questo componente è in un corretto rapporto con le lecitine, con rapporti ottimali alla produzione, in persone sane, di colesterolo HDL e quindi “buono”. Di particolare interesse sono le attività antinfettive e psicodietetiche che oggi sono riconosciute ad alcuni componenti del burro. Estremamente importanti sono recenti indagini che indicano come i grassi del burro hanno una rilevante attività anticancerogena preventiva. Di particolare rilievo sono i seguenti componenti: acido linoleico coniugato, sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni non identificati. L’attività di prevenzione anticancerogena, anche in base 69 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. ad indagini sperimentali, è particolarmente evidente su neoplasie dell’apparato digerente e della mammella. La rivalutazione non solo nutrizionale, ma anche salutistica del burro e quindi la possibilità di intesserne un elogio, su basi scientifiche e non soltanto tradizionali, non deve stupire perché il burro è la componente di un alimento, il latte, che come tale è stato “creato” dalla natura in una selezione di oltre sessanta milioni d’anni e che ha portato al successo la vastissima classe dei mammiferi, di cui anche l’uomo fa parte. Cenni storici sul burro Il rapporto che l’uomo ha con gli alimenti non è mai stato unicamente ed esclusivamente di tipo nutrizionale o, come oggi si dice, fisiologico, e neppure di tipo soltanto economico. La scelta degli alimenti e di conseguenza anche il loro valore è dipesa e continua a dipendere anche dal soddisfacimento d’altre esigenze, di tipo psicologico interno spesso inconscio, ma anche di riferimento e legittimazione di valori e significati culturali. Questi potevano anche essere il frutto di condizionamenti spirituali e religiosi, poi tradotti in regole di vita od in rituali, quando non erano la fonte di pregiudizi culturali, che spesso vediamo ancora persistere od assumere nuove forme nelle attuali “religioni laiche”. In quest’ambito, soprattutto per lo storico dell’alimentazione e del costume, ma anche dell’economia e della salute, una particolare importanza assumono i condimenti sia come fondi di cottura, sale ed aceto, spezie, ma soprattutto le sostanze grasse che sono una componente irrinunciabile ad ogni sistema alimentare, definendone caratteri, specificità ed identità, tanto da poter essere inquadrati tra i marcatori culinari. In quest’ultimo ambito il burro non può essere considerato da solo, ma in rapporto anche ad altri grassi. Lunga è la storia del burro, anzi la sua preistoria, perché si fa risalire all’inizio della domesticazione degli animali da latte, anche se con una contrapposizione ai latti fermentati. In modo molto schematico si ritiene che la vasta area della domesticazione degli animali produttori di latte, fin dai primordi sia stata inizialmente divisa in due sottoaree: a meridione ed in ambito della fertile mezzaluna la temperatura elevata ha favorito lo sviluppo dei latti acidi; a settentrione il clima freddo ha favorito la produzione e l’utilizzo del burro. Nella Naturalis Historia (libro XXVIII) Plinio il Vecchio scrive che dal latte si ricava il burro e che questo è l’alimento più raffinato, e non soltanto un 70 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. condimento, dei popoli barbari: un prodotto alimentare il cui consumo distingue i ricchi dai poveri (E lacte fit et butyrum, barbararum gentium lautissimus cibus et qui divites a plebe discernat). Il burro, condimento di lusso e grasso di élite dei popoli settentrionali, definiti “barbari”, si contrappone all’olio d’oliva in uso presso i romani ed i greci, popoli “civili”. Oltre questa contrapposizione tra barbari e civili s’inseriscono già gli usi non nutrizionali del burro. Sempre Plinio ricorda che il burro ha attività protettive dai raggi solari e dall’umidità, per molti versi peraltro simili a quelle dell’olio. Se i barbari hanno l’abitudine di spalmarlo sulla pelle, Plinio ricorda che “anche noi lo facciamo con i nostri bambini”. A Roma, infatti, il burro era reperibile, ma per uso diversi da quelli alimentari. Per questo Caio Giulio Cesare si stupisce quando, nella Gallia Cisalpina, gli sono offerti asparagi cotti nel burro. In tempi precedenti, in Grecia Ippocrate ricordava che il burro era importato dall’Asia per essere usato come unguento. Nell’antichità la contrapposizione olio/burro era costantemente rappresentativa di un contrasto tra civiltà e barbarie. Riferendosi ai montanari dei Pirenei, Strabone con disprezzo afferma che “il burro serve loro da olio”. Passando al Medioevo Jean-Louis Flandrin individua il burro come alimento popolare e provinciale, in contrapposizione anche all’olio. E’ soprattutto nel Medioevo che però si stabilizza la gran divisione dell’Europa in due parti. Nell’area mediterranea domina incontrastato l’olio d’oliva e poi di altri vegetali, mentre nell’area continentale dominano i grassi animali, da quello di maiale (lardo e strutto od oleum lardinum) al più prezioso e raffinato burro. Una bipartizione tra grassi vegetali ed animali che comporta anche pregiudizi: se il burro nei paesi nordici era ritenuto ricco di virtù terapeutiche e capace di alleviare la fame e la sete, oltre che imprimere energia, nell’Italia meridionale era considerato pericoloso e causa di terribili malattie, quali la lebbra. Una concezione razzista quest’ultima che vediamo ripetersi per ogni alimento esotico: tipica è l’accusa, ancora nel settecento, alla patata di causare la lebbra. Nell’ora accennata bipartizione s’inserirono anche valutazioni d’ordine religioso e soprattutto quelle riguardanti i concetti di “magro” e “grasso” e dell’astinenza dalle “carni”. Termini questi che devono essere virgolettati perché di valore religioso che non coincide con quello odierno di tipo “botanico” o “zoologico”. Infatti, già durante il Medioevo, il burro 71 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. fu ammesso come alternativa all’olio per i giorni di magro, dapprima sporadicamente e, poi, in maniera sempre più generale. Negli ultimi secoli del Medioevo le autorità ecclesiastiche di diverse comunità dell’Europa settentrionale concessero il burro come condimento “magro” e nel capitolare de villis di Carlo Magno il butirum è elencato fra i prodotti quaresimali. In questo modo il burro viene a collocarsi vicino all’olio nella cucina “magra”, mentre il lardo rimane sempre nella cucina “grassa”. Anche se non strettamente necessario, è utile accennare a quello che sembra sia stato il criterio religioso per discriminare tra “magro” e “grasso”, qui di nuovo virgolettati. Con riferimento prima alla quaresima, poi per estensione alle vigilie ed a tutte le altre occasioni d’astinenza, sembra sia il criterio preso come riferimento sia stata l’arca di Noè che durante quaranta giorni (la stessa durata della quaresima) portò in salvo anche gli animali che, ovviamente non furono mangiati. Ciò che era fuori dell’arca poteva essere mangiato da Noè e dalla sua famiglia: dal pesce alle rane fino ad alcuni uccelli acquatici come le folaghe. Quest’ultima, almeno, era, infatti, l’interpretazione data dai monaci dell’abbazia di Pomposa. Inoltre tutto quello che era dentro all’arca era definito come “grasso” e quello che era fuori, invece, era giudicato “magro”. La regola poteva tuttavia essere interpretata ed è ovvio che se sull’arca vi era una mucca, Noè e la sua famiglia si saranno cibati del latte e dei suoi derivati, ad iniziare dal burro. Per questo il burro poteva essere definito “magro”. Con il procedere dei tempi e soprattutto con il diminuire della forza delle concezioni religiose, pur interpretate come facevano i monaci dell’abbazia di Pomposa...., assumono maggiore importanza le componenti economiche e da non trascurare quelle gastronomiche. Infatti, i caratteristici punti di fusione dei diversi grassi li indirizza ad usi specifici: gli oli per condire, i grassi per cucinare, ecc. In questa situazione il burro non ha un posto di rilevo. Da una parte è confinato tra gli alimenti “magri” e dall’altro è ritenuto un alimento per poveri, come sopra già indicato. Nel XV secolo in Italia vi è ancora una certa ambivalenza di significazioni. Il Platina nel suo famoso trattato De honesta voluptate et valetudine composto a circa la metà del XV secolo afferma che il si può usare “in luogo del grasso e dell’olio per cucinare qualsiasi vivanda”, ma nello stesso periodo il padovano Michele Savonarola sostiene che “molti (il burro) l’usano in loco de olio (...) ma el buthiero nuoce allo stomaco e ai soi villi, quelli relaxendo, e a chi non l’ha usato, ge turba el stomaco”. Nell’età moderna il burro assume un ruolo di élite. Già a metà del secolo 72 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. XVII Vincenzo Tanara nella sua opera L’economia del cittadino in villa non solo riconosce la particolare vocazione nei paesi settentrionali di quest’alimento, ma anche il suo utilizzo da parte dei ceti abbienti. Presso gli antichi, riferisce Tanara, il burro era la separazione della nobiltà dalla plebe, del ricco dal povero, perchè il plebeo povero non poteva usare il burro per il suo prezzo elevato. Oltre alla possibilità di usare il burro al posto dell’olio e d’altri grassi, molte proprietà medicinali gli sono ascritte: dalle malattie respiratorie da raffreddamento al catarro ed alla tosse; dalle scottature alla cura dei foruncoli; dall’azione benefica sulle gengive e di rendere più fermi i denti alle screpolature delle labbra ed infiammazioni della bocca; dalla capacità di far sputare, fino all’attività contro il veleno di vipere ed aspidi, senza dimenticare le benefiche attività quando è spalmato sul corpo. Nell’alimentazione è sottolineata la sua capacità di sostituirsi all’olio, ma anche di essere utilizzato nelle decorazioni dei piatti e come medicamento. Poco tempo dopo, il cardinale Alberoni, proponendo al re di Spagna, per le seconde nozze avvenute nel 1714, Elisabetta Farnese la descriveva “impastata di butirro e di formaggio piacentino e cioè nutrita con quanto di meglio vi era, il che doveva far immaginare una pelle liscia e vellutata. Un rapporto tra burro e pelle d’altronde ben radicato anche negli allevatori che dalla sottigliezza ed untuosità della pelle dicevano di poter individuare la vitella o la vacca che avrebbe dato un latte ricco di grasso. Come si vede il burro ha sempre avuto una duplice valutazione: positiva e negativa, ma sempre per motivi estranei alla sua composizione. Una lunghissima preistoria e un’ampia e diversificata storia hanno comunque spesso celebrato gli aspetti positivi del burro, nelle sue molteplici applicazioni, ma soprattutto in quelle alimentari, sia nutrizionali sia gastronomiche, senza dimenticare le applicazioni cosmetiche e le utilizzazioni medicinali. Aspetti positivi che sono ampiamente documentati dalla tradizione, ma anche dal suo valore simbolico e, non da ultimo, anche dal suo valore commerciale, quando ad esempio in pianura padana il burro aveva un prezzo almeno pari a quello del formaggio grana. Negli ultimi anni e per una non sempre limpida serie di motivi vi è stata un’inversione di valutazione e dall’amore sembra che si sia passati ad un odio, fino ad un’ingiusta criminalizzazione del burro che, nel quadro di una religione salutistica “laica”, non è molto diversa dalla concezione che derivava da una religione “fideistica” che lo inseriva tra i cibi “magri”, perché prodotto da un animale portato da Noè sull’arca. 73 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Il recente sviluppo della ricerca sulle attività non soltanto nutrizionali, ma anche sulle attività extranutrizionali e sulle caratteristiche salutistiche degli alimenti, non solo sta dimostrando che la tradizione aveva ragione, ma che il burro è dotato di particolari attività salutari, forse più d’altri alimenti oggi di moda. Antropologia darwiniana dei grassi Grassi e oli, alimenti non naturali, ma soprattutto culturali Nell’uomo vi è il comportamento fisso di ricerca del grasso, in quanto fonte d’energia, anche se oli e grassi non sono alimenti naturali e sono stati sviluppati dalla cultura umana. Oli e grassi sono alimenti culturali, il cui uso eccessivo e squilibrato porta a patologie, prima di tutte obesità e sovrappeso con tutte le nefaste conseguenze. Può sembrare impossibile, ma oli e grassi non sono alimenti naturali nel senso che, come tali non si trovano in natura. In gran parte sono stati sviluppati dalla cultura umana. Sono quindi più alimenti culturali. I grassi sono stati inventati dall’uomo, che soltanto qualche migliaia d’anni fa ha imparato ad estrarli, alcuni dai vegetali (ad esempio dalle olive) o da talune parti o produzioni animali (ad esempio lo strutto ed il burro). Nella sua alimentazione naturale e durante il 99% della sua presenza sulla terra, l’uomo ha cercato ed apprezzato soltanto alimenti contenenti quantità più o meno elevate di grassi, come carni grasse e frutta oleose ad esempio olive, noci, mandorle, nocciole ecc., ma non i rispettivi oli. L’olio d’oliva noto era ben noto nell’area mediterranea fin dall’antichità, quando era usato come medicinale, cosmetico o combustibile nelle lampade e meno come alimento, se non dai più ricchi. Altri oli, ad esempio quelli di mais, arachide, girasole, vinaccioli, sono entrati nell’alimentazione umana solo quando l’industria é riuscita ad estrarli ed a purificarli. 74 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. GRASSI NELL’ALIMENTAZIONE PALEOLITICA E QUELL’AMERICANA OD OCCIDENTALE ATTUALE (da Eaton, Eaton III, Konner, 1999) ALIMENTAZIONE ALIMENTAZIONE NUTRIENTE PALEOLITICA OCCIDENTALE 3000 2000 - 2500 (3000) ENERGIA (Kcal) PROTEINE (grammi giorno) GRASSI (% energia alimentare) COLESTEROLO (mg giorno) CARBOIDRATI SEMPLICI FIBRA ALIMENTARE (grammi giorno) 200 – 250 100 – 200 Meno del 10% Più del 30 – 40% 500 Più di 1000 Scarsi o assenti Abbondanti 104 10-20 GRASSI NELL’ALIMENTAZIONE DELL’UOMO DEL PALEOLITICO E DELL’UOMO ATTUALE (da McKully, 2001) NUTRIENTE PALEOLITICO 33% PROTEINE ANIMALI (a) 20 – 25% GRASSI (a) 6% GRASSI SATURI (a) 100 FIBRE (grammi giorno) a) Percentuale delle calorie ATTUALE 12 – 14% > 30% 14% 10 – 20 I grassi strutturali I grassi presenti negli alimenti naturali sono intimamente connaturati con altri componenti alimentari, sono grassi strutturali e per questo sono in buon equilibrio con le proteine e gli amidi degli alimenti; questo é una garanzia contro eventuali eccessi. All’opposto i grassi e gli oli puri, inventati dall’uomo e creati dall’industria, per il loro alto valore energetico (un grammo di grasso, pur essendovi diversità nella percentuale che è digerita, apporta in media 8,5 chilocalorie), e per la loro alta disponibilità ad un prezzo spesso basso che ne favorisce un uso eccessivo, possono indurne un cattivo impiego e provocare inconvenienti nutrizionali, dietetici e sanitari anche gravi. Basta ricordare l’obesità, l’arteriosclerosi e talune malattie cardiovascolari favorite da eccessi di taluni grassi o da alimentazioni con una quantità eccessiva di grassi. Quanto ora indicato per l’uomo vale anche per gli animali allevati. Quando sono alimentati con grassi di scadente qualità ed ossidati, l’uomo se li ritrova nel piatto. 75 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Alcuni oli e grassi hanno particolari doti benefiche e gli antichi sapevano che l’olio d’oliva è un alimento salutare, quasi un farmaco ed un portatore di bellezza. Recentemente la nostra società tecnologica, sviluppando cattivi comportamenti, ha creato una spesso immeritata paura dei grassi alimentari. Tanti oli e grassi Dal 1800 si è iniziato a comprendere la complessità dei grassi o lipidi e che non differiscono tanto per l’energia (i grassi e gli oli hanno un potere energetico che varia con la loro digeribilità e si aggira su circa 8,5 chilocalorie per grammo), quanto per il tipo di molecole di cui sono costituiti. Una classificazione chimica molto semplice distingue i grassi in saturi (non reagiscono bene con l’ossigeno) ed insaturi e polinsaturi (si ossidano facilmente). La pura classificazione chimica è insufficiente, da quando è stato scoperto che molti acidi grassi alimentari sono modificati ed elaborati dall’organismo, anche in rapporto al tipo di dieta, stile di vita ecc. Ad esempio nell’uomo, l’acido stearico di cui è ricco il grasso bovino, é trasformato in acido oleico tipico dell’olio d’oliva. Con uno stile di vita attiva sono maggiormente utilizzati gli acidi grassi saturi ed il colesterolo. Importante é avere stabilito che i grassi non hanno soltanto una funzione energetica, ma anche insostituibili funzioni plastiche o costruttive dell’organismo. Per questo motivo alcuni acidi grassi, come già indicato, devono essere necessariamente introdotti con l’alimentazione (Acidi Grassi Essenziali - AGE), come l’acido linoleico e l’alfa-linolenico e probabilmente gli acidi arachidonico e cervonico. Per una corretta dieta sono importanti le significative differenze che esistono tra i grassi estratti da animali e vegetali e quelli strutturati presenti nelle carni, latte o diversi semi oleaginosi (olive, noci, soia, arachide, ecc.) o granaglie (mais, ecc.). Negli alimenti grassi od oleaginosi, a parte la citata coesistenza equilibrata con proteine ed amidi, la digeribilità dei grassi è diversa e calibrata con l’attività digestiva. Molto diverso è l’effetto di un olio che arriva tal quale, anche se mescolato agli alimenti, nello stomaco, o che invece per l’azione digestiva dello stomaco viene lentamente e gradualmente liberato da carni, olive o noci che lo contengono in forma strutturata e che arriva come grasso od olio libero a livello intestinale, dove trova gli enzimi adatti per una sua digestione. Negli alimenti grassi e molto meno nei grassi ed oli da questi derivati sono presenti altri nutrienti come i fosfolipidi, le lecitine, il colesterolo, che in opportuna quantità deve essere presente nella dieta, alcune vitamine liposolubili (soprattutto E ed A), fitormoni, ecc. 76 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Rischi e virtù dei grassi Tutti i grassi al tempo stesso sono buoni e cattivi. O, meglio, sono ben o mal usati. Un grasso è spesso cattivo in quanto mal usato ed in eccesso rispetto al fabbisogno energetico. Nell’uomo paleolitico e nell’uomo agricoltore era difficile avere un eccesso di grassi. Il tipo di vita attiva con forte lavoro muscolare, ammetteva una sostanziosa quantità d’acidi grassi saturi, senza alcun significativo inconveniente. Con un’alimentazione in gran prevalenza basata su grassi strutturali era difficile avere squilibri con eccessi di grassi. Da quando abbiamo a disposizione i grassi e gli oli puri e non soltanto strutturati, non é soltanto quello della quantità, ma anche della qualità. Con la conservazione i grassi vanno incontro all’ossidazione (irrancidimento) da cui originano pericolosi perossidi. Di pari passo nei grassi sono distrutti gli antiossidanti naturali, ad iniziare dalla vitamina E. In un’alimentazione equilibrata sono necessari alcuni tipi di grassi. Una dieta che contenga “grassi sbagliati” e non adatti allo stile di vita, causa patologie metaboliche che oggi preoccupano. I “grassi sbagliati” provocano alterazioni delle membrane cellulari, che divengono fragili e sensibili alle aggressioni. Per la paura dei grassi e riducendoli drasticamente nell’alimentazione, oggi rischiamo una carenza di grassi, dimenticando che alcuni sono necessari per la vita, la salute, l’equilibrio psicofisico e per la bellezza del corpo. Una carenza di grassi nella dieta, nei paesi sottosviluppati avviene per mancanza d’alimenti e, nei paesi industrializzati, per l’uso di cibi troppo purificati o di diete squilibrate ed uniformi. Per un buono stato di salute vi è la necessità di introdurre con l’alimentazione taluni acidi grassi essenziali (AGE): ogni giorno un uomo adulto deve assumere almeno dieci grammi d’acido linoleico, due grammi d’acido alfa-linolenico e quantità ancora non ben definite d’acido arachidonico e d’acido cervonico. Rischiano una carenza d’AGE coloro che seguono una dieta, carnivorana, vegetariana o vegana, con poco olio o grasso, o soltanto di un unico tipo e soprattutto coloro che non privilegiano alimenti animali e vegetali contenenti grassi strutturati. Le carni magre contengono acidi grassi essenziali di tipo insaturo molto utili per una corretta alimentazione e in questi ultimi tempi vi é stata un’evoluzione favorevole di molte carni, tra le quali quella di maiale, per quanto riguarda l’acido oleico e l’acido linoleico. Anche degli acidi grassi insaturi non bisogna abusare ed un’alimentazione ricca d’acido linoleico favorisce la formazione di calcoli biliari ed altri disturbi. Anche per i grassi vale il concetto dell’equilibrio alimentare e del est modus in rebus. 77 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. I grassi possono diventare pericolosi in diverse condizioni: presenza di composti chimici indesiderati, cattiva conservazione ed uso non corretto. Soprattutto oggi è necessaria una strategia alimentare dei grassi. Quale grasso usare nell’alimentazione? A parte le spinte pubblicitarie per questo ogni categoria di produttori vorrebbe che fosse utilizzato soltanto o prevalentemente il suo grasso od olio (strutto, olio di oliva o di mais, ecc.), vi sono alcune regole che oggi sono chiare e devono essere seguite per una sana alimentazione. 1 - In una dieta equilibrata sono da privilegiare i grassi strutturali, di tipo animale e vegetale. 2 – Limitare l’uso dei grassi accumulati negli organi d’animali, in particolare nelle frattaglie (ad esempio fegato, rognoni, ecc.). 