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COLLANA
TIMONE
ELEMENTI DI
STORIA
DEL PENSIERO
PEDAGOGICO
• Genesi ed evoluzione dei modelli
educativi occidentali
• Teorie e orientamenti pedagogici
della modernità
• Psicopedagogia, «scuole nuove»,
«attivismo»
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
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Gruppodella
Editoriale
Esselibri - Simone
Estratto
pubblicazione
214/3
Estratto della pubblicazione
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono
alla Esselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
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Sociologia generale
Sociologia dei processi culturali
Teoria e tecnica della comunicazione
Psicologia sociale
Psicologia dello sviluppo
Psicologia clinica
Storia del pensiero sociologico
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
Revisione a cura di Gianni Quinto
Editing a cura di Rossella Micillo
Finito di stampare nel mese di giugno 2008
dalla «Officina Grafica Iride» - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)
per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
PREMESSA
Questa sintesi è utilizzabile per qualsiasi facoltà in cui sia previsto l’insegnamento della storia dell’educazione occidentale. Tale percorso ha radici molto lontane, in qualche modo coincidenti con la storia stessa della cultura umana. I contenuti specifici del volume affrontano dunque i grandi
snodi della pedagogia antica, medievale, moderna e contemporanea: ampio
risalto viene dato ai passaggi sociali e culturali in cui sono implicate profonde mutazioni epistemiche dei modelli educativi (in particolare: la nascita della filosofia e del pensiero razionale; i modelli educativi nelle póleis, lo
sviluppo e le infinite filiazioni del concetto di paidéia nella cultura occidentale; i grandi orizzonti aperti dalla riflessione socratica e platonica; la fusione tra oratoria e tradizione nella pedagogia romana; il crollo del mondo
antico e l’enorme influenza dell’ideale cristiano – ascetico, apologetico –
lungo tutto il Medioevo; infine l’articolata storia sociale delle istituzioni
scolastiche religiose e l’avvio di quelle laiche). Viene affrontato successivamente il trasformarsi delle pratiche, dei saperi, delle tecniche educative
sullo sfondo della nascita stessa della modernità: il passaggio dall’Umanesimo al Rinascimento; la progressiva penetrazione del modello letterario
nel pensiero pedagogico (Vittorino, Erasmo, Rabelais); l’epoca della Riforma e della Controriforma e del pensiero utopico (Lutero e i Gesuiti); gli
albori del pensiero scientifico moderno che vedono il consolidarsi di uno
specifico «metodo» pedagogico (Comenio); il passaggio alle grandi modellizzazioni del Seicento (Cartesio, Locke) sino ad arrivare alla rivoluzione
educativa teorizzata e praticata nel Settecento illuminista (il «puerocentrismo» di Rousseau posto all’origine della pedagogia contemporanea, assieme gli esiti della Rivoluzione francese e all’emergere della sensibilità romantica). Gli ultimi capitoli seguono infine le principali tappe della contemporaneità pedagogica. I contenuti si organizzano attorno al diffondersi
della sensibilità romantica e all’esito teorico delle sue tematiche-chiave. Si
approfondiscono progressivamente la rivoluzione educativa e il profilarsi
del concetto di puerocentrismo (Fröbel); la pedagogia scientifica (Herbart);
l’intreccio di positivismo, società industriale, scienze sociali e problemi
educativi. Grande spazio è dedicato alle rivoluzioni epistemologiche del
Estratto della pubblicazione
Novecento ed alle loro ricadute sui problemi della formazione. Il Novecento, come noto, è teatro di molteplici scene: il mix di psicologia e pedagogia;
la svolta attivista europea e americana; il rapporto tra problema educativo e
cultura politica. Notevole risalto viene concesso alle teorie dello sviluppo
cognitivo e a quelle dell’apprendimento (Piaget, Vygotskij, Bruner, Gardner sino alle più recenti prospettive aperte dalle neuroscienze); ai grandi
rappresentanti dell’attivismo pedagogico (dalla Montessori a Dewey); al
rapporto tra educazione e forme politiche di dominio (pedagogie libertarie e
non direttive, controculture, descolarizzazione).
