Vietnam, una nuova `tigre asiatica`?

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Vietnam, una nuova ‘tigre asiatica’?
22 Nov 2006
di Rocki Gialanella
Il paese che trenta anni fa si permise il lusso di sconfiggere gli Usa, adesso attrare investimenti. Il suo indice di crescita economica è il
secondo dell’Asia
Il Vietnam che ha da poco ricevuto la visita del presidente statunitense George Bush, di quello cinese Hu Jintao e del premier russo
Vladimir Putin e altri 17 rappresentanti governativi, è un paese in piena mutazione economica. Con 83 milioni di abitanti, devastato dalla
guerra, isolato economicamente , il paese che 30 anni addietro ha messo alle corde la superpotenza statunitense, sta compiendo passi
da gigante per trasformarsi in una nuova ‘tigre asiatica’. Gli economisti più audaci l’hanno definito ‘la Cina del futuro’.
La scelta di Hanoi come sede dell’ultimo forum per discutere sui temi della cooperazione economica dell’area Asia-Pacifico (APEC), si
traduce in un sostegno supplementare alla riforme in corso. Dal momento in cui ha dato il via alla liberalizzazione della sua economia, il
Vietnam ha superato molti dei suoi vicini. Il tasso di crescita del paese è il secondo della macro-regione: l’anno scorso è stato dell’8,4%,
dopo aver registrato un incremento medio annuo del 7,8% tra il 2001 e il 2005.
Gli investimenti diretti esteri hanno superato i 5.000 milioni di dollari nei primi nove mesi del 2006. Multinazionali statunitensi come Nike e
Intel stanno progettando l’apertura di nuovi stabilimenti, e gli investitori di ogni parte della macro- regione destinano quote crescenti di
investimenti al Vietnam.
Il Vietnam si è trasformato in uno dei temi di discussione preferiti dai banchieri d’affari di tutta l’Asia. L’indice della Borsa di Ho Chi Minh
City e quello di un listino più piccolo con sede ad Hanoi, hanno quasi duplicato il proprio valore durante l’anno in corso.
La forte crescita dell’economia sta cominciando a produrre gli stessi deficit di manodopera qualificata che interessano i mercati di India e
Cina. Esecutivi di multinazionali come la francese Lafarge e la britannica Prudential, sostengono che i responsabili delle risorse umane e
altre figure professionali sono tanto scarsi da far lievitare i compensi di un 30-50% l’anno.
Un altro segnale del buon inserimento del Vietnam nell’economia mondiale è arrivato con la notizia del suo ingresso nella World Trade
Organization, dopo ben undici ani di dura negoziazione. L’ingresso nella WTO dovrebbe fornire un sensibile impulso economico per il
paese, consentendo di aumentare le esportazioni e i flussi di investimenti esteri.
Come in tutti i casi di metamorfosi economiche, ci saranno vincenti e perdenti. L’ingresso nella WTO –che implica una riduzione dei dazi
e la concessione di ampi spazi di manovra alle imprese straniere- esporrà le imprese locali ad una feroce concorrenza. Le preoccupazioni
del governo vietnamita si concentrano sui possibili effetti negativi sulla competitività di settori molto importanti per l’economia del paese:
agricoltura, pesca e silvicoltura (attività che occupano la maggior parte della popolazione). Circa i due terzi dei vietnamiti lavorano nel
settore agricolo, che rappresenta quasi un quinto del Pil.
Le banche e le società che offrono servizi finanziari soffriranno la pressione delle società estere. Le società statali, educate secondo i
criteri della pianificazione centralizzata, non godono di protezione governativa e dovranno affrontare serie difficoltà per sopravvivere.
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