3 - I grassi od oli, anche se genuini e naturali, devono essere aggiunti alla dieta in quantità opportune e non eccessive, integrando quelli strutturali senza sostituirli. 4 - Privilegiare un uso crudo degli oli ed usare preferibilmente quelli ricchi di acidi grassi insaturi ed essenziali. QUANTITA’ (GRAMMI) DI OLIO O GRASSO NECESSARIO PER COPRIRE IL FABBISOGNO GIORNALIERO DI ACIDI GRASSI ESSENZIALI DI UN UOMO ADULTO = N.B. La quantità di grassi, in una dieta equilibrata, non deve superare il 30% delle calorie (25% nei sedentari), pari a 1000-625, calorie che corrispondono a 115-75 grammi di olio o grasso il giorno. OLIO O GRASSO ACIDO LINOLEICO OLI VEGETALI ARACHIDE MAIS OLIVA AC.ALFALINOLENICO 38 20 2.000 200 SOIA VINACCIOLO SEMI VARI MARGARINA GRASSI ANIMALI BURRO LARDO STRUTTO 107 370 19 15 18 24 400 66 100 200 535 132 160 === 117 571 78 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Grassi e nutrizione darwiniana Un’irresistibile voglia di grasso è profondamente iscritta nel comportamento alimentare dell’uomo. Nella sua alimentazione naturale e durante il 99% della sua presenza sulla terra, l’uomo ha cercato ed apprezzato ogni alimento contenente quantità più o meno elevate di grassi. Come sta insegnando la nutrizione evoluzionista, quest’impellente voglia di grasso che ancora oggi tormenta tutti coloro che vogliono o debbono calare di peso o sono a dieta, dipende dallo stile di vita sviluppato dall’uomo nell’ultimo milione d’anni. Egli era un grande corridore che a piccolo trotto, con brevi spunti veloci, percorreva venti, venticinque e più chilometri il giorno, con una grande necessità d’energia, che solamente il grasso poteva fornire. Ancor oggi il grasso deve fornire da un quarto ad un terzo dell’energia alimentare. La voglia di grasso trova un preciso riferimento ed un potenziamento nell’imprinting alimentare. Il colostro prima ed il latte poi di cui si nutre il neonato sono il principale alimento umano nei primi tre, quattro anni di vita. Entrambi gli alimenti sono ricchi di grassi. Soprattutto nel passato il grasso alimentare era di tipo animale. Solo recentemente il grasso vegetale è comparso nell’alimentazione umana. In un’analisi evoluzionista darwiniana, i grassi della carne sono stati esaminati da Eaton (1998) che hanno studiato l’introduzione alimentare d’acidi grassi polinsaturi a lunga catena nella dieta paleolitica umana. Broadhurst (1997) ha considerato l’uso alimentare bilanciato dei trigliceridi naturali sotto la prospettiva nutrizionale ed evoluzionista. In quest’ultima prospettiva, gli alimenti naturali contengono una gran varietà di grassi strutturali, di tipo polinsaturo, monoinsaturo e saturo e quindi è difficile giustificare un’alimentazione che non contenga un’equilibrata miscela di trigliceridi e di fosfolipidi (Britton M., Fong C., Wickens D., 1992). Nessun grasso naturale è intrinsecamente buono o cattivo, ma può diventarlo la loro proporzione od associazione. Da un punto di vista evoluzionista bisogna raccomandare una grande varietà di grassi, sotto il profilo della loro struttura, grado di saturazione, lunghezza delle catene. Gran parte delle patologie connesse allo squilibrio tra grassi polinsaturi del tipo n-3/ n/6 sono dovuti all’uso dei cereali in alimentazione umana e degli animali produttori d’alimenti per l’uomo ed i processi di raffinazione degli alimenti che n’amplificano le conseguenze. Altrettanto importanti sono i processi di lavorazione e di raffinazione in quanto numerosi composti fitochimici presenti negli oli non raffinati e vegetali oleosi, svolgono un’importante protezione contro la perossidazione dei grassi e malattie croniche. 79 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. La voglia di grasso, soprattutto quello animale, ricco d’acidi grassi saturi e di colesterolo é adeguato ad uno stile di vita molto attiva, e gli acidi grassi saturi ed il colesterolo sono preferibilmente mobilizzati ed utilizzati nel lavoro muscolare. Una riduzione di questi componenti è necessaria per stili di vita di tipo sedentario. COMPOSIZIONE IN ACIDI GRASI DEL LATTE DI DIVERSE SPECIE E DEL BURRO ACIDI GRASSI BUTIRRICO LATTE LATTE LATTE LATTE BURRO VACCA BURRO DONNA DONNA VACCA mg/ mg/ % mg/etto % % etto etto = 120 2600 CAPROLICO 61 82 1500 CAPRILICO = 46 900 CAPRICO = 96 2000 LAURICO 210 120 2200 MIRISTICO 340 380 8100 PALMITICO 96 4,39 96 21100 33,68 STEARICO 29 1,32 36 970 1,54 ARACHIDICO 46 25 = PALMITOLEIC 0,12 0,11 180 OLEICO 1340 61,29 94 LINOLEICO 38 1,73 LINOLENICO 22 1,01 ARACHIDONIC 4,20 2,89 7,54 20100 32,08 89 1800 2,87 61 1200 1,09 = = Attività extra-nutrizionali del burro Gli alimenti, oltre alle caratteristiche tipicamente nutrizionali (apporto di energia, proteine, vitamine e sali minerali, ecc.) quasi costantemente posseggono anche caratteristiche che superano o esulano la nutrizione, che non raramente sconfinano in effetti farmacologici (ad esempio alimenti nutraceutici) con attività di tipo nervoso, ormonale, immunitario, ecc. che, 80 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. nel loro insieme e varietà, sono dette attività extra-nutrizionali. Per queste attività, in quanto capaci di indurre modificazioni dirette e soprattutto indirette di tipo psichico, si parla di attività psicodietetiche. Nel burro vengono oggi individuate alcune attività extranutrizionali (per il particolare tipo di alimento definite anche “extraenergetiche”) ed in particolari le seguenti. • Azione antinfettiva, tramite una migliore immunità • Attività psicodietetiche • Attività anticancerogene • Attività ormonali, dirette ed indirette. Le singole attività extranutrizionali considerate tendono a potenziarsi a vicenda, per cui il risultato è di norma superiore alla somma dei singoli effetti. Buona parte di queste attività sono collegate alla quota lipidica ed in particolare agli acidi grassi, oltre che al colesterolo. Oggetto della presente esposizione è di focalizzare l’attenzione su alcuni recenti acquisizioni riguardanti alcune attività extranutrizionali (extraenergetiche) di tipo salutistico del burro. Attività antinfettive del burro Ci si è più volte domandato perchè durante le malattie infettive si dimagrisce, Si è anche visto come recenti ricerche abbiano dimostrato che quando il Sistema Immunitario viene stimolato da un’infezione od anche da una semplice vaccinazione, vi sono modificazioni del metabolismo (febbre, riduzione dell’appetito, perdita di proteine e soprattutto di quelle muscolari) che fanno calare di peso, mentre nei bambini e nei giovani vi è anche una riduzione dell’accrescimento corporeo. Una delle cause che negli ultimi cinquanta anni, nei paesi sviluppati, ha indotto un aumento della statura media della popolazione senza dubbio è stata la riduzione degli attacchi infettivi, associata però ad un’alimentazione capace di contrastare gli sfavorevoli effetti metabolici conseguenti alla stimolazione del Sistema Immunitario. Il burro contiene vitamine liposolubili (A, D, E) importanti per le reazioni immunitarie. Recenti studi, come recentemente ha affermato Michael PARIZA del College of Agricultural & Life Sciences dell’Università del WisconsinMadison (USA), dimostrano l’importanza dell’Acido Linoleico Coniugato (ALC) nella prevenzione del calo di peso da infezioni e da stimolazione del Sistema Immunitario. 81 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Il termine di Acido Linoleico Coniugato (ALC) viene usato per identificare i diversi isomeri dell’acido linoleico: i doppi legami coniugati sono usualmente quelli in posizione 9 e 11 o 10 e 12. E’ oggi noto che l’acido linoleico ed in particolare l’ALC, noto anche per le sue Attività Anticancerogene e le sue Proprietà Antiossidanti, svolgono anche azioni di Protezione Metabolica in caso di infezioni, vaccinazioni e stimolazione del Sistema Immunitario. L’acido linoleico è inoltre un composto naturale diffuso negli alimenti di origine animale prodotti dai ruminanti come il latte, i latticini ed il burro, oltre e la carne bovina. Le quantità di acido linoleico necessarie per ottenere gli effetti desiderati sono dell’ordine di qualche grammo il giorno, una quantità che può essere ottenuta con una dieta che contenga buone quantità di carne di bovina o di latte intero o di burro di mucca. Le stesse quantità esercitano anche una buona azione antiossidante ed anti-cancro. Attività ormonali del burro Le attività ormonali del burro sono di tipo diretto ed indiretto. Le attività ormonali dirette derivano soprattutto dagli ormoni naturali, di tipo liposolubile e soprattutto di tipo steroideo (estrogeni, progestinici ecc.) e dai fitormoni presenti nell’alimentazione del bestiame. Le attività ormonali indirette sono da collegare soprattutto ad alcune vitamine liposolubili (in particolare Vitamina D) ed al colesterolo, in quanto base biochimica degli ormoni steroidei (ormoni sessuali, corticosteroidi, ecc.). 82 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. ATTIVITA’ ORMONALE DI ALCUNI OLI E GRASSI (mg equivalenti a Follicolina ed Estrone, per 100 grammi di alimento) OLIO O GRASSO OLIO DI OLIVA - PRESSIONE OLIO DI OLIVA - ESTRAZIONE OLIO DI OLIVA - PURIFICATO ARACHIDE LINO SOIA COLZA MAIS GIRASOLE BURRO DI CACAO BURRO LARDO STRUTTO FOLLICOLINA EQ 15 35 5 10 3,5 10 8 11 18 3 28 21 4 ESTRONE EQ. 4,00 5,20 0,25 0,25 0,20 0,80 1,00 1,50 0,50 0,80 0,80 0,30 0,10 Attività psico-dietetiche del burro Oltre ad apportare energia, i grassi hanno altre due principali funzioni alimentari. a) Partecipano in modo attivo alla costruzione dell’organismo e soprattutto delle membrane cellulari. b) Hanno un ruolo essenziale a livello del sistema nervoso, soprattutto di quello centrale, (cerebrale), particolarmente nella fase del suo sviluppo. L’azione costruttiva dei grassi si svolge soprattutto nella membrana che delimita ed avvolge ogni cellula. Le membrane delle cellule sono costituite da un aggregato di lipidi (o grassi) e proteine. I Fosfolipidi rappresentano il 50-60 % dei lipidi di membrana, mentre il 20% è costituito da Colesterolo. Più di un terzo degli Acidi Grassi dei Fosfolipidi di membrana è costituito da Acidi Grassi Essenziali (AGE) di origine alimentare, con particolare preminenza degli Acidi Linoleico ed Alfa-linolenico. Una cellula di misura media contiene, nella sua membrana, almeno tredici miliardi di molecole lipidiche. Una membrana cellulare ricca di Acidi Grassi Insaturi è elastica, fluida, flessibile e dinamica e rende la cellula attiva e sana. I grassi di membrana, detti anche strutturali sono estremamente importanti nell’alimentazione ed in una dieta equilibrata dovrebbero coprire gran parte del fabbisogno lipidico, soprattutto nei bambini e giovani in accrescimento. Oggi, sempre più, si pensa che analoghe necessità vi siano nella terza età. 83 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Una carenza di Acidi Grassi Essenziali provoca gravi alterazioni dell’organismo, fino alla morte. Tutti gli organi sono interessati, ma particolarmente evidenti sono le alterazioni della pelle che diviene secca, fragile e facile preda ad infezioni o parassitosi; aumenta anche la recettività alle infezioni. Azioni a livello cerebrale dei grassi. Tra gli organi che soprattutto durante il loro sviluppo risentono di carenze di Acidi Grassi Essenziali vi è il cervello, come anche recentemente è stato studiato Jean-Marie BOURRE, Direttore dell’Istituto Nazionale Francese per le Ricerche Mediche. Il cervello è l’organo in assoluto più ricco di grassi. Come tutto il sistema nervoso, per circa la metà (escludendo l’acqua) il cervello è costituito da grassi, anche se ricava l’energia prevalentemente dallo zucchero (glucosio) che gli arriva con il sangue. Nel cervello sono presenti diversi tipi di grassi, ma soprattutto taluni lipidi elementari e molti lipidi complessi. Tra i lipidi elementari del cervello vi è il Colesterolo che controlla la fluidità delle membrane delle cellule. Se un eccesso di colesterolo rende difficoltoso il funzionamento delle cellule nervose, lo stesso vale per una sua scarsità. Gran parte dei lipidi complessi presenti nel cervello è costituita da Fosfolipidi e Sfingolipidi, che contengono acidi grassi saturi e monoinsaturi. Alcuni di questi acidi grassi devono essere introdotti dall’esterno, come gli acidi Lignocerico, Linoleico ed Alfa-linolenico. I lipidi complessi del cervello hanno funzioni prevalentemente strutturali ed è ovvio che un cervello mal costruito non può funzionare bene. Una carenza degli acidi polinsaturi alimentari è particolarmente grave nel periodo dello sviluppo cerebrale, immediatamente dopo la nascita e nei primi anni di vita. Per questo il latte umano contiene rilevanti di Acido Alfa-linolenico e del suo derivato Acido Cervonico. Per fornire questi acidi grassi essenziali per tutto il periodo di massimo sviluppo cerebrale del bambino, l’allattamento veniva protratto fin verso i quattro anni, quando il cervello si era ben formato. Purtroppo oggi i latti artificiali non contengono quantità sufficienti di tali acidi grassi, tanto che alcuni sostengono che la carenza che ne deriva possa ridurre il Quoziente Intellettuale ed indurre o predisporre a turbe intellettuali e comportamentali persistenti. Gli stessi acidi grassi necessari per lo sviluppo cerebrale del neonato e del bambino 84 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. sembrano lo siano anche nel resto della vita, ma soprattutto nella vecchiaia nella quale pare siano importanti per il mantenimento di una completa efficienza intellettuale. Colesterolo ed intelligenza Oggi ci si sta accorgendo dei rischi di un colesterolo “basso”! Da tempo era stato segnalato il collegamento tra i bassi livelli di colesterolo nel sangue e la riduzione della produzione degli ormoni steroidei e tra questi anche quelli sessuali (vedi Attività Ormonali). Recentissime indagini di un gruppo di ricercatori del Centro di Ricerca sulla Nutrizione del Bambino di Huston, dell’Università di Praire (USA) e dell’INRA francese, guidati da P.A. Schoknecht, hanno stabilito che nel giovane maiale, una specie animale vicina all’uomo, bassi livelli di colesterolo alimentare hanno un’influenza negativa sullo sviluppo del cervello e sul comportamento. Un risultato che è stato correlato al fatto che il colesterolo è un importante ed abbondante componente del cervello e soprattutto della mielina, che si forma nella vita neonatale. Se si riportano all’uomo i risultati di queste ricerche, che confermano quanto era stato già visto sui topi, risulta l’importanza che il bambino sia nutrito al seno con un latte molto ricco di colesterolo e di acidi grassi essenziali e che successivamente abbia un’alimentazione con cibi di origine animale adeguatamente dotati di colesterolo. Il latte di donna è, infatti, più ricco di colesterolo che non quello di altri animali (in particolare di quello di mucca) e del latte artificiale. Il bambino inoltre, per il suo grande sviluppo cerebrale che si prolunga fino ai quattro, cinque anni di età, ha necessità di buone quantità di colesterolo alimentare. Attualmente l’allattamento al seno è stato fortemente abbreviato, ma è sempre necessario assicurare al neonato e poi al bambino una sufficiente quantità di colesterolo alimentare, indispensabile per un regolare sviluppo del cervello. In base alla necessità di colesterolo alimentare del bambino è stato anche interpretato il più alto Quoziente di Intelligenza nei bambini alimentati con latte materno (ricco di colesterolo), in confronto di quello dei bambini alimentati con latte artificiale (povero di colesterolo). Anche dopo lo svezzamento, il bambino, il cui cervello non si è ancora completamente sviluppato ed i processi di apprendimento sono ancora in piena attività, necessita di un’alimentazione con cibi che contengono colesterolo. A questo riguardo, il burro risulta particolarmente indicato. 85 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. E’ utile ricordare che i grassi sono indispensabili in ogni dieta equilibrata, nella quale non devono fornire più del 30-35% delle calorie totali. Molti dei problemi attribuiti ai grassi (ed al colesterolo) derivano da un loro eccesso, più che dalla loro qualità. In relazione al Problema Colesterolo, strettamente legato ai grassi ed oggi tanto temuto, bisogna ricordare alcuni punti fermi riportati in una tabella. Come anche recentemente ha sottolineato il Prof. E. Turchetto dell’Università di Bologna, per il latte ed i suoi derivati, ivi compreso il burro, non viene sempre tenuto conto dei seguenti punti, validi per le persone normali. Una significativa quota di grassi del latte e quindi dei suoi derivati, quindi anche del burro, è di tipo insaturo od a corta catena e quindi sono grassi buoni. I grassi del latte e prodotti derivati sono soltanto una parte di quelli introdotti, sia di origine animale che vegetale. La quantità di colesterolo normalmente ammessa nell’alimentazione di persone sane è di 300 mg, quanto ne è contenuto il oltre 2 litri di latte intero, o 300 grammi di formaggio, od in 120 grammi di burro. La sostituzione del burro normale con burro senza colesterolo (od olio vegetale) nella dieta degli italiani porterebbe ad una diminuzione media del colesterolo nel sangue dello 0,6% (vale a dire che se nel sangue vi sono 250 milligrammi, questi diverrebbero 248 per 100 millilitri). Una diminuzione di scarsissimo significato pratico. Quando il contenuto di grasso totale di una dieta è basso (non superiore al 30% delle calorie totali) l’effetto del burro sul colesterolo del sangue è minimo, anche se è l’unico grasso alimentare. Nella maggior parte degli individui il colesterolo alimentare influenza in minima parte la sua quantità nel sangue, perchè l’organismo dispone di efficienti meccanismi che controllano la produzione di colesterolo. In altri termini, se si ingerisce poco colesterolo l’organismo ne fabbrica molto e quando se ne introduce molto l’organismo riduce la sua produzione. In generale la capacità del colesterolo alimentare di aumentare quello del sangue, è stata eccessivamente sottolineata. Tuttavia esistono individui con scarse capacità di adattare la loro produzione di colesterolo, per cui ad un aumento della sua assunzione segue un incremento della sua quantità nel sangue. In questo caso bisogna modificare la dieta. In questi individui è molto importante una riduzione delle calorie della dieta, ad incominciare da quelle portate dai grassi, soprattutto quelli che contengono quote più o meno elevate di acidi grassi saturi. 86 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. ALCUNI PUNTI FERMI SU COSIDDETTO “PROBLEMA COLESTEROLO” • La quantità di colesterolo alimentare è solo una parte di quello che ogni giorno viene prodotto dall’organismo. • Nelle persone sane esistono degli efficaci meccanismi di controllo e quando aumenta l’introduzione di colesterolo con gli alimenti, diminuisce la sua produzione endogena e vice-versa. • Non tutto il colesterolo alimentare viene assorbito ed il tipo di dieta influisce sulla quantità di colesterolo non utilizzato ed eliminato con le feci. • Diete iperenergetiche e ricche di grassi (soprattutto saturi) favoriscono l’assorbimento del colesterolo. • Gli acidi grassi polinsaturi contrastano l’aumento del colesterolo nel sangue. • Diete equilibrate come energia e con sufficienti quantità di fibra alimentare riducono l’assorbimento del colesterolo. • Alcuni alimenti contengono fattori anticolesterolici, ad esempio le saponine delle leguminose (fagioli, ecc.) od altri composti della soia. • Molto importante per il metabolismo del colesterolo e quindi per il suo tipo (“buono” o “cattivo” nel sangue) è la presenza nella dieta di sufficienti quantità di Fosfolipidi (lecitine). Quando nella dieta i Fosfolipidi sono abbondanti rispetto al Colesterolo, si ha formazione di colesterolo HDL o buono. • Nel latte sono contenute elevate quantità di Fosfolipidi, che in parte si mantengono anche nel burro. Attività anticancerogene del burro Le attività anticancerogene dei grassi del latte bovino, costituenti del burro, sono state oggetto di una rassegna da parte di PARODI (1997), con particolare riguardo all’Acido Linoleico Coniugato, (CLA), Sfingomieline e loro metaboliti, Acido Butirrico, Eteri Lipidici. Cope e coll. (1996) hanno invece studiato l’azione protettiva del burro nei riguardi della protezione della cute dalla radiazione ultravioletta. A queste due pubblicazioni si rimanda per ulteriori precisazioni. Tumori ed alimentazione Negli ultimi venticinque anni il quadro dei tumori umani è notevolmente cambiato e soprattutto diversi tipi e localizzazioni tumorali sono diminuite di frequenza. Sono anche migliorate le conoscenze sulla loro eziologia che oggi viene stimata multifattoriale. In questo ambito una rilevante importanza ha indubbiamente l’alimentazione. 