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO PRIMO
LA GENESI DEI MODELLI EDUCATIVI OCCIDENTALI
Sommario: 1. Il cosmo omerico: educazione e virtù. - 2. Nascita della filosofia. - 3.
Educazione e politica: i primi orientamenti.
1. IL COSMO OMERICO: EDUCAZIONE E VIRTÙ
Con ogni probabilità, molto prima della civiltà greca e in molti luoghi
diversi (Estremo e Medio Oriente, Egitto, Mesopotamia, Palestina), si svilupparono civiltà capaci di raggiungere eccezionali elaborazioni culturali
ed educative. Eppure è opinione comune tra gli storici che le prime manifestazioni del concetto «occidentale» di educazione risalgano alla civiltà greca, e più specificamente all’epos omerico (VII sec. a.C. circa): l’Iliade e
l’Odissea determinarono infatti per secoli l’imporsi di alcuni dei modelli
più duraturi dell’intera educazione ellenica. Oltre che sintesi del sapere e
specchio della società della cosiddetta «età arcaica» (che cronologicamente
è situabile tra l’ottavo e il sesto secolo a.C.), essi esprimevano infatti un’ampia
serie di valori e di comportamenti che ebbero diretto influsso sull’educazione dei giovani. Naturalmente, in linea con le tendenze sociali dell’epoca, tra
questi valori risaltano in primo luogo quelli legati alla dimensione militare:
forza, lealtà, coraggio, destrezza nell’uso delle armi, disprezzo della viltà.
Eppure non tutto, in Omero, si risolve nel proporre elementi di educazione
bellica: una funzione elevata comincia infatti ad essere riservata anche ai
comportamenti legati ad un ideale aristocratico (nel senso letterale del termine greco: «dominio dei migliori»), cioè alla capacità di sapersi distinguere nella vita di corte, di celebrare riti, di partecipare a giochi agonali, a canti
e gare di ogni genere: un complesso di abilità che i greci sintetizzavano con
il termine areté («virtù»). In questo senso l’ideale di formazione che emerge dall’epica omerica esprime una visione della vita in cui lo sviluppo del
corpo e della potenza fisica viene costantemente associato all’incremento
delle qualità morali (saggezza interiore, rispetto dell’avversario, onore).
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Capitolo Primo
Trova qui la sua prima formulazione un altro concetto fondamentale della
cultura educativa greca: quello di kalokagathía (dal greco kalós, «bello» e
agathós, «buono»). Con questo termine si intende che oltre al coraggio ed
alla lealtà, l’eroe è anche sempre segnato dall’aspirazione ad una saggezza
(sophrosyne) più profonda, ad un dominio interiore di sé, al controllo delle passioni, tutte caratteristiche che troveranno poi sviluppo, come vedremo
in seguito, nell’elemento centrale della storia dell’educazione greca: la nozione di paidéia.
2. NASCITA DELLA FILOSOFIA
L’impulso che la cultura greca mostrava, già nei poemi omerici, ad oltrepassare i valori fondativi di quasi tutte le altre culture mediterranee e
medio-orientali contemporanee (esaltazione dei valori di lotta e guerra, potere affidato a ristrette caste sacerdotali, religiosità misterica, culti riservati
a pochi iniziati, ricorso a riti magici e sacrificali) divenne poi evidentissimo
tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., quando nelle colonie delle Ionia
situate sulle coste dell’Asia Minore (l’attuale Turchia), la visione del mondo più arcaica andò incontro ad una crisi irreversibile: è a questo periodo
che gli storici fanno risalire la nascita della filosofia e del pensiero scientifico e razionale occidentale. La parola filosofia significa etimologicamente
«amore per il sapere» (dal greco phílos, «colui che ama» e sophía, «sapienza») e indica comunemente la riflessione sui principi generali (fisici, logici, etici) del mondo. Questo evento è stato spesso definito dagli storici come
il «miracolo» greco, cioè come la prima manifestazione del passaggio da
un universo e da una visione della vita di tipo mitico, sacrale, religioso in
cui centrale è la spiegazione della realtà fisica basata sul «racconto» delle
gesta degli dèi («storia», «narrazione», «racconto» sono i significati originali del termine greco myhtos) ad una prospettiva razionale, critica, volta
alla comprensione della strutture logiche e universali della realtà.
