DUE BLOCCHI, DUE IMPERIALISMI
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Il nuovo assetto europeo
La divisione della Germania
Gli USA: Dottrina Truman, Piano Marshall e Patto Atlantico
La risposta dell’URSS: Cominform, Comecon e Patto di Varsavia
La crisi greca
La guerra di Corea
Il XX Congresso del PCUS
I ‘fatti di Ungheria’
La rivoluzione cubana
La guerra del Vietnam
Il caso cecoslovacco
L’esperienza democratica cilena
Afghanistan: il Vietnam sovietico
DUE BLOCCHI, DUE IMPERIALISMI
La fine della Seconda guerra mondiale consacrò due superpotenze: l’URSS e gli Stati Uniti. Le due
superpotenze vincitrici dal conflitto mondiale si spartirono letteralmente il mondo in due aree che si
contrastarono per modello economico, ideologico e politico. Le armate di entrambi i vincitori segnarono il
perimetro delle loro rispettive ‘aree di influenza’ e furono la base su cui si andò ad articolare l’intera storia
della seconda metà del Novecento.
Negli stati finiti sotto il controllo sovietico nacquero regimi con modelli di economia pianificata, istituzioni
dispotiche e totalitarie. Tra il 1945 e il 48, Stalin impose il suo paradigma economico e politico all’Europa
orientale, cosicché i diversi stati divennero ‘stati satelliti’ dell’Urss. I paesi che si trovarono sotto
occupazione anglo-americana si svilupparono in stati ad economia di mercato con istituzioni libere e
democratiche.
Due gendarmi, due imperialismi che furono sempre pronti ad intervenire, posizionarsi e confrontarsi
ovunque si muovesse qualcosa, al fine di configurare al meglio il loro assetto mondiale. Il mondo fu ridotto
al pari di una scacchiera e l’autodeterminazione delle varie nazioni fu annichilita di fronte alla strategia di
gioco dei due avversari.
Abbiamo già specificato come lo sgancio della prima bomba atomica – con gli eserciti ancora impegnati a
dilaniarsi – possa essere considerato il primo atto della cosiddetta ‘guerra fredda’ ovvero di quella guerra
che l’URSS e gli USA combattono senza mai fronteggiarsi né direttamente, né sui rispettivi territori, ma
sempre per ‘procura’, su territori diversi coinvolgendo milioni di uomini. Una guerra considerata ‘fredda’
poiché non coinvolse direttamente le superpotenze, né l’Europa, incapace di tirare in ballo le grandi nazioni
in un nuovo conflitto mondiale. Una guerra ‘fredda’ perché oltre alle armi, spesso si usano le strategie
politiche per determinare lo schieramento di una nazione da una parte piuttosto che dall’altra.
Il nuovo assetto europeo
Le condizioni di pace dopo la Seconda Guerra Mondiale vennero decise nella Conferenza dei Ventuno (o
Conferenza di Parigi), che si tenne a Parigi dal luglio all’ottobre del 1946. In questa circostanza vennero stesi
i Trattati di pace che furono firmati alla fine del 1947 a Parigi. Tra le modifiche territoriali più importanti vi
furono quelle riguardanti la Romania, la quale cedette la Bucovina e la Bessarabia all’Unione Sovietica, e
che ottenne il territorio della Transilvania, precedentemente ungherese.
L’Europa che usciva dalla Seconda guerra mondiale veniva – dicevamo – disegnata dalle armate: quelle
russe e quelle americane.
L’URSS che con l’Armata rossa aveva travolto i tedeschi fino a Berlino estendeva la sua influenza su tutti i
territori ‘liberati’. Gli USA che avevano a loro volta liberato i paesi assieme alla Gran Bretagna, alle forze
resistenziali ponevano sotto la loro influenza l’altra metà dell’Europa.