87 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Oggi circa il 35% dei tumori (dal 20 al 60% a seconda del tipo o localizzazione) sono ritenuti dipendere, in toto od in parte, dall’alimentazione. Tuttavia oggi all’alimentazione viene anche attribuito un ruolo di prevenzione. Negli alimenti, infatti, accanto a principi dotati di attività cancerogena o co-cancerogena, sono stati individuati principi con attività anti-cancerogena diretta, indiretta o protettiva. Oggi, un obiettivo ritenuto prioritario, è quello di modulare l’alimentazione riducendo il rischio cancerogeno e contemporaneamente aumentando la protezione anticancerogena. In questo quadro, tuttavia, le diverse classi di alimenti sembrano essere state valutate in modo difforme, sulla base anche di indagini epidemiologiche spesso grossolane. Per gli alimenti vegetali si sono enfatizzate le attività anticancerogene, troppo spesso trascurando o sottacendo quelle cancerogene, anche se di rilevante importanza, forti ed evidenti, ad incominciare dalle micotossine presenti in questi alimenti. Per gli alimenti di origine animale, al contrario, si sono spesso enfatizzate le attività cancerogene, spesso soltanto presunte, sottacendo o sorvolando sulle molteplici ed indubbie attività anticancerogene e protettive di questi alimenti. In questo sia pur sommario quadro si sono inoltre eseguite schematizzazioni quanto mai dubbi e per lo meno eccessive, arrivando ad una concezione manichea dell’alimentazione che ad esempio separa i grassi vegetali (definiti ed accettati come “buoni”) da quelli animali (condannati come “cattivi”). Ogni alimento, sotto il profilo del rischio cancerogeno o delle sue attività anticancerogene, deve essere esaminato sulla base di precisi elementi sperimentali, evitando ogni preconcetto od ideologia. Un’impostazione questa che oggi viene sempre più applicata e che porta a sorprese e non raramente a più o meno completi rovesciamenti di fronte, sfatando e dimostrando errate idee largamente diffuse, che non avevano altra giustificazione se non quella di... essere largamente diffuse. Un caso esemplare che sta venendo alla luce è quello del burro, un alimento di origine animale che in un recente passato è stato criminalizzato e demonizzato, spesso anche per favorire il consumo di grassi vegetali. Numerose e recenti ricerche, infatti, stanno dimostrando che il grasso del burro contiene numerosi componenti con potenzialità anticancerogene che vengono schematicamente considerate in questa esposizione. 88 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Componenti anticancerogeni del burro Diversi sono i componenti del grasso del burro con caratteristiche anticancerogene: i più importanti sono: acido linoleico coniugato, sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni non identificati. Acido linoleico coniugato. Il termine di Acido Linoleico Coniugato (ALC) viene usato per identificare i diversi isomeri dell’acido linoleico: i doppi legami coniugati sono usualmente quelli in posizione 9 e 11 o 10 e 12. Il latte è l’alimento che contiene la maggiore quantità di ALC e questo viene inoltre concentrato nel burro (Lin H., Boylstoin T.D., Chang M.J. et alii, 1995).Un altro alimento che contiene ALC, sia pure in minori concentrazioni, è la carne magra di bovino. In entrambi i casi, l’ALC deriva dalle fermentazioni che avvengono nel rumine, in particolare quelle provocate dal batterio ruminale Butyrivibrio fibrisolvens. Il grasso del latte bovino contiene da 8,6 a 100 micromoli per grammo di ALC. Diverse ricerche sperimentali dimostrano che l’ALC inibisce l’azione di potenti cancerogeni e tra questi anche quelli che si generano per attività del calore (ad esempio grigliatura delle verdure e carni) ( Ip C., Briggs S.P, Haegele A.D., Thompson H.J. et alii – 1996; Liew C., Schut H.A.J., Pariza M.W., et alii, 1995). Sempre da ricerche sperimentali risulta che l’ALC ha un’azione protettiva nei tumori del colon e della mammella. Ricerche in vitro indicano un’attività protettiva anche verso il melanoma. L’ALC agisce come anticancerogeno con diversi meccanismi già individuati, ma soprattutto come antiossidante. Per quanto riguarda l’alimentazione umana, in base ad estrapolazioni dei risultati ottenuti negli animali, si ritiene che per avere un’azione anticancerogena sia necessaria una quantità di un grammo di ALC ogni chilogrammo di alimento, una quantità che può essere ottenuta con una dieta che contenga latte intero o burro. E’ anche interessante che le donne di popolazioni che consumano latte bovino e suoi derivati hanno, nel loro latte, il doppio di ALC di quello delle donne nella cui dieta il grasso di latte è assente o molto ridotto. Sfingomieline. Le sfingomieline sono fosfolipidi componenti della parete cellulare che si trovano nel latte bovino (0,2 - 1,0 grammi per 100 grammi di lipidi totali). Dalle sfingomieline derivano diversi metaboliti biologicamente attivi e soprattutto la sfingosina ed il ceramide che hanno caratteristiche anticancerogene messe in evidenza anche negli animali e nei riguardi del tumore del colon (DillehaY D. L., Webb S. K., Schmelz E. M. et alii, 1994). 89 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Acido butirrico e Butirrato. Tipico componente del grasso del latte dei ruminanti è l’acido butirrico ed i suoi derivati (butirrato). Il butirrato è un potente inibitore della proliferazione in linee di cellule cancerose, si è anche vista un’attività preventiva nella diffusione metastatica dei tumori. Queste attività antitumorali dell’acido butirrico sembrano particolarmente attive a livello del colon, dove tale acido svolge anche un’attività di stimolo delle cellule normali. Il butirrato, aggiunto alla dieta di animali, previene tumori mammari ed adenocarcinomi indotti da cancerogeni. Anche per questo il butirrato è stato usato nella terapia dei tumori dell’uomo. Eteri lipidici. Alchilgliceroli ed alkilglicerolfosfolipidi e loro derivati, presenti nel grasso del latte bovino e di conseguenza nel burro, hanno attività anticarcerogena. Fattori anticancerogeni non identificati Nel latte sono presenti altri fattori anticancerogeni non necessariamente collegati alla parte grassa: infatti, le proteine del latte, il calcio e soprattutto i batteri lattici hanno attività anticancerogene che non sono sempre facile distinguere da quelle del grasso. Nel latte possono essere presenti sostanze anticancerogene contenute nell’alimentazione degli animali, ed in particolare i beta-caroteni dotati di attività antiossidante, che si concentrano nel grasso e quindi nel burro. Altri componenti ad azione anticancerosa, presenti negli alimenti dei bovini e che passano nel latte e nel burro, sono: il gossipolo presente nel seme di cotone; l’isoprenoide-beta-ionone (o beta-ionone) contenuto nell’erba medica. Non bisogna tuttavia dimenticare che nell’alimentazione dei bovini possono essere presenti anche cancerogeni, ad esempio quello della felce presente nei pascoli (ma non nei foraggi coltivati) e comunque non liposolubile e quindi assente nel burro. Burro e prevenzione dei tumori. Oltre a quanto sopra brevemente indicato, in letteratura vi sono diversi studi che dimostrano come, negli animali d’esperimento e soprattutto in quelli esposti all’azione di cancerogeni, il grasso del latte (burro) ha un’azione protettiva e quindi preventiva significativamente superiore alle margarine od ai grassi vegetali, anche di quelli ricchi di acidi grassi polinsaturi. Lo stesso risultato protettivo e preventivo del grasso del latte (burro) lo si è visto anche nei riguardi dei tumori spontanei (Knekt P., Jarvien R., Seppanen R. et alii 1996). Tutti gli studi che sono stati eseguiti indicano che non solo un’alimentazione 90 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. con latte, ma soprattutto con il suo grasso (burro), diminuisce il rischio cancerogeno ed aumenta le difese anticancerogene, coeme quelle riguardanti l’azione dei raggi ultravioletti (Cope R.B., Bosnic M., BoehnWilcox Ch. et alii, 1996). Risultati questi che non si ottengono - e lo dimostrano indagini sperimentali comparative - con altri grassi, come le margarine ed i grassi vegetali. Una conclusione, quella ora enunciata, che deve portare a rivalutare l’uso del grasso del latte, anche sotto forma di burro, ovviamente nell’ambito di una dieta equilibrata e correlata al fabbisogno energetico, nella dieta umana, con particolare riguardo alla fascia di età con maggiore rischio cancerogeno (seconda e terza età). Una conclusione inoltre che non dovrebbe stupire, se si considera che il latte, con il suo grasso (dal quale deriva il burro) è un alimento che è il risultato di una selezione naturale durata oltre centocinquanta milioni di anni. Una selezione che non poteva dare che risultati positivi, come quelli ora indicati, e sui quali si basa un ELOGIO DEL BURRO e non una sua irrazionale demonizzazione, senza alcun preciso motivo, come recentemente abbiamo dovuto costatare, soprattutto dopo quanto è stato chiarito a proposito del colesterolo alimentare. Conclusioni Da quanto esposto, di particolare interesse risulta la composizione della quota lipidica del burro ed in particolare il quadro degli acidi grassi. Per quanto poi riguarda il tanto criminalizzato colesterolo del burro, oggi è ben noto che questo componente è in un corretto rapporto con le lecitine, con rapporti ottimali alla produzione, in persone sane, di colesterolo HDL e quindi “buono”. Di particolare interesse sono le attività psicodietetiche che oggi vengono riconosciute ad alcuni componenti del burro. Estremamente importanti sono recenti indagini che indicano come i grassi del burro hanno una rilevante attività anticancerogena preventiva. Di pericolare rilievo sono i seguenti componenti: acido linoleico coniugato, sfingomieline, acido butirrico, eteri lipidici, fattori anticancerogeni non identificati. L’attività di prevenzione anticancerogena, anche in base ad indagini sperimentali, è particolarmente evidente su neoplasie dell’apparato digerente e della mammella. La rivalutazione non solo nutrizionale, ma anche salutistica del burro e quindi la possibilità di intesserne un elogio, su basi scientifiche e non 91 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. soltanto tradizionali, non deve stupire in quanto il burro è la componente di un alimento, il latte, che come tale è stato “creato” dalla natura in una selezione di oltre sessanta milioni di anni e che ha portato al successo la vastissima classe dei mammiferi, di cui anche l’uomo fa parte. ELOGIO DEL BURRO RIVALUTAZIONE NON SOLO NUTRIZIONALE, MA ANCHE SALUTISTICA DI UN ALIMENTO, IL LATTE, CHE È STATO “CREATO” DALLA NATURA IN UNA SELEZIONE DI OLTRE SESSANTA MILIONI DI ANNI E CHE HA PORTATO AL SUCCESSO LA VASTISSIMA CLASSE DEI MAMMIFERI, DI CUI ANCHE L’UOMO FA PARTE. 92 Giovanni Ballarini, Professore Emerito, Università degli Studi di Parma. Bibliografia Berdel W.E. - Membrane-interactive lipids as experimental anticancer drugs - Br. J. Cancer, 64, 208-211, 1991 Bourre J. M. - La Dietetica del Cervello - Sperling & Kupfer, Milano, 1992 Britton M., Fong C., Wickens D. - Diet as source of phospholipid esterified 9, 11-octodecadienoic acid in humans - Clin. Sci., 83, 97-101, 1992 Cavaciocchi S. (a cura di) - Alimentazione e nutrizione sec. XIII-XVIII - Le Monnier, Firenze, 1997 Chen Z. X., Breitman T.B. - Tributirin: a prodrug of butyric acid for potential clinical application in differentiation therapy - Cancer Res., 54, 34943499, 1994 Cope R.B., Bosnic M., Boehn-Wilcox Ch. et alii - Dietary butter protects against ultraviolet radiation-induced suppression of contact hypersensitivity in Skh:HR-1 hairless mice - J. Nutr., 126, 681-692, 1996 DillehaY D.L., Webb S.K., Schmelz E.M. et alii - Dietary sphingomyelin inhibits 1,2-dimethylhydrazine-induced colon cancer in CFI mice - J. Nutr., 124, 615-620, 1994 Eaton S. B. – What did our late palaeolithic (preagricultural) ancestors eat? – Nutr. 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In: Short Chain Fatty Acids (Binder H. jr., Cummings J., Soergel K., eds.), pp.148150, Kluwr, London, U.K., 1994 95 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Nuove conoscenze sulla composizione acidica dei burri di zangola prodotti nel CFPR: primi risultati di una ricerca biennale Riassunto I più recenti progressi della gas cromatografia (GC), applicata all’analisi degli Acidi Grassi (AG) della componente lipidica del latte, hanno portato alla separazione ed al riconoscimento di oltre 400 AG dai circa 20-25 identificati dalla GC quando era ancora agli inizi 40-50 anni fa’. Se è vero che molti di questi AG sono presenti in piccole quantità, è altrettanto vero che alcuni di essi sono molto importanti dal punto di vista salutistico e nutrizionale. Nel tracciato GC riportato in figura 1, possiamo vedere che accanto ai circa 20 AG maggiori dal punto di vista quantitativo, ne vengono evidenziati altri 20 presenti in piccolissime quantità ma altrettanto importanti, quali gli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA), gli AG in configurazione trans (TFA) e gli AG della serie ω 3. In questa ricerca sono stati identificati e dosati quantitativamente 41 AG; di cui 15 saturi (SFA), 15 monoinsaturi (MUFA), e 11 polinsaturi (PUFA). In particolare, la nostra attenzione, in questa sede si è soffermata sugli AG insaturi, mono e poli, in configurazione cis e trans. Sono state studiate le variazioni dell’acido rumenico e dei CLA in numerosi campioni di burro, prodotti in laboratorio, a partire dalle panne prelevate durante tre periodi diversi dell’anno, da caseifici con bovine alimentate tradizionalmente e con l’unifeed. La stessa attenzione è stata posta alle variazioni degli acidi grassi trans (TFA) e dell’acido acido vaccenico (C18:1 trans 11). Nelle nostre condizioni sperimentali, con una corsa di 55 minuti, non è stato possibile dosare tutti gli AG della serie ω 3. Infatti, nella figura riportata, è visibile e dosabile solo l’acido eicosapentaenoico (EPA), ma non l’ acido docoesaenoico (DHA), che è altrettanto importante dell’EPA se non di più. 96 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 1 Tracciato GC di un burro di Gavasseto che riporta gli acidi grassi identificati e quantificati in questa ricerca. Figura 1 Tracciato GC di un burro di Gavasseto che riporta gli acidi grassi identificati e quantificati in questa ricerca. 97 85 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna I risultati ottenuti relativi alla composizione in AG degli oltre 170 campioni di burri e panne analizzati in questa ricerca vengono confrontati con quelli ottenuti da Strocchi e collaboratori nel 1967, presso l’Istituto di Industrie Agrarie dell’Università di Bologna, su oltre 200 campioni di burri emiliani, gran parte dei quali provenivano da caseifici compresi nel CFPR. Particolarmente interessante, in quella ricerca, è che veniva già evidenziata una stretta correlazione tra, il contenuto in acido vaccenico ed il contenuto in dieni coniugati cis-trans (allora, nel 1967, non si parlava ancora di acido rumenico). Concludevano, inoltre quegli Autori, che i campioni di burro prelevati nelle province del Consorzio di Produzione del Formaggio ParmigianoReggiano (CFPR) avevano una composizione in AG e delle caratteristiche chimico-fisiche più omogenee rispetto a quelli prelevati nelle province limitrofe. La nostra ricerca, limitatamente alla composizione in AG, conferma sostanzialmente i dati di quella precedente per quanto riguarda molti degli AG maggiori, a testimonianza di una certa uniformità della componente maggiore dei burri del CFPR. Relativamente agli AG minori quantitativamente, ma importantissimi dal punto di vista nutrizionale e salutistico, si notano differenze statisticamente molto significative tra il contenuto in CLA (e di acido rumenico in particolare) tra i burri provenienti da bovine alimentate tradizionalmente e quelle alimentate con l’unifeed a vantaggio dei primi e, tra quelli prodotti in pianura rispetto a quelli prodotti in collina-montagna, a vantaggio dei secondi. Introduzione Oltre un secolo fa’ Pellegrino Spallanzani (1904), in un a sua nota memoria, a commento dell’esposizione Internazionale tenutosi a Reggio Emilia nel 1904, scrisse, a proposito dei burri reggiani, “che quelli presentati dai nostri caseifici, erano di poco inferiori, se lo erano, a quelli migliori presentati da altri paesi concorrenti”, e affermava inoltre che “la questione del burro nel reggiano è più commerciale che tecnica”. La sua conclusione era che già allora era possibile, con l’impiego di fermenti selezionati, produrre del buon burro all’interno della provincia di Reggio Emilia, e che non lo si faceva bene perché non conveniva farlo. Ancora prima, in una sua pubblicazione del 1889, lo stesso Autore notava per la prima volta che i burri prodotti in provincia di Reggio Emilia, 98 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna avevano un n° di RMV che in diversi periodi dell’anno era inferiore a quello minimo fissato per tutti gli altri burri italiani ed esteri. In quella pubblicazione lo Spallanzani non si limitò solamente a constatare il fatto, ma cerca poi “,nel 1895,” di individuare le possibili cause. Mezzo secolo più tardi, nel 1934, un altro Autore reggiano, Carlo Manicardi, analizzando oltre 110 campioni di burro prodotti all’interno del CFPR, non solo conferma il dato del suo predecessore, ma notava che anche il n° di Polenske era diverso da quello dei burri prodotti nelle province limitrofe al comprensorio. In particolare, il Manicardi notava come, durante il periodo estivo, il n° di RMV fosse sempre inferiore a 26 , ed il n° di Polenske superiore a 3-3,5. Successivamente, nel 1967, dopo l’avvento della GLC, il collega Strocchi 1967a-b e Coll., analizzavano oltre 200 campioni di burro emiliani, rilevando come quelli prodotti all’interno delle province comprese nel CFPR avessero una composizione in AG e caratteristiche chimico-fisiche più omogenee rispetto a quelli prodotti nelle restanti province limitrofe. Il lavoro di Strocchi e Coll., può essere considerato il vero e proprio punto di riferimento sia sulla composizione in AG, che sulle principali caratteristiche chimico-fisiche dei burri prodotti in quegli anni all’interno del CFPR. E qui permettetemi una breve parentesi, per ricordare che tra i collaboratori di Strocchi c’erano due nomi prestigiosi a me molto cari: quello del Prof. Pallotta U., il mio maestro, e quello del Prof. Capella P., un grandissimo lipochimico a livello mondiale (vincitori entrambi del premio “CHEUREUL”, medaglia d’oro a Capella nel giugno 1989). Ritornando ad oggi, poiché sono passati 40 anni, durante i quali la GLC ha compiuto enormi progressi, abbiamo ritenuto di proporre prima e di condurre poi un’analoga ricerca su oltre 170 tra campioni di creme e di burro prodotti, in 3 diversi periodi dell’anno, in 40 dei circa 400 caseifici attivi ancora nel CFPR. Questi 40 caseifici (il 10% di tutti i caseifici da PR) sono stati individuati e scelti in modo da rappresentare al meglio quella che è la realtà attuale relativa alla diversa dislocazione dei nostri caseifici sul territorio indicato all’interno del CFPR (figura 2). Di questi, 32 campioni sono stati prelevati in caseifici con bovine alimentate con l’unifeed, 62 sono stati prelevati in caseifici di pianura, 41 sono stati prelevati in caseifici ubicati in collina ed in montagna sempre da bovine con alimentazione tradizionale. Sono stati analizzati anche 46 campioni di panna prelevati tutti durante 99 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna il primo periodo e confrontate con le analisi dei rispettivi burri prodotti in laboratorio. Tali risultati, come vedremo, relativi agli AG maggiori, sia saturi che insaturi dimostrano, a conferma di quelli di altri Autori citati precedentemente, una certa omogeneità naturale nella composizione dei burri prodotti ed analizzati in questa ricerca. Quelli che variano di più sono invece alcuni AG presenti, sì in piccola quantità, ma di notevole interesse nutrizionale ed anche extra-nutrizionale. Figura 2 Mappa del CFPR. Nei cerchi in verde sono indicati i caseifici dove sono state prelevate le creme di affioramento nei 3 periodi sperimentali. Figura 2 Mappa del CFPR. Nei cerchi in verde sono indicati i caseifici dove sono state prelevate le creme di affioramento nei 3 periodi sperimentali. In questa mia breve introduzione, pertanto, mi limiterò a fare solo alcune considerazioni sul contenuto in CLA in generale, e dei TFA, con particolare In questa mia all’acido breve introduzione, pertanto, mi limiterò a fare vaccenico solo alcune considerazioni attenzione rumenico tra i CLA, ed acido tra i TFA. sul contenuto in CLA in generale, e dei eTFA, con particolare attenzione all’acido rumenico Per quanto riguarda i CLA l’acido rumenico, abbiamo notato che tra il i loro ed contenuto diminuisce CLA, acido vaccenico tra i TFA.notevolmente nei burri provenienti da bovine alimentate con l’unifeed rispetto a quelli provenienti da bovine alimentate Per quanto riguarda i CLA e l’acido rumenico, abbiamo notato che il loro contenuto tradizionalmente, fino a dimezzarsi nei burri prodotti dalle vacche di diminuisce notevolmente nei burri provenienti da bovine alimentate con l’unifeed rispetto a razza reggiana. quelli provenienti da bovine alimentate tradizionalmente, fino a dimezzarsi nei burri prodotti dalle vacche di razza reggiana. 100 I TFA e l’acido vaccenico, invece sono presenti in quantità sensibilmente inferiori nei burri da unifeed rispetto a quelli prodotti con l’alimentazione tradizionale. Questa prima osservazione è perfettamente in linea, dal punto di vista biochimico, col fatto che l’acido rumenico C18:2 c9t11 (figura 3) deriva dall’acido vaccenico C18:2 t11 per azione Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna I TFA e l’acido vaccenico, invece sono presenti in quantità sensibilmente inferiori nei burri da unifeed rispetto a quelli prodotti con l’alimentazione tradizionale. Questa prima osservazione è perfettamente in linea, dal punto di vista biochimico, col fatto che l’acido rumenico C18:2 c9t11 (figura 3) deriva dall’acido vaccenico C18:2 t11 per azione dell’enzima Δ9-desaturasi che è in grado di inserire un doppio legame in configurazione cis nell’acido acido vaccenico, trasformandolo in acido rumenico. È noto da tempo (1972) che nei ruminanti la Δ9-desaturasi (SCD, stearoilCoA-desaturasi), è attiva durante tutta la lattazione nel tessuto mammario (Kinsella 1972). La mammella è dunque in grado di regolare la fluidità del grasso nel latte mediante la conversione dell’acido stearico in acido oleico e non solo (figura 4). Figura 3 Processo di formazione dell’acido rumenico nel rumine e nei tessuti della ghiandola mammaria, rispettivamente ad opera di enzimi isomerasi e denaturasi. Figura 3 Processo di formazione dell’acido rumenico nel rumine e nei tessuti della ghiandola mammaria, rispettivamente ad opera di enzimi isomerasi e denaturasi. Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione di sangue di vacca. 101 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione di sangue di vacca. Figura 4 Isomeri di CLA identificati in HPLC, in un campione di sangue di vacca. Piùrecentemente, recentemente, nel (Corl 1998, (Corl 1998) è stato dimostrato cheanche la SCD Più nel 1998, 1998) è stato dimostrato che la SCD è in grado di è insull’acido grado anche di agire sull’acido inacido vaccenico, agire acido vaccenico, trasformandolo acido rumenico. trasformandolo in acido rumenico. Questo acido ha una doppia origine, infatti, oltre alla prima (che mammario) che abbiamo appena visto, viene anche prodotto a livello ruminale (figura 5) da avviene a livello del tessuto mammario) che abbiamo appena visto, viene anche prodotto a livello ruminale (figura 5) da Questo acido ha una doppia origine, infatti, oltre alla prima (che avviene a livello del tessuto Figura 5 Isomeri di CLA identificati in GC, in un campione di fluido ruminale di vacca. Figura 5 Isomeri di CLA identificati in GC, in un campione di fluido ruminale di vacca. 6 102presenti in quell’organo: il butyrivibrium uno dei tantissimi microrganismi che sono fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente dall’80 al 90% di tutti i CLA presenti nel grasso del latte, e questo, a differenza dei CLA ottenuti per sintesi (figura 6) che si vendono in farmacia (che sono composti solo per il 50% di acido rumenico), questo è un fatto molto importante, in quanto l’altro isomero che si forma durante la sintesi, il C18:2 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna uno dei tantissimi microrganismi che sono presenti in quell’organo: il butyrivibrium fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente dall’80 al 90% di tutti i CLA presenti nel grasso del latte, e questo, a uno differenza dei tantissimidei microrganismi che sono in quell’organo: il butyrivibrium CLA ottenuti per presenti sintesi (figura 6) che si vendono in farmacia (che sono composti solo per il 50% di acido rumenico), questo è fibrisolvens. L’acido rumenico rappresenta quantitativamente dall’80 al 90% di tutti i CLA un nel fatto molto importante, quantodeil’altro isomero che si(figura forma presenti grasso del latte, e questo, a in differenza CLA ottenuti per sintesi 6) durante che la sintesi, il C18:2 t10c12, è dotato di proprietà antinutrizionali con si vendono in farmacia (che sono composti solo per il 50% di acido rumenico), questo è un complicanze a livello epatico (steatosi), e causa anche una lieve riduzione fatto molto importante, in quanto l’altro isomero che si forma durante la sintesi, il C18:2 del grasso nel latte. t10c12, è dotato di proprietà antinutrizionali con complicanze a livello epatico (steatosi), e causa anche una lieve riduzione del grasso nel latte. Figura 6 Reazione chimica che avviene durante la produzione di CLA per via sintetica. Figura 6 Reazione chimica che avviene durante la produzione di CLA per via sintetica. Da qui l’utilità di assumere questo acido molto importante attraverso il grasso dei prodotti Da qui l’utilità di assumere questo acido molto importante attraverso il grasso dei prodotti lattiero caseari (burro, panna, formaggi, ecc...) e non nelle attraverso farmacie. pillole, che sono in vendita nelle farmacie. E’ stato dimostrato, sperimentalmente, da numerosi autori (Corl 1998) e recentemente anche da noi nella razza reggiana (Castagnetti 2008), che 7 è possibile aumentare fino a raddoppiare il contenuto di acido rumenico nel grasso del latte, alimentando le bovine con una dieta ricca di acido α-linolenico. lattiero caseari (burro, panna, formaggi, ecc...) e non attraverso pillole, che sono in vendita 103 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Questo aumento può essere ottenuto con un’alimentazione ricca di erba (che com’è noto, nei suoi grassi, contiene tantissimo acido α-linolenico), oppure inserendo nel concentrato semi ricchi di quest’acido quali il lino, la soia, ad anche altri, opportunamente trattati. Ora, poiché come è noto l’erba non può essere usata nell’unifeed, volendo aumentare il contenuto di CLA e di acido rumenico in particolare, o si somministra erba a parte, oppure si aumenta nel carro miscelatore il contenuto di acido α-linolenico con semi di lino laminati o estrusi, o anche altri purché ricchi di quest’acido. Questo aumento di di acido rumenico nel grasso del latte è importante non solo perché si trasferisce nella panna prima e nel burro poi, ma perché comporta anche un pari aumento nel grasso del formaggio PR che, come è noto è composto per circa 1/3 del suo peso da grassi. Con l’alimentazione unifeed, potremo dire che, limitatamente al contenuto in acido rumenico nel grasso del formaggio, è come se noi producessimo PR vernengo tutto l’anno anziché maggengo come avviene ora dopo il 1984 quando, in seguito alla scomparsa del vernengo, il PR viene prodotto tutto l’anno, anziché solo dal 1 aprile all’11 novembre come avveniva prima del 1984. Vorrei concludere, questa breve premessa, con un particolare ringraziamento al CFPR per aver cofinanziato al 50% un’assegno di ricerca biennale all’Università di Bologna che ci ha permesso di fare questa ricerca e di ottenere i risultati che verranno discussi qui di seguito in modo più particolareggiato anche per quanto riguarda il problema dei TFA, che io ho solo sfiorato quando ho accennato all’acido acido vaccenico (che rappresenta l’80-90% di tutti i TFA) a proposito della sintesi dell’acido rumenico. Infine, per sgombrare il campo da possibili equivoci, vogliamo ricordare che in una recente ricerca (Bisig 2007), è stato dimostrato che, sulla stabilità durante la conservazione e sulle caratteristiche organolettiche e sensoriali, i prodotti lattiero caseari arricchiti in CLA, non presentano differenze statisticamente significative rispetto a quelli non arricchiti. Concludendo veramente, noi non vogliamo che gli Italiani in futuro consumino più burro, vogliamo invece, così come avviene già da tempo per l’olio di oliva, andando al supermercato gli italiani potessero trovare tra i tanti tipi di burro già presenti, anche il “burro extravergine” 104 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Materiali e Metodi Campioni In questo progetto di ricerca sono stati analizzati campioni di creme di latte ottenute per affioramento e il rispettivo burro prodotto, prelevati nell’ambito del comprensorio di produzione del Parmigiano-Reggiano, in numero ed in siti di provenienza significativi in grado di rappresentare uniformemente l’intera area consortile. Complessivamente, durante l’intera durata della prova nel biennio 20072009, sono stati prelevati ed analizzati da n°40 caseifici, n°41 campioni di panna e n°134 campioni di burro (tabella 1). Tabella 1 Schema di campionamento sperimentale relativo al I e II anno della ricerca, in relazione al periodo del prelievo e del regime alimentare. Stagione Primavera - I prelievo Estate - II prelievo Inverno - III prelievo totale Dieta A 21 24 18 62 B 13 14 13 41 C 6 11 14 32 A: “Tradizionale” – Pianura; B: “Tradizionale”- Collina/Montagna; C: “Unifeed” Le creme sono state prelevate dai caseifici dell’area consortile con la collaborazione del responsabile tecnico del CFPR per la provincia di Reggio Emilia e Mantova, dalla Montanari e Gruzza per la provincia di Parma, e di Granterre, per quella di Modena. Quattro campioni sono stati prelevati direttamente dai Professori Giuseppe Losi e Gian Battista Castagnetti. Successivamente, le creme sono state stoccate a –20°C fino alla produzione di zangolato fresco presso il DISA, sede di Reggio Emilia. Per meglio osservare la presenza di differenze nella composizione degli AG, tutte le creme sono state classificate, in primo luogo, a seconda del periodo di produzione delle creme, e poi in relazione del tipo di alimentazione delle bovine: Alimentazione “tradizionale” (erba, fieno 105 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna e concentrato) di pianura o di collina/montagna, ed Alimentazione “Unifeed”. Preparazione dello zangolato fresco Lo zangolato fresco e’ stato ottenuto artigianalmente per sbattimento delle creme a 12-15°C in appositi contenitori di vetro, ottenendo per shock meccanico l’inversione delle fasi provocato dalla coalescenza dei globuli di grasso. Dopo la separazione del latticello, lo zangolato e’ stato lavato con acqua a 12-15°C per 3 volte, e successivamente impastato per circa 5 min per permettere lo spurgo dell’acqua in eccesso; dopodichè 50 g di burro sono stati depositati in contenitori di plastica per materiale biologico da 100 mL con tappo a vite, e conservati a - 40°C. Estrazione della sostanza grassa In un secondo momento gli stessi campioni sono stati riportati a temperatura ambiente e sottoposti ad estrazione in doppio della frazione lipidica secondo il metodo Hara-Radin (1978). Circa 300 mg di burro sono stati omogeneizzati in 5.4 mL di esano e isopropanolo (3:2 v/v) per 30 sec in una provetta troncoconica precedentemente pesata. Al fine di separare le componenti non lipidiche, si e’ aggiunto 3.6 mL di sodio solfato in soluzione acquosa (1 g di sodio solfato anidro in 15 mL di acqua), ed agitato per 30 sec al vortex. Dopo aver lasciato riposare per alcuni min, così permettendo la formazione di due fasi sovrapposte, si e’ prelevato con pipette tipo Pasteur la fase superiore contenente la frazione lipidica. Si e’ proceduto poi ad eliminare il solvente portando a secco, l’aliquota di grasso presente, fino a peso costante, ponendo la provetta troncoconica in un blocco riscaldante (≈40°C) sotto debole flusso di azoto. Il grasso così ottenuto, e’ stato prima pesato e poi ridisciolto in 3 mL di esano e isopropanolo (4:1 v/v), e poi conservato a -40°C per le successive analisi. Tale metodo e’ stato applicato anche per l’estrazione della frazione lipidica dalle panne del I Prelievo. Preparazione degli Esteri Metilici degli Acidi Grassi (FAME) Gli AG sono stati metilati a partire dal grasso mediante derivatizzazione impiegando una soluzione di sodio metossido (#33080, supelco Inc., Bellafonte, PA) in metanolo secondo il metodo di Cruz-Hernandez (2004) con alcune modifiche. Circa 20 mg di grasso disciolto in esano e isopropanolo e’ stata portata 106 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna a secco fino a peso costante sotto debole flusso di azoto in una provetta troncoconica precedentemente pesata, e posta in un blocco riscaldante (≈40°C). Prima di procedere con la derivatizzazione degli AG legati si e’ provveduto a metilare gli AG liberi, aggiungendo al grasso nella provetta 100 μL di Diazometano. Dopo averla agitata lievemente, la provetta viene posta sotto debole flusso di azoto per far evaporare il solvente in eccesso. Il campione è stato quindi addizionato di 2 mL di n-esano, dello standard interno (0.5 mg dell’estere metilico dell’acido undecanoico, Nuchek e Sigma), seguito da 40 μL di methyl acetato e 300 μL di sodio metossido in metanolo (0.5N). Successivamente, la provetta troncoconica e’ stata fatta posta nuovamente sotto un leggero flusso di azoto per pochi secondi poi, agitata in vortex per 30 sec, riscaldata per 10 min a 50°C in un blocco riscaldante, ed infine raffreddata a -20°C per 10 min. La reazione viene interrotta aggiungendo 180 μL di acido ossalico (0.5 g in 15 mL di etere dietilico), poi la miscela è stata agitata su vortex per almeno 30 sec e centrifugata a 2500 rpm per 3 min per facilitare la separazione della fase esanica (soprastante), contenente gli esteri metilici degli AG (FAME), da quella metanolica (sottostante). Successivamente si e’ provveduto a trasferire un’aliquota della fase esanica in vials munite di riduttore per l’analisi gas cromatografica. Tale metodo e’ stato applicato anche per l’estrazione della frazione lipidica dalle panne del I Prelievo. Determinazione degli acidi grassi totali in gas cromatografia capillare Gli esteri metilici degli AG sono stati analizzati in doppio mediante un gas-cromatografo Perkin Elmer Clarus 500 fornito di auto-campionatore, di un detector a ionizzazione di fiamma (FID). E’ stato utilizzato l’elio come gas di trasporto, di una colonna capillare SBP 70 (50 m x 0.22 mm i.d., 0.25 μm spessore film, fase stazionaria). Il detector FID è stato mantenuto a 240°C con un flusso di aria di 400 ml/min, un flusso di idrogeno di 40 ml/min e un flusso di elio di 0.75 ml/min. L’iniettore è stato mantenuto a 240°C con un rapporto di splittaggio di 1:60. La temperatura della colonna è stata programmata come segue: incremento di 1.5°C/min da 100°C fino a 115°C; incremento di 5°C/min fino a 180°C per 10 min, ed infine 3°C/min fino a 240°C per 10 min. Per identificare i singoli FAME nei campioni di panna e burro e’ stata utilizzata una miscela standard composta da 52 AG (GLC 463 Nuchek), una miscela di AG coniugati 107 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna dell’acido linoleico (UC-59M Nuchek), e materiale cartaceo riportato in bibliografia (3). Verifica del metodo Sperimentale La verifica dei metodi di estrazione della frazione lipidica e preparazione degli esteri metilici degli AG, proposti per l’analisi delle creme e dello zangolato fresco, e’ stata necessaria per valutare la ripetibilità del metodo sperimentale adottato. Tale verifica ha comportato l’estrazione della frazione lipidica e la diretta derivatizzazione degli esteri metilici degli AG su di un campione di burro, ripetuta 5 volte. Inoltre, sono stati calcolati anche la quantità minima rivelabile (LOD) e la quantità minima quantificabile (LOQ) che sono rispettivamente di 0.10 e 0.24 mg/100mg di FAME. Analisi statistica Prima di procedere all’analisi statistica delle quantità di AG dei 3 prelievi, è stata effettuata un’indagine preliminare sui campioni del I prelievo, volta ad individuare la presenza di differenze significative tra gli AG della panna e del burro ottenuto da essa. I dati di panna e burro provengono dallo stesso soggetto sperimentale, e quindi possono essere considerati a coppie. Tale modello consente di includere campioni provenienti da produzioni anche molto diverse, inoltre, calcolando le differenze tra burri e panne entro lo stesso campione si elimina l’effetto del caseificio (ovvero del latte proveniente da una certa zona del consorzio). Attraverso un’analisi della deviazione standard e la costruzione di grafici a scatole, è stata verificata la presenza di outliers; sono emersi quattro valori anomali nelle rilevazioni degli AG relative ai prelievi di burro della prima campagna. I valori riscontrati erano tali da essere imputabili ad un errore di tipo strumentale, poiché molto lontani dalle normali misurazioni degli AG del burro. Per questo motivo tali campioni del primo prelievo sono stati esclusi dall’analisi statistica dei dati. Le coppie di valori su cui è stata effettuata l’analisi sono 37 e, ad un livello di confidenza del 95%, non esistono differenze significative nella presenza di grassi saturi e monoinsaturi, tuttavia si rileva una differenza, ad un livello di significatività dello 0.043, relativa agli AG poli-insaturi. Successivamente sono stati considerati solo i campioni di burro per determinare la variazione nella composizione degli AG in base al periodo di riferimento (autunno, primavera, inverno). Gli effetti della 108 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna stagionalità e dell’alimentazione delle vacche, distinta in questo caso anche in base anche alla localizzazione del caseificio (tradizionalepianura, tradizionale-collina e montagna, unifeed), sono stati misurati sul totale dei campioni analizzati. Per fare questo è stata utilizzata l’analisi della varianza a due fattori, considerando dunque come fattori di variazione il periodo, il tipo di alimentazione e l’interazione tra le due fonti di variabilità. La presenza di una differenza significativa causata da un particolare fattore non rivela però quali siano i livelli delle singole variabili che determinano effettivamente tale differenza. Per questo, ad ogni tabella ANOVA sono susseguiti i test post-hoc, per valutare quali modalità di una variabile siano in realtà discriminanti. I questo caso sono stati utilizzati il test di Tukey e il test di Scheffè, per valutare la coerenza dei risultati. Risultati e Discussione I primi campioni di panne sono stati prelevati durante il periodo primaverile del 2008, e sono stati analizzati in gas cromatografia, analogamente al burro ottenuto dalle rispettive panne prelevate in precedenza. Dall’esame dei risultati ottenuti nella fase preliminare e’ emerso che, a livello della composizione in AG, c’e’ una perfetta corrispondenza tra quella della panna e quella del burro derivato (dati non riportati). Per questo motivo, nei prelievi dei 2 periodi successivi, quello estivo del 2008 e quello invernale del 2009, sono stati analizzati solo 49 e 45 campioni di burro rispettivamente, visto che la composizione delle panne del primo periodo era praticamente identica a quello del burro derivato. I risultati dei principali AG ottenuti in seguito all’analisi statistica sono riportati in tabella 2. 109 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Tabella 2 Principali risultati ottenuti in seguito all’analisi statistica ANOVA. mg/100mg di FAME Periodo di rilevazione SEM Effetto della Stagione Effetto dell’ Alimentazione I II III Saturi 66,532d 63,120c 65,282d 0.247 ** * c4:0 1,849c 2,033d 2,181d 0.027 ** NS Mono-insaturi 28,788c 32,140d 29,994c 0.232 ** * c18:1 c 9 22,051 25,576 24,245 0.233 ** * Poli-insaturi 4,679a 4,740b 4,724a 0.05 NS NS c c d d Trans 3,357 2,928 2,677 0.049 ** ** c13:1 t 0,152d 0,002c 0,000c 0.006 ** ** c16:1t 0,059 0,059d 0,046c 0.002 NS ** c18:1 t9 0,502 0,503 0,472 0.009 NS NS c18:1 t11 1,857b 1,751 1,652a 0.033 NS ** c18:1 t12 0,307 0,303 0,311 0.008 NS NS c18:1 t15 0,194d 0,095cd 0,007c 0.01 ** NS c18:2 9t12t 0,286d 0,216c 0,189c 0.006 ** ** CLA c18:2 c9, t11 (CLA) 0.852 0.871 0.818 0.015 NS ** 0,629 0,636 0,594 0.014 NS ** c18:2 cc (CLA) 0,223 0,236 0,224 0.003 NS * Omega 3 0,819d 0,745c 0.799 0.009 * ** c18:3 w3 0,654d 0,604c 0,642 0.008 * ** c20:5 w3 (EPA) 0,063 0,057 0,062 0.001 NS NS c22:5 w3 (DPA) 0,102d 0,088c 0,095 0.002 * NS d c Omega 6 2.689 2.897 2.907 0.05 NS NS c18:2 w6 2,389 2,638 2,620 0.048 NS NS c18:3 w6 0,007d 0,000c 0,000c 0.001 ** NS c20:3 w6 0,120 0,109 0,127d 0.002 ** * c20:4 w6 0,172 0,149 0,159 0.006 NS NS AG Ematici 75,689c 77,384d 76,199c 0.147 ** NS AG di Sintesi 24,310d 22,616c 23,801d 0.147 ** NS SFA/UFA 2,781d 2,327c 2,613d 0.03 ** ** c ** significativo allo 0,01; * significativo allo 0,05; NS non significativo; a,b differenze significative allo 0,05; c,d differenze significative allo 0,01 110 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna In particolare, dall’esame dei dati relativi ai principali gruppi di AG (tabella 7), possiamo dire quanto segue: Acidi grassi saturi ed acido butirrico. Le differenze statisticamente In particolare, dall’esame dei dati relativi ai principali gruppi di AG (tabella 7), possiamo dire significative sono state riscontrate tra il primo ed il secondo periodo di quanto segue: prelievo, e tra il secondo ed il terzo, con più saturi in campioni prelevati grassi saturi ed acido Le differenze significative sono state inAcidi primavera rispetto a butirrico. quelli prelevati nel statisticamente periodo estivo, e meno saturi tra il primo il secondoinvernale periodo di prelievo, e tra7). il secondo il terzo,emerse con più inriscontrate estate rispetto aledperiodo (figura Inoltre,ed sono saturi in campioni prelevati in primavera a quelli prelevati nel periodo estivo, e meno differenze significative dovute rispetto sia all’effetto della stagionalità che dell’alimentazione (sialè periodo notato invernale che i campioni in pianura hanno saturi in estate rispetto (figura 7).prelevati Inoltre, sono emerse differenze quantità più elevate che quelli prelevati in collina/montagna). significative dovute sia all’effetto della stagionalità che dell’alimentazione (si è notato che i Figura Contenuto saturi (mg/100mg FAME) campioni 7 prelevati in pianura inhanno quantità più elevate che di quelli prelevatinei in campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne collina/montagna). si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; inverno), edneiacampioni seconda tenuta Figura 7 ContenutoIII-pr.: in saturi (mg/100mg di FAME) di burro della analizzati.dieta I valori riportati nelle colonne sibovine riferiscono ai 3durante periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.:(Tr. estate; III-pr.: inverno), ed a seconda dalle i tre prelievi P.: Tradizionale della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Pianura; Tr.Unifeed). m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Collina/montagna; SFA 68.00 67.00 66.00 65.00 64.00 63.00 62.00 61.00 60.00 59.