Da questo punto di vista non è un caso che i primi passi della filosofia siano stati compiuti
proprio in luoghi di frontiera come Mileto ed Efeso. Mentre infatti le città continentali, lontane
dal contatto con altre popolazioni, rimasero chiuse e vincolate all’orizzonte cosmico e religioso tradizionale, le località coloniali poste ai confini del mare furono segnate da un crescente
dinamismo intellettuale, agevolato dall’incremento delle attività commerciali (specie di tipo
marittimo), da una mentalità complessivamente più duttile e aperta, più tollerante, ma soprattutto più scientifica, diretta verso scopi ben precisi. Con la nascita della filosofia e della scienza (due dimensioni oggi lontane, ma non così allora) al centro della cultura greca viene posta la
La genesi dei modelli educativi occidentali
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razionalità, l’uso metodico dell’intelletto che si sviluppa in forme critiche e che viene a collocarsi al centro di ogni attività sociale.
3. EDUCAZIONE E POLITICA: I PRIMI ORIENTAMENTI
A) Struttura della pólis
Un tale «miracolo» e una tale svolta furono resi possibili dalla particolare struttura socio-politica che gradualmente si venne sviluppando in Grecia
in sostituzione della precedente organizzazione che prevedeva territori indipendenti, piccoli e frazionati. Tale nuova struttura fu la pólis. Si trattava
di una città-stato capace di organizzare un territorio più o meno vasto. Le
póleis erano aperte ai traffici, agli scambi culturali, ai commerci, all’emigrazione. Erano rette politicamente da un’alternanza di regimi (monarchia, oligarchia, democrazia, tirannide) e prevedevano alla base del proprio ordinamento politico l’azione legislativa ed esecutiva di assemblee oltre che una gestione del potere centrata sulle cariche elettive. Le póleis,
potremmo dire, erano dei «micro-stati» in grado di autogovernarsi. L’importanza di questo modello politico fu incalcolabile per lo sviluppo del concetto stesso di democrazia occidentale: nelle póleis ottiene per la prima volta nella storia sociale umana un ruolo centrale la parola, il discorso, il dibattito, il contraddittorio che si svolgeva nell’agorà (cioè la piazza centrale della città). E cioè la pubblica discussione, l’argomentazione, gli interessi comuni, il rispetto per le leggi, ma soprattutto la coscienza civile, il senso
di appartenenza ad una comunità organica di cui vanno rispettate le norme
fondative. In questi straordinari centri di elaborazione di nuovi modelli culturali che furono le póleis, il problema educativo ricevette per la prima volta nella storia un’attenzione assolutamente inedita. Ed è a questo livello che
iniziano anche a delinearsi le prime contrapposizioni educative.
B) Il modello spartano
Sparta e Atene rappresentano in questo senso, in maniera esemplare, i
primi due grandi orientamenti educativi della cultura occidentale. Sparta
era uno stato tipicamente guerriero, dotato di una struttura politico-sociale
estremamente rigida e organizzata secondo una gerarchia di potere che possiamo sintetizzare così:
• spartiati, di origine dorica, liberi, detentori di pieni diritti politici, votati
principalmente alla guerra;
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Capitolo Primo
•
perièci, artigiani e commercianti, sostanzialmente liberi ma esclusi dalla
vita politica e delle decisioni di governo;
• ilòti, schiavi privi di ogni diritto, discendenti di stirpi sottomesse nel
passato, generalmente contadini.
