PSICOPATOLOGIA E RAGIONAMENTO CLINICO Cesare Albasi PARTE PRIMA IL CONTESTO CLINICO DELLA PSICOPATOLOGIA E LE LOGICHE DEL RAGIONAMENTO CLINICO 1. SUL CONTESTO CLINICO DELLA PSICOPATOLOGIA Introduzione “Ai fini del trattamento, comprendere gli individui e il loro sviluppo può essere più importante che comprendere disturbi specifici o padroneggiare determinate tecniche”. (PDM Task Force, 2006) Questa frase, esemplificativa del Manuale Diagnostico Psicodinamico, vuol dire che la diagnosi è finalizzata al trattamento e che la valutazione della psicopatologia non è intesa come studio descrittivo e generalizzante di sindromi e disturbi, né prescinde dalla comprensione dello sviluppo e della singolarità del paziente. La Comprensione del Paziente (etimologicamente ”colui che soffre”) sta quindi alla base di argomenti che riguardano aspetti astratti del pensare clinicamente e aspetti applicativi che riguardano gli strumenti oggi disponibili per la comprensione. Il contesto proposto da questo libro è quello di ragionamento clinico, inteso come Ragionamento sul Caso, in quanto il lavoro clinico infatti si fonda sulla situazione di chi soffre e deve essere aiutato. Il lavoro sul caso è l’unità di analisi del metodo clinico e il ragionamento clinico è il suo motore portante. Come ogni ragionamento anche quello clinico è retto da logiche e strutture che sono differenziate al punto che si potrebbe parlare di ragionamenti clinici al plurale, anche se il suo uso al singolare vuole veicolare una sottostante logica di integrazione di tale ragionamento. Salute, Sofferenza, Sintomi: il Ragionamento Clinico e il Rischio del Riduzionismo Pensare in termini clinici significa riferirsi alla sofferenza e alla patologia ma anche alla salute. Con il termine Salute intendiamo una condizione in cui la persona sente di potersi realizzare nella propria esistenza, cioè fa esperienza della propria vita come un insieme di possibilità a sua disposizione per realizzare qualcosa di proprio. In tutti i casi è difficile dare delle definizioni di Norma che siano esaustive e sfuggano al riduzionismo epistemologico, non cadendo nei concetti statistici o medico-biologici. Noi sappiamo che il dolore e la psicopatologia non hanno una relazione lineare tra di loro. La sofferenza è parte della vita e costringe l’essere umano a confrontarsi con gli aspetti della sua interiorità che richiedono ancora la ricerca di un senso. La sofferenza può essere essenziale per trovare se stessi così come può stravolgere e fare impazzire. La Psicopatologia è un "discorso sulla sofferenza", per cui si pone come uno sguardo che apre una riflessione su di essa. Gravi psicopatologie possono non causare sofferenza, la quale può esprimersi nel corpo o nel relazionale nel quale la persona vive. Se si ha un buon funzionamento psichico, si può sperimentare e sopportare il dolore connesso ad episodi esistenziali scompensanti, accogliendo il processo di elaborazione dei loro eventuali significati. E' questo il caso delle Perdite Necessarie (J. Viorst, 1986) che possono essere elaborate soltanto attraverso un processo di lutto. Alcune esperienze umane però non hanno significato. E' questi il caso dei Traumi, i quali squarciano la soggettività e sono sempre associabili a dimensioni cliniche importanti, anche quando la Resilienza, intesa come la capacità di adattarsi, dell’individuo lo aiuta a condurre una vita nell’ambito della salute. Per questo motivo quando si parla di psicopatologia bisogna prendere in considerazione due elementi (PDM, 2006): - Dimensioni: - Personalità; - Funzionamento Mentale; - Sintomi. - Livelli: - Sano; - Nevrotico; - Borderline. Non a caso in questo senso il PDM ha eliminato la diagnosi Borderline, facendola divenire solo un livello di gravità per tutti i disturbi di personalità Inoltre, se la psicopatologia prende il sopravvento, essa può dare vita ad un’ampia varietà di sintomi, che vanno conosciuti e a volte inseriti in un quadro più ampio relativo alla sindrome soggettiva del paziente. Nel tempo però alcuni approcci nosografici hanno attuato il Processo di Ipostatizzazione, secondo cui non si tiene conto dell'intero coso della vita del paziente e del suo significato soggettivo ma solo dell'insieme di sintomi, come se al di sotto di essi si potessero ritracciare le malattie (come avviene nelle diagnosi di malattie somatiche). Soggettività, Relazioni, Riduzionismo Oggi tutti gli studiosi degli orientamenti attuali, come gli psicoanalisti, i comportamentisti e i cognitivisti, convergono con premesse fondamentali comuni sulla psicopatologia e sulla salute. Ciò vale anche per lo Studio della Mente concepita in termini sistemici, in analogia con gli altri livelli del mondo biologico, a cui vengono riconosciute proprietà sia di auto-organizzazione sia di apertura verso l’ambiente, ed è questo uno dei paradossi della vita dell’uomo. Come dice Bateson (1972, 1979), il dentro e il fuori, intesi come intrapsichico ed interpersonale, si rapportano secondo logiche sistemiche, secondo le quali il semplice è spiegato dal più complesso. La concordanza di fondamenti epistemologici sembra, invece, meno praticabile rispetto alle prospettive biologiste che minimizzano ogni riferimento a dimensioni che non siano materiali o oggettiviste. Lo sviluppo degli orientamenti teorici prima citati (psicoanalisi, comportamentismo e cognitivismo) ha proposto riflessioni serie che rigettano le posizioni riduzioniste, le quali sono proprie invece di un modello biologico che vorrebbe descrivere la psicopatologia soltanto in termini di malattia di un organo, il cervello, e la mente come una sua secrezione. Le posizioni riduzioniste e biologiste rendono necessario l'attivarsi di una funzione critica rispetto a queste "tentazioni nel semplificare” che rappresentano un fallimento del ragionamento clinico. Tuttavia l’esigenza di difendersi attraverso semplificazioni e riduzioni è fisiologica per la mente umana ma, nell’ambito della psicopatologia, costituisce anche un grande rischio per il clinico che non deve rimanerne coinvolto come persona e come professionista se vuole comprendere il paziente e progettare il trattamento. Livelli di Astrazione e Fondamenti Concettuali della Psicopatologia Il lavoro del clinico ha varie esigenze, in quanto i concetti formulati devono essere idee che rendano efficace un pensiero teorico e devono essere concetti pensati in un modo che sia poi facilmente spiegabile ai pazienti. I clinici devono quindi saper formulare profili diagnostici che siano comprensibili anche agli altri colleghi, utilizzando un linguaggio comune che mantenga però una certa rilevanza sul piano scientifico-clinico. Questi obiettivi spingono il clinico a lavorare secondo diversi livelli di astrazione, sui quali ci può essere consenso tra i diversi approcci che favoriscono il ragionamento da usare con il paziente, sia per comprenderlo che per parlargli e per aiutarlo. Tali Fondamenti Concettuali sono: - Concetto di Mente: può essere inteso come un tentativo di ricercare i significati, cioè come un complesso apparato volto alla significazione soggettiva delle esperienze. In tale senso la vita mentale è la costruzione di significati e la psicopatologia è la distorsione di tale processo. Le Configurazioni di personalità sono allora la strutturazione di specifici pattern di significati, i quali orientano la soggettività ad assegnare un valore maggiore a determinati ambiti a scapito di altri; - Concetto di Relazione: il significato delle esperienze personali viene costruito all’interno delle relazioni e la soggettività è in continua definizione con l’intersoggettività. Sono quindi necessarie relazioni significative per costruire significati più consistenti, condivisi e intersoggettivamente riconosciuti. La nostra mente configura quindi i suoi significati all’interno delle relazioni di attaccamento, e questo significa che non si può vivere senza sentirsi significativi per qualcun'altro che a nostra volta riteniamo significativo; - Concetto di Sviluppo: elemento fondamentale in quanto la mente, la soggettività e le relazioni sono processi da intendere come in continua costruzione. I primi obiettivi dello sviluppo riguardano la Regolazione degli Stati Affettivi, sia propri che altrui, che, attraverso adeguate relazioni con le figure di attaccamento, consentono di strutturare quel “sentimento di vitalità” che è il fondamento evolutivo del senso di avere una mente funzionante e una soggettività piena, grazie alle relazioni interpersonali significative. Le relazioni di attaccamento di un individuo costituiscono quindi sia la base per la ricerca del significato sia da un punto di vista del contenuto, sia da un punto di vista dei processi. La psicopatologia riguarda allora sempre strategie adattive, ma fallimentari, a contesti di sviluppo specifici e singolari e va compresa in riferimento a compiti evolutivi specifici, per cui è fondamentale valutare il livello evolutivo dell’organizzazione della personalità. In questo senso Soggettività e Relazione diventano oggetti di osservazione per la comprensione della psicopatologia e strumenti e mezzi di intervento e di cambiamento. Psicopatologia e Ricerca La caratteristica delle discipline scientifiche è lo sviluppo di modelli