In Italia la situazione risultava piuttosto complicata, a causa del mancato riconoscimento del contributo
militare della Resistenza Italiana alla liberazione. Il Trattato di pace fu firmato da Alcide De Gasperi, il
presidente del consiglio, mentre intellettuali come Croce, Luigi Sturzo ed anche Vittorio Emanuele Orlando
furono protagonisti di un acceso dibattito. Costoro, infatti, ritenevano profondamente ingiusto che non fosse
riconosciuta all’Italia la partecipazione alla lotta anti-nazista e che si ignorasse completamente il principio
dell’autodeterminazione dei popoli nella questione dei confini orientali, ovvero quelli con la Iugoslavia
comunista di Tito. Le clausole del Trattato comprendevano:
1. La restituzione alla Grecia delle isole del Dodecaneso nel Mar Egeo;
2. La cessione alla Francia di due comuni al confine quali Briga e Tenda;
3. L’Alto Adige rimaneva all’Italia, che si era già impegnata con l’Austria a concedere un’ampia autonomia
amministrativa e linguistica nella provincia di Bolzano;
4. L’Eritrea fu federata all’Etiopia, la Somalia fu affidata all’Italia in amministrazione fiduciaria per dieci
anni e resa indipendente nel 1960, la Libia divenne Stato indipendente e l’Albania, che era stata annessa
all’Italia nel 1939, tornò indipendente;
5. La cessione dell’Istria, di Fiume, di Zara e di gran parte delle province di Gorizia e di Trieste alla
Iugoslavia. Dopo una serie di momenti drammatici, Trieste fu dichiarata territorio libero. Nel 1945, infatti, fu
occupata dalle truppe comuniste iugoslave di Tito e rischiò di essere inglobata nel nuovo stato iugoslavo, ma
fu salvata dall’arrivo delle truppe neozelandesi, le quali impedirono che Trieste e il Friuli Venezia Giulia
diventassero iugoslave. Dopo scontri piuttosto violenti, alla fine del 1946, si arrivò alla soluzione provvisoria
che prevedeva una cessione della penisola istriana, escluso il territorio di Trieste e Capo di Istria, alla
Iugoslavia. Con il trattato di pace del 1946, Gorizia e Monfalcone furono assegnate all’Italia e la città di
Trieste, insieme con le zone limitrofe, fu divisa in due zone, una sotto controllo alleato, l'altra con
amministrazione iugoslava e con sovranità italiana. Solo nel 1954 Trieste venne finalmente restituita
all’Italia, mentre alla Iugoslavia fu affidato un altro territorio. Il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975
sancì in maniera definitiva la sovranità della Iugoslavia su questa zona ed essa riconobbe il dominio italiano
su Trieste. Il conflitto riguardo la questione di Trieste costò consistenti disagi alla popolazione italiana, che
dovette abbandonare i territori occupati dalle truppe di Tito. Si calcola che circa 350.000 italiani dovettero
lasciare le terre cedute alla Iugoslavia comunista.
La divisione della Germania (1946)
La Conferenza di pace di Parigi del 1946 non ratificò altro che lo schieramento in campo.
La divisione della Germania e di Berlino rappresentò l'incrinarsi palmare dei rapporti tra USA e URSS e
l'acme del contrasto tra queste due superpotenze, che si contendono lo spazio europeo.
A causa dei conflitti tra gli alleati, la Germania fu divisa, in principio, in quattro zone di occupazione:
americana, inglese, francese e sovietica. Questa occupazione si prolungò finché si formò nel 1949 ad Ovest,
la Repubblica Federale Tedesca (BDR), guidata da Bonn e controllata dagli Anglo-Americani, e ad Est la
Repubblica Democratica Tedesca (DDR) guidata da Pankow e controllata dai Sovietici. In effetti furono
gli eserciti a disegnare i confini della Germania divisa.
Anche Berlino nel 1948, nonostante si trovasse, dal punto di vista territoriale, nella zona occupata dai
sovietici, fu divisa in due: Berlino Est, sotto controllo sovietico, e Berlino Ovest, sotto influenza anglofranco-americana.
Nel 1961 il presidente americano Kennedy incontrò il presidente sovietico Kruscev per discutere della
questione di Berlino Ovest. Per i sovietici bisognava rendere Berlino Ovest una “città libera” mentre per gli
americani essa era parte integrante della Germania Federale. L’incontro non portò a nulla di fatto. Due mesi
dopo, nottetempo, il 12 novembre 1961, fu costruito il famoso muro per evitare soprattutto le numerose
fughe verso Berlino Ovest. Il Muro divenne il simbolo della Guerra fredda.
Gli USA: Dottrina Truman, Piano Marshall e Patto Atlantico
Alla fine della guerra, dopo che USA e URSS avevano combattuto fianco a fianco al fine di sconfiggere il
comune nemico nazi-fascista, le differenze tra i due Paesi erano più evidenti che mai. La rivalità divenne
manifesta con l'elezione di Henry Truman alla carica di presidente degli Stati Uniti. Questi, in un discorso
pronunciato il 12 marzo 1947 al Congresso, espresse ciò che è passato alla storia come "dottrina Truman".
Bisognava appoggiare "i popoli liberi che lottano contro la sopraffazione da parte di minoranze armate o di
pressioni esterne". Il presidente, infatti, riteneva che: "La nascita dei regimi totalitari è favorita dalla miseria
e dalla privazione". Era necessario, dunque, aiutare l'Europa nella ricostruzione istituzionale, economica,
sociale ed ideologica per limitare l'avanzata del comunismo.