Profondamente segnata dalle leggi e dagli ideali imposti dal mitico legislatore Licurgo (di esistenza storica e datazione incerta: XII o VIII sec.
a.C.), Sparta si organizza secondo un modello di Stato fortemente autoritario e integralmente educativo, nel senso che l’educazione assume un ruolo dominante nell’intero ciclo di vita del cittadino. Si tratta di un ideale
inflessibilmente militare, finalizzato quasi esclusivamente all’efficacia bellica. Vediamolo nel dettaglio.
Giunti all’età di sette anni, i figli degli spartiati venivano posti direttamente sotto il controllo educativo dello Stato. Era prevista una suddivisione in gruppi delineata secondo i diversi livelli di età: fanciullo (8-11 anni);
ragazzo (12-15 anni); iréno o efebo (16-20 anni). Di lì in poi avveniva il
transito alla fase propriamente adulta, cioè l’inserimento dei giovani in branchi (o squadre) poste sotto lo stretto controllo di un sovrintendente generale, il paidónomos (letteralmente: «colui che detta legge al fanciullo»). Il
processo educativo, abbiamo detto, si configurava in modo estremamente
rigido. L’iter iniziava dalla nascita, ma veniva riservato soltanto a neonati
sani, di aspetto forte e promettente (i deboli o malfermi venivano generalmente soppressi). Il contenuto del percorso educativo consisteva essenzialmente in un progressivo affinamento delle capacità psicofisiche. In particolare venivano intensamente curate:
• l’educazione fisica (ginnastica, sport atletici, esercitazioni di guerra,
utilizzo della musica a scopi di incitamento fisico);
• la disposizione all’obbedienza totale (al capo, al superiore, alla patria,
alle tradizioni);
• lo sviluppo di una personalità aggressiva, anche grazie ad una ferrea
educazione del corpo (esemplare, in questo senso, era il ripudio della
pudicizia: i giovani lottavano nudi, così come le ragazze, nude, presenziavano alle cerimonie);
• la capacità di dissimulazione e l’abitudine alla scaltrezza (saper ingannare, rapinare, calunniare persino).
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Quali sono le differenze tra il modello spartano e quello che emerge dai
poemi omerici?
Sostanzialmente tali differenze consistono nel fatto che la durezza dell’educazione e la valorizzazione della guerra a Sparta non sono rivolte a produrre una qualche celebrazione di gesta
eroiche (come in Omero accade per le azioni di Achille, Ettore o Ulisse). Al contrario, tutto ciò
che abbiamo visto serviva in primo luogo al mantenimento del sistema politico, alla sopravvivenza della pólis stessa. L’individuo a Sparta era anzitutto un cittadino obbediente alle leggi
ed alle tradizioni della sua comunità. Il giovane spartano è «patrimonio» di tutti, un bene e un
prodotto di uno Stato che si fa depositario totale dei modelli etici e giuridici, del lecito e dell’illecito, dell’utile e del nefasto. In un sistema così delineato non stupisce che l’educazione culturale fosse quasi inesistente, tanto che alcuni storici ritengono la società spartana quasi illetterata e i suoi cittadini sostanzialmente analfabeti. Siamo agli antipodi, come vedremo subito,
dell’educazione ateniese, che pose invece la cultura al centro stesso del proprio sistema educativo.
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C) L’alternativa ateniese
Nel confronto tra Sparta ed Atene dobbiamo anzitutto considerare le radicali trasformazioni che ebbero luogo, a livello storico-politico, tra l’VIII e il
VI sec. a.C. e l’importanza che rivestirono per lo sviluppo delle due città
antagoniste. L’ascesa di Atene è infatti legata alla costituzione democratica
(da demos, «popolo», e kratos, «potere») instaurata sotto la guida di Solone
(594 a.C.). «Democrazia» ad Atene significò sostanzialmente:
• eguale diritto di parola per i cittadini (isegoría);
• eguale partecipazione di tutti i cittadini (esclusi gli schiavi) all’esercizio del potere (isonomía);
• istituzione di un tribunale del popolo e di un organismo di potere esecutivo (il cosiddetto «Consiglio dei Quattrocento»);
• apertura dei traffici e dei commerci agli stranieri (o metèci) e liberazione dei contadini;
• aiuti pubblici per i più poveri.