e teorie attraverso l’esplicitazione, l’applicazione e il perfezionamento di un metodo che permetta al meglio la comprensione dei loro oggetti di studio. Il metodo scientifico spinge a cercare e a fornire garanzie continue per le conoscenze formulate da una disciplina in termini di sistematicità, condivisibilità, uso disciplinato della ragione e riferimento alla realtà empirica. Lo studio scientifico della psicopatologia offre molti vantaggi ma, visto che la ricerca è un’attività pratica con esigenze e peculiarità proprie che sono distinte da quelle cliniche, il passaggio dal contesto della ricerca scientifica a quello della pratica clinica è tutt’altro che scontato e risulta costantemente problematico data la rilevanza clinica di alcuni concetti come sviluppo, soggettività e relazione che non sono riproducibili sperimentalmente. Quindi il rapporto tra clinica e ricerca è in continua costruzione. La Ricerca in Psicopatologia si può distinguere in: - Ricerca Concettuale e Teorica: Sappiamo che non si può osservare la realtà senza partire da assunti teorici che risultano indispensabili per poter osservare e descrivere i fenomeni psicopatologici in un modo che risulti condivisibile dalla comunità scientifica, ma creano anche un vincolo vista l'impossibile neutralità del clinico relativamente all'oggetto di studio, rappresentato dal paziente; - Ricerca sul Pensiero dei Grandi Autori: per comprendere come è stata creata la scienza della psicopatologia, quali sono state le riflessioni dell’uomo su tale argomento e come si sono evolute; - Ricerca Empirica: si è molto evoluta ed ha portato importanti contributi nella psicologia clinica fornendo dati relativi a molti argomenti tra cui psicopatologia, fase diagnostica, processo ed esito delle psicoterapie, relazione madre-bambino e sviluppo nell'arco di vita. Psicopatologia e Cambiamento Favorire il Cambiamento è l'obiettivo basilare del lavoro clinico. La domanda del paziente è sempre, o almeno implicitamente, una domanda di aiuto, di crescita, di realizzazione delle sue potenzialità di salute. Anche la dimensione conoscitiva non rimanda ad una costruzione di una conoscenza oggettiva, ma alla costruzione di una conoscenza soggettiva e relazionale, cioè orientata verso la ricerca di significati. Il paziente ha bisogno di ritrovare o trovare il senso del proprio funzionamento mentale come qualcosa di affidabile e dotato di valore interpersonale. L’ampliamento della conoscenza del paziente su di sé, sul funzionamento delle proprie relazioni o sul proprio passato è un aspetto importante ma non è sufficiente, in quanto nella relazione entrano in gioco le differenze individuali e le soggettività dei diversi partecipanti (clinico e paziente), che rappresentano non solo fattori ineliminabili ma lo stesso nucleo essenziale della pratica clinica. Nonostante il clinico sia orientato ad una certa pratica teorica, abbia avuto una certa formazione professionale e quindi faccia affidamento ad un determinato approccio, il suo intervento può considerarsi efficace solo nella misura in cui sarà personale, creativo e quindi unico e singolare, in quanto rivolto alla specificità del paziente e della sua situazione. La psicoterapia non allora è un intervento rivolto alla psiche ma è un intervento attuato attraverso la psiche, cioè con l'utilizzo di strumenti psicologici immateriali. 2. LE LOGICHE DEL RAGIONAMENTO CLINICO Introduzione Nel secolo scorso, lo studio del linguaggio e della comunicazione è stato affrontato secondo tre grandi prospettive, rappresentate dalla Semantica, che è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole, dalla Sintattica, che è lo studio delle relazioni che le parole hanno e nelle frasi e dell'insieme delle norme che regolano queste relazioni e dalla Pragmatica, che osserva come e per quali scopi la lingua viene utilizzata. Più nello specifico si occupa di come il contesto influisca sull'interpretazione dei significati Ognuna di esse può essere intesa come una disciplina con i suoi specifici metodi e oggetti. Questa visuale ci permette di prendere in considerazione tre modi di ragionare sulla psicopatologia, che sono anche tre modalità che la mente ha a disposizione nell’atto del conoscere l’altro in relazione: - una modalità logica di pensare sulla base di somiglianze con categorie generali; - una modalità di ricerca delle differenze e unicità; - una modalità di conoscere agendo e interagendo con l’altro. Il clinico che cerca di comprendere la patologia del singolo caso tende a ragionare spontaneamente secondo queste logiche. Attraverso quindi un'Analogia tra Studio del Linguaggio e Psicopatologia sono stati costruiti i seguenti paragrafi. Semantica e Nosologia La Semantica, intesa come classificazione della parole, è equiparabile alla Nosologia, che rappresenta la classificazione delle malattie. Esse rappresentano l'uso dei termini che vengono utilizzati e che costituiscono un dizionario utilizzato all'interno di un particolare contesto locutorio. La Semantica ci aiuta nel disporre parole che hanno un significato condiviso in un contesto e a distinguerle da quelle che ne sono prive. Essa utilizza metodi estensionali o intenzionali. La via intenzionale ci porta a comprendere cosa si intende con un termine e ci spinge a cercare definizioni che ci orientino nell’osservare la realtà attraverso quel termine. Un oggetto può essere incluso o escluso nella classe indicata dal termine sulla base della sua definizione; Nel campo dell’attività diagnostica clinica, troviamo lo stesso tipo di logica nella Nosografia, intesa come la descrizione delle malattie, che ci orienta a includere in una categoria (o classe diagnostica), nominata precisamente da un termine patologico, un insieme di fenomeni osservati che possono essere intesi tramite la categoria definita. Alcuni lavori nosografici importanti sono il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) e l’ICD (International Classification of Diseases). Per diagnosticare una malattia secondo un manuale nosografico, si osservano una serie di sintomi e, se sono in numero sufficiente e sufficientemente coerenti tra loro, si include il fenomeno che si sta osservando nella categoria diagnostica o, in altri termini, si utilizza la categoria per nominare il fenomeno ed indicarlo con il termine corrispondente. Il paziente ha quindi una malattia di cui si può parlare, con termini e con un dizionario condivisibile da tutti. L’applicazione della diagnosi avviene quindi secondo una logica categoriale, che permette di determinare se applicare la diagnosi oppure no. Se sussiste un numero sufficiente di sintomi possiamo dire che il paziente abbia una tale malattia in quanto possiede delle caratteristiche simili a tutti i pazienti che presentano il manifestare di questa sofferenza allo stesso modo. Questo modo di procedere è esplicitato chiaramente nel titolo stesso del DSM che si configura, appunto, come un manuale statistico e diagnostico, basato sul conteggio di quante volte dei fenomeni si presentano in modo simultaneo. Questo tipo di logica è quindi centrata su quello che i soggetti hanno in comune e sospende il giudizio su ciò che li contraddistingue. Essa è molto utile perché permette le generalizzazioni, procedendo dal particolare al generale. Le Regole Sintattiche e le Regole di un Modello del Funzionamento Mentale e della Personalità del Paziente: la Logica Dimensionale nella Formulazione della Singolarità, della sua Organizzazione, della sua Struttura Una seconda prospettiva della linguistica è la sintattica, che si occupa di come, date certe parole che assumono un significato all’interno di un determinato contesto, i parlanti sono in grado di intendersi tra loro tramite frasi e discorsi che, combinando creativamente quelle parole, trasmettano dei contenuti comprensibili. La Sintattica è dunque il tentativo di definire le regole che organizzano la possibilità di parlare tra locatori di un particolare contesto, regole che decidono come si devono combinare le parole semanticamente valide per trasmettere un contenuto informativo comprensibile. Essa offre modelli per costruire frasi e periodi nei quali i termini svolgono dei ruoli e si connettono gli uni con gli altri. Per comprendere le regole che strutturano il funzionamento di una persona sono necessari dei modelli teorici che, tramite l’utilizzo di alcuni concetti, definiscano strutture, funzioni e processi che costituiscono le dimensioni del funzionamento che vogliamo descrivere. Questa concezione della psicopatologia e della diagnosi può essere definita dimensionale. Per Dimensioni si intendono quei concetti di una categoria che funzionano da categorie osservative del fenomeno di interesse psicopatologico. Le unità di analisi, che possono essere chiamate diversamente a seconda degli approcci teorici (ad es. organizzazioni della personalità, strutture della personalità, modelli del funzionamento mentale), permettono ai sintomi di acquisire significati differenti. Questa logica, come quella nosografia, è un modo di funzionare della nostra mente che, nel conoscere gli altri, ricerca le differenze e le unicità attraverso le categorie di pensiero, di idee, e i concetti di cui disporre. Questa logica si nutre quindi di teorie