La realizzazione pratica della dottrina Truman fu il Piano Marshall. Questo, ufficialmente chiamato
European Recovery Programm, fu annunciato il 5 giugno del 1947 dallo stesso ideatore e segretario di Stato
americano George Marshall (riceverà il premio Nobel per la pace nel ‘53), divenne operativo l’anno
successivo, nel 1948, e terminò alla fine del 1951. Il piano, che costò 14 miliardi di dollari, assicurò agli stati
europei la massiccia partecipazione economica degli Stati Uniti e fu lo strumento cruciale per innescare la
ricostruzione e il successivo miracolo economico. I maggiori beneficiari in termini assoluti furono: Gran
Bretagna, Francia, Italia, Germania Federale, Paesi Basi. Il Piano Marshall fu un volano per l’economia
europea. Il suo intento era chiaro: destinare all'Europa una massiccia quantità di denaro per prevenire il
rischio di rivoluzioni comuniste. In questo modo si addormentò il pericolo comunista con l’anestetico del
denaro. Il piano seguiva la teoria dell'economista Keynes, che prospettava una piena occupazione
mantenendo alta la domanda: bisognava quindi creare la richiesta di prodotti per rilanciare la produzione
industriale ed agricola e, quindi, tutta l'economia. Gli Stati europei, naturalmente, videro di buon occhio un
tale flusso di denaro, anche perché avevano capito che l’ascesa di Hitler e dei nazionalismi in generale, era
stata favorita dalla depressione economica e dalla disoccupazione di massa. Bisognava, dunque, scongiurare
entrambe le cose attraverso una ricostruzione economica che si prefiggesse mete ambiziose e che
prospettasse un reale miglioramento della vita. Il Piano Marshall fu firmato a Parigi nel 1947 con un trattato
bilaterale tra USA e i paesi europei beneficiari, tra i quali i principali erano Gran Bretagna, Francia, Italia e
Germania Ovest. Gli Stati Uniti crearono l'Economic Cooperation Administration (ECA) e inviarono in
Europa dei loro rappresentati affinché controllassero che gli aiuti venissero impiegati nel modo giusto.
Il Piano Marshall fu affiancato da strumenti che avrebbero reso più flessibili e governabili i mercati. Negli
accordi di Bretton Woods del 1944, stipulati tra 45 nazioni, si diede vita al Fondo monetario internazionale
e alla Banca mondiale. Si raggiunse un concordato tra gli stati al fine di garantire la libertà negli scambi
internazionali attraverso il mantenimento di un regime di cambi fissi tra le diverse monete. Con grande
acume Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, chiese immediatamente, già dal 1947, che
l’Italia fosse annessa ad entrambi gli organismi previsti dagli accordi di Bretton Woods.
La ripresa economica dell'Europa, comunque, non solo derivò dall'arrivo di capitali liquidi americani, ma
affondava le sue radici nella stessa guerra. Il secondo conflitto mondiale portò il sistema economico alla sua
massima espressione. Quest'ultimo si era focalizzato sulla produzione bellica, che aveva generato la
concentrazione delle tecnologie e l'intensificazione dei metodi produttivi. Lo sforzo industriale bellico,
quando fu riconvertito per l'uso civile, consentì una maggiore capacità da parte del capitalismo sia nei
processi di concentrazione economica sia nei processi di intensificazione dello sfruttamento della forza
lavoro. Esso, quindi, servì da base per la produzione e per lo sviluppo economico post-guerra. Questa
tendenza fu visibile soprattutto in Gran Bretagna e in Germania, le quali durante la guerra, insieme con USA
e URSS, avevano acquisito nuove capacità tecniche e professionali.
Dopo i soldi, arrivarono le basi militari! Il Piano Marshall, oltre a rendere possibile la ricostruzione europea,
rese anche sempre più stretti i legami tra l'Europa occidentale e gli Stati Uniti. Questo rapporto fu
ufficializzato dalla firma del Patto Atlantico, il 4 aprile 1949. Gli Stati che vi aderirono (Francia, Belgio,
Olanda, Lussemburgo, Canada, Norvegia, Danimarca, Islanda, Portogallo e Italia) si organizzarono anche in
un'alleanza militare con la creazione della NATO (North Atlantic Treaty Organization), che aveva come
scopo la difesa militare dell’Occidente. Essa poneva i paesi firmatari sotto la protezione statunitense
attraverso ‘l'ombrello nucleare’. La forte (se non invadente) presenza della NATO provocò dimostrazioni e
malcontenti nei partiti di sinistra, soprattutto in Francia e in Italia, dove questi ultimi erano molto forti.
La risposta dell’URSS: Cominform, Comecon e Patto di Varsavia
La dottrina Truman e il successivo Piano Marshall furono subito percepiti dai sovietici nella loro funzione
politica di strumenti dell’imperialismo americano.
Pochi mesi dopo la dichiarazione di Truman veniva fondato il Cominform ovvero un ufficio d’informazione
che legava i partiti comunisti del mondo dato che la Terza Internazionale, che era stata fondata da Lenin nel
1919, fu sciolta nel 1943.