Tutto questo generò un miglioramento notevole delle condizioni di vita
dei cittadini, una democratizzazione della vita pubblica ed un conseguente
incremento del commercio, della ricchezza e dunque del potere di Atene su
tutta l’isola. Ma soprattutto stimolò un’eccezionale fioritura della cultura
(a tutti i livelli: arte, poesia, letteratura, scienza, filosofia). Un dato demografico ci aiuta ad immaginare la rivoluzione sociale di cui fu teatro Atene:
nel V sec., un’epoca comunemente indicata come il punto più alto della
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Capitolo Primo
cultura greca, essa contava più di 300.000 abitanti, una cifra eccezionale
per i tempi. Si capisce dunque come il bisogno di cultura dei funzionari, dei
reggitori, della burocrazia nel suo complesso dovesse crescere costantemente.
Non solo: la filosofia, la scrittura, l’oratoria si diffusero anche presso il
popolo e persino la formazione culturale femminile, storicamente trascurata, acquistò pari dignità rispetto a quella maschile.
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Quali furono le conseguenze di questa attività politico-culturale ateniese
sul piano educativo?
Mentre Sparta si chiudeva nella difesa di valori e modelli arcaici legati alla dimensione bellica,
ad Atene si sviluppavano sistemi educativi profondamente alternativi. I segni di questa svolta possono essere visti in primo luogo nella partecipazione concreta dei cittadini alla vita culturale della pólis, che si traduceva nella possibilità per ogni ceto sociale (esclusi gli schiavi) di
assistere sia alle rappresentazioni teatrali, sia soprattutto alle discussioni pubbliche su temi
culturali e politici tenute nell’agorà. Ciò significò una via di accesso a fonti importantissime
per la trasmissione di cultura – come appunto il teatro e la piazza – anche per i ceti subalterni.
In secondo luogo, ad Atene si fa progressivamente strada un ideale di formazione molto alto e
ambizioso, soprattutto se comparato con il modello spartano: un ideale legato proprio ai valori
della parola, dell’eloquenza (l’arte di discutere pubblicamente, che, come vedremo, sarà elevata a livelli altissimi dai sofisti), alla bellezza del corpo e dello spirito e che segna una ripresa
ed un approfondimento della kalokagathía omerica, cioè dello sviluppo armonico della personalità in cui corpo e mente vengono coltivati in pari misura.
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Anche a livello strettamente tecnico-educativo, il problema di un efficace metodo di insegnamento comincia per la prima volta ad essere esplicitamente oggetto di pubblica discussione oltre che di studio. La questione educativa, sia pur a piccoli passi, si delinea cioè come elemento di una ricerca
specifica: siamo agli albori della scienza pedagogica. Non è un caso che
l’organizzazione scolastica ateniese prevedesse un’organizzazione abbastanza articolata e già quasi professionale, basata su un criterio di complessità
didattica crescente. In una prima fase, l’educazione riservata al giovane
veniva impartita in scuole e palestre ed era finalizzata all’apprendimento
della lettura, della scrittura, della musica e dell’educazione fisica. La guida di questi processi di apprendimento era affidata a figure specializzate:
• il grammatístes (insegnante di grammatica);
• il kitharístes (maestro di musica);
• il paidotríbes (educatore nelle discipline atletiche);
Estratto della pubblicazione
La genesi dei modelli educativi occidentali
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In possesso dell’alfabeto, della scrittura e della lettura il giovane veniva
quindi avvicinato alla letteratura: versi, racconti, poemi lirici, discorsi,
encomi e più tardi anche documenti pubblici e decreti, iscrizioni sacre e
soprattutto leggi e documenti legali. Giunto all’età di 18 anni, il giovane
ateniese diventa infine efebo: partecipa alla vita militare e si iscrive al proprio démo (sorta di autonoma delimitazione territoriale della pólis). Ciò
segna cioè, a pieno titolo, il suo ingresso nella vita civile. La cultura ateniese esprime, in conclusione, un radicale mutamento di quel concetto di
areté che avevamo incontrato già nei poemi omerici: dal V sec. in poi, «virtù» non fu più infatti soltanto principalmente sinonimo di coraggio, destrezza o spirito agonale, ma anche e soprattutto di impegno civile, di attività
politica, di cultura e sapienza nell’uso del linguaggio. Comincia il lungo
corso della paidéia occidentale.