psicopatologiche del senso comune, ereditate da contesti socio-culturali di appartenenza, che contengono le ipotesi sul come e il perché stare al mondo. Il ragionamento clinico dimensionale funziona allora dal generale al particolare, in quanto parte da concetti e da teorie che riguardano la mente, la personalità e da modelli che costruiscono regole di funzionamento degli eventi psicopatologici al fine di formulare regole e modelli sul caso singolo e specifico. I concetti e le teorie possono essere più o meno generali e più o meno condivise, ed è questo che crea il Problema della Condivisibilità, che rappresenta la situazione attuale della psicopatologia clinica. Se una teoria al suo interno contiene “bizzarrie” dal punto di vista epistemologico, il profilo del paziente sarà poco condiviso per motivi legati al fondamento e alla struttura del modello stesso e non potrà essere presentato in un dialogo tra clinici, e risulterà magari essere valido soltanto all’interno di una cerchia ristretta. Il Compito della Teoria deve allora essere quello di sviluppare un linguaggio psicopatologico che permetta una buona condivisibilità anche con chi si riconosce con paradigmi teorici differenti. Se i termini sono definiti a un livello basso di astrazione, possono anche essere carichi di teoria ma rimangono comprensibili anche a chi non ha formazione di quel modello teorico e se si condivide lo spirito scientifico del confronto e dell’apertura, si è spinti a formulare le proprie osservazioni cliniche in modo che chi non condivide le stesse teorie sia comunque in grado di parlare e discutere dei pazienti in modo arricchente e che stimoli nuove prospettive terapeutiche. Linguistica Pragmatica e Conoscenza della Psicopatologia ai Livelli Impliciti e Procedurali del Funzionamento delle Menti La Pragmatica ha avuto un grande impulso grazie alle ricerche filosofiche di Wittgenstein e della filosofia analitica di Oxford e Cambridge su “come facciamo le cose con le parole”. Il presupposto teorico di queste prospettive è che le parole e il discorso siano azioni, atti discorsivi o meglio gesti discorsivi, e questa disciplina studia i contesti pratici in cui noi parliamo, i contesti discorsivi reali. Wittegenstein afferma che per sapere cosa vuol dire una parola si debba studiare i luoghi e i modi nei quali la parola viene usata. La comunicazione viene studiata nel suo contesto pratico, pragmatico, come mezzo di definizione della realtà interattiva, in quanto essa riguarda sicuramente le conoscenze che i parlanti si scambiano ma la comprensione del discorso in situazioni concrete in riferimento alle conoscenze e ai contenuti scambiati avviene in vari livelli e dipende dal contesto. Le parole occupano una specifica area semantica, ma assumono il proprio significato comunicativo nella pragmatica dello scambio interpersonale Seguendo quindi l'analogia, nella Psicopatologia le unità privilegiate di analisi diventano l'Interazione e la Relazione. Il processo di valutazione psicopatologica è un processo continuo e, fin dal primo contatto con il paziente, il clinico sta facendo delle valutazioni di tipo diagnostico. Dall’inizio dell’incontro, il clinico sta cominciando a costruire le proprie valutazioni insieme al paziente nel contesto della realtà interattiva alla quale stanno dando vita e quindi valuta qualcosa che prende forma all’interno dell’incontro. In tal senso la domanda a cui tenta di rispondere la diagnosi è “che cosa sta succedendo qui ed ora tra di noi?” più che “che cos’è ciò di cui il paziente soffre?". La diagnosi della psicopatologia del paziente non è quindi scindibile dalla diagnosi della relazione in corso, in quanto si diagnosticano gesti interattivi reciproci. Il ragionamento clinico retto da logiche semantiche permette di ottenere un inquadramento della sindrome e un’eventuale classificazione del disturbo del paziente in una categoria diagnostica, quello governato da logiche sintattiche conduce ad un modello delle regole del suo funzionamento mentale, della sua organizzazione e profilo di personalità. Questi due livelli diagnostici sono più facilmente comunicabili di quello pragmatico. Nella prospettiva del ragionamento clinico articolato secondo la logica pragmatica, la dicotomia soggetto-osservante/ oggetto-osservato (clinico e paziente) viene superata e l’oggettività non risulta essere possibile perché il processo conoscitivo è continuo e intersoggettivo sin dall’inizio. In questa logica le affermazioni “vere” secondo altre logiche si relativizzano. Allo stesso modo alcune caratteristiche della psicopatologia, come i sintomi, possono essere considerati descrittivamente in modo simile quando si presentano in persone differenti, ma lo stesso sintomo, nel contesto del funzionamento mentale e dell’organizzazione della personalità di un paziente specifico, ha significati differenti e lo stesso sintomo quando si presenta in sistemi relazionali (o familiari) specifici, assume un valore e una funzione specifica per quei sistemi. Dal punto di vista pragmatico è difficile pensare che una persona sia descrivibile con alcune affermazioni che vadano ugualmente bene per molte altre. Ogni clinico sa che, nella sua pratica di conduzione dei primi incontri di valutazione con il paziente, la sua capacità di instaurare con lui una relazione ricettiva, che gli permetta di esprimersi e farsi conoscere sentendosi accolto, è di fondamentale importanza. Per il paziente, e per la sua motivazione a continuare il processo diagnostico, è determinante accorgersi che il modo in cui è accolto e trattato, contiene qualcosa che è profondamente suo, oltre che pensare che la persona che ha davanti ha una certa competenza a interagire con lui. Ma anche sentire che il clinico probabilmente sta formulando qualcosa che lo riguarda e che facilita il contatto, l’entrare in relazione con lui, il cominciare a parlare di questioni intime è elemento altrettanto importante. Il paziente sente, cioè, che il clinico è capace di entrare in contatto con lui, e si sente accolto, e comincia a pensare che il clinico lo capisca, cominciando allora a sentirsi conosciuto e pensato. Per favorire la costruzione di tale relazione, il clinico utilizza soprattutto delle conoscenze specifiche procedurali. Ovviamente, se il clinico non è in grado di costruire un processo conoscitivo adeguato, lo stesso processo diagnostico è in discussione. Quindi il patrimonio di conoscenza implicita che il clinico utilizza per valutare il paziente in interazione con lui, secondo una logica pragmatica, ha una piena dignità diagnostica. Discussione La psicopatologia è difficile da definire in modo univoco, ma sicuramente è la patologia di qualcosa di immateriale, la psiche, che difficilmente potrà essere compresa, tramite una via riduzionista, alla stregua di una malattia come quella del corpo. Però questo non vuol dire che il dominio della materia, come il soma, sia auto-evidente e non richieda modelli esplicativi astratti, infatti anche il corpo viene studiato e curato attraverso metafore che lo concepiscono come meccanismo, macchina, organismo biologico e sistema. Il ragionamento clinico deve far pensare molto a quello di cui il paziente ha bisogno, ed è in questo senso che la logica pragmatica diventa molto importante. Il clinico, da questo punto di vista, comincia a dare risposte e restituzioni al paziente da subito e non da quando il suo schema diagnostico prevede di esplicitare le sue conclusioni. Il clinico deve aiutare quindi il paziente, che fa una richiesta implicita o esplicita di aiuto, attraverso una diagnosi, utilizzando il ragionamento clinico diagnostico come un ragionamento retto da logiche molteplici e distinte. Questo può inoltre far luce sulle molte delle incomprensioni che avvengono sulle discussioni tra gli specialisti sui casi, al fine di giungere ad un'integrazione fondamentale per la salute dei pazienti. PARTE SECONDA CLASSIFICAZIONI, NOSOLOGIE, MANUALI 3. I DSM E LA DIAGNOSI NOSOGRAFICA La Storia del DSM, dei suoi Atti Costitutivi e delle sue Differenti Versioni Il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) è un sistema tassonomico di classificazione dei disturbi psichici, creato per fini di consultazione per i professionisti, che elenca differenti categorie di disturbi mentali e definisce i criteri sintomatologici necessari a diagnosticarli. Le radici dei sistemi di classificazione basati sugli aspetti fenomenologici esterni dei disturbi, si rintracciano nel lontano 1600, con il Rinascimento scientifico, che sancì il rifiuto sistematico di tutte le conoscenze appartenenti alla cultura tradizionale, in particolare per quella base teologica e metafisica e propose una spiegazione fondata sull’esperienza empirica. Comte affermava infatti che la psicologia non fosse una scienza e che lo studio della passioni, delle emozioni, delle entità astratte e immateriali potesse essere equiparato alle conoscenze demonologiche e che per poter diventare scienza, la psicologia avrebbe dovuto ricondursi alla fisiologia biologica. In questa prospettiva positivistica, la psicopatologia diventava lo studio di segni e sintomi, in quanto, sempre secondo Comte, la scienza positiva doveva avere come obiettivo il perseguimento di una conoscenza oggettiva. Fu