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Al gruppo dei saturi appartiene un’acido grasso molto importante dal Al gruppo dei saturi appartiene un’acido grasso molto importante dal punto di vista punto di vista salutistico-nutrizionale, l’acido butirrico. Questo acido ed salutistico-nutrizionale, Questo ed il butirrato, potenti il butirrato, sono deil’acido potentibutirrico. inibitori dellaacido proliferazione di sono lineedei cellulari inibitori dellaprevengono proliferazione la di linee cellulari cancerose, prevengono la proliferazione di cancerose, proliferazione di metastasi tumorali. L’attività antitumorale dell’acido butirrico è stata dimostrata soprattutto nei tumori metastasi tumorali. L’attività antitumorale dell’acido butirrico è stata dimostrata soprattutto del Adcolon. oggiAdnon statestate riscontrate contenuto in nei colon. tumori del oggisono non sono riscontrate relazioni relazioni tratra contenuto in acido acido butirrico nei prodotti lattiero caseari e tipo di alimentazione delle butirrico nei prodotti lattiero caseari e tipo di alimentazione delle bovine (Molkentin, 1999). bovine (Molkentin, 1999). Sono state riscontrate differenze statisticamente Sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra la prima e la seconda, e tra la significative tra la prima e la seconda, e tra la prima e la terza stagione e la terzaed stagione di prelievo, ed iin valori particolare i valori dell’acido butirrico aumentano diprima prelievo, in particolare dell’acido butirrico aumentano progressivamente con l’avanzare delle stagioni di prelievo (figura 8). Per quanto riguarda 111 l’effetto della dieta, non è stata rilevata nessuna differenza statisticamente significativa. 14 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna progressivamente con l’avanzare delle stagioni di prelievo (figura 8). Per quanto riguarda l’effetto della dieta, non è stata rilevata nessuna differenza statisticamente significativa. Figura 8 Contenuto in acido butirrico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della Figura dieta tenuta dalle bovinedi FAME) durante i tre prelievi (Tr.riportati 8 Contenuto in acido butirrico (mg/100mg nei campioni di burro analizzati. I valori nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: Tradizionale primavera; II-pr.: estate; Collina/ III-pr.: inverno), ed a P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale montagna; Unifeed). Collina/montagna; Unifeed). C4:0 2.50 2.00 1.50 1.00 0.50 0.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Acidi grassi mono-insaturi. Le differenze statisticamente significative sono Acidi grassi mono-insaturi. Le differenze statisticamente significative sono state trovate, state trovate, sempre, tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo sempre, tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo, con meno MUFA in periodo, con meno MUFA in campioni prelevati in primavera rispetto a campioni prelevati in primavera rispetto a quelli prelevati nel periodo estivo-autunnale, quelli prelevati nel periodo estivo-autunnale, e più mono-insaturi in estate e più estate rispetto al periodo (figura 9). aumento nel periodo rispettomono-insaturi al periodoininvernale (figura 9).invernale Tale aumento nelTale periodo estivo di AG estivo mono-insaturi è senza dubbio da attribuire all’acido di AG mono-insaturi è senza dubbio da attribuire all’acidooleico oleico (c18:1 (c18:1 c9), il c9), il principale principale rappresentate di questo gruppo. L’acido oleiconella viene rappresentate di questo gruppo. L’acido oleico viene sia sintetizzo mammella sia sintetizzo nella mammella a partire dall’acido stearico (c18:0) a partire dall’acido stearico (c18:0) ad opera della ǻ9-desaturasi (figura 3), ad ma anche opera della Δ9-desaturasi (figura 3), ma anche introdotto con la dieta. introdotto con la dieta. Quindi possiamo dedurre che in questo periodo, aumentando la Quindi possiamo dedurre che in questo periodo, aumentando la quantità di erba a disposizione delle bovine (maggiore apporto di AG poli-insaturi e monodi erbaquantità a disposizione delle bovine (maggiore apporto di AG poli-insaturi insaturi), viene stimolata l’attività ruminale produzionealla dei precursori di questo e mono-insaturi), viene stimolata l’attivitàallaruminale produzione dei acido grasso,diche a loroacido volta favoriscono l’attività ǻ9-desaturasi nellal’attività mammella alla precursori questo grasso, che a lorodella volta favoriscono della Δ9-desaturasi nellaquantità mammella alla produzione di maggiori quantità produzione di maggiori di acido oleico. di acido oleico. 112 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 9 Contenuto in MUFA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta Figura 9 Contenuto in MUFA (mg/100mg di campioni di burro I valori riportati nelle dalle bovine durante i FAME) tre nei prelievi (Tr.analizzati. P.: Tradizionale colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). MUFA 34.00 33.00 32.00 31.00 30.00 29.00 28.00 27.00 26.00 25.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Sono emerse differenze significative dovute sia all’effetto della stagionalità Sonodella emerse differenze significative idovute sia all’effetto dellainstagionalità della dieta; in che dieta; in particolare campioni prelevati caseificiche di montagna/ collina (con bovine prelevati alimentate tradizionalmente) risultano contenere più particolare i campioni in caseifici di montagna/collina (con bovine alimentate MUFA che i campioni di pianura (con dieta tradizionale) e quelli ottenuti tradizionalmente) risultano contenere più MUFA che i campioni di pianura (con dieta da bovine alimentate ad unifeed. tradizionale) e quelli ottenuti da bovine alimentate ad unifeed. Acidi Grassi Poli-insaturi. Dalle analisi effettuate e dai risultati ottenuti Acidi Grassi Poli-insaturi. Dalle analisi effettuate e dai risultati ottenuti abbiamo riscontrato abbiamo riscontrato differenze statisticamente significative, durante statisticamente significative, durante i tre periodi di prelievo sperimentali. In idifferenze tre periodi di prelievo sperimentali. In particolare, abbiamo trovato particolare, trovato più PUFA nel periodo di prelievo rispetto al ed al più PUFA abbiamo nel secondo periodo disecondo prelievo rispetto al primo edprimo al terzo terzo (figura 10). L’effetto L’effetto della della stagionalità e della dieta non sononon risultati influire nel (figura 10). stagionalità e della dieta sono risultati influire nel contenuto di questo gruppo di AG. Vedremo però più avanti contenuto di questo gruppo di AG. Vedremo però più avanti che, per qualche acido grasso che, per qualche acidointeresse grasso poli-insaturo di rilevante interesse poli-insaturo di rilevante biologico e nutrizionale, esistono delle biologico differenze estatisticamente nutrizionale, esistono delle differenze statisticamente significative sia significative sia dovuti all’effetto del periodo di prelievo, che del tipo di dieta. dovuti all’effetto del periodo di prelievo, che del tipo di dieta. 113 16 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 10 Contenuto in PUFA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta Figura 10 Contenuto in PUFA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si bovine riferiscono ai 3durante periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: (Tr. estate; III-pr.: ed a seconda dalle i tre prelievi P.: inverno), Tradizionale della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Pianura; Tr.Unifeed). m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Collina/montagna; PUFA 4.90 4.85 4.80 4.75 4.70 4.65 4.60 4.55 4.50 4.45 4.40 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed TFA (in gran parte Acido Vaccenico). Questo gruppo, si riferisce a tutti gli TFAinsaturi (in gran parte Acido Vaccenico). Questo un gruppo, si riferisce a tutti AG insaturi che AG che contengono almeno doppio legame in gli configurazione contengono almeno un doppio legame in configurazione trans, escludendocon da tale trans, escludendo da tale definizione gli AG coniugati undefinizione doppio legame trans, con come gli isomeri dell’acido (CLA) L’importanza gli AG coniugati un doppio legame trans, come glilinoleico isomeri dell’acido linoleico (CLA) diL’importanza questo gruppo pressoché parte di questoderiva gruppo dall’immagine deriva dall’immagine pressoché negativa negativa dada parte dei dei consumatori. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato gli effetti consumatori. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato gli effetti che questo gruppo ha che questo gruppo ha sulla salute umana, tra cui l’azione negativa sull’ sulla salute umana, tra cui l’azione negativa sull’ rapporto LDL/HDL, innalzando il livello rapporto LDL/HDL, innalzando il livello delle LDL (“colesterolo cattivo”) LDL (“colesterolo cattivo”) a scapito delle HDL (“colesterolo buono”), e l’aumento adelle scapito delle HDL (“colesterolo buono”), e l’aumento del rischio del di rischio di insorgenza di patologie dell’apparato cardio-vascolare e neoplasie, come quello alla insorgenza di patologie dell’apparato cardio-vascolare e neoplasie, come prostata.alla prostata. quello AAfronte crescenteinteresse interesse mondo scientifico effetti fronte di di un un crescente del del mondo scientifico riguardoriguardo agli effettiagli metabolici metabolici negativi dagli TFA sull’organismo umano, molti governi negativi causati dagli causati TFA sull’organismo umano, molti governi hanno quindi reso hanno quindi reso obbligatorio di riportare sulle etichette degli alimenti e obbligatorio di riportare sulle etichette degli alimenti e degli integratori dietetici il loro degli integratori dietetici il loro contenuto, mentre in altri paesi è ancora in altri paesi è ancora in fase di studio. Il Canada è stato il primo paese del incontenuto, fase dimentre studio. Il Canada è stato il primo paese del nord America a nord America a rendere tale procedura, esattamente dal gennaio 2005, rendere obbligatoriaobbligatoria tale procedura, esattamente dalprimo primo gennaio mentre gli Stati Uniti primo gennaio Europea non èL’unione rimasta insensibile 2005, mentre gli dal Stati Uniti dal 2006. primoL’unione gennaio 2006. Europeaa non è rimasta insensibile a tali cambiamenti infatti,dihaTFA introdotto una tali cambiamenti e, infatti, ha introdotto una riduzione e, volontaria negli alimenti, mentre la Danimarca ha deciso di imporre un limite massimo già dal 2003. 114 Come ci aspettavamo, le principali differenze statisticamente significative a livello dei TFA le abbiamo riscontrate tra il primo e secondo, e tra il primo ed il terzo periodo di prelievo. In 17 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna riduzione volontaria di TFA negli alimenti, mentre la Danimarca ha deciso di imporre un limite massimo già dal 2003. Come ci aspettavamo, le principali differenze statisticamente significative a livello dei TFA le abbiamo riscontrate tra il primo e secondo, e tra il primo ed il terzo periodo di prelievo. In particolare il loro contenuto diminuisce significativamente passando dal periodo primaverile a quello invernale (figura 11). Figura in significativamente TFA (mg/100mg FAME) neia particolare 11 il loro Contenuto contenuto diminuisce passando daldi periodo primaverile campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne quello invernale (figura 11). si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), edneiacampioni seconda tenuta Figura 11 Contenuto in TFA (mg/100mg di FAME) di burro della analizzati. dieta I valori riportati nelle colonne si bovine riferiscono ai 3durante periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: (Tr. estate; III-pr.: ed a seconda dalle i tre prelievi P.: inverno), Tradizionale della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Pianura; Tr.Unifeed). m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Collina/montagna; TFA 4.00 3.50 3.00 2.50 2.00 1.50 1.00 0.50 0.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Inoltre, i i campioni ottenuti da bovine presentano contenuti Inoltre, campioni ottenuti daalimentate bovine tradizionalmente alimentate tradizionalmente maggiori in TFA rispetto maggiori a quelli ottenuti da bovine alimentate conottenuti unifeed. da L’effetto del presentano contenuti in TFA rispetto a quelli bovine alimentate con unifeed. del periodo prelievo e delladi questo dieta periodo di prelievo e della dietaL’effetto hanno mostrato influire condip<0.01 sul contenuto hanno influireincon p<0.01 sul contenuto di questoneigruppo AG. gruppo mostrato di AG. L’isomero configurazione trans più rappresentativo prodotti di lattieroL’isomero in configurazione trans più rappresentativo nei prodotti lattierocaseari è senza dubbio l’acido vaccenico. Relativamente al suo contenuto (figura 12), caseari è senza dubbio l’acido vaccenico. Relativamente al suo contenuto abbiamo rilevato differenze significative tra i campioni prelevati in primavera con quelli (figura 12), abbiamo rilevato differenze significative tra i campioni prelevati in inverno, ed inoltre i campioni ottenuti da bovine alimentate tradizionalmente prelevati in primavera con quelli prelevati in inverno, ed inoltre i campioni hanno contenuti più elevati di quelli ottenuti da bovinehanno alimentate con unifeed. L’acido ottenuti da bovine alimentate tradizionalmente contenuti più elevati è risultato essere influenzato solo dall’effetto tipo di alimentazione. divaccenico quelli ottenuti da bovine alimentate con del unifeed. L’acido vaccenico è risultato essere influenzato solo dall’effetto del tipo di alimentazione. 115 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 12 Contenuto in acido vaccenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda Figura 12 Contenuto in acido vaccenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori della tenuta dalle bovine treestate; prelievi (Tr.ed riportatidieta nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentalidurante (I-pr.: primavera;i II-pr.: III-pr.: inverno), della dieta tenuta dalle bovine durante iTr. tre prelievi (Tr. P.:Tradizionale Tradizionale Pianura; Tr. Collina/ m/c: Tradizionale P.:a seconda Tradizionale Pianura; m/c: Collina/montagna; Unifeed). montagna; Unifeed). c18:1 t11 2.50 2.00 1.50 1.00 0.50 0.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed CLA, isomeri coniugati dell’ acido linoleico (in gran parte acido rumenico). CLA e’ un termine collettivo usato per descrivere uno o l’insieme degli CLA, isomeri coniugati dell’ acido linoleico (in gran parte acido rumenico). CLA e’ un isomeri geometrici e posizionali dell’acido octadecadienoico che contiene per descrivere uno o l’insieme degli isomeri geometrici e posizionali duetermine doppicollettivo legamiusato coniugati. Nel grasso dei ruminanti l’isomero principale octadecadienoico che contiene due doppi legami coniugati. Nel grasso deidell’acido CLA e’ senza dubbio l’acido rumenico (c18:2 cis-9 trans-11), oltre aldei ruminanti l’isomero principale dei CLA e’ senza dubbio (c18:2 cis-9 transtrans-7 cis-9, cis-11 trans-13, trans-10 cis-12l’acido e adrumenico altri isomeri minori. Questi AGalsono diventati molto importanti ventennio dopo che 11), oltre trans-7 cis-9, cis-11 trans-13, trans-10nell’ultimo cis-12 e ad altri isomeri minori. Questi e’ AG statosono dimostrato sperimentalmente la loro capacità anti-cancerogena, diventati molto importanti nell’ultimo ventennio dopo che e’ stato dimostrato come di ridurre sensibilmente l’incidenza del tumore al seno, ed inoltre sperimentalmente la loro capacità anti-cancerogena, come di ridurre sensibilmente l’incidenza di rallentare la progressione del diabete (11). Dell’ acido rumenico si e’ del tumore al seno, ed inoltre di rallentare la progressione del diabete (11). Dell’ acido già parlato in precedenza; gli altri isomeri, meno studiati, sono più di rumenico si e’ giàin parlato in precedenza; glibasse. altri isomeri, meno studiati, sono piùi di venti e venti e contenuti percentuali molto Come ci aspettavamo valori in percentuali molto basse. Come ci aspettavamo i valori alti riscontrati di CLA, ed in piùcontenuti alti di CLA, ed in particolare di acido rumenico, sonopiùstati neiparticolare campioni di bovine alimentate con piùneierba (dieta tradizionale), edpiù di acido rumenico, sono stati riscontrati campioni di bovine alimentate con i più bassi nei campioni di quelle alimentate con unifeed, che come erba (dieta tradizionale), ed i più bassi nei campioni di quelle alimentate con unifeed,e’ che noto esclude l’impiego dell’erba nel carro miscelatore (figure 13 e 14). come e’ noto esclude l’impiego dell’erba nel carro miscelatore (figure 13 e 14). Non sono Non sono emerse differenze significative tra i tre periodi sperimentali, ma emerse differenze significative tra i tre periodi sperimentali, ma l’effetto del tipo di l’effetto del tipo di alimentazione è risultato influire sul contenuto in CLA. alimentazione è risultato influire sul contenuto in CLA. 116 19 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle dalle bovine i tre (I-pr.: prelievi (Tr. estate; P.: III-pr.: Tradizionale colonne si riferisconodurante ai 3 periodi sperimentali primavera; II-pr.: inverno), ed a seconda della dietaTr. tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Unifeed). Tr. m/c: Tradizionale Pianura; m/c: Tradizionale Collina/montagna; Collina/montagna; Unifeed). CLA nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle Figura 13 Contenuto in CLA (mg/100mg di FAME) colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della 1.20 dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). 1.00 CLA 0.80 1.20 0.60 1.00 0.40 0.80 0.20 0.60 0.00 0.40 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed 0.20 Figura 14 Contenuto in acido rumenico (mg/100mg di 0.00 nei campioni di burro analizzati. I valori riportati FAME) II-pr III.pr Tr. c/m Tr. P. Unifeed nelle colonneI-pr. si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: Figura 14 Contenuto in acido rumenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati primavera; III-pr.: (I-pr.: inverno), a III-pr.: seconda nelle colonne siII-pr.: riferiscono estate; ai 3 periodi sperimentali primavera; II-pr.:ed estate; inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. Collina/montagna; Unifeed). P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/ c18:2 c9, t11 (CLA)nei campioni di burro analizzati. I valori riportati Figura 14 Contenuto in acido rumenico (mg/100mg di FAME) montagna; Unifeed). nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda 0.80 della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). 0.70 c18:2 c9, t11 (CLA) 0.60 0.50 0.80 0.40 0.70 0.30 0.60 0.20 0.50 0.10 0.40 0.00 0.30 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed 0.20 0.10 0.00 Acidi grassi della serie omega-3. L’acido Į-linolenico (ALA) è risultato essere il più Tr. c/m Unifeed I-pr. II-pr III.pr Tr. P. rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state rilevate differenze statisticamente significative tra il primo ed il secondo periodo 117 di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo Acidi serie omega-3. L’acido Į-linolenico di dietagrassi hanno della risultato influire sul loro contenuto (figure 15(ALA) e 16). è risultato essere il più rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state rilevate differenze statisticamente significative tra il primo ed il secondo periodo di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo di dieta hanno risultato influire sul loro contenuto 20 (figure 15 e 16). Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Acidi grassi della serie omega-3. L’acido α-linolenico (ALA) è risultato essere il più rappresentativo del gruppo degli AG omega-3. Sono state rilevate differenze statisticamente significative tra il primo ed il secondo periodo di prelievo, e l’effetto della stagione e del tipo di dieta hanno risultato influire sul loro contenuto (figure 15 e 16). Figura 15 Contenuto in omega-3 (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIFigura 15 Contenuto in omega-3inverno), (mg/100mg di FAME) nei di burrodella analizzati.dieta I valori riportati nelle pr.: estate; III-pr.: edprimavera; a campioni seconda tenuta Figura di (I-pr.: FAME) nei campioni di estate; burro analizzati. I valori riportati nelle colonne15 si Contenuto riferiscono inai omega-3 3 periodi(mg/100mg sperimentali II-pr.: III-pr.: inverno), ed a seconda colonne si bovine riferiscono ai 3bovine periodidurante sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: (Tr. estate; Pianura; III-pr.: a seconda dalle durante prelievi P.: inverno), Tradizionale della dieta tenuta dalle i itre tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Tr. m/c: ed Tradizionale della dieta tenuta Unifeed). dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Pianura; Tr.Unifeed). m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Collina/montagna; omega-3 omega-3 1.00 1.00 0.90 0.90 0.80 0.80 0.70 0.70 0.60 0.60 0.50 0.50 0.40 0.40 0.30 0.30 0.20 0.20 0.10 0.10 0.00 0.00 I-pr. I-pr. II-pr II-pr III.pr III.pr Tr. P. Tr. P. Tr. c/m Tr. c/m Unifeed Unifeed Figura 16 Contenuto in acido α-linolenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati Figura 16 Contenuto in acido Į-linolenico (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori nelle colonne si riferiscono ai 3di (I-pr.: periodi sperimentali (I-pr.: Figura Contenuto acido Į-linolenico (mg/100mg FAME) nei campioni burroIII-pr.: analizzati. I valori riportati 16 nelle colonne siinriferiscono ai 3 periodi sperimentali primavera; II-pr.:diestate; inverno), ed riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda aCollina/montagna; seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Unifeed). della dietaUnifeed). tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. Collina/montagna; ALAm/c: Tradizionale Collina/ P.: Tradizionale Pianura; Tr. ALA montagna; Unifeed). 