Alla dottrina Truman si rispondeva altresì con il COMECON (Consiglio di mutua assistenza economica),
istituito nel 1949 e sciolto con la fine dell’URSS, che includeva Bulgaria, Romania, Ungheria, Polonia,
Cecoslovacchia. Si trattava di un'alleanza economica dei paesi comunisti che seguiva le orme del Piano
Marshall.
Al Patto Atlantico e alla Nato si rispondeva, nel 1955, con il Patto di Varsavia, ovvero un'alleanza militare
tra i paesi comunisti.
Intanto l’Unione Sovietica iniziò una furibonda corsa agli armamenti e alla produzione della bomba atomica
succedette la bomba H, una bomba ancora più micidiale di quella sganciata sul Giappone, mentre gli arsenali
dei due blocchi crescevano a dismisura.
Una pagina nera dell’imperialismo sovietico e della propaganda comunista fu scritta da alcuni incidenti e
processi che avvennero in Bulgaria, Ungheria e Cecoslovacchia contro esponenti comunisti accusati
ingiustamente di collusione con gli americani. A questa morsa si sottrasse in parte la Iugoslavia di Tito, che
era un paese satellite filosovietico. Ad un tratto i rapporti tra Tito e Stalin si ruppero, perché Stalin voleva
che la Iugoslavia entrasse in una federazione balcanica. Al rifiuto di Tito i Sovietici reagirono accusandolo di
atteggiamenti filo-imperialisti e di tradimento della causa comunista. Tito rispose con le epurazioni degli
oppositori interni. Alla fine, nel 1948, la Iugoslavia venne espulsa dal Cominform.
La paura del comunismo negli Stati Uniti si concretizzò nel maccartismo: un clima di "caccia delle streghe"
dove il sospetto e la delazione ebbero la meglio. Joseph McCarthy fu, infatti, il promotore di numerose leggi
conservatrici, reazionarie e repressive riguardo la dimensione politica e sindacale. Vittime della persecuzione
non furono solo i comunisti, ma anche i liberali e i democratici, sospettati di antiamericanismo.
La crisi greca (1947)
La crisi greca fu un altro momento per chiarire i conflitti a livello internazionale. Nell’inverno tra il 1946 e il
1947, in Grecia, si profilava una situazione estremamente complessa: il governo, a maggioranza di destra,
aveva intrapreso una vera e propria caccia ai comunisti ed al partito comunista e socialista. Questo fece sì
che nel nord del Paese si formassero organizzazioni partigiane guidate dal comunista Marcos, che fu
appoggiato dal governo iugoslavo titino. Vi erano, dunque, partigiani comunisti greci che programmavano
l’insurrezione. Negli accordi internazionali, la Grecia rientrava nell’orbita britannica, che in quel momento
non aveva i mezzi per intervenire. Furono quindi gli Stati Uniti a sostituire la Gran Bretagna e ad aiutare la
Grecia. La guerra civile greca fu estremamente violenta e finì nel 1949 con la sconfitta dei partigiani
comunisti, i quali furono vinti anche a causa della frattura tra Tito e Stalin, che aveva interrotto le fonti di
approvvigionamento per Marcos. Trionfarono gli Americani anche grazie alla dottrina Truman. Per tale
motivo alcuni storici ritengono che la guerra civile in Grecia segnò l'inizio della Guerra Fredda, in quanto gli
USA si presentavano come garanti e difensori, grazie ad aiuti economici e militari, degli stati minacciati
dall'URSS. La Grecia, insieme con la Turchia, furono i primi esempi visibili dell'applicazione della dottrina.
La guerra di Corea (1950)
La guerra di Corea mostra, in maniera plastica, la contrapposizione dei due imperialismi, dei due blocchi
USA-URSS nella Guerra fredda. La Corea, dopo la seconda guerra mondiale, era stata divisa in due zone:
Corea del Nord, occupata dai Sovietici, e Corea del Sud, occupata dagli Americani, divise lungo il
trentottesimo parallelo. Le due Coree avevano a loro volta due governi: la Repubblica democratica al Sud e
la Repubblica Popolare al Nord. La divisione della Corea, del tutto artificiale, produsse ben presto delle
frizioni che si conclusero in un vero e proprio conflitto, che scoppiò nel 1950 e terminò nel 1953. La guerra
ebbe inizio con l’attacco improvviso da parte della Corea del Nord che invase la Corea del Sud. L’ONU
dichiarò la Corea del Nord come paese aggressore e gli americani risposero immediatamente, affidando al
generale Mac Arthur la sovraintendenza delle operazioni. Dal Giappone arrivavano rinforzi e mezzi militari
statunitensi, mentre dalla Cina di Mao arrivavano volontari in aiuto della Corea del Nord. Il generale Mac
Arthur chiese l’impiego della bomba atomica contro la Cina, ma cercò di risolvere diplomaticamente la
situazione. Dopo tre anni di sanguinose battaglie, si ripristinò la situazione precedente, ovvero la divisione
delle due Coree lungo il trentottesimo parallelo. Le due superpotenze si erano scontrate in Corea, in uno
spazio a loro estraneo, avevano seminato morte e devastazione, ma la partita si era conclusa con un pareggio
ai danni dei coreani, che continuarono ad essere un popolo scisso in due nazioni.