proprio questo principio che fece diventare la psichiatria una disciplina scientifica. In realtà lo studio delle sindromi, il raggruppamento dei segni e dei sintomi e la loro classificazione venivano attuati già dai tempi di Ippocrate, 2500 anni prima, e hanno sempre influenzato il mondo occidentale. Pinel pubblicò un trattato alla fine del '700 in cui identificava 5 sindromi: - idiotismo; - melanconia; - mania; - mania con delirio; - dementia. Pinel affermava che il sistema nervoso è coinvolto nelle sindromi osservate, per cui in malati, anziché essere rinchiusi in carceri, avrebbero dovuto essere “liberati dalle loro catene” in quanto malati come gli altri. Nacquero così i manicomi intesi come ospedali, quindi nella loro concezione moderna. Il sistema di classificazione dei disturbi mentali sviluppato da Pinel, insieme al suo sforzo nel cercare di convincere che la malattia mentale fosse da considerare come le altre patologie di carattere medico, e dunque curabile attraverso l’inserimento della persona nei manicomi, favorì negli anni successivi un aumento degli sforzi per categorizzare i disturbi psichiatrici. Il movimento definiti Positivismo Psichiatrico ebbe inizio con gli allievi di Pinel, in particolare Esquirol che si dedicò alla descrizione, classificazione e distinzione dei disordini mentali. Fu però Kraepelin a elencare x primo i 13 maggiori disturbi, tra cui dementia praecox e la follia maniaco-depressiva. L’autore giunse a queste definizioni per mezzo di un approccio sindromico. Questo tipo di psicopatologia può essere definita Riduzionista e Strutturalista, in quanto definisce i sintomi come epifenomeni di una sottostante patologia cerebrale, responsabile del disturbo mentale. I sintomi individuati, anche se “mentali” servirebbero a fare una diagnosi di una patologia “neurobiologica”. Il DSM stesso si limita ad assumere che, alla base di un disturbo, vi sia una qualche alterazione, e che la stessa patologia in più soggetti sia derivata da un’identica eziologia. Origine dei Moderni Manuali Nosografici: DSM e ICD Negli Stati Uniti fu la necessità di raccogliere informazioni statistiche a fornire la motivazione iniziale allo sviluppo di una classificazione dei disturbi mentali. Negli anni ’20 vennero attuati i primi tentativi di sviluppare una tassonomia statunitense e, in seguito, nel 1933 l’American Psychiatric Association (APA) elaborò una classificazione unitaria dei disturbi mentali, in cui si identificavano però solo i disturbi dello spettro psicotico, tipici dei degenti negli ospedali psichiatrici americani. Queste furono le basi sulle quali sorse la prima edizione del DSM. Il DSM venne quindi proposto come il primo manuale ufficiale dei disturbi mentali focalizzato sull’utilità clinica. Era un glossario che descriveva 108 disturbi differenti in una prospettiva psicobiologica. In Europa la necessità di avere una tassonomia diagnostica condivisa condusse alla decisione, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di aggiungere una sezione dedicata ai disturbi mentali nell’ottava edizione dell’International Classification of Disease (ICD) pubblicata nel 1967. Nelle sue prime edizioni il DSM (1952) assumeva tra i propri termini di riferimento il modello funzionalista di Adolf Meyer, il più famoso psichiatra accademico degli USA, che sosteneva alcune istanze di un paradigma dell’integrazione tra organismo biologico-psicologico e ambiente, secondo cui la malattia è il disadattamento funzionale dell’organismo, conseguenza di una doppia serie complementare di fattori patogenetici, fisiopatologici e psicosociali. Seppure distante dalle teorie psicoanalitiche, l’autore concordava con Freud che le esperienze della prima infanzia contribuissero alle difficoltà psicologiche future. Secondo Meyer, dunque, il disturbo mentale è una reazione della personalità a fattori psicologici, sociali o biologici. Nel susseguirsi delle edizioni del manuale dei disturbi mentali, l’interesse per la definizione dell’eziologia del disturbo mentale è andata sempre più scomparendo. Il DSM-II descriveva 182 differenti patologie, distinte in nevrotiche e psicotiche. Come il primo DSM, le descrizioni dei vari disturbi, si basavano sui giudizi di esperti e consulenti, non sui dati empirici. La mancanza infatti di criteri empirici alla base delle diagnosi, è ciò che, allora come oggi, determina le maggiori critiche rivolte ad DSM. Quando i limiti diagnostici del DSM-II divennero troppo evidenti, a causa della necessità di migliorare l’uniformità delle diagnosi e di formulare diagnosi su cui fosse possibile raggiungere un accordo tra valutatori, ne venne decisa la revisione. La terza edizione del DSM (1980), il DSM-III, si configurò come una rivoluzione in ambito psichiatrico. Fu infatti un manuale molto differente dalle precedenti edizioni, sia nelle voluminose dimensioni (i disturbi descritti diventano 265) sia nell’impostazione e nel prezzo di copertina. Il DSM-III venne elaborato con lo scopo di fornire ai clinici e ai ricercatori una nomenclatura medica. Le più importanti innovazioni riportate furono: - l’introduzione di criteri diagnostici specifici, empiricamente fondati per ogni diagnosi; - il tentativo di stabilire un sistema teoreticamente neutrale e multiassiale, cioè un approccio descrittivo che tentava di essere neutrale nei confronti delle teorie eziologiche; - il tentativo di definire il concetto di disturbo mentale in termini di sindrome, cioè come insieme di sintomi. Ci sono quattro aspetti che permettono di mostrare le Caratteristiche Essenziali del DSM-III: 1. Criteri Diagnostici: al fine di migliorare l’attendibilità della diagnosi, gli autori elaborarono anche interviste diagnostiche strutturate e semi-strutturate, che cercavano di ridurre la variabilità delle informazioni ottenute dal paziente in conseguenza di differenti esami, la variabilità di osservazione dovuta alla modalità di differenti valutatori di giungere alla comprensione e all’interpretazione dei fenomeni e la variabilità dei criteri, ovvero le differenti regole decisionali usate dai valutatori per assegnare i pazienti alle classi diagnostiche; 2. Approccio Ateoretico: la teoria psicodinamica alla base delle due edizioni precedenti venne ripudiata dalla Task Force istituita per la creazione del nuovo DSM e la stessa decisione di eliminare dalla tassonomia il termine “nevrosi”, sentito come vago e non scientifico, suscitò molteplici controversie. Visto il rischio della mancata approvazione del manuale da parte dell’APA condusse ad una decisione di compromesso, quella di inserire il termine tra parentesi dopo la parola disturbo in alcuni casi. La scelta di eliminare i concetti fondamentali della psichiatria psicodinamica, quali quello di nevrosi, psicosi, reattivo ed endogeno, psicosi maniaco-depressiva e isteria, fu spiegata con la necessità di affrancarsi da concezioni eziopatogenetiche e da altre inferenze teoriche; 3. Sistema di Valutazione Multiassiale: i clinici erano chiamati a fare una valutazione di cinque ambiti differenti, chiamati Assi, con l’obiettivo di osservare il paziente nella sua globalità, al di là della contrapposizione biologico/psicologico. - Asse I: includeva i disturbi associati alla diagnosi psichiatrica (ad es. schizofrenia); - Asse II: valutava i disturbi di personalità e i disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza; - Asse III: dedicato alle condizioni mediche associate ai disturbi mentali; - Asse IV: su una scala a 8 punti, valutava gli stressor psicosociali; - Asse V: sempre su 8 punti, era indirizzato alla valutazione del livello di funzionamento adattivo del paziente nel corso dell’anno precedente la diagnosi. Il sistema di classificazione multiassiale proposto era Politetico, cioè non tutti i sintomi o criteri diagnostici inclusi in una sindrome erano necessari a diagnosticarla; 4. Definizione di Disturbo Mentale: la definizione di disturbo mentale, che era molto estesa e frutto di convenzioni, aveva l’obiettivo di interessare il maggior numero di pazienti ma falliva nel tentativo di fornire regole precise per l’inclusione diagnostica. Sebbene il DSM-III fosse stato un enorme successo e il suo utilizzo si fosse diffuso enormemente nella pratica clinica, dopo soli pochi anni dalla sua pubblicazione, si iniziò a pensare ad un rinnovamento. Gli esiti di alcune ricerche del 1983 risultarono incompatibili con le classificazioni sindromiche proposte nella terza edizione del manuale e altrettanti dubbi vennero sollevati dalle diagnostiche gerarchiche, che non permettevano di diagnosticare un disturbo gerarchicamente inferiore se il paziente incontrava i criteri di disturbo di maggiore gravità. Per esempio se un individuo incontrava contemporaneamente i criteri per una diagnosi di schizofrenia e di disturbo d’ansia, a questo veniva diagnosticato solo la schizofrenia. Il bisogno poi di migliorare la chiarezza, la consistenza e l’accuratezza concettuale della precedente edizione, fu l’elemento che portò alla pubblicazione della versione rivista del DSM-III. Quattro dei 5 Assi del sistema multiassiale furono rivisti, più della metà delle oltre 200 categorie diagnostiche subirono delle modifiche e vennero rinominate o riorganizzate, inoltre 30 categorie diagnostiche