0.80 0.80 0.70 0.70 0.60 0.60 0.50 0.50 0.40 0.40 0.30 0.30 0.20 0.20 0.10 0.10 0.00 0.00 I-pr. I-pr. II-pr II-pr III.pr III.pr 118 Tr. P. Tr. P. Tr. c/m Tr. c/m Unifeed Unifeed Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al c14:0) viene sintetizzato Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al c14:0) viene sintetizzato in gran parte nella mammella a partire dall’ acido acetico, ed in minima parte prodotti nel in gran parte nella mammella a partire dall’ acido acetico, ed in minima parte prodotti nel rumine dall’acido ȕ-idrossi-butirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di rumine dall’acido ȕ-idrossi-butirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di fibra e della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il fibra e della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo di prelievo. In particolare abbiamo trovato più AG Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Acidi grassi di sintesi mammaria. Questo gruppo di acidi (dal c4:0 al c14:0) viene sintetizzato in gran parte nella mammella a partire dall’ acido acetico, ed in minima parte prodotti nel rumine dall’acido β-idrossibutirrico. Tali AG aumentano con l’aumentare della quantità di fibra e della sua lunghezza. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo di prelievo. In particolare abbiamo trovato più AG di sintesi mammaria in primavera (figura 17). solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire sui loro contenuti assoluti. Figura 17 Contenuto in acidi grassi di sintesi mammaria (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Figura 17 Contenuto in acidiTradizionale grassi di sintesi mammaria (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: Collina/montagna; Unifeed). inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). AG di sintesi mammaria 25.00 24.50 24.00 23.50 23.00 22.50 22.00 21.50 21.00 20.50 20.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Acidi Grassi Grassi di Ematica. Sono un gruppo di AGdicompreso dal c16:0dal in c16:0 poi, ed Acidi di Origine Origine Ematica. Sono un gruppo AG compreso nel grasso del latte quando ladel lattifera piùlattifera o meno durante il periodo di inaumentano poi, ed aumentano nel grasso lattedimagrisce quando la dimagrisce più olattazione. meno durante periodo differenze di lattazione. Abbiamo riscontrato differenze Abbiamoilriscontrato significative tra il primo ed il secondo e tra il significative tra il primo ed il secondo e tra il secondo ed il terzo periodo secondo ed il terzo periodo di prelievo, con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per diquesto prelievo, con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per questo gruppo di AG, solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire sui loro gruppo di AG, solo l’effetto della stagione di prelievo ha mostrato influire contenuti assoluti. sui loro contenuti assoluti. 119 Figura 18 Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). AG ematici 78.00 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Figura 18 Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. Figura 17 Contenuto in acidi grassi di sintesi mammaria (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. P.:I valori Tradizionale Tr. sperimentali m/c: (I-pr.: Tradizionale Collina/ riportati nelle colonne siPianura; riferiscono ai 3 periodi primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: montagna; Unifeed). Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). AG di sintesi mammaria 25.00 24.50 24.00 23.50 23.00 22.50 22.00 21.50 21.00 20.50 20.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Ora, la “fotografia” che diritrae il comportamento dellaed Acidiavendo Grassi diosservato Origine Ematica. Sono un gruppo AG compreso dal c16:0 in poi, frazione grasso burrodimagrisce prodotto 2008 aumentanoacidica nel grassodel del latte quandodel la lattifera più onel meno duranteall’interno il periodo di del CFPR, ci è parso interessante confrontare i nostri risultati con quelli lattazione. Abbiamo riscontrato differenze significative tra il primo ed il secondo e tra il ottenuti da altri Autori che, sia passato che recentemente, hanno compiuto secondo ed il terzo periodo di prelievo, con più acidi di sintesi in estate (figura 18). Per ricerche analoghe alla nostra. In particolare ricordiamo quella di questo gruppo di AG, solo l’effetto della (14), stagione prelievo ha mostrato sui loro Strocchi e collaboratori del 1967 suidi burri Emiliani, cheinfluire già allora contenuti assoluti. impiegarono la GLC con colonne capillari e la spettrometria di massa per l’identificazione di alcuni AG, compresi i dieni coniugati dell’acido linoleico (che allora non venivano ancora definiti con il termine CLA). In particolare, i valori trovati allora sono mediamente un più elevati rispetto Contenuto in acidi grassi ematici (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori a Figura quelli18 da noi trovati nella presente ricerca. Tale differenza e’ dovuta riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr.verde, m/c: Tradizionale , amolto probabilmente all’abbondanza dell’alimentazione che Collina/montagna; Unifeed). nel 1967 era sicuramente più elevata rispetto al 2008. Infatti i valori AG ematici più elevati lievemente superiori all’1% vennero riscontrati nei campioni prelevati 78.00nei mesi estivi e quelli più bassi, intorno allo 0.6-0.7%, nei 77.50 invernali. Questa interpretazione e’ ancora più plausibile se campioni 77.00 confrontiamo i valori degli AG di sintesi mammaria che aumentano 76.50 con l’aumentare della quantità di fibra introdotta con la dieta; quelli da 76.00 75.50 noi rilevati risultano nettamente inferiori rispetto a quelli di Strocchi e 75.00 74.50 120 74.00 73.50 73.00 I-pr. II-pr III.pr Tr. P. Tr. c/m Unifeed Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna collaboratori. In quella ricerca venne anche notata, crediamo per la prima volta, una stretta correlazione tra gli isomeri trans totali (soprattutto c18:1 trans 11, denominato acido vaccenico) ed il contenuto in dieni coniugati (CLA). Inoltre dal confronto con lavori analoghi svolti più di recente, il livello dei CLA nel burro del CFPR ha valori tra i più elevati in Europa se confrontato con quelli prodotti da altri paesi della UE; siamo secondi solo alla Danimarca, e soprattutto superiori a quei paesi come Francia e Germania dai quali l’Italia ne importa abbondantemente. (Precht e Molkentin 1999b, Collomb 2001, Ledoux 2005, Prandini 2001). Conclusioni Nel corso di questa ricerca biennale sono stati identificati e dosati, per i singoli campioni, complessivamente 41 AG, soffermandoci sia su quelli maggiori per quantità ma anche su quelli che, pur essendo presenti in quantità appena dosabili, presentano un rilevante interesse dal punto di vista salutistico (tra cui i CLA). Quindi, considerando il contenuto in AG maggiori trovati nel nostro studio biennale, 40 anni dopo quello svolto da Strocchi e collaboratori, possiamo concludere che, in accordo con loro, la componente grassa del latte prodotto all’interno del CFPR è caratterizzata da una buona omogeneità (figura 19 e 20), e dati i rigidi parametri fissati per l’alimentazione delle lattifere, si presuppone che il suo comportamento sia analogo a quello trovato nel 1967. Figura 19 Principali gruppi di AG (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta Figura 19 Principali gruppi di AG (mg/100mg di FAME) nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle dalle bovine i tre prelievi (Tr.III-pr.:P.: Tradizionale colonne si riferiscono aidurante 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; inverno), ed a seconda della dieta Tr. tenutam/c: dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Pianura; Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Collina/montagna; Unifeed). 35.00 30.00 25.00 20.00 15.00 10.00 5.00 0.00 I-pr. II-pr. III-pr. Tr. P. Tr. c/m Unifeed c16:0 30.99 30.26 30.48 30.60 29.78 31.58 c18:1 c 9 22.05 25.58 24.24 23.65 24.88 23.46 c14:0 11.46 10.48 10.81 10.98 10.74 10.98 c18:0 11.24 10.47 11.05 11.04 11.09 10.36 Figura 20 Principali AG (mg/100mg di FAME) riscontrati 121 nei campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). 80.00 70.00 60.00 25.00 20.00 15.00 10.00 5.00 Alessandro Gori, 0.00 Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi II-pr.dell’Università III-pr. di Bologna Tr. P. Tr. c/m Dipartimento di ScienzeI-pr. degli Alimenti 30.99 c16:0 30.26 30.48 30.60 29.78 Unifeed 31.58 22.05 25.58 (mg/100mg 24.24 23.65di FAME) 24.88 riscontrati 23.46 Figurac18:1 20c 9 Principali AG nei 11.46 10.48 10.81 10.98 10.74 10.98 c14:0 campioni di burro analizzati. I valori riportati nelle colonne 11.24 10.47 11.05 11.04 11.09 10.36 c18:0 si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; IIpr.: estate; III-pr.: inverno), ed aneiseconda della tenuta Figura 20 Principali AG (mg/100mg di FAME) riscontrati campioni di burro analizzati.dieta I valori riportati colonne si riferiscono ai 3 periodi sperimentali (I-pr.: primavera; II-pr.: estate; III-pr.: inverno), ed a dallenelle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale seconda della dieta tenuta dalle bovine durante i tre prelievi (Tr. P.: Tradizionale Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). Pianura; Tr. m/c: Tradizionale Collina/montagna; Unifeed). 80.00 70.00 60.00 50.00 40.00 30.00 20.00 10.00 0.00 I-pr. II-pr. III-pr. Tr. P. Tr. c/m Unifeed Saturi 66.53 63.12 65.28 65.17 64.03 65.82 Mono-Insaturi 28.79 32.14 29.99 30.09 31.25 29.57 Poli-insaturi 4.68 4.74 4.72 4.74 4.72 4.61 Il contenuto in TFA e CLA variano in modo significativo soprattutto con in TFA e CLA variano in modo in significativo soprattutto con il tipo di con il tipoIl contenuto di alimentazione delle bovine, particolare, diminuiscono alimentazione delle unico, bovine, ined particolare, diminuiscono con l’utilizzo del piattotradizionale, unico, ed l’utilizzo del piatto aumentano con l’alimentazione aumentano con l’alimentazione tradizionale, soprattutto nel periodo primaverile-estivo soprattutto nel periodo primaverile-estivo quando c’è un naturale apporto quando c’è un naturale apporto dei loro attraverso la dieta. Dato ormai che è notada ormai dei loro precursori attraverso la precursori dieta. Dato che è nota tempo da tempo l’importanza di aumentare contenuto di alcuni AG minori (CLA, Ȧ3,) nei(CLA, prodotti ω3,) l’importanza di aumentare il ilcontenuto di alcuni AG minori lattiero caseari, qualora adottassimo le più recenti strategie alimentari, prevedono di nei prodotti lattiero caseari, qualora adottassimo le piùche recenti strategie alimentari, che prevedono di aumentare il contenuto di acido α-linolenico 24 nella razione alimentare, si potrebbero produrre burri e formaggi con un contenuto maggiore in CLA. In particolare, sia il formaggio che il burro prodotto nel CFPR, acquisirebbero un’ulteriore valore aggiunto e verrebbero valorizzati ancor di più in ambito nutrizionale. 122 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Bibliografia Bisig W., Eberhard P., Collomb M., Rehberger B. (2007). Influence of processing on the fatty acid compositionand the content of conjugated linoleic acid in organic and conventional dairy products – a review. Lait. 87, 1-19. Castagnetti G.B., Delmonte P., Melia S., Gori A., Losi G. (2008). L’effetto dell’integrazione della razione con farina di semi di lino estrusa sul contenuto in CLA (Acido Linoleico Coniugato) nel latte – Il caso della razza Reggiana. Progress in Nutrition., 10, 174-183. Collomb M. B., Utikofer U., Sieber R., Bosset J.O., Jeangros B. (2001). Conjugated linoleic acid and trans fatty acid composition of cows milk fat produced in lowlands and highlands. J. Dairy Res., 68, 519–523. Corl B.A., Chouinard P.Y., Bauman D.E., Dwyer D.A., Griinari J.M., Mela K.V. (1998). Conjugated linoleic acid in milk fat of diary cows originates in part by endogenouse in part by endogenous synthesis from trans-11 octadecenoic acid. J. Dairy Sci., 81, 223. 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Le notevoli anomalie del burro emiliano in rapporto alle leggi. Giornale di chimica industria ed applicata, 137. Prandini A., Geromin D., Conti F., Masoero F., Piva A., Piva G. (2001). Survey on the level of conjugated linoleic acid in dairy products. Ital. J. Food Sci. 2, 243-253. Molkentin J. (1999). Bioactive lipids naturally occurring in bovine milk. Nahrung 43:3, 185– 189. 123 Alessandro Gori, Selenia Melia, Maria Fiorenza Caboni, Giuseppe Losi Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Bologna Precht D., Molkentin J. (1999b). Analysis and seasonal variation of conjugated linoleic acid and further cis-trans isomers of C18:1 and C18: 2 in bovine milk fat. Kiel. Milchwirtsch. Forschungsber, 51, 63–78. Spallanzani P. (1889). Contributo allo studio degli acidi grassi volatili del burro. Le Stazioni sperimentali agrarie italiane, 1-17. Spallanzani P., Pizzi A. (1895). I burri dell’Emilia. Le Stazioni sperimentali agrarie italiane, 14, 257-275. Spallanzani P. (1904). 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Le frodi relative al burro sono principalmente ascrivibili alla parziale o totale sostituzione della matrice lipidica con grassi di minor pregio, valore nutrizionale e costo. In qualche caso si è assistito alla sostituzione del grasso di latte vaccino con grasso di latte di altre specie, quali pecora, capra o bufala e, in casi più rari, è stata anche verificata la presenza di grassi di sintesi. La determinazione della composizione in acidi grassi è certamente la valutazione analitica più conosciuta ed applicata nel controllo delle caratteristiche di una matrice lipidica. Il grasso di latte è certamente, tra i diversi lipidi, il più complesso per la grande varietà di acidi grassi presenti che differiscono per lunghezza della catena, numero e posizione dei doppi legami, isomeria strutturale e geometrica. Ne consegue una incrementata difficoltà, in termini analitici, per ottenere una completa separazione, riconoscimento e quantificazione. Fino agli anni ‘90, la composizione in acidi grassi era l’unico mezzo insieme alla composizione in steroli, quest’ultima limitatamente al riconoscimento dei grassi di origine vegetale, per determinare la presenza di grassi estranei. Nel 1995 è stato pubblicato il Regolamento CEE n.454 che descrive un nuovo metodo, basato sulla composizione dei trigliceridi, per la valutazione della genuinità del grasso di latte e quindi anche del burro. Tale metodo, tutt’ora metodo ufficiale per la valutazione della genuinità del burro, si è dimostrato molto efficace anche se la individuazione del grasso bovino di deposito è ancora la frode che presenta il limite di rilevabilità più elevato (5,4%). A fianco della determinazione dei trigliceridi sono stati individuati, in alcune ricerche specifiche, altri possibili parametri utili ad accertare la presenza di grassi estranei, in particolare sego, anche in basse percentuali. Di particolare interesse, a questo scopo, si sono dimostrate la valutazioni relative alla presenza di 3,5-colestadiene, di particolari rapporti tra alcune molecole 125 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. digliceridiche e alcuni esteri del colesterolo. Anche i singoli costituenti della frazione insaponificabile hanno fornito utili indicazioni, soprattutto quando la frode era una vera e propria contraffazione attuata mediante procedimenti di transesterificazione e/o miscelazione a partire da prodotti di sintesi e/o grassi di diversa origine. Non bisogna comunque dimenticare che le ricerche volte alla sempre più puntuale determinazione dei costituenti del grasso di latte, se da una parte hanno lo scopo di reprimere le possibili frodi, hanno altresì il merito di fornire validi parametri per la salvaguardia, la tutela e la promozione dei prodotti di qualità. La frode alimentare Un alimento è genuino quando risponde alle sue caratteristiche naturali, è “vero” ed autentico, cioè non solo ha come caratteristiche peculiari la freschezza e il buono stato di conservazione, ma non presenta sostanze estranee alla sua stessa natura. Qualsiasi azione volontaria e consapevole messa in atto con lo scopo di trarre personale vantaggio a scapito della genuinità, è una frode. Già nel primo secolo a.C. è possibile ritrovare una definizione di frode; infatti nel De Officiis, di Cicerone, un trattato indirizzato alla formazione etico-politica della gioventù e alla costruzione di un modello di comportamento pubblico e privato, Caio Aquilio alla richiesta di definire cosa fosse la frode, rispondeva: “cum esset aliud simulatum aliud actum” cioè “che essa si verifica quando si finge una cosa e se ne fa un’altra”. Attualmente il termine frode, nel linguaggio comune, è sinonimo di raggiro a danno di altri per ottenere un vantaggio personale e quindi di truffa, mentre, nel linguaggio giuridico, è un’azione illecita con cui qualcuno, ricorrendo all’inganno, al raggiro, alle false dichiarazioni e simili, mira a ledere diritti altrui o a eludere precise disposizioni Nella sua accezione più specifica, in particolare nel settore alimentare, ma non solo, spesso viene definita con termini differenti quali: adulterazione, sofisticazione, contraffazione o alterazione. Nel linguaggio comune spesso questi termini vengono confusi anche se ciascuno ha un significato differente: • ADULTERAZIONE: comprende tutte quelle operazioni che determinano modificazioni nella composizione analitica del prodotto alimentare, attuate mediante l’aggiunta o la sottrazione di alcuni componenti dell’ alimento stesso, allo scopo di ottenere un maggior tornaconto 126 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. economico, senza che apparentemente il prodotto venga modificato in maniera apprezzabile. Tipici esempi di adulterazione sono la vendita di latte scremato o parzialmente scremato per latte intero o il vino annacquato. • SOFISTICAZIONE: consiste nell’aggiungere all’alimento sostanze estranee alla sua composizione con lo scopo di migliorarne l’aspetto o di coprirne i difetti, come l’impiego di coloranti o conservanti non autorizzati per mascherare l’utilizzo di materie prime di cattiva qualità o difetti dei procedimenti produttivi. CONTRAFFAZIONE: è la totale sostituzione di una sostanza alimentare con un’altra di minor pregio in modo da indurre in inganno il compratore. È il caso della margarina spacciata per burro. È una frode che può essere molto pericolosa quando, per sostituire i prodotti originali o naturali, vengono utilizzate sostanze nocive alla salute. • ALTERAZIONE: si ha quando la composizione di una sostanza alimentare si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità tecnologiche o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione. Di per sé questa non è una frode, a meno che non esista l’intenzionalità nel celare il reale stato di conservazione, modificando ad esempio, la vera data di scadenza. In ogni modo una frode alimentare per avere successo deve essere facile da eseguire, difficile da scoprire e lucrosa. I differenti parametri di genuinità Gli acidi grassi Il burro è costituito per la maggior parte di materia grassa cui si accompagna una quota di acqua (non superiore al 16%) e una parte di materia secca non grassa indicata come “residuo secco magro” alla cui definizione concorrono differenti sostanze di natura proteica nonché residui di lattosio. La matrice lipidica del burro è costituita per il 97-98% circa da trigliceridi, esteri della glicerina con acidi grassi a numero di atomi di carbonio variabile tra 4 e 24. Le numerose ricerche effettuate in questo settore hanno permesso di individuare circa 400 acidi grassi differenti (Jensen, 2002) che possono essere suddivisi, con buona approssimazione, in 4 classi, in base alla loro origine (Palmquist, 2006). La prima classe, a cui appartengono gli acidi saturi a corta e media catena da 4 a 14 atomi di carbonio, include acidi grassi che vengono 127 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. sintetizzati direttamente nella ghiandola mammaria; la seconda (C16:0 e C16:1) comprende acidi grassi che possono essere sia sintetizzati nella ghiandola mammaria sia derivare dal sangue, come diretta conseguenza dell’alimentazione; la terza (C18:0, C18:2 e C18:3) comprende acidi grassi che derivano esclusivamente dal flusso sanguigno. Infine gli acidi palmitoleico (C16:1) e oleico (C18:1) possono avere origine sia dal sangue, sia dall’acido palmitico e stearico nella ghiandola mammaria, ad opera di una specifica desaturasi. La concentrazione di questi gruppi non è indipendente; nel caso in cui si verifichi un aumento della quota di acidi grassi a lunga catena derivanti dal torrente sanguigno, si realizza una contemporanea diminuzione della biosintesi di quelli a catena più corta, direttamente nella mammella. Da quanto esposto si evince come la composizione in acidi grassi sia soggetta a variazioni qualiquantitative assolutamente non trascurabili, soprattutto alla luce delle diversificate pratiche zootecniche che, negli ultimi 25 anni, hanno previsto anche l’utilizzo di mangimi grassati protetti, in grado cioè di passare indenni la barriera ruminale e quindi incidere profondamente sulla composizione soprattutto degli acidi a più lunga catena, saturi e insaturi. Questa notevole variabilità ha determinato la progressiva inapplicabilità dei rapporti tra acidi grassi che, a partire dalla diffusione delle tecniche gascromatografiche negli anni ‘60, costituivano i parametri su cui valutare la genuinità del burro (M.A.F.,1964). Tali rapporti, alcuni di questi indicati in Tabella 1, derivavano da studi sulla composizione dei burri di origine sia nazionale che estera (Parodi, 1971; Huyghebaert & Hendrickx, 1971; Gallacier, 1974; Vanoni, 1978; Toppino, 1982; Muuse, 1986; Ulberth, 1991; Collomb & Spahni, 1991). Il rischio, nell’applicazione di questi parametri e dei corrispondenti limiti, derivava soprattutto dalla reale possibilità di indicare come non genuino un burro, cioè aggiunto di grassi di altra origine, quando in realtà, era solo derivante da un latte di animali nutriti con alimentazione grassata. 