Stretching: metodi e metodologie applicative

Corey Squarzoni
Prima Lezione.
“Stretching: metodi e metodologie applicative”
Lo stretching è una disciplina in completa evoluzione, il termine stretching deriva dall’inglese “to
stretch”, che significa allungamento/stiramento. Lo stretching viene utilizzato per diverse
motivazioni, come per esempio preparazione all’attività fisica, riabilitazione di parti del corpo
precedentemente infortunate, ottimizzazione delle proprio capacità ecc. In questa disciplina il
lavoro maggiore è svolto dai muscoli che compiono la loro azione contraendosi e rilassandosi, ma
lo stretching comprende anche il lavoro di ossa tendini a articolazioni. Ci sono molti fattori che
influenzano la flessibilità, sia corporei che esterni. Quelli corporei sono:
- Il muscolo, il tessuto muscolare può raggiungere un ottima flessibilità praticando un
esercizio in maniera corretta, senza tendere il muscolo sopra le proprie capacità rischiando
di recare danni permanenti. La capacità di contrarsi di un muscolo è direttamente
proporzionale alla propria capacità di allungarsi;
- le articolazioni;
- l’elasticità della pelle che nell’insieme costituisce solo il 2% della flessibilità totale;
- l’elasticità dei tendini che costituisce il 10% della flessibilità totale
- la temperatura corporea, se la temperatura è bassa i rischi di avere strappi o infortuni sono
maggiori.
I fattori esterni sono:
- “momento della giornata”, è stato provato che tra le 14.30 e le 16.00 si ha una maggiore
flessibilità, elasticità e si hanno anche le migliori prestazioni fisiche;
- l’età;
- il sesso, le donne sono più portate alla flessibilità;
- la temperatura esterna, una temperatura elevata aiuta maggiormente la flessibilità
corporea;
- La continuazione dell’attività, se si continua a praticar l’attività (in questo caso lo stretching)
nel tempo senza interromperla, si possono avere miglioramenti notevoli.
Considerando questi fattori e le proprie capacità si può procedere con lo stretching. Ci sono
diverse tipologie di stretching, utilizzati in diversi campi a seconda delle proprie esigenze, questi
metodi sono:
- Stretching statico, tecnica codificata nel 1975 da Bob Anderson che prese spunto dallo
yoga. Lo stretching statico è la tipologia più semplice e probabilmente la più utilizzata.
Consiste nell’allungare lentamente un muscolo e raggiunta la posizione va tenuta per 15/30
secondi. In questa tecnica è importante non superare mai la soglia del dolore, non
interrompere il respiro, anzi seguire esso, e alternare l’estensione dei muscoli agonisti e
antagonisti per compensare una posizione con quella sua opposta;
- Stretching balistico, è una tecnica utilizzata molto negli anni ‘70/’80 e ora quasi in disuso,
viene utilizzato raramente da atleti particolarmente preparati. Questa tecnica consiste nel
compire movimenti rapidi e ritmici o far oscillare ripetutamente in maniera incontrollata gli
arti o il busto, così da sforzare l’allungamento muscolare oltre le capacità. Questo sforzo
causa il riflesso miotatico inverso (è un riflesso incondizionato che porta il muscolo, dopo
una brusca fase di allungamento, a reagire con una rapida contrazione, rischiando traumi
muscolo-tendinei);
- Stretching dinamico, si può dire che è una variazione moderata dello stretching balistico,
difatti il concetto è sempre quello di far oscillare arti e/o busto ma in maniera controllata e
lenta portando dolcemente il soggetto al limite della propria capacità di movimento (al
contrario di quello balistico che tende ad andare oltre le proprio capacità). Con questi
movimenti si evita il rimbalzo o il molleggio che portano all’attivazione del riflesso miotatico.
Questo tipo di stretching serve a riscaldare un muscolo o gruppo di muscoli,inoltre migliora
la flessibilità dinamica, per questo motivo viene utilizzato in fase di riscaldamento.
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Stretching statico passivo, conosciuto anche come stretching passivo o stretching
rilassato. Si esegue quando il muscolo agonista è troppo debole o poco elastico, difatti
viene utilizzato come riabilitazione dopo un intervento o infortunio e con l’aiuto di un fio
terapista (o un compagno) e anche di qualche attrezzo, si tende il muscolo oltre l’ampiezza
del movimento per “rieducarlo”. Alcuni atleti la utilizzano dopo un allenamento come
tecnica di “raffreddamento”.
Stretching isometrico, si divide in:
 Stretching propriocettivo, denominato PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation)
ovvero facilitazione propriocettiva neuromuscolare. Metodo nato in America come
riabilitazione per curare i postumi della poliomelite. Si divide in quattro tempi:
1) Massimo allungamento del muscolo in modo graduale e lento;
2) Si esegue una contrazione isometrica per 15/20 secondi;
3) Si rilassa il muscolo per 5 secondi;
4) Ulteriore allungamento del muscolo per 30 secondi.
 C.R.A.C. (Contract Relax Antagonist Contract) ovvero contrazione, rilassamento e
contrazione dei muscoli antagonisti. Si differenzia dalla precedente nella fase di
allungamento finale difatti sfrutta l’efficacia dello stretching statico (per 30 secondi nella
parte finale)
 C.R.S. (Contract Relax Stretching) ovvero “contrazione, rilassamento stretching”.
Consiste nella contrazione isometrica del muscolo per 10/15 secondi seguita da un
rilassamento di 5/6 secondi e dopo si esegue l’allungamento.