furono aggiunte e 6 vennero cancellate. Il DSM-IV (1994), il cui progetto venne coordinato da Allen Frances, ha previsto un sostanziale aggiornamento delle precedenti versioni, ma mantiene una valutazione dell'individuo su 5 assi allo scopo di costruire un quadro sistemico e ampio dei disturbi mentali, delle condizioni mediche generali, dei problemi ambientali e psicosociali e del livello di funzionamento mentale: - Asse I: descrive i disturbi clinici e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica; - Asse II: descrive i disturbi di personalità e il ritardo mentale e permette considerazioni relative a meccanismi di difesa disadattivi usati in maniera ricorrente dal soggetto. Permette inoltre la valutazione di importanti caratteristiche di personalità del soggetto che non raggiungono la soglia per un Disturbo di Personalità. I maggiori problemi che si possono riscontrare in quest'asse sono: - Eccessiva Comorbilità:cioè l'eccessiva presenza di diagnosi multiple di categorie distinte. Tanti pazienti possono incontrare contemporaneamente i criteri di più disturbi; - Incapacità di coprire l'intero spettro dei disturbi di personalità; - Sistema di Tipo Politetico: gli individui inseriti nella stessa categoria possono non condividere qualche criterio diagnostico o condividerne solo alcuni; - Soglie Diagnostiche: mancano di una base scientifica convincente; - Validità e Attendibilità basse; - Inadeguato Fondamento Scientifico alla base della definizione delle sindromi di personalità. - Asse III: sono indicate le condizioni mediche generali che possono incidere sulla comprensione e sul trattamento di un disturbo diagnosticato in Asse I e II; - Asse IV: descrive alcuni problemi di tipo psicosociale e ambientale che possono influenzare la diagnosi, le scelte relative al trattamento e la prognosi dei disturbi mentali dell' Asse I o II. Tra i disturbi psicosociali o ambientali vengono indicati episodi di vita negativi, difficoltà o carenze ambientali, stress interpersonali, famigliari o di altro tipo; - Asse V: riporta la valutazione globale del clinico sul livello di funzionamento globale del paziente effettuata per mezzo della compilazione della scala per la valutazione globale del funzionamento che riguarda il funzionamento psicologico, sociale e lavorativo. Rispetto ai Limiti e Critiche al DSM bisogna considerare che esso è uno strumento classificatorio che da un lato si rivela debole alla prova dei fatti, e dall'altro anche il suo utilizzo clinico è molto contestato dal momento che per via di alcuni aspetti della sua struttura categoriale non facilita la diagnosi nosografica. Innanzi tutto il DSM etichetta i sintomi osservati chiudendo l'approfondimento diagnostico sulla situazione del paziente poiché lo accumuna a tutti coloro che condividono con lui alcune delle sue stesse caratteristiche. Non emergono quindi né la soggettività, né i bisogni, né le necessità non mediche di cui il paziente ha bisogno. La struttura del DSM ci fa pensare al paziente come un soggetto passivo, cioè vittima dell'aggressione di qualche malattia, quando invece sappiamo che i soggetti sono attivi che fanno esperienza del mondo ciascuno a suo modo, in maniera quindi soggettiva. Il DSM vorrebbe proporsi come linguaggio comune, ma in realtà la sua neutralità è illusoria perché assume implicitamente che i disturbi abbiano una base biologica e che siano delle entità discontinue descrivibili per mezzo di un sistema tassonomico categoriale. Inoltre le qualifiche di ”bizzarria”, ”congruenza” e “incongruenza” dei sintomi sono l'esito di valutazioni soggettive del clinico. Inoltre nessuno studio ha ancora dimostrato l'affidabilità del manuale. Una delle cause della sua inaffidabilità è la definizione di disturbo mentale, una definizione che non fornisce criteri per stabilire una distinzione tra normalità e patologia. Il disturbo mentale è definito nel manuale come un fenomeno che si manifesta nell'individuo e, in accordo con l'orientamento medico, è considerato come il derivato di una disfunzione interna del paziente non meglio specificata che dà origine a comportamenti sintomatici. Nosografia, Diagnosi Dimensionale e Diagnosi Categoriale: Verso il DSM-V L'obiettivo per il DSM-V è quello di cercare di comprendere quali tra le caratteristiche che differenziano i soggetti inseriti nella stessa categoria diagnostica, sono clinicamente significative. Il compito della Task Force per la creazione del nuovo DSM è quello di riflettere e decidere se sia meglio comprendere per ciascuna categoria, quale sia la caratteristica più rappresentativa da indagare e da rendere dimensionale, oppure creare una struttura dimensionale per fare diagnosi che sia costante per tutti i disturbi. Il grande paradosso è la necessità di individuare categorie sindromiche delle malattie mentali che si scontra con l'impossibilità di distinguere nettamente tra normalità e patologia in termini sintomatologici. La soluzione, secondo la Task Force, è quella di adottare quindi una Diagnosi Dimensionale (in cui le malattia sono distribuite lungo un continuum e vengono valutate le differenze tra pazienti con lo stesso disturbo). abbandonando l'approccio ateoretico. Vi è inoltre la necessità di rifondare, usando basi dimensionali, anche l'Asse II, che risulta quello più criticato sia a livello scientifico che a livello clinico. 4. IL MANUALE DIAGNOSTICO PSICODINAMICO (PDM) Un Manuale Diagnostico Psicoanalitico Il PDM è stato concepito dal mondo psicoanalitico in senso dimensionale oltre che categoriale, prestando attenzione alla singolarità del paziente. Esso propone una diagnosi articolata su 3 dimensioni: - Asse P: configurazione di personalità sane e disturbate; - Asse M: profili individuali del funzionamento mentale; - Asse S: pattern sintomatici ed esperienza soggettiva dei pazienti. All’interno dell’Asse P possiamo avere due prospettive osservative: - valutazione attraverso i prototipi; - livelli di organizzazione della personalità. PDM e DSM: Spunti per un Breve Confronto Una breve descrizione dei due Manuali può consentire di cogliere le differenze strutturali e concettuali tra essi. Il PDM si propone esplicitamente come ortogonale, per scopo e struttura, e mostra originalità e specificità epistemologica inserendo un asse specifico dedicato al Profilo del Funzionamento Mentale (asse M), inserendo inoltre delle sessioni interamente dedicate alla psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza. Si presenta quindi come una tassonomia di persone, in quanto orientato alla comprensione del funzionamento del singolo individuo. Si colloca esplicitamente all'interno della cornice teorica psicoanalitica, con l'intento di ascrivere significati a fenomeni osservati e descritti dopo averli identificati e formulati ed è un esempio di diagnosi multiassiale, multidimensionale e prototipica in quanto cerca di prendere in considerazione sia le sindromi cliniche sia l'esperienza soggettiva del paziente. E' infine pensato per la formulazione del caso e per la pianificazione del trattamento psicoterapeutico o di tutte le altre forme di terapia che si rivolgono all'intera gamma e profondità del funzionamento cognitivo, emotivo e comportamentale. Il DSM si presenta invece come una tassonomia di patologie o di disturbi psichici e propone cluster di sintomi evitando attribuzioni di significato, con il preciso intento ateoretico. E' quindi un esempio di diagnosi multiassiale, categoriale e politetica, in cui le sindromi sono intese come categorie presenti/assenti, reciprocamente indipendenti e definite da un numero minimo di criteri. Esso è stato originariamente proposto come fondamento per la ricerca empirica, per fini epidemiologici o per il trattamento psicofarmacologico. Breve Descrizione della Impostazione del PDM Il PDM si articola in tre Sezioni: 1. Classificazione dei Disturbi Mentali degli Adulti: - Asse P: la valutazione può essere fatta su due versanti: - 15 tipi di configurazioni dei disturbi di personalità usati come prototipi; - livelli di organizzazione della personalità (sano, nevrotico e borderline); - Asse M: valutazione del funzionamento mentale in base a nove funzioni; - Asse S: esperienza soggettiva, inserita nella vita e nel contesto; 2. Classificazione dei Disturbi Mentali nei Bambini e negli Adolescenti: - Disturbi Mentali degli Adolescenti e dei Bambini (10-18 anni); - Disturbi Mentali dei Neonati e dei Bambini Piccoli (0-10 anni); 3. Basi Concettuali ed Empiriche per una Classificazione Psicodinamica dei Disturbi Mentali. PARTE TERZA STRUMENTI PER PENSARE: CORNICI TEORICHE SULL'IDENTITA’, LE RELAZIONI, LO SVILUPPO 6. CONTESTI E CONCETTI EPISTEMOLOGICI Il Lavoro Clinico nel Contesto Contemporaneo Ragionare clinicamente, oggi, implica collocarsi in un contesto molto differente a quello di qualche decennio fa. Gli scenari socio-culturali ed epistemologici che informano il modo di concepire la scienza, di pensare e di osservare, sono estremamente differenti da quelli caratteristici della modernità, periodo nel quale sono state gettate le fondamenta della psicologia, della psicoanalisi, della psichiatria e dei modelli psicopatologici. Molti pazienti soffrono e chiedono aiuto pur non mostrando sintomi ben definiti, ma per ragioni che riguardano