Il XX Congresso del PCUS (1956)
Il 5 marzo 1953 muore Stalin. Alla guida dell’URSS arriva Nikita Krusciov che subito promosse un vasto
piano di riforme economiche e politiche, da una parte, e tentò di migliorare le relazioni con l’occidente nella
fattispecie con l’USA, dall’altra. Secondo Krusciov l’URSS doveva dimostrare la sua superiorità non con
una vittoria militare, ma dimostrando concretamente la superiorità del sistema economico ovvero
dell’economia pianificata. Iniziava, così, quella fase detta della ‘distensione’ suggellata dalla Conferenza di
Ginevra del 1955, che, pur vedendo i due imperialismi confliggere per accaparrarsi zone d’influenza nel
mondo, non esacerbava i conflitti con quella veemenza, quegli eccessi degli inizi del dopoguerra.
Uno degli eventi più importanti nel mondo del ‘socialismo in un solo paese’ è stato, sicuramente il XX
Congresso del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), del febbraio 1956. Durante questo
Congresso, Krusciov pose sotto accusa i metodi di governo di Stalin e ne denunciò i crimini: lo accusò della
repressione politica degli avversari politici, delle condanne veloci e senza contraddittori, del terrore che
aveva pervaso l’élite del partito dirigente dell’epoca, di metodi non democratici e, addirittura, di errori
condotti nella guerra contro Hitler.
Venne reso noto il Testamento di Lenin nel quale il vecchio capo metteva in guardia dall’affidare il potere
ad un personaggio come Stalin.
Krusciov, in maniera inaspettata, parlò al Congresso del culto della personalità di Stalin e della
degenerazione del regime sovietico. La critica fu durissima anche se parziale giacché non prese in
considerazione lo sterminio dei kulaki, la persecuzione contro la chiesa ortodossa, i gulag. Dal rapporto
emergeva che il culto di Stalin aveva portato a delle degenerazioni nella politica del partito, gestita da un
dittatore spregiudicato: questo creò non solo disorientamento, ma innescò anche un processo di critica verso
le classi dirigenti.
Il rapporto di Krusciov ebbe una vasta eco non solo in URSS, ma in tutti i ‘paesi satelliti’ e nei partiti
comunisti creò speranze e disorientamento giacché in Stalin avevano visto il leader indiscusso e
indiscutibile.
I ‘fatti di Ungheria’ (1956)
In Ungheria, ad esempio, si mise sotto accusa la politica dello stalinista Matyas Rakosi e si aprì una fase in
cui si chiedeva un’apertura verso un orizzonte democratico. Il nuovo capo del governo, Imre Nagy avrebbe
voluto avviare un processo di democratizzazione del sistema: libertà di stampa, ecc. ma anche uscire dal
Patto di Varsavia.
L’Armata rossa, con il consenso dei governi comunisti (Cina compresa), represse nel sangue la ribellione e il
3 novembre 1956, il presidente ungherese Nagy fu arrestato, processato ed in fine impiccato nel 1958.
I ‘fatti di Ungheria’ disorientarono ulteriormente i partiti comunisti nei paesi occidentali, poiché l’URSS
mostrava chiaramente tratti autoritari, repressivi verso qualunque ipotesi di autodeterminazione dei popoli.
Mostrava chiaramente di essere una nazione imperialista. Il Partito comunista italiano fu uno dei primi a
denunciare la situazione e a chiedere maggiore autonomia da Mosca piuttosto che tollerare la politica
repressiva che l’URSS attuava nei confronti di governi che chiedevano maggior tolleranza.
La rivoluzione cubana (1959)
L’America latina è sempre stata considerata dagli USA una riserva di caccia, un deposito di materie prime
per il proprio sviluppo economico. Gli USA avevano sostituito l’Inghilterra nel controllo economico e
politico degli stati latino-americani a partire dalla fine della Prima guerra mondiale. Lo stato di controllo e
dipendenza fu costruito attraverso sottili meccanismi imperialistici.
All’imperialismo che conquista con eserciti e che impiega pesanti amministrazioni locali gli USA avevano
proceduto con un controllo economico, attraverso ad esempio l’imposizione delle monocolture, tutto a
vantaggio delle compagnie come la United Fruit Company, oppure attraverso istituzioni come
l’Organizzazione degli Stati Americani, che metteva gli stati latinoamericani sotto tutela degli USA.
In questo quadro di controllo e di dipendenza latino-americana s’inserisce la rivoluzione cubana destinata a
sconvolgere non solo gli assetti dell’America latina ma internazionali, inserendosi prepotentemente nel
quadro di una Guerra fredda sull’orlo di diventare una Terza guerra mondiale.