128 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Tabella 1 Rapporti tra acidi grassi e relativi limiti di genuinità Rapporti C4/(C6+C8) C12/C10 C14/C12 C18:1/C18 C14/C18:2 C18:2/C8 C18/(C6+C8) C18/C8 C14/C18 (C6+C8+C10+C12)/C18 LIMITI 0.7---1.7 1.0---1.3 > 2.80 >2.34 4.95---13.0 0.56---1.71 1.78---2.87 < 7.63 >1.02 > 0.95 La difficile applicabilità di questi parametri si è determinata anche a seguito dell’evoluzione tecnologica delle metodiche di analisi. Le colonne gascromatografiche e i gas cromatografi stessi hanno subito negli anni notevoli cambiamenti che hanno determinato la possibilità di separare con sempre maggiore risoluzione la molteplicità dei costituenti della matrice lipidica. La figura 1 riporta, a titolo esemplificativo la differente separazione della zona di eluizione degli acidi grassi da C18:0 a C18:2, ottenibile con le diverse strumentazioni e colonne tra le maggiormente diffuse negli anni ’70 (a), ’90 (b) e oggigiorno (c). 129 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. a 18:1 18:1 18 9c+10c b 15t 11t 18:2 6t+8t 10t 9t 12t 4t 5t c 11c 12c 16t 18:2 t,t 18 18 13t+14t 18:1 18:2 9c,12c Figura 1 Zona di eluizione degli acidi grassi di un burro tra C18 e e C18:2 ottenibile con colonna impaccata di 2 m di lunghezza (a), capillare di 30 m (b) e capillare di 100 m (c) (Contarini, 2010) 13c 15c Come è evidente, acidi grassi che venivano separati, a parità di atomi di carbonio, in base solo al grado di insaturazione, ora appaiono separati nei differenti isomeri, non solo posizionali, ma anche geometrici. Considerando che i rapporti tra acidi grassi, con i relativi limiti di genuinità, sono stati studiati utilizzando quantificazioni fatte con profili del tipo (a), risulterebbe non privo di imprecisioni ed errori applicarli agli altri profili, dovendo ipotizzare quale degli isomeri andrebbe sommato all’uno o all’altro picco principale. Dalla metà degli anni ‘90, la valutazione degli acidi grassi, con i relativi rapporti, è stata sostituita dalla determinazione dei trigliceridi. I trigliceridi Poiché ogni molecola trigliceridica contiene 3 acidi grassi, da quanto precedentemente esposto circa l’elevato numero di acidi diversi presenti, è prevedibile che nella matrice lipidica del burro esistano numerose possibili forme trigliceridiche diverse, la maggior parte in tracce. La valutazione di tutti o della maggior parte dei composti presenti (Mottram & Evershed, 2001) se pur certamente ricca di informazioni, sarebbe difficilmente 130 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. applicabile al settore della repressione delle frodi che necessita sempre di metodi rapidi, il più possibile semplici, ma soprattutto ripetibili e riproducibili. Si è invece rivelato particolarmente efficace per l’individuazione di aggiunte di grassi estranei al burro, un metodo, comunemente chiamato metodo di “Precht”, (Precht, 1991) dal cognome del suo ideatore, che prevede una analisi basata sulla separazione dei trigliceridi solo in base alla somma del numero degli atomi di carbonio dei tre acidi grassi che li costituiscono, indipendentemente quindi dalla eventuale insaturazione o isomeria di qualsiasi tipo. Questo metodo, diventato metodo ufficiale della UE (Reg. CE 273, 2008) e anche metodo ISO, è stato originariamente messo a punto utilizzando colonne di tipo impaccato, ma è applicabile anche con colonne di tipo capillare. Esso permette l’individuazione dei grassi estranei, con limiti di rivelabilità che variano dal 4 al 6% a seconda del grasso adulterante, mediante l’applicazione, ai risultati ottenuti sui 16 picchi individuati (Figura 2), di formule matematiche derivanti da regressioni multiple, i cui limiti sono riportati in Tabella 2. 131 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Tabella 2 Formule per il calcolo dei parametri S Formula totale - 2,7575 · C26 + 6,4077 · C28 + 5,5437 · C30 – 15,3247 · C32 + 6,2600 · C34 + 8,0108 · C40 – 5,0336 · C42 + 0,6356 · C44 + 6,0171 · C46 - Limiti: 95,68 104,32 Formula per gli oli di soia, girasole, oliva, ravizzone, semi di lino, germe di grano, germe di granturco, semi di cotone e olio di pesce 2,0983 · C30 + 0,7288 · C34 + 0,6927 · C36 + 0,6353 · C38 + 3,7452 · C40 – 1,2929 · C42 + 1,3544 · C44 + 1,7013 · C46 + 2,5283 · C50 Limiti: 98,05 101,95 Formula per il grasso di cocco e di palmisto 3,7453 · C32 + 1,1134 · C36 + 1,3648 · C38 + 2,1544 · C42 + 0,4273 · C44 + 0,5809 · C46 + 1,2926 · C48 + 1,0306 · C50 + 0,9953 · C52 + 1,2396 · C54 Limiti: 99,42 - 100,58 Formula per l’olio di palma e il sego 3,6644 · C28 + 5,2297 · C30 – 12,5073 · C32 + 4,4285 · C34 – 0,2010 · C36 + 1,2791 · C38 + 6,7433 · C40 – 4,2714 · C42 + 6,3739 · C46 Limiti: 95,90 104,10 Formula per il lardo 6,5125 · C26+ 1,2052 · C32 + 1,7336 · C34 + 1,7557 · C36 + 2,2325 · C42 + 2,8006 · C46 + 2,5432 · C52 + 0,9892 · C54 Limiti: 97,96 - 102,04 132 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Figura 2 Profilo GC dei trigliceridi di un burro genuino, dell’olio di soya e di un burro con il 5% di soya. La tabella riporta il risultato dei parametri di genuinità relativi alla miscela con il 5% di soya 38 50 40 52 36 48 42 46 44 Burro genuino 54 34 54 soya 52 32 30 24 26 28 +5 % soya Totale soya cocco sego lardo LIMITI 95.68-104.32 98.05-101.95 99.42-100.58 95.90-104.10 97.96-102.04 5% 94.92 95.20 100.67 94.82 102.17 L’utilizzo di questo tipo di analisi ha costituito un valido mezzo per l’individuazione delle frodi, sostituendo la determinazione degli acidi grassi e i relativi rapporti. In figura 2 è riportato un esempio dell’applicazione del metodo ufficiale dei trigliceridi ad un campione contenente solo il 5% di soya. E’ possibile osservare come, a fronte di un profilo GC molto simile a quello di un burro genuino, i 5 parametri di genuinità presentino tutti valori oltre i limiti, non lasciando adito a dubbi sull’interpretazione del risultato. I parametri di genuinità sono applicabili solo a frodi relative all’aggiunta, al grasso di latte vaccino, di grassi estranei al latte, ma rimane aperta la problematica relativa ai burri prodotti con miscele di grassi provenienti da latte di specie diverse quali bufala, capra e pecora. Questo tipo di frode, che non è tale nel caso siano dichiarate chiaramente in etichetta le specie di origine del grasso, è peraltro comune, perché è pratica diffusa recuperare il grasso di siero della lavorazione dei formaggi anche di latte di specie differenti dalla vaccina, nonché quello rimanente nell’acqua di filatura delle mozzarelle. 133 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Allo scopo di verificare il comportamento dei grassi di specie diversa dal grasso vaccino, alcuni autori hanno applicato il metodo ufficiale dei trigliceridi anche a questo tipo di matrici (Fontecha, 1998; Romano, 2004; Povolo, 2008). La figura 3 riporta un esempio dei profili trigliceridici del grasso delle 4 specie lattifere più comunemente usate nel settore lattiero caseario. L’osservazione di questi profili permette di osservare importanti differenze tra le quattro specie, differenze che paiono certamente molto più evidenti di quanto sia possibile individuare dalla composizione media in acidi grassi (Tabella 3), soprattutto per quanto riguarda le due coppie di specie più simili: vacca/bufala e pecora/capra. Benchè, come già osservato, i parametri di genuinità del metodo ufficiale non siano applicabili alle miscele con latti di specie diversa, pare interessante osservare come, relativamente all’aggiunta di grasso di bufala al grasso vaccino (Figura 4), il comportamento dei valori del parametro relativo alla formula “Totale” abbia un comportamento molto particolare e specifico. Infatti per l’aggiunta di un qualsiasi altro grasso sia vegetale che animale, i valori tendono comunque a diminuire, mentre l’aggiunta di grasso di bufala determina, se pure per aggiunte superiori al 15%, valori che si pongono al di sopra del limite superiore dell’intervallo caratteristico del burro genuino. Del tutto inefficace appare questo parametro per la individuazione di miscela di vacca con capra e pecora, a conferma che nuove formule devono essere messe a punto per la specifica problematica. 134 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Figura 3 Profilo GC dei trigliceridi dei grassi di latte delle principali specie di interesse lattiero caseario PECORA VACCA CAPRA BUFALA Tabella 3 Composizione media degli acidi grassi del grasso di latte di differenti specie. C4 C6 C8 C10 C12 C14 C16 C16:1 C18 C18:1 C18:2 C18:3 C18:2conj Vacca 4.8 2.4 1.2 2.6 3.0 10.7 28.5 1.2 11.9 23.4 2.2 0.5 0.7 Bufala 4.8 2.3 1.1 1.9 2.5 10.4 29.3 1.6 13.4 23.9 2.4 0.3 0.6 135 Pecora 4.4 2.9 2.6 7.1 3.9 9.9 23.2 1.0 11.4 24.1 3.2 0.6 1.0 Capra 3.8 2.8 2.7 8.3 3.5 9.1 23.6 0.6 11.3 24.9 2.8 0.6 0.9 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Figura 4 Variazione del parametro relativo alla formula “Totale” per progressive aggiunte di grassi diversi. In grigio l’intervallo di variazione del burro genuino. 110 bufala 100 pecora capra formula Totale 90 80 sego 70 soya 60 50 40 0 10 20 30 40 50 60 % grasso adulterante I costituenti minori La determinazione della frazione sterolica (ISO, 2006) rimane certamente una delle più affidabili per l’individuazione della presenza di matrici lipidiche vegetali, considerando che tutte i grassi animali, burro compreso, contengono per il 98% solo colesterolo. E’ però opportuno tenere in considerazione il fatto che sono disponibili anche matrici lipidiche desterolizzate, il che rende questo tipo di valutazione del tutto inefficace. Proprio alla luce dei possibili trattamenti tecnologici cui le matrici lipidiche possono essere sottoposte, non solo a scopo fraudolento, è importante spesso abbinare più valutazioni analitiche, per trovare conferma dell’ipotetica frode (Povolo, 1999). Oltre alle valutazioni ufficiali, sono risultate di particolare efficacia anche le determinazioni su alcuni costituenti minori Ad esempio il 3,5 colestadiene è un derivato che è assente nel burro genuino, ma è presente nei grassi di tipo animale (sego) se sottoposti al processo di decolorazione per passaggio su terre attive (Mariani, 1994). La determinazione di tale costituente ha permesso di individuare aggiunte di sego al burro, in percentuali inferiori rispetto al limite di rivelabilità del metodo ufficiale dei trigliceridi. Anche la determinazione del rapporto tra colesterolo libero e colesterolo 136 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. legato, che nei burri genuini è pari circa a 9:1 (Mariani,1990), ha dimostrato notevole efficacia nella individuazione dell’applicazione fraudolenta di processi di transesterificazione, non ammessi nella produzione di burro. Parimenti il profilo della frazione digliceridica del grasso di latte è risultato caratteristico in confronto ad altri grassi animali di deposito (Figura 5). Spesso anche lo studio critico e attento delle analisi più tradizionali rappresenta un mezzo di verifica della genuinità molto attendibile. Un esempio è fornito dai risultati relativi alla composizione in acidi grassi, ottenuti su un campione di materia grassa dichiarata “burro” .(Figura 6, campione C). A fronte di una composizione, relativamente agli acidi grassi presenti in percentuale superiore all’1%, non diversa dalla composizione media di un burro, si è osservata la completa assenza degli acidi grassi cosiddetti “minori” ovvero presenti in ragione dello 0,1-0,4 %. Figura 5 Profilo GC dei digliceridi del burro e del sego. I numeri indicano la somma degli atomi di carbonio degli acidi grassi che costituiscono la molecola digliceridica e le lettere indicano i diversi di gliceridi, a parità di atomi di carbonio. Standard interno B Burro genuino A A B A B 30 D D C C 32 34 B A C DE 36 Sego 137 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Figura 6 Profilo GC della zona di eluizione degli acidi grassi da 10 a 14 atomi di carbonio. C10 Burro genuino C12 C14 C10:1 C12:1 C13I C11 Campione C L’analisi dei trigliceridi del medesimo campione aveva indicato la presenza di grassi estranei, in ragione di circa il 13%. Il colesterolo era l’unico sterolo presente, ma in quantità pari a circa 100 mg/100 g di grasso, che è meno della metà del contenuto medio di colesterolo del burro. Inoltre circa il 50% del colesterolo era risultato in forma esterificata, a fronte di un normale 10%. Infine, la valutazione della frazione insaponificabile aveva evidenziato la presenza di costituenti normalmente assenti nel burro genuino (Figura 7). L’analisi tramite GC/MS di questa frazione ha portato al riconoscimento di questi composti come chetoni alifatici derivanti soprattutto da acidi grassi a lunga catena (C16 e C18) a seguito di reazioni di condensazione e decarbossilazione. La valutazione di tutti i risultati ottenuti ha permesso di concludere che il campione oggetto di indagine non era il risultato di una “semplice” frode per aggiunta di una quota di grasso estraneo, come l’analisi ufficiale lasciava prevedere, ma ragionevolmente era il risultato della transesterificazione di miscela di un grasso animale tipo sego con acidi grassi o trigliceridi a corta catena ( da 4 a 14 atomi di carbonio). In tale campione il grasso di origine vaccina, ovvero il burro, poteva definirsi del tutto assente o presente in minime quantità. 138 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. colesterolo Figura 7 Profilo GC della frazione in saponificabile. Le frecce indicano i chetoni alifatici a lunga catena. (IS) Burro genuino Campione C Conclusioni Il “mercato” della frode, purtroppo, non è mai in crisi, anzi dimostra di essere sempre un passo avanti soprattutto rispetto alle metodiche ufficiali di analisi. Il livello di attenzione degli organi di controllo preposti non deve dunque mai diminuire, anche e soprattutto per difendere il prodotto genuino e di qualità. Spesso, infatti, è proprio dalle ricerche mirate alla evidenziazione dei parametri che determinano la qualità, che si mettono in luce costituenti naturali che in un prodotto adulterato risultano assenti o presenti in concentrazione ridotta. Proprio in questa ottica si auspica che siano sempre maggiori le ricerche atte a legare le caratteristiche del burro a quelle della materia prima d’origine, il latte, individuando particolarmente quei costituenti liposolubili che hanno uno stretto legame con il territorio d’origine e le differenti pratiche zootecniche adottate. 139 Giovanna Contarini, Milena Povolo, CRA-FLC, Lodi. Bibliografia Collomb M., Spahni M. (1991) Adultération des produits laitiers. Revue des critères analytiques de détection de graisses végétales et animales dans la graisse de beurre. Trav. Chim. Aliment. 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Mora, affermando che le caratteristiche del burro di affioramento sono diverse da quelle del burro di centrifuga, ne sosteneva l’attribuzione di un marchio di qualità, sottolineando la necessità di migliorare le strutture produttive. I caseifici odierni sono stati notevolmente ristrutturati ed anche la qualità microbiologica del latte si è adeguata alla normativa vigente, superando quanto affermava Annibaldi con una efficace espressione: “l’affioramento è la salute del formaggio ma è la malattia del burro”. Dopo periodi in cui abbiamo assistito quasi ad un ostracismo nei confronti di questo prodotto, oggi il burro torna di attualità, come dimostra anche la presenza, in punti vendita di specialità alimentari a New York o Tokyo, del prodotto ottenuto nei nostri caseifici . Questo dimostra come sia possibile ricercare nicchie di penetrazione in mercati di alto profilo, a condizione che siano valorizzate, oltre al legame col territorio, specifiche qualità del burro, derivanti ad esempio dalla alimentazione delle vacche e dalla assenza di additivi. Il tema della valorizzazione del burro resta comunque di attualità e può essere affrontato adottando due schemi: la standardizzazione del prodotto orientato al mercato o la specificità. Se il primo aspetto è quello tipico della grande industria lattiero-casearia mondiale, nell’Unione Europea alcuni hanno risposto a tale esigenza cercando una valorizzazione (ed una tutela) attraverso la DOP. E’ questo il caso di paesi a grande consumo di burro come la Francia, con il beurre d’Isigny (e la crema DOP d’Isigny), il beurre Charentes-Poitou, des Charentes, des Deux-Sèvres; il Belgio con il beurre d’Ardenne; il Lussemburgo col beurre rose du Grand Duché. Un caso originale è quello della Spagna, paese dell’olio per antonomasia, con consumi di un terzo di quelli dell’Italia, che ha riconosciuto due burri con DOP: mantequilla de Soira e mantequilla de l’Alt Urgell y la Cerdanya. Per assicurare il valore dei componenti di questo nobile alimento, i disciplinari prevedono l’assenza di coloranti, antiossidanti o correttori di acidità e la pastorizzazione delle creme, elementi essenziali per differenziare un burro di qualità rispetto ad un prodotto generico. Riguardo l’anteriorità, fattore essenziale per giustificare l’ancoraggio di 142 Leo Bertozzi, Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano un prodotto al territorio, queste indicazioni geografiche si sono sviluppate a partire dal XVIII secolo e più in generale fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, a seguito della modifica della fisionomia agricola dovuta alla diffusione della fillossera. Nella nostra realtà non risulta che il burro prodotto nei caseifici del comprensorio sia stato qualificato in passato con una denominazione tradizionale specifica; un richiamo compare sull’incarto e su scritte pubblicitarie di un prodotto della Cremeria Emiliana di Cavriago (Burro Montano Reggiano e Parmigiano), ottenuto per centrifugazione, ma generalmente è stata utilizzata la dizione “burro di caseificio”. Eppure, documenti che testimoniano la pratica dell’affioramento del latte risalgono, secondo Zannoni, all’inizio del ‘600 e dunque la pratica della burrificazione é da sempre affermata nel nostro comprensorio. Bisogna considerare come questo metodo di separazione del grasso era diffuso in Europa nella produzione dei formaggi a pasta cotta da latte di vacca, come testimoniano le bacinelle (ronds) utilizzate nella zona del Comté, del tutto simili alle nostre, ma negli altri paesi, dopo l’introduzione delle scrematrici meccaniche verso la fine del XIX secolo, la pratica dell’affioramento è andata riducendosi e permane in modo esteso solo in Italia. Il disciplinare del Parmigiano-Reggiano, che prevede come il latte debba essere “parzialmente scremato per affioramento naturale del grasso in vasche d’acciaio a cielo aperto” ne è la prova più eloquente. Con tale pratica si ottiene la maturazione del latte, l’eliminazione di gran parte delle spore di clostridi e la debatterizzazione del latte per cui costituisce ancora oggi una fase essenziale del ciclo produttivo del formaggio. In conclusione, il tema della valorizzazione del burro resta di attualità. Infatti, il miglioramento delle strutture e delle condizioni produttive permette oggi di avere un prodotto in grado di trovare spazio sui diversi mercati, valorizzando il legame col territorio e la sua naturalità. Se le tecniche produttive sono ormai acquisite, molto resta da fare per stabilire quali azioni di marketing adottare affinchè il burro ottenuto dalle panne di affioramento dei nostri caseifici non sia più considerato un prodotto secondario della trasformazione casearia. Si tratta di sfruttare in modo adeguato gli elementi che sono insiti nel Parmigiano-Reggiano: alimentazione delle vacche, assenza di additivi o conservanti, stagionalità e, per ultimo ma non meno importante, una immagine unificante. 143 144 Interventi programmati Emilio Braghin, Consorzio Granterre Sca Luciano Catellani, CVPARR Carlo Pontiroli, Responsabile Produzione e Controllo Qualità, Montanari & Gruzza S.P.A. Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. 