lo sviluppo della loro identità, della loro soggettività e della loro capacità nelle relazioni intime, e in questo senso sono numerosi i clinici che, non costretti da esigenze di vario tipo come quelle istituzionali, abbandonano il concetto stesso di diagnosi. Il PDM vuole allora rilanciare la sfida di tenere in considerazione il momento diagnostico anche in un'ottica psicoanalitica che, anche se è sensibile alle suggestioni contemporanee sulla costituzione relazionale del soggetto e sul concetto complesso di relazione, si riproponga l'obiettivo della condivisione di un linguaggio e della sistematizzazione della valutazione del paziente. Destini e Fortune della Soggettività in una Società Complessa Gli esseri umani diventano persone inserendosi nel contesto relazionale che li accoglie, nell'ambiente interpersonale e socio-culturale che incontrano sin dall'inizio della loro esistenza, contesto nel quale hanno il compito di individuarsi. La definizione dell'identità personale avviene all'interno della matrice relazionale, come sosteneva Sullivan. La comprensione di sé stessi è distinta, ma non disgiunta, dal contatto con gli altri, così come il contatto con la propria interiorità è anche un modo per comprendere il significato degli altri. Nel lavoro psicoterapeutico con i pazienti, ci si ritrova a dover esplorare le numerose sfaccettature delle loro relazioni significative, presenti e passate, e ci si accorge di come queste relazioni abbiano dato vita alla soggettività del paziente. L'uomo occidentale, privo di valori forti, ricerca i suoi fondamenti nelle relazioni interpersonali sperimentando la complessità di relazioni, che offrano sia un'esperienza di sentimento e di riconoscimento di se stessi, sia un'esperienza intersoggettiva che avviene tramite il confronto con ciò che è diverso. Quindi, lo spazio relazionale è il luogo in cui si costruisce la soggettività dell'individuo. La Critica Contemporanea ai Capisaldi della Modernità Oggigiorno c'è un rischio molto rilevante che è quello del Relativismo, poiché si è troppo condizionati dalla scientificità, nonostante questa nell'età moderna abbia subìto un duro colpo, in quanto si è compreso che anch'essa non è altro che un “genere narrativo” che costruisce una propria verità non assoluta. In psicologia clinica questo comporta al rischio di abbandonare la ricerca e la scelta di modelli di soggettività, psicopatologia, diagnosi, salute e processo terapeutico. La Sfida della Complessità e il Concetto di Sistema Le proposte contemporanee per cercare di evitare le problematiche prima proposte si rifanno al Concetto di Complessità e alla Teoria dei Sistemi. Le Caratteristiche della Complessità sono: - il fatto che essa compaia in sistemi composti da più individui in interazione tra loro mediante meccanismi non lineari. Si tratta di effetti collettivi che emergono nel momento in cui il sistema va considerato come un complesso indivisibile, il cui comportamento non è dato semplicemente dalla somma dei comportamenti individuali. Questo implica una visione nuova della scienza, al di là del riduzionismo e dell'oggettivismo; - la complessità si manifesta in quella sfumata regione di confine tra ordine e caos, dove le leggi deterministiche non sono più sufficienti e le leggi statistiche non ancora applicabili; - la fenomenologia dei sistemi complessi è trasversale ai vari ambiti delle scienze, dell'economia e della fisica, dalle relazioni interpersonali alla mente. All'interno di questo ampio paradigma sono già state sviluppate molte delle idee più innovative del XX secolo, tra cui quelle provenienti dalla Teoria dei Sistemi di Von Bertalanffy ed i vari stimoli portati dall'opera di Gregory Bateson (1972, 1979). La teoria dei sistemi complessi e il concetto di caos rappresentano una sorta di terza rivoluzione scientifica del XX secolo. Secondo queste teorie un sistema complesso e non lineare muta continuamente e in esso l'insieme non è uguale alla somma delle sue parti. E' per questo che viene utilizzata la Metafora dei Sentieri Alternativi Aperti, secondo la quale ciascuna strada presa nella vita influenzerà quelle che verranno prese in seguito. Psicopatologia, Prospettiva Evolutiva, Complessità e Teoria dei Sistemi Le Condizioni Iniziali dello Sviluppo, come affronta la teoria dei sistemi, sono fondamentali e all'interno di esse prendono forma i processi procedurali che avranno un ruolo fondamentale per la matrice delle strategie adattive di base che influiscono sulla salute e sulla patologia. Le figure di attaccamento poi funzionano come Cornici di Sostegno (Fogel, Thelen, 1987) per lo sviluppo, il quale seguirà comunque un'ottica non lineare negoziando tra stabilità (organizzazione coerente) e cambiamento (novità, creatività e proprietà emergenti). Nel ragionamento clinico sulla psicopatologia bisogna quindi tenere conto dei vincoli e delle risorse del sistema complesso che il paziente costruisce insieme al clinico, in un'evidente ottica relazionare. 7. IDENTITA', RELAZIONI, MOLTEPLICITA' Identità e Relazioni Il Pattern Tematico dell'Identità e della Relazione è al centro dei livelli evolutivi dell'organizzazione di personalità. La psicoanalisi ha avuto, nella cultura del secolo scorso, un ruolo centrale nell'illuminare i molti modi possibili di ciò che significa essere una persona. Tra le questioni cardine della ricerca teorica dei modelli psicoanalitici, dagli anni '60 in poi, ci sono quelle relative alla concezione di sé e della soggettività, per cui da un lato la ricerca di un’esperienza del proprio significato personale, dall'altro i problemi del raggiungimento di legami di attaccamento intimi e duraturi. L'attenzione delle teorie psicoanalitiche sembra anche riflettere i cambiamenti nel tipo di difficoltà e di problemi che i pazienti portano quando chiedono aiuto ai clinici, difficoltà e problemi diversi da quelli dei pazienti di Freud, che vivevano in una società organizzata in modelli, costumi, abitudini e valori distanti dai nostri. Già Kohut (1971, 1984) ha sostenuto con enfasi che la natura della psicopatologia varia in funzione dei cambiamenti sociali, e che i disturbi del sé costituiscono l'essenza delle problematiche emergenti. La nostra soggettività è impregnata dall'esperienza delle relazioni con le figure per noi significative e si è formata, si forma e si trasforma nell'interazione con loro, non essendo quindi scindibile da questi contesti interpersonali. Nelle teorie psicoanalitiche si riscontrano allora due Poli Teorici che hanno connotato la concettualizzazione del mondo interno, che hanno differenti impostazioni nel concepire il sé: - Sé Relazionale, Multiplo e Discontinuo: fa riferimento alle multiple configurazioni del Sé, variamente strutturate nei diversi contesti relazionari; - Sé Separato dagli Altri, Integro e Continuo: fa riferimento all'esperienza soggettiva della configurazione del Sé nel processo del suo sviluppo. In quest'impostazione viene fatta una Metafora di Stratificazione del Sé, che sarebbe diviso quindi in strati di cui il più superficiale è quella relazionare e condiviso, mentre quello più profondo è quello integro, separato dagli altri e quindi più intimo e privato. Riferimenti Psicoanalitici sulla Tensione Dialettica tra Identità e Relazione Già Freud aveva accennato, soprattutto nell'opera “Il Disagio della Civiltà” (1929), il problema della tensione tra Egoismo e Altruismo. Vi è quindi una sorta di ambivalenza in quanto l'uomo ricerca sia l'individuazione che la relazione con il prossimo. Vi è una tendenza dell'uomo a ricercare sia la vicinanza agli altri che la lontananza da essi. Tali temi sono poi stati successivamente approfonditi anche da Fairbairn (1952), Mahler (1968), Horney e Balint (1959). Le Riflessioni di Blatt sulla Polarità Definizione del Sé-Relatedness e le sue Implicazioni per la Psicopatologia Blatt (2006) ha proposto un modello di sviluppo della personalità incentrato sulla complessa transazione dialettica tra due fondamentali Processi che Caratterizzano lo Sviluppo Umano: - Definizione del Sé (quindi la propria identità sempre più differenziata); - Relazioni Interpersonali (devono svilupparsi in maniera mutua e soddisfacente). Questi due concetti sono visti come due linee di sviluppo o processi evolutivi in continuo rapporto tra loro in modo tale che il progresso di uno di essi favorisce il progresso nell'altro. Vi è una sorta di equilibrio dunque tra le relazioni interpersonali e la definizione di sé. In ogni caso, secondo Blatt, ciascun individuo può mostrare uno sbilanciamento e un'enfasi su ciascuna delle due dimensioni. Blatt definisce allora due Stili di Personalità che si possono venire a creare: - Stile Anaclitico: si caratterizza per una dipendenza dall'ambiente, dalle relazioni, e un’attenzione ai sentimenti, agli affetti. Inoltre si basa su una tendenza a cercare la fusione e l'armonia. Lo stile di attaccamento sarà di tipo ansioso e preoccupato per le relazioni, per cui vi sarà un costante lamentarsi per le perdite affettive e per l'abbandono; - Stile Introiettivo: spinge ad essere attento all'indipendenza e ad essere influenzato principalmente dalla propria interiorità piuttosto che dall'esterno. Lo stile di attaccamento sarà evitante e distanziante, per