La rivoluzione cubana sfuggì al controllo della superpotenza americana, unicamente a patto della risoluta
piega verso la protezione dell’URSS.
Cuba era guidata da Fulgenzio Batista, capo di un governo conservatore corrotto: tale situazione fu
rovesciata, nel 1959, da un movimento di guerriglieri rivoluzionari con a capo Fidel Castro e Ernesto Che
Guevara, il quale di lì a poco diventerà un vero e proprio mito.
In un primo tempo, gli Stati Uniti riconobbero addirittura il nuovo governo, pensando di poterlo in qualche
modo mantenere in un alveo democratico filoamericano, ma ben presto Castro cominciò a colpire gli
interessi americani nell’isola con l’idea di una riforma agraria che minacciasse in particolare la United Fruit
Company. Gli americani cambiarono subitamente atteggiamento e il presidente Eisenhower impose il
boicottaggio economico impedendo qualsiasi tipo di commercio.
Allora i cubani si rivolsero ai Sovietici che s’impegnarono ad acquistare la canna da zucchero cubana a
prezzi ‘politici’, ovvero a prezzi più alti rispetto a quelli di mercato. La rivoluzione socialista cubana si
radicò ancora di più e si spostò inevitabilmente verso l’Unione Sovietica, statalizzando e nazionalizzando
l’economia.
Essa rappresentava una spina nel fianco per l’imperialismo americano e un pericoloso esempio per gli altri
stati dell’America latina.
Nel 1961 Kennedy diede il suo placet affinché Castro fosse eliminato e la rivoluzione rovesciata. In questa
direzione doveva mirare la spedizione - a firma dei servizi segreti americani (CIA) – di esuli cubani che
sarebbero dovuti sbarcare alla Baia dei Porci e riportare ordine nell’isola. Tuttavia la spedizione ebbe la
peggio perché i cubani si strinsero attorno a Fidel e sostennero la rivoluzione.
Data la situazione i cubani furono costretti a cercare nell’Urss una sponda economica e politica. L’aiuto che
i cubani chiesero all’Unione Sovietica fu pagato, ovviamente, con l’installazione di basi missilistiche
sovietiche nell’isola. Quando l’America venne a conoscenza dei missili, John Fitzgerald Kennedy reagì
immediatamente, intimando ai sovietici il loro ritiro. Proprio in quei giorni, un sommergibile sovietico
puntava verso Cuba e solo alla fine si decise di sospendere le installazioni missilistiche a Cuba. Il mondo, per
tredici giorni, fu sull’orlo di una Terza guerra mondiale con uno scontro diretto tra USA e URSS.
La guerra del Vietnam (1965)
Alla fine della seconda guerra mondiale, proprio sotto la spinta del conflitto del Giappone, i francesi
occuparono quella che chiamavano ‘Cocincina’. Sotto la loro influenza il Vietnam si distinse pian piano in
due strutture completamente diverse: quella del nord e quella del sud. La prima era legata alla cultura cinovietnamita ed era basata su un’economia artigianale e contadina, la seconda, invece, era sotto il dominio
coloniale francese e assunse i tratti di un’economia capitalistica. Il 2 settembre 1945 Ho Chi Minh, guida
della Repubblica comunista del Nord, lesse ad Hanoi la dichiarazione d’indipendenza della Repubblica
Democratica del Vietnam liberando con ciò il Vietnam del Nord dalla dominazione francese. I francesi però
non si rassegnarono affatto a perdere una colonia come l’Indocina. Dunque si giunse ad una sorta di
compromesso tra la Repubblica Democratica e i francesi, il quale prevedeva che la Francia riconoscesse la
Repubblica del Vietnam del nord come Stato libero ed autonomo da un lato, mentre dall’altro si impegnava,
nella parte sottoposta al suo dominio, a ratificare una serie di decisioni popolari attraverso referendum. In
effetti l’intesa non venne rispettata dai francesi che proclamarono una Repubblica Indipendente al Sud con
capitale Saigon. Il Vietnam si trovò così diviso in due. Ciò segnò l’inizio di una lunga e spietata guerra.
Nel 1954 l’URSS, la Cina, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti raggiunsero un accordo a Ginevra sul destino
del Vietnam, decidendo per una divisione della regione lungo il diciassettesimo parallelo; entro il 1956 si
sarebbero dovute tenere libere elezioni. Intanto il Vietnam del Nord portava a segno una vasta riforma
agraria, mentre il Vietnam del Sud con a capo Ngo Dinh Diem, instaurava un governo anticomunista
sostenuto dagli statunitensi. La protesta sociale nel Vietnam del Sud si organizzò in un movimento
comunista di guerriglia chiamato Vietcong, appoggiato dal Vietnam del Nord.