CAPITOLO SECONDO
LO SVILUPPO DELLA PAIDÉIA: LA SOFISTICA
Sommario: 1. Il quadro storico-culturale. - 2. La rivoluzione sofistica.
1. IL QUADRO STORICO-CULTURALE
A) Paidéia come «tecnica» pedagogica
Il termine paidéia (da pais, «fanciullo») significa letteralmente educazione, formazione in senso generale, cioè trasmissione del sapere all’interno di un sistema di credenze e di valori. In questo senso già i modelli che
abbiamo esaminato – omerico, spartano e ateniese – rientrano nel concetto
di paidéia. Tuttavia soltanto nel periodo successivo alle trasformazioni subite dalle póleis nel corso del IV sec. a.C. la nozione di paidéia si viene
chiarificando e sviluppando in maniera precisa, generando il concetto moderno di pedagogia, cioè arte e tecnica educativa (techné) e quindi sapere
rigoroso e autonomo. Soltanto infatti dopo il IV sec. la questione dell’educazione si avvia a diventare compiutamente oggetto di scienza (epistéme),
svincolandosi dal campo degli usi e dei costumi, della tradizione, della pura
pratica e portando così a compimento quegli impulsi ad una organizzazione
sistematica della didattica già embrionalmente presenti nell’Atene del V
sec. Il merito di questo sviluppo e di questa chiarificazione va assegnato
principalmente alla Sofistica, una scuola filosofica e pedagogica che si venne
diffondendo proprio tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C.
Prima di esaminare le caratteristiche di questa svolta, chiariamo brevemente il contesto storico-sociale che ne costituì lo sfondo.
B) Mutamenti sociali e politici
Tra i V il IV secolo la società greca va incontro a profonde crisi e mutazioni. Sul piano politico, assistiamo ad un periodo di aspre lotte interne, di
cui la più drammatica fu la «Guerra del Peloponneso», che vide contrapposte Sparta e Atene ma che di fatto coinvolse un cospicuo numero di città
determinandone una decadenza generalizzata. Si tratta di guerre che, nello
Lo sviluppo della paidéia: la Sofistica
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stretto volgere di pochi decenni, originarono una metamorfosi del tessuto
civile delle póleis che implicò spesso anche una corruzione degli usi e dei
costumi tradizionali. Le conseguenze furono piuttosto significative:
• crisi del potere e dell’autorità dello Stato, costantemente minacciati da
nuove formazioni politiche;
• acceso individualismo sociale e politico;
• perdita di prestigio della stessa gloriosa democrazia ateniese, che degenera spesso in demagogia (letteralmente: «inganno del popolo»), cioè
in lotta politica faziosa e sleale;
• forte presenza di nuovi ceti emergenti in cerca di rappresentanza politica, con conseguente pressione sul sistema politico per un ricambio disordinato, disgregante.
In questo clima di frenetici mutamenti, le nuove classi sociali (soprattutto media ed alta borghesia) mirano ad affiancare al potere politico quello
culturale, divenuto essenziale per la carriera politica, per imporsi nelle pubbliche assemblee, per influenzare magistrati e tribunali. Gli intellettuali, i
filosofi, gli scienziati, posti di fronte a una richiesta di mobilità sociale senza precedenti, risposero da un lato accentuando la critica ai residui della
tradizione aristocratico/religiosa, dall’altro garantendo un livello, assolutamente inedito, di «istruzione» nuova, specifica, utilizzabile proprio in campo
politico. Siamo cioè di fronte ad un periodo in cui proliferano ovunque insegnamenti tecnici e specialistici, proprio in relazione al diffondersi di nuove attività professionali: oratoria politica, scienza medica, dottrina militare,
urbanistica, per non citarne che alcune. In questa atmosfera di metamorfosi
e di pressanti esigenze di cambiamento, alcuni intellettuali si imposero su
tutti gli altri: i sofisti.