145 Emilio Braghin, Consorzio Granterre Scarl Ringrazio gli organizzatori per l’invito ricevuto alla partecipazione a questo interessantissimo seminario che tratta di un prodotto spesso bistrattato, come il burro. Rappresento l’Organizzazione Produttori Parmigiano-Reggiano e Burro Consorzio Granterre Scarl, riconosciuta dalla Regione Emilia Romagna: il nostro compito è quello di commercializzare e valorizzare al massimo i prodotti Parmigiano-Reggiano e Burro conferiti dai nostri soci. Il burro è un indicatore molto importante del mercato lattiero-caseario mondiale insieme alla polvere di latte scremato SMP. Essi rappresentano i riferimenti sia del prezzo, che della quantità di latte prodotto in Europa e nel mondo, in quanto sono i prodotti, insieme ai formaggi, per trasferire il latte anche a lunghe distanze e stoccarlo per periodi medio-lunghi. Il burro, che è la parte grassa del latte, viene ottenuto principalmente nel mondo per scrematura del latte attraverso la centrifugazione, mentre la parte magra viene poi polverizzata. Nell’ambito Italiano, il burro si ottiene principalmente dalla trasformazione del latte nei formaggi Parmigiano-Reggiano e Grana Padano, diventando un loro co-prodotto attraverso l’affioramento del latte in bacinelle a cielo aperto per il Parmigiano-Reggiano o in torri di affioramento nel Grana Padano, integrato con il grasso ottenuto dalla centrifugazione del siero dopo l’estrazione delle forme di formaggio. Le due procedure di separazione della parte grassa del latte, per centrifugazione e per affioramento, ottengono due prodotti con caratteristiche diverse: infatti le creme ottenute per centrifugazione in Italia vengono usate principalmente per altri usi diversi dal burro, come panna da cucina, panna da dolci, mascarpone e altri, mentre le panne di affioramento principalmente per il burro. Il Burro, come evidenziato nelle relazioni precedentemente ascoltate, ha proprietà indiscutibili e mi fa molto piacere che siano emerse in modo chiaro, infatti il burro è uno degli alimenti più salubri al mondo e che la storia certifica. Crea problemi solamente, come accade per molti alimenti, se si abusa nel consumo. Per valorizzare tale prodotto è bene conoscere al meglio le caratteristiche positive e legarlo se possibile al territorio attraverso una D.O.P. o una I.G.P., procedura complessa, che stiamo tentando di promuovere insieme al Consorzio Parmigiano-Reggiano e alla Regione Emilia Romagna. Se non si ottiene ciò è assolutamente vietato indicare sugli incarti “Parmigiano-Reggiano” come provenienza. 146 Emilio Braghin, Consorzio Granterre Scarl Il mercato mondiale del latte, come già detto, è influenzato dalla produzione di burro in maniera assoluta e questo viene stoccato, quando se ne produce in eccesso, attraverso l’ammasso pubblico e privato, sovvenzionato dalla CE per mantenere l’equilibrio del prezzo sul mercato. Tale procedura è fondamentale per i paesi europei, tanto che questo contributo viene richiesto anche per il latte in polvere all’interno della PAC come rete di sicurezza in caso di crisi, in sostituzione delle Quote Latte. Tale operazione in passato non è risultata sufficiente, tanto che nel 1982/83 sono state istituite le quote latte per ridurre gli eccessi di stoccaggio del latte in polvere e del burro. Per l’Italia, essendo un paese deficitario di prodotti lettiero-caseari, l’ammasso pubblico e privato del burro è quasi nullo, pertanto ininfluente ai fini dei produttori di latte italiani, mentre le posizioni molto importanti che stiamo cercando di sostenere a livello nazionale e Comunitario, sono la possibilità di poter programmare la produzione all’interno delle D.O.P. per migliorare e garantire uno standard qualitativo alto per i consumatori e l’obbligo di dichiarare in etichetta la provenienza del latte con il quale viene ottenuto il prodotto lattiero-caseario. Questo per rendere il più trasparente possibile la provenienza e dare la possibilità al consumatore di scegliere ciò che acquista e consuma. 147 Luciano Catellani, CVPARR Sono molto felice di aver partecipato a questo convegno perché i risultati delle relazioni confermano che il lavoro svolto con la razza reggiana è stato proficuo. Aver creato negli anni passati un regolamento che prevede non solo l’utilizzo di mangime OGM FREE ma anche l’utilizzo dell’erba nell’alimentazione di questi bovini e che favorisce un aumento considerevole degli omega 3 e C.L.A nel grasso del latte, ci permette di dire che i nostri prodotti danno migliori garanzie per i consumatori, rispetto ad altri. Gli acidi grassi essenziali, come è stato illustrato nelle relazioni precedenti, hanno delle caratteristiche importanti da un punto di vista salutistico e nutrizionale. La razza reggiana è una razza antica, ma molto moderna. Il fatto di non aver ceduto alle lusinghe dell’Unifeed, che avrebbe certamente fatto aumentare le produzioni dei nostri animali, ma che da un punto di vista qualitativo avrebbe peggiorato i nostri prodotti e la possibilità poi di inserire il lino nella razione invernale, ci permette di avere tutto l’anno sia il burro che il formaggio con percentuali elevate di omega 3 e CLA. La sperimentazione fatta nei nostri allevamenti nel periodo invernale ci ha dato anche la sensazione di un aumento del benessere animale, in quanto da un punto di vista visivo, le vacche presentavano un pelo più lucido e un aspetto generale migliore. Ritengo che negli anni passati nel comprensorio del Parmigiano Reggiano, si siano fatte delle scelte sbagliate sull’alimentazione delle bovine, che hanno determinato delle differenzazioni molto basse rispetto ad altri grana, con risvolti commerciali e di immagine negativi e poco distintivi Concludo dicendo che la strada indicataci dai relatori è ben chiara e noi con la rossa reggiana la seguiremo, cercando sempre di migliorare le qualità delle nostre produzioni, a vantaggio dei consumatori, solo cosi si fa mercato, immagine e comunicazione. Un ringraziamento particolare va da parte nostra al Prof. Losi e ai suoi collaboratori per l’impegno e la dedizione profusi per questa ricerca che ha dimostrato ancora una volta che le nostre scelte guardano lontano. A loro saremo per sempre grati. 148 Carlo Pontiroli, Responsabile Produzione e Controllo Qualità, Montanari & Gruzza S.P.A. In merito al quesito se è possibile o meno produrre un burro dop da panne derivanti la lavorazione del parmigiano reggiano aventi caratteristiche tali da renderlo migliori degli altri burri,per contenuto in cla,mi sento di fare alcune considerazioni. Come abbiamo visto dalle ricerche portate avanti dal professor Losi e dai suoi collaboratori,per avere un contenuto alto di CLA nel burro bisogna alimentare la bovine con foraggio verde e/o aggiungere alla razione un certo quantitativo di farina di lino estruso,altrimenti il contenuto in cla diventa simile a tutti gli altri burri in commercio. Peccato che negli ultimi tempi, nel comprensorio del parmigiano sia andata prendendo piede sempre di più l’alimentazione a secco per tutto l’anno,non da ultimo ha influito anche l’approvazione da parte del consorzio del “carro” come metodo di alimentazione,quindi si sta andando esattamente nella direzione opposta. Per ottenere un burro ad elevato contenuto di cla bisognerebbe che il consorzio imponesse a tutti gli allevatori del comprensorio per tutto l’anno di aggiungere alla loro razione il quantitativo necessario di farina di lino estruso per compensare la carenza di foraggio verde.dato che non credo che il consorzio sia interessato ad un operazione simile,il burro ottenuto dalla lavorazione di tali creme non potrà avere in futuro un contenuto alto in CLA. Un altro aspetto che mi preme sottolineare è che finora il consorzio ha impedito che si potesse legare il nome parmigiano reggiano al burro prodotto con le creme derivanti dalla sua lavorazione. Infatti se un’azienda appone sulla sua etichetta la dicitura”burro ottenuto dalla lavorazione delle creme raccolta nella zona di produzione del parmigiano-reggiano”, o similari, si incorre in sanzioni da parte del consorzio e nel sequestro degli incarti,per cui anche sotto questo aspetto bisogna cambiare molto da un punto di vista della mentalità e della volontà di voler veramente valorizzare il prodotto burro e non come è stato fatto finora relegandolo al ruolo di sottoprodotto o poco più. Per questi motivi la mia risposta al quesito iniziale è senz’altro negativa al permanere delle condizioni tecniche,politiche ed economiche attuali. 149 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. Il Convegno si colloca in un momento adatto per esprimere alcune considerazioni. In retrospettiva, sulla presenza a Reggio Emilia del Corso di Laurea in Scienze della Produzione Animale. I suoi ricercatori hanno illustrato ricerche approfondite e contribuiscono a sperare in un sano ripensamento degli orientamenti dell’Università di Bologna per tenerlo in quest’area. In prospettiva, sull’azione da svolgere per rendere più trasparenti le filiere agroalimentari e assicurare la sopravvivenza della cultura contadina. L’Unione Europea si sta orientando a fare propri questi due obiettivi, pertanto la realtà locale verrà stimolata a superare il condizionamento esercitato dagli stili diffusi negli ultimi tempi nel consumo e nella produzione di alimenti. Il Corso di Laurea si insedia a Reggio all’inizio degli anni ’70 quando si apre un’importante stagione per attivare una politica per l’agricoltura e per la trasformazione alimentare mirata alla realtà locale. Nella CEE i Regolamenti approvati nel 1968 hanno messo in funzione le Organizzazioni Comuni di Mercato - tra le quali l’imponente OCM per il settore lattiero caseario - e le Direttive strutturali hanno impegnato gli Stati a sostenere le aziende agricole in modo omogeneo. In Italia inizia l’esperienza delle Regioni cui vengono affidate competenze per l’agricoltura e si giunge a varare un Piano Agricolo Nazionale sotto la regia del Ministero dell’Agricoltura. La Provincia, la Camera di Commercio, il Comune di Reggio Emilia avviano il consorzio CRPA per realizzare sperimentazioni e servizi rivolte alle due condizioni più importanti dell’agricoltura locale: il cambiamento epocale nelle produzioni zootecniche, nelle trasformazioni del latte e delle carni, nella commercializzazione dei prodotti, il radicamento profondo delle produzioni di alimenti di origine animale nelle caratteristiche dell’ambiente, nella storia economica e nelle tradizioni alimentari. In quel quadro diventa possibile ottenere un avvicinamento degli studi universitari e rivolgere importanti programmi di ricerca incentrati sui processi di produzione che prendono origine dai terreni, dalle colture foraggere, dalle razze locali per arrivare al formaggio tipico, al burro e ai suini allevati con siero per rifornire l’ampia e apprezzata gamma della salumeria tradizionale. Le proposte delle istituzioni scientifiche si combinano con le richieste dei produttori e con le politiche agricole. 150 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. Non è facile, ma per mezzo del CRPA si tenta di stabilire un più solido collegamento tra le scelte nella ricerca, nei servizi associativi e negli interventi pubblici. Si arriva a un discreto livello di condivisione del bisogno di favorire l’introduzione di innovazioni coerenti in campagna, nell’allevamento, nella trasformazione. I progetti di ricerca comprendono competenze che vanno dalla genetica all’agronomia, alla meccanica, dalla zootecnia, alle industrie alimentari, dall’impiantistica, alle costruzioni, alla gestione dei sottoprodotti, dalla gestione aziendale al mercato… In un clima nuovo e attraversando contrapposizioni accanite si riesce a decidere di impiantare molte prove in pieno campo. Per il settore oggetto del convegno di oggi, si concretizza la possibilità di quantificare le differenze nella caseificazione del latte che deriva dalle vacche locali e da quelle importate. La collaborazione interdisciplinare tra i Professori Giuseppe Losi, Primo Mariani, Vincenzo Russo e loro collaboratori delle Università di Bologna e Parma permette di giungere a risultati di importanza storica sulle interazioni tra razze bovine, varianti genetiche delle proteine del latte, tecniche di trasformazione e caratteristiche del formaggio. A distanza di 40 anni una verifica analoga è stata ripresa con la sperimentazione condotta da Losi e collaboratori - sostenuta dal Consorzio di Tutela del formaggio Parmigiano Reggiano - per individuare le caratteristiche particolari del burro ottenuto da latte di vacche alimentate con diversi tipi di foraggio. Si può dire che i risultati delle ricerca presentati in questa sede completano una gamma di conoscenze che conferma la validità dell’impostazione produttiva consolidata in questa zona negli ultimi 150 anni. Infatti essa si consolida in seguito alla grande crisi del mercato dei cereali avvenuta nella seconda metà del 1800. Ne deriva la spinta ad aumentare la praticoltura e l’allevamento delle vacche autoctone, la rossa Reggiana, la bianca Carpigiana, Modenese e la grigia Montanara (da tempo scomparsa) per produrre latte da trasformare in burro e formaggio (in seguito denominato Parmigiano Reggiano). Di conseguenza si afferma il suino da casello con l’introduzione dei tipi genetici che permettono di raggiungere le maggiori dimensioni per meglio utilizzare il siero e valorizzare il sottoprodotto del latte con i salumi di alta qualità (in seguito denominati Prosciutto di Parma, Culatello di Zibello, Prosciutto di Modena, Salame di Felino, Coppa di Parma, ecc.). In quell’epoca le esigenze alimentari impongono 151 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. di aumentare il consumo di calorie, il burro vale più del formaggio e la parte grassa vale più della parte magra del maiale. Una gerarchia tra alimenti che viene rovesciata solo nell’ultimo dopoguerra in seguito all’industrializzazione del paese, alla meccanizzazione, alla disponibilità di energia fossile a basso costo. Per il futuro, facendo tesoro delle varie esperienze fatte durante i cambiamenti avvenuti, siamo in grado di constatare che l’impianto agricolo-alimentare originario è in grado di mantenere: • la validità di un indirizzo zootecnico che consente di ricavare foraggio da terre difficili e di reggere la competizione con zone più vocate e con allevamenti impostati per ottenere la maggiore quantità di latte per vacca nell’anno • la tenuta del sistema del Parmigiano Reggiano imperniato su centinaia di piccoli caseifici (cooperativi, artigianali, aziendali), dato che il processo artigianale tradizionale remunera il latte trasformato a un prezzo più alto rispetto ai processi industriali, mantiene una preziosa gamma di differenze qualitative, evitando così la standardizzazione e la fine del prodotto tipico • il livello di eccellenza che il mercato riconosce al formaggio prodotto con il latte delle vacche di razza autoctona • un collegamento più stretto tra i suini alimentati con siero di latte e i salumi ricavati allo fine di differenziare ulteriormente i prodotti sui mercati • la produzione del burro all’interno del Comprensorio per esaltare le caratteristiche peculiari del prodotto ottenuto dal latte delle vacche alimentate con foraggio di prato, come dimostrano le ricerche condotte negli ultimi anni e i risultati presentati nel Convegno. Le ricerche forniscono elementi probanti e sempre più sottolineano il valore delle conoscenze empiriche - praticate da generazioni di operatori e di esperti - e spiegano in quali modi è stato possibile: • valorizzare le terre in destra Po del tutto differenti da quelle presenti in sinistra Po e nei Paesi del nord Europa • fornire al consumatore degli alimenti con solidi requisiti per la sicurezza alimentare, il valore nutritivo, assieme alle rinomate qualità organolettiche • riconoscere al campo, alla stalla e al caseificio la più alta quota del valore finale raggiunto dall’alimento al termine della filiera. Le conoscenze remote e quelle più recenti portano a fare tre valutazioni. 152 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. È importante riconoscere gli errori commessi dato che si sono esauriti tre tipi di ammortizzatori che hanno assorbito i danni. La riserva di contadini, casari, norcini, dettaglianti si trova agli sgoccioli. Non ci sono le disponibilità per ripetere l’investimento destinato in 50 anni a costruire allevamenti di grandi dimensioni che sono falliti nella forma cooperativa sovvenzionata negli anni passati e si dimostrano sempre più vulnerabili nell’azienda industriale diffusa in tempi recenti. L’occasione fornita dal regime comunitario di mercato amministrato per il latte e derivati è stata vanificata da 25 anni di liti tra organizzazioni sulle quote latte e dagli spropositi dei cultori della “libertà di spingere” senza limiti lo sfruttamento di piante, animali e consumatori rompendo ogni equilibrio nel micro e nel macroambiente. Soprattutto in una sede di studi come questa dobbiamo essere capaci di riconoscere che le innovazioni imitate ciecamente dalle altre zone non hanno rafforzato il sistema agroalimentare presente in questa zona e in generale hanno reso l’intero Paese più povero di risorse e dipendente da importazioni di formaggi, creme, carni bovine e suine, cereali e loro derivati. La Baviera è più vicina dato che questa regione europea, con elevato tenore di vita, non esporta solo prodotti di un’industria avanzata (meccanica, chimica, aerospaziale, ecc.), aumenta anche l’esportazione di prodotti agricoli ricavati da un territorio popolato più intensamente di quello della pianura padana. E’ di importanza decisiva andare a veder quali sono le scelte corrette che hanno consentito di rendere competitivo il versante nord dell’arco alpino, valorizzando un ambiente meno favorito per ottenere ed esportare verso l’Italia prodotti di buona qualità: latte, latticini e carne bovina, carne suina e salumi, fiumi di birra ricavata da cereali e luppolo (domani anche il lambrusco dalle colline vitate lungo il Meno). La Baviera (come l’Austria) riceve il nostro turismo attratto da un paesaggio ben curato e da un’accoglienza conveniente. Con servizi efficienti ha rafforzato una rete omogenea di allevamenti - non si discostano dalla media di 33 vacche e di 150 maiali.-.che si sottrae ai rischi del mercato dei mangimi, utilizza il potere concimante ed energetico delle deiezioni, limita l’impiego dei prodotti chimici, genera energia da fonti rinnovabili. Ha creato un’economia agricola più avanzata della nostra senza particolari sovvenzioni, ha evitato di sprecare i suoli con l’estensione disordinata degli usi non agricoli, ha diffuso innovazioni tecnologiche ben mirata, ha prevenuto le diseconomie alla lunga insostenibili per l’impresa e la collettività. 153 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. Concezioni sbagliate si sono affermate dalle nostre parti e hanno ritenuto risibile quella struttura dell’allevamento bavarese, invece si è rivelata vincente dopo che la competizione è diventata più difficile. La sua efficienza consiste nel consentire l’impiego ottimale dei foraggi aziendali, nell’evitare lo sfruttamento delle coltivazioni e degli animali, nel valorizzare l’apporto di lavoro part-time di tutti i membri della famiglia, nel premiare la qualità che sorregge i prodotti sul mercato. Inoltre si giova della vitalità dei villaggi all’interno del territorio rurale dove i mestieri differenti si possono integrare e il turismo enogastronomico aggiunge un contributo sempre più incisivo. Il sistema bavarese assomiglia, per alcuni aspetti, a quello costruito dalle generazioni precedenti nel Comprensorio del Parmigiano Reggiano con la rete di stalle e caseifici, la qualità del burro, del formaggio e delle carni. Purtroppo nel nostro caso ha pesato la tendenza a non ritenere validi gli elementi che hanno dato continuità al modello locale e a inseguire degli esempi esterni che si sono rivelati controproducenti. Abbiamo bisogno della ricerca per fare un bilancio ufficiale dell’insieme dei costi provocato dal fallimento delle stalle di grandi dimensioni, dall’espulsione dell’agricoltura da molte aree di pianura e di montagna, dalla separazione del caseificio dal burrificio, dalla proiezione della suinicoltura verso una dimensione svincolata dalle superfici coltivate e così via. L’Università può fornire un aiuto decisivo per evitare la scomparsa di una base produttiva e alimentare, rendendo consapevole l’intera società dei pericoli gravi che derivano dalla fine della presenza contadina, dell’artigianato alimentare e della distribuzione tradizionale. Le ricerche condotte sulle interazioni tra foraggio di prato e vacche da erba, tra grasso del latte e caratteristiche del burro mettono in risalto, non solo una bontà alimentare facoltativa, ma anche il nesso imprescindibile tra la salute umana e la scelta delle tecniche produttive. Di fronte ai nuovi cambiamenti si avverte sempre di più il bisogno di una sede di formazione rivolta ad arricchire le conoscenze sui sistemi per ricavare alimenti e a sviluppare l’educazione alimentare. Con questo apporto diventa possibile controbilanciare la promozione pubblicitaria che aumenta l’ignoranza ed esalta il consumo di alimenti con qualità decrescenti sino a creare pericoli per la salute delle nuove generazioni. I risultati raggiunti con le approfondite ricerche sul burro aiutano a 154 Enrico Bussi, Centro Italiano Servizi dalla Terra alla Tavola, Parma. confidare nella diffusione di una cultura adeguata e per questa via si può riuscire a contrastare le forme di decadenza della nostra società che si manifestano con l’aumento dell’obesità infantile o con l’industrializzazione nel sistema del Parmigiano Reggiano, entrambi i fenomeni provocano, in modi diversi, danni irreversibili per il singolo individuo e per l’intera società. la diffusione di una cultura adeguata riesca a contrastare sia l’aumento dell’obesità infantile, sia l’industrializzazione nel sistema del Parmigiano Reggiano poiché entrambi i fenomeni provocano, in modi diversi, dei danni irreversibili per il singolo individuo e per l’intera società. 155 Stampato da Dicembre 2010 Quaderni del Parmigiano-Reggiano IL BURRO: TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO Reggio Emilia 15 Aprile 2010 Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Via Kennedy 18 - 42124 Reggio Emilia Tel. +39 0522 307741 - Fax +39 0522 307748 www.parmigiano-reggiano.it