A questo punto fu il presidente Kennedy a decidere di intensificare la presenza statunitense a Saigon che nel
1961 contavano 15.000 consiglieri politici. Qualche anno dopo l’invio di questi consiglieri, vi fu la
spedizione di veri e propri contingenti militari.
Nel 1965 il presidente Lyndon Johnson decise di intervenire bombardando tutto il territorio del Vietnam del
Nord. I bombardamenti statunitensi furono atroci per le popolazioni civili che furono massacrate ed i villaggi
furono rasi al suolo. Nel 1967, durante la sua presidenza, i soldati americani divennero 400.000; furono
sperimentati vari tipi di armi e gli Stati Uniti ricorsero addirittura al Napalm, ovvero una miscela incendiaria
che faceva letteralmente terra bruciata di interi villaggi. Nessuna delle due parti riusciva ad avere la meglio: i
due Stati si fronteggiavano quindi senza che nessuno dei due riuscisse ad imporre la propria supremazia
militare. La guerra si concluse nel 1973 con un armistizio firmato a Parigi da Nixon che prevedeva un
graduale ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam del Sud.
La riunificazione del paese avvenne nel 1975 quando i Vietcong entrarono a Saigon, capitale del Vietnam del
Sud, segnando la fine del regime di Van Thieu. Gli Stati Uniti vissero con la guerra del Vietnam uno dei
periodi più difficili della loro storia recente: oltre l’insuccesso militare, gli Americani dovettero affrontare
una contestazione interna. L’opinione pubblica americana si chiedeva sempre più frequentemente il motivo
per cui i giovani americani dovessero abbandonare la loro famiglia, lo studio e il lavoro per andare a
combattere dall’altra parte del mondo. A questi interrogativi il governo rispondeva che la guerra era
necessaria in quanto occorreva impedire al comunismo di espandersi in Vietnam e che le difficoltà
nascevano dal fatto che il Vietnam del Nord non combatteva in modo tradizionale, ma usava il metodo della
guerriglia. Il “gendarme del mondo” crollava ad opera della resistenza, della tenace volontà di un popolo di
un popolo di contadini guidati dal mitico ‘zio Ho’ (Ho Chi Minh) che campeggerà nei cortei studenteschi del
’68.
La sconfitta americana portò come contraccolpo alla costituzione di regimi comunisti anche in Laos e in
Cambogia: in quest’ultimo paese andarono al potere i cosiddetti Khmer rossi, un gruppo di guerriglieri
comunisti, i quali diedero il via a durissime misure di repressione. Nel 1978 un intervento vietnamita li
allontanò dal potere collocando al loro posto un governo fedele al regime di Hanoi. La Cina nel 1979 attaccò
il Vietnam; tuttavia l’intervento cinese non portò grandi risultati, tanto che la Cambogia restò, ed è tutt’ora,
nell’orbita del Vietnam.
Il caso cecoslovacco (1968)
Successe a Krusciov nella guida del Partito e del governo dell’URSS Leonid Brežnev, che guiderà il paese
dal 64 all’82.
Nel 1968 il Partito comunista ceco, con a capo Alexander Dubcek cercò di dar luogo ad un processo di
riforme politiche interne al partito e un programma che rendesse la Cecoslovacchia più democratica per
tentare un’altra strada nell’edificazione del socialismo: “un socialismo dal volto umano”.
Agli occhi dei sovietici, le idee di Dubcek erano vera e propria follia e tradimento, capaci di minare la tenuta
politica dei paesi del Patto di Varsavia. La Cecoslovacchia, in particolare, avrebbe potuto influenzare la
Polonia, la quale appariva come una bomba pronta ad esplodere, a causa del nascente movimento di
contestazione anti-regime.
Nell’estate del 1968, arrivarono i carri armati dell’Armata rossa e contingenti militari del Patto di Varsavia e
schiacciarono le speranze nella costruzione di ‘un socialismo dal volto umano’. Il 21 agosto i carri armati
dell’Armata rossa gelarono la ‘Primavera di Praga’! Venne imposto d’imperio un governo filo-sovietico
capace di ristabilire l’autorità e i dettami di Mosca.
L’URSS di Brežnev giustificò l’intervento in Cecoslovacchia con la cosiddetta Teoria della sovranità
limitata, firmata da tutti i paesi del blocco sovietico. Tale teoria prevedeva che nessun paese del Patto di
Varsavia potesse cambiare sistema politico ed economico giacché ciò avrebbe compromesso la sicurezza
militare di tutti gli altri paesi del blocco a vantaggio delle forze dell’imperialismo USA.