2. LA RIVOLUZIONE SOFISTICA
A) I professionisti della cultura
Originariamente, il termine sophistés («il più sapiente») vale come semplice sinonimo di sophós («saggio») ed era utilizzato per qualificare l’individuo esperto in tecniche particolari, oltre che lo scienziato, lo studioso dei
fenomeni della natura. Con questo nome erano chiamati, ad esempio, i primi filosofi (i cosiddetti presocratici: Talete, Anassagora, Pitagora, Eraclito,
Parmenide ecc.). Ma ben presto il termine «sofista» venne a denominare
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Secondo
una categoria ben precisa di intellettuali: a partire dal V secolo a.C., sofisti
furono soprattutto dei professionisti della cultura che si proponevano come
primi docenti a pagamento. Suscitando lo scandalo dell’aristocrazia del
tempo, i sofisti furono degli intellettuali in grado di intercettare perfettamente le nuove necessità socio-culturali.
Per un lungo periodo la loro influenza a livello filosofico-educativo fu tale che non è
esagerato ritenerli i creatori del concetto moderno di «scuola». Nonostante fossero maestri
itineranti, costantemente in viaggio di città in città, si imposero, principalmente ad Atene,
come i primi in grado di offrire forme di istruzione di elevata qualità rivolte ad ogni ceto
sociale. Il fatto che in cambio del loro insegnamento ricevessero compensi talora molto alti (e
che pertanto numerosi tra loro si arricchissero cospicuamente) determinò, come abbiamo detto, scandalo generale oltre a ricorrenti accuse di immoralità.
Ma i sofisti furono contestati da quasi tutte le pubbliche autorità anche e
soprattutto a causa di una mentalità chiaramente dissacratoria nei confronti
della morale e delle certezze politiche tradizionali. In particolare, essi sostenevano:
• l’inutilità del ricorso alle antiche tradizioni o ai valori religiosi per l’istituzione delle leggi della comunità: contestavano cioè la derivazione divina dello Stato e la sacralità delle sue leggi;
• l’importanza della libertà individuale e dell’affermazione di sé nella
vita della pólis;
• un’idea molto avanzata di cosmopolitismo politico e culturale, cioè di
apertura e tolleranza nei confronti di altre razze e culture.
Su queste basi, la Sofistica segnò un’autentica rivoluzione culturale,
spostando la speculazione filosofica dalla natura (physis) oggetto di interesse esclusivo dei primi filosofi e scienziati, alla società: invece di indagare il principio (arché) o la ragione (lógos) del cosmo e della natura, i sofisti
approfondiscono lo studio del potere politico, delle leggi della pólis, effettuano una articolata critica alla religione e soprattutto, come vedremo, iniziano ad occuparsi del linguaggio umano e dei suoi poteri. In altri termini,
con la Sofistica il pensiero greco prende coscienza dei limiti stessi della
propria tradizione politica e religiosa, avviando la storia del razionalismo
occidentale, la critica dei dogmi, dei miti, delle tradizioni e delle convenzioni (non a caso si è spesso parlato, a proposito della Sofistica, di una sorta
di «illuminismo greco»). Nasce qui l’idea del relativismo storico, la consapevolezza del condizionamento sociale delle verità scientifiche, delle nor-
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Lo sviluppo della paidéia: la Sofistica
me etiche e degli articoli di fede. Viene teorizzata la relatività del vero e del
falso, del giusto e dell’ingiusto e implicitamente riconosciuta l’origine «pratica» delle valutazioni umane. La stessa democrazia in questo senso rappresenta il presupposto e lo spazio operativo entro cui va collocata la rivoluzione sofistica: l’autorità costituita, le leggi, i riti religiosi cominciano ad entrare in crisi proprio in relazione all’affermarsi di un individualismo sociale
e politico di fondo e quindi come conseguenza stessa del libero spirito democratico.