cui il soggetto lamenterà senso di colpa, autocritica e bassa autostima. Questi due diversi stili di personalità possono essere sbilanciamenti lievi, ma lo sbilanciamento a volte può diventare troppo accentuato e può dunque portare alla psicopatologia. Anziché intendere la psicopatologia esclusivamente come un insieme di malattie definite e differenziate sulla base dei sintomi manifesti, per Blatt i disturbi patologici sono da comprendere come fallimenti nel risolvere compiti evolutivi legati alle diverse fasi dello sviluppo. Vengono distinte due diverse Patologie: - Psicopatologie di Tipo Anaclitico: che condividono i problemi, le preoccupazioni disperate e gli intensi sforzi per costruire relazioni intime. L'enfasi esagerata sulle relazioni interpersonali conduce a definire il sé in termini di qualità di esperienze relazionali; - Psicopatologie di Tipo Introiettivo: sono incentrate sugli sforzi per conquistare un sentimento di sé definito e coerente mettendo in secondo piano e distorcendo la qualità delle relazioni interpersonali. Blatt ha iniziato la sua linea di ricerca studiando la depressione, dove ha messo in luce due tipi distinti di manifestazione sintomatologia depressiva e li ha chiamati, seguendo una terminologia già usata da Freud (1914, 1925), Anaclitica ed Introiettiva. Nella anaclitica il paziente manifesta la depressione lamentando prevalentemente perdite affettive e abbandono, mentre nella introiettiva senso di colpa, autocritica e bassa autostima. Questi due pazienti sono diagnosticati entrambi come depressi ma presentano sintomatologie estremamente diverse. È poi passato a individuare due precisi tipi di personalità corrispondenti ai due fondamentali processi che caratterizzano il processo di sviluppo umano, identificabili nella definizione del sé, e quindi lo sviluppo della propria identità sempre più differenziata, e nelle relazioni interpersonali, che devono svilupparsi sempre più in maniera mutua e soddisfacente. Egli ha chiamato questi due processi: - Relazionalità (relatedness); - Definizione di Sé (self-definition). Queste due dimensioni sarebbero le due principali linee di sviluppo della personalità, che interagirebbero in modo dialettico, cioè influenzandosi reciprocamente. Ha poi messo in relazione questo suo Modello a due Configurazioni con la teoria dell'attaccamento, e ha dimostrato come ad esempio la personalità dipendente, istrionica e borderline risultino maggiormente correlate con problemi della dimensione anaclitica, mentre la personalità paranoide, schizoide, schizotipica, antisociale, narcisistica, evitante, ossessivo-compulsiva risultino maggiormente correlate con problemi della dimensione introiettiva. Ipotesi sulla Polarità Costitutiva dei MOI e la Molteplicità in Senso Orizzontale La Teoria dell'Attaccamento pone al centro dell'attenzione il problema della distanza e della prossimità nei rapporti affettivi. I Modelli Operativi Interni (MOI) ansiosi e quelli evitanti sembrano cogliere i due estremi di una polarità costitutiva della soggettività e della mente, immerse tra coinvolgimento e distacco. I MOI insicuri manifestano modalità disturbate di fare esperienza. Seguendo la tipizzazione della ricerca sull'attaccamento, possiamo schematicamente ipotizzare che quando la figura di attaccamento manifesta uno stile rigidamente evitante-distanziante di relazione minimizza gli stati affettivi del bambino, mentre, viceversa, quando il caregiver è ansioso-preoccupato li enfatizza. Bisogna quindi distinguere tra: - Modelli Operativi Interni Evitanti-Distanzianti: difendono dal timore di essere arrendevoli e passivi, mutevoli e alienati, di essere manipolati da chi sta vicino e che viene sperimentato come una minaccia, come colui che si offre come fonte di definizione per il vero significato del proprio sé e dei propri desideri e motivazioni, e che quindi va allontanato. Questi MOI comportano il rischio di sperimentare il sé come vuoto e indebolito per mancanza di scambi affettivi; - Modelli Operativi Interni Preoccupati-Ambivalenti: difendono dal timore che il proprio sé, nel caso in cui sia autonomo e indipendente, possa risultare una fonte di significati che non verrà condivisa da altri, rimarrà isolata. Questi MOI possono condurre ad una confusione interna e quindi aumenterà il bisogno di cercare la fonte della sorgente dei significati negli altri. I MOI insicuri, possono essere intesi come soluzioni difensive a livello sano che sintetizzano il problema dell'intimità e del contatto emotivo, favorendo anche l'integrazione. L'evitante si ripiega su di sé non tollerando il punto di vista altrui, vissuto come minaccia al senso di sé, già profondamente vissuto come vulnerabile e fragile. L'ambivalente rimane attaccato ad una rappresentazione falsa di sé e della relazione, che rischia di giungere alla dissociazione dell'aggressività e dell'autonomia, vissute come inaccettabili dal caregiver. Il crollo della tensione dialettica nel PDM viene descritto o a livello nevrotico quando ci sono conflitti tra i MOI rigidi o borderline dove si vanno a costituito dai Modelli Operativi Interni Dissociati (MOID). Nella salute il vari MOI sono in equilibrio dialettico fra di loro, per cui bisogna distinguere tra: - Livello Sano: il bambino è riconosciuto per quello che è ed è amato. I MOI sono flessibili e in connessione fra di loro; - Livello Nevrotico: i MOI sono in conflitto in quanto contrapposti. Il bambino vivo il conflitto fra l’essere se stesso e mantenere la relazione con il genitore, per cui i MOI si strutturano come rigidi difensivamente su un polo (evitante, allontanamento dagli stati interni, molto utilizzo della razionalità) o sull’altro (ansioso-ambivalente, proiettato verso gli stati interni, poca razionalità); - Livello Borderline: i MOI sono dissociati non ci sono connessioni fra di loro, in quanto il bambino ha dovuto rinunciare a se stesso per rimanere in relazione con l’altro. E' questa la base dell'Identificazione con l'Aggressore proposta da Ferenczi, con relativa introiezione dell’aggressore ed estrazioni di parti di sé. 8. INTEGRAZIONE E MOLTEPLICITA' Una Distinzione Teorica tra due Prospettive Osservative: Contenuti e Processi La mente è un sistema di processi che produce significati. Distinguiamo due Prospettive Osservative sulla Mente e sulla Personalità: - Esperienziale sulla soggettività e sui contenuti: si osserva ciò che una persona può riferire come una propria esperienza, quindi come presente a se stesso; - Strutturale-Funzionale sui processi e sulle strutture mentali: si osserva il funzionamento di una persona e si ipotizza che questo funzionamento sia organizzato attraverso l'attività di processi e di strutture mentali che non possono essere sperimentati soggettivamente in modo immediato. Il PDM suggerisce molti concetti per entrambe queste dimensioni. Per quanto riguarda l'Asse P, quindi la personalità, orienta la valutazione sia sui contenuti tipici dell'esperienza, sia su alcuni processi che caratterizzano specifici disturbi o configurazioni di personalità. Indica inoltre di valutare il livello di organizzazione di personalità attraverso capacità meglio sistematizzate nell'Asse M come capacità o funzioni mentali di base, che sono rappresentate da concetti processuali. Di enorme livello clinico è l'osservazione di come l'esperienza soggettiva della creazione del significato sia connessa ad un Senso di Vitalità Interiore, cioè al senso di avere una mente attiva e funzionante che viene riconosciuta da una figura di attaccamento. Ma il ragionamento clinico deve disporre di modelli che permettano di apprezzare più finemente le variazioni di questo sentimento di vitalità, non soltanto la sua perdita o il suo crollo severo, in quanto queste variazioni qualitative e quantitative sono indicatori dell'attivarsi di differenti processi a livello implicito, come i processi dissociativi, determinanti per la costruzione della vita mentale e relazionale della persona. L'Asse M del PDM è molto utile per la valutazione di questo aspetto fondamentale per la psicopatologia, che può essere definito e osservato secondo logiche che non sono quelle categoriali nosografiche basate su sintomi, comportamenti e tratti. Per esempio, ci si potrà avvalere delle categorie, oltre a quella di capacità di formare rappresentazioni interne, anche di quella di qualità dell'esperienza interna e di capacità di differenziazione e integrazione. Il senso di vitalità non può essere dato per scontato, ma costituisce una potenzialità che si sviluppa e le sue sorti evolutive dipendono dalle relazioni di attaccamento. L'aspetto affascinante, complesso e delicato, dello sviluppo umano è che le esperienze delle relazioni di attaccamento non vengono semplicemente ricordate come contenuti mentali da una struttura già formata, ma contribuiscono anche a formare le regole dei processi e delle strutture che organizzano i ricordi e i contenuti mentali. A differenza di quanto suggeriva la prospettiva pulsionale della psicoanalisi freudiana, la mente costruisce relazionalmente le regole del suo funzionamento durante lo sviluppo. Sul piano epistemologico, le prospettive sui contenuti dell'esperienza e sui processi e strutture, devono essere prospettive relazionali. Le vicende