L’esperienza democratica cilena (1970)
In Cile nel 1970 libere elezioni democratiche portarono alla vittoria il socialista Salvador Allende:
nell’America latina degli Stati Uniti vinceva un socialista che inaugurava la “via cilena al socialismo” –
come lo stesso Allende amava chiamare il suo progetto politico! La vittoria non fu gradita agli Stati Uniti, i
quali avevano preventivamente affermato: "se Allende prenderà il potere condanneremo il Cile a dure
privazioni e miserie"
Fino al 1952 le miniere di rame erano nelle mani di gruppi privati sia interni che stranieri; Eduardo Frei,
candidato della democrazia cristiana, vinse le elezioni nel 1964 offrendo un programma di mediazione tra
una rivoluzione socialista e una reazionaria conservatrice. Frei dovette mediare tra due istanze: da una parte
la richiesta di una riforma agraria da parte dei contadini poveri e, dall'altra, la volontà di estendere il
controllo dello stato sulle miniere. La classe media cilena ebbe paura dell’oscillazione del governo verso
politiche di sinistra e le società straniere temettero la nazionalizzazione delle miniere. Tale timore indebolì la
Democrazia cristiana cilena e permise ad Allende di vincere le elezioni del 1970. Il suo governo era formato
dalla coalizione tra comunisti, socialisti, radicali e democristiani dissidenti dall'ala sinistra. Durante il primo
anno di governo il programma di Allende consisteva nell'aiuto dei poveri: ogni giorno veniva distribuita una
determinata porzione di latte ad ogni bambino, l’istruzione primaria divenne gratuita, le tasse per quella
secondaria furono ridotte, vi fu la nazionalizzazione delle miniere di rame.
La pressione anti-socialista delle multinazionali americane fece crollare il prezzo del rame. Gli Stati Uniti
intervennero finanche presso la Banca mondiale affinché attuasse misure per restringere il credito al Cile così
che la giovane democrazia cilena potesse essere strozzata economicamente: si passò da 300 a 30 milioni di
dollari all’anno.
Nel 1972 la CIA finanziò uno sciopero generale, poi quello dei camionisti con l’obiettivo di far cadere il
paese nel caos. Lo sciopero dei trasporti si dimostrò disastroso anche per un paese che si estendeva per una
lingua di terra.
L'11 settembre 1973 il palazzo presidenziale della Moneda venne bombardato. Allende rifiutò di arrendersi
ai golpisti di Pinochet e, dopo aver resistito a lungo, si sparò per evitare l'esilio. Nel paese ci fu un'ondata di
arresti e uccisioni tanto che le prigioni non riuscirono ad accogliere l’enorme massa di detenuti e lo stato di
Santiago si riempì in poche ore di oppositori politici nelle mani dei militari di destra.
August Pinochet assunse il potere con il colpo di stato ed instaurò una dittatura. Questa si protrasse fino al
1989, quando le elezioni politiche vennero vinte da partiti democratici ed egli venne accusato di crimini
contro l'umanità. Diverse furono le cause del fallimento del socialismo cileno: l'esercito, con cui Allende
aveva cercato di mantenere buoni rapporti, ed i ceti abbienti si schierarono contro il presidente e molti
all'interno del partito socialista e il MIR appoggiavano una via violenta per realizzare le riforme, in più anche
i ceti abbienti si ribellarono ad Allende. Lo stadio di Santiago del Cile divenne un lager dove furono
rinchiusi i prigionieri di guerra sottoposti a torture e uccisioni. Circa un milione di cileni scelse l'esilio.
La lezione cilena mostrava come l’imperialismo statunitense non andava tanto per il sottile nel ripristino
dell’ordine quando i suoi interessi economici e politici erano minacciati. Libere elezioni avevano portato al
governo uomini che volevano una più equa distribuzione delle terre ai contadini poveri e la
nazionalizzazione delle miniere. Questo governo socialista-comunista, questa esperienza democratica in
America latina era, dal punto di vista strategico-politico, intollerabile per gli Stati Uniti e fu eliminato con
metodi subdoli e violenti avallando, infine, una violentissima deriva di destra nel paese.
Afghanistan: il Vietnam sovietico (1979)
Per quanto riguarda la politica estera, i sovietici s’impegnarono nella guerra per il controllo del vicino
Afghanistan. Nel 1978 il Partito comunista afghano aveva preso il potere con un colpo di stato scagliandosi
contro vari movimenti religiosi islamici e diversi gruppi etnici.
Nel 1979 il presidente sovietico, Brežnev inviò l’Armata rossa a sostegno del Partito comunista afghano.
Nonostante la superiorità militare, i sovietici non riuscirono mai ad avere il controllo del territorio. I
guerriglieri antisovietici erano infatti appoggiati dal Pakistan e dagli Stati Uniti. Le lotte snervanti e violente
produssero due milioni di profughi. Nel 1987 M. Gorbačëv annunciò il ritiro dell’esercito.
Nel 1992 il governo comunista, senza il sostegno sovietico, cadde e il potere venne conquistato dai taleban,
gruppi di fondamentalisti islamici.
BIBLIOGRAFIA
Libri
Film
Apocalypse now, F. Coppola, 1979
Missing – Scomparso, C. Gravas, 1982
Che – L’argentino, S. Soderbergh, 2008