evolutive della soggettività e dell'identità comportano processi che costituiscono la mente attraverso strutture nelle quali possiamo rintracciare la loro radice relazionale, e queste sono i Modelli Operativi Interni (MOI). Modelli Operativi Interni: Molteplicità (Processi Distributivi) e Coesione (Processi Integrativi) Bowlby (1973) propone i MOI come un'alternativa ai concetti psicoanalitici relativi alle strutture mentali che si formano nelle relazioni d'attaccamento. Lo sviluppo dei MOI dipende dalle dinamiche di incontro tra ciò che sorge spontaneamente dal bambino, come soggetto attivo che si pone in relazione con l’altro appena nato, e il riconoscimento di queste potenzialità da parte delle figure di attaccamento. Questo incontro è il Contesto Evolutivo per Comprendere alcune Dimensioni Centrali della Psicopatologia. In tale contesto, l'essere umano si sviluppa attraverso una molteplicità di situazioni interattive e di ambiti relazionali con le figure di attaccamento che, in modi diversi e seguendo alcuni principi evolutivi, cominciano ad essere organizzate in MOI. La Molteplicità è una caratteristica primaria della mente, mentre l'Integrazione di questa molteplicità è una funzione complessa, una istanza presente nella mente e nella relazione come una tensione mai raggiunta definitivamente. La nostra mente si fonda sulla distribuzione di processi fra loro separati che sono i molteplici MOI che possono costruire forme complesse di connessione. Ci deve essere una complessa dialettica tra distribuzione e integrazione, in quanto essa aiuta a comprendere anche le organizzazioni di personalità (PDM). L’attaccamento traumatico si insidia nelle pieghe dei fallimenti di questa molteplicità dove si perpetua il disconoscimento dell’altro. I Due Piani della Molteplicità Psichica Utilizzando la metafora spaziale, la Molteplicità può essere distinta su due piani: - Piano Orizzontale - Molteplicità dei MOI: si possono ipotizzare molti MOI come una molteplicità distribuita di centri o moduli che concorrono a costruire il significato dell'esperienza personale, e che orientano alla ricerca di sicurezza nelle relazioni interpersonali intime, organizzando il comportamento interattivo in figurazioni tipiche, i pensieri, gli affetti, gli stati mentali e gli stili difensivi. Dal punto di vista teorico, possiamo ipotizzare che queste configurazioni tipiche contraddistinguano il carattere o i pattern di personalità individuati nell'Asse P del PDM. Il cambiamento, necessario per lo sviluppo e per la vita stessa, implica la molteplicità insita nell'esperienza del tempo; - Piano Verticale - Molteplicità delle Funzioni dei MOI: si possono considerare i MOI come molteplici moduli stratificati di funzionamento mentale. Molteplici sono quindi anche i livelli di elaborazione attivi in ogni MOI, sia dal punto di vista esperienziale, che da quello strutturale. Da un punto di vista dell'analisi funzionale, ogni MOI della nostra mente funziona come un organizzatore di esperienza a vari livelli sempre più differenziati e complessi. Considerando l'analisi strutturale della mente i primi livelli hanno dimensioni implicite, mentre gli altri si articolano essenzialmente su dimensioni esplicite. I Livelli Espliciti riguardano anche processi relativi all'esperienza soggettiva di conoscere qualcosa, e permettono agli eventi memorizzati, o alle idee, di essere richiamati alla coscienza. I Livelli Impliciti della conoscenza concernono invece prevalentemente il sapere procedurale, il conoscere come fare qualcosa, è inconscia e si riferisce all'acquisizione di abilità e mappe cognitive affettive e interattive. Conclusioni Più l'individuo impara a riconoscere e a conoscere l'intrecciarsi dei differenti livelli di funzionamento, propri e altrui, più la soggettività si amplia, la confidenza con il suo mondo interno diventa consistente ed egli si fa protagonista attivo delle proprie relazioni e della propria vita. Le funzioni integrative e di sintesi del nostro sistema mentale favoriscono le connessioni tra i livelli distribuiti di funzionamento. La psicopatologia può quindi implicare l'alterazione di queste connessioni. PARTE QUARTA VALUTAZIONE DEL FUNZIONAMENTO MENTALE E DELLA PERSONALITA' SECONDO IL PDM 9. LIVELLO DI ORGANIZZAZIONE DELLA PERSONALITA', SALUTE, TRAUMA Prospettiva Evolutiva e Ipotesi sulla Gravità della Psicopatologia In origine, dalle classificazione psichiatriche di fine '800, si evinsero due categorie di gravità psichiatrica molto differenti: - Psicosi: caratterizzate dalla rottura del rapporto con la realtà e ritenuti disturbi inguaribili e organici; - Nevrosi: considerate di origine psichica e che non impedivano al paziente di mantenere il contatto con la realtà. Grazie allo sviluppo di teorie successive, il PDM invita a osservare la psicopatologia e quindi la sua gravità nella prospettiva evolutiva dei livelli di organizzazione della personalità e del funzionamento mentale. Le organizzazioni di personalità sono intese come indicatori del livello evolutivo raggiunto dal funzionamento mentale dell’individuo Le funzioni mentali e la personalità si sviluppano e sono da considerare le potenzialità che l’essere umano ha di dare forma alle sue risorse, interne e ambientali, e alla sua salute. Il Concetto di Salute implica l'esperienza di poter vivere la propria esistenza come occasione di realizzazione di se stessi, di sviluppo delle proprie potenzialità e risorse, nel senso di autenticità e spontaneità. Le funzioni mentali e l’organizzazione della personalità possono anche non svilupparsi in pieno perché distorte da conflitti o danneggiati da processi dissociativi. A differenza delle diagnosi categoriali della nosografia, l'Asse P del PDM permette di descrivere le configurazioni di personalità in termini di rigidità di pattern caratteristici e pervasività nel funzionamento negli ambiti dell’esistenza di un individuo. Il PDM individua in tal senso tre livelli di organizzazione di personalità: - sana; - nevrotica; - borderline. La Salute come Complesso Processo Risultante da Distribuzione e Integrazione nei Diversi Livelli Evolutivi di Organizzazione della Personalità Le differenti organizzazioni di personalità sono il risultato di come i molteplici livelli di funzionamento del MOI e danno forma alla realtà interna e relazionale, contribuendo alla formazione del significato delle esperienze. La salute è il frutto della distribuzione e dell'integrazione di molteplici livelli dei MOI, in un costruttivo rapporto dialettico tra loro. La salute è vista quindi come soggetto attivo padrone della sua esistenza. Vanno poi considerati gli altri due Livelli: - Livello Nevrotico: enfatizza alcuni punti critici per l'esperienza dell'individuo offrendogli una mappa di ciò che può metterlo in difficoltà o metterlo alla prova nei suoi temi più conflittuali; - Livello Borderline: può confondere i confini tra i livelli dei MOI a causa dei processi dissociativi che rendono deficitarie alcune funzioni di integrazione. I Livelli di Funzionamento e la Salute L'esistenza implica lo sviluppo cioè una storia personale e lo sviluppo implica cambiamento. Questo cambiamento non sempre è positivo, ma corrisponde anche alle cosiddette Perdite Necessarie. La concezione attuale di salute in una prospettiva evolutiva deve tuttavia tener conto della fisiologica capacità dell'individuo sano di far fronte a queste perdite, in quanto provocano sì il cambiamento delle condizioni di vita e la sofferenza può essere sì espressa a livelli più simbolizzati o più somatizzati, ma ciò non costituisce malattia. Questa nuova concezione della salute prende le distanze dal concetto di regressione, indicato a fine '800 come processo causa della patologia, in quanto nell'ottica classica tutto ciò che nel funzionamento faceva riferimento a livelli pregressi era considerato regressivo e quindi patologico. Lo stesso avveniva in caso di un ritorno momentaneo a processi di pensiero più somatizzati e meno simbolizzati. In realtà una mente sana è quella che mostra processi flessibili e modulabili. Salute, Sofferenza, Trauma Allo stesso modo non bisogna confondere l'Intensità della sofferenza con la Gravità, in quanto in alcune circostanze della vita possono soffrire di più le persone sane di quelle con organizzazioni patologiche. In questo caso bisogna richiamare alla memoria i concetti di resilienza, stress e capacità di coping. In relazione agli eventi potenzialmente traumatici, e quindi potenzialmente patologici, di importanza fondamentale è il Concetto di Resilienza ovvero la capacità di far fronte a situazioni di forte svantaggio senza mostrare segni di psicopatologia, quindi una sorta di resistenza psicologica. Tronick (2006) afferma che la resilienza comincia a svilupparsi nel bambino che affronta le situazioni stressanti quotidiane, come le esperienze di sintonizzazione e rottura della sintonizzazione. Egli, compiendo degli studi sulle madri depresse, ha dimostrato come i figli facciano difficoltà a sviluppare la resilienza. Quindi se la resilienza è presente vuol dire che il bambino, anche un contesto traumatico, non è stato danneggiato nello sviluppo e non si sono formati i MOID, quindi gli è stato consentito sviluppare un adeguato livello di resilienza.