B) La «virtù» è insegnabile a tutti
Grazie a questo tipo di messaggi libertari, la Sofistica si impose presso il
grande pubblico sino a generare una sorta di «moda» educativa, specie presso
i giovani borghesi. E da questo punto di vista molto significative appaiono
le differenze tra l’approccio formativo da essa proposto e quello legato ai
modelli della tradizione. Mentre nell’età arcaica e aristocratica (VIII-VI sec.
a.C.) – e in parte anche nei primi anni dello sviluppo delle póleis – la sapienza, le tecniche dell’istruzione e della formazione, l’educazione psicofisica e morale venivano affidate in larga misura alla poesia (Omero ed Esiodo) al mito (la religione olimpica) ai racconti degli avi tramandati oralmente di padre in figlio e ristretti ad un numero limitato di cittadini (i figli
dei potenti, gli aristocratici) i sofisti teorizzarono il principio opposto: l’areté,
la virtù, è insegnabile a tutti, a prescindere dalle tradizioni, dal censo, dalla
famiglia di provenienza e soprattutto non è legata a miti, racconti poetici,
pratiche di culto o insegnamenti religiosi. Tutti, in altri parole, democraticamente, possono apprendere la «tecnica» che rende virtuosi: unici requisiti,
lo studio e la possibilità economica.
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Quali furono le conseguenze di questo nuovo approccio alla cultura?
Si tratta di una posizione innovativa e controversa rispetto ai tempi: in una società per molti
versi ancora abituata a considerare la virtù un fatto di eredità familiare, di sangue, di nascita o
di stirpe più che il prodotto di una pratica educativa ben indirizzata, il messaggio sofista appariva pericoloso, trasgressivo, negatore dei valori e della tradizione. Il nuovo concetto di areté
che affiora dalle loro teorie non possiede più in effetti alcun elemento in comune con quello
della tradizione omerica, aristocratica e religiosa: i sofisti diedero inizio ad un tipo di trasmissione culturale molto vicino all’istruzione come viene intesa oggi, cioè come competenza specifica e scientifica. Un sapere che si può apprendere presso scuole specializzate organizzate
secondo cicli di lezioni e programmi didattici ben strutturati.
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Capitolo Secondo
C) La didattica dei sofisti: l’arte del linguaggio
Ma cosa in concreto veniva insegnato nei corsi dei sofisti? Principalmente l’arte (téchne) della parola e del discorso (lógos), cioè la retorica.
Per cogliere il significato dell’enorme successo di questi insegnamenti, occorre infatti considerare che la competenza linguistica, l’arte della persuasione, la capacità di entusiasmare l’uditorio e di commuovere il pubblico
erano diventate, come abbiamo anticipato, qualità centrali nella lotta politica, abilità quasi indispensabili al fine di imporsi nella pólis, di orientare le
votazioni a maggioranza, di ottenere incarichi di governo. La retorica, l’arte
del discorso, divenne cioè una straordinaria tecnica per gestire il potere
politico. I sofisti si proponevano come eccellenti e spregiudicati utilizzatori
e conoscitori di queste arti. Più precisamente, essi diffondevano ed insegnavano due applicazioni fondamentali della retorica:
• la dialettica, o arte della persuasione, del condurre una discussione in
modo convincente, persuasorio, appassionato. A tal fine davano mostra
di elevate competenze linguistiche: non era raro imbattersi, tra i sofisti,
in studiosi di grammatica, sinonimica o etimologia;
• l’eristica, o arte di saper sostenere contemporaneamente una tesi e il
suo contrario. Si tratta di una tecnica utilissima nella professione legale:
i sofisti si mostravano capaci, indifferentemente e con pari abilità, di
sostenere sia l’accusa che la difesa di un imputato oppure di dimostrare,
grazie all’uso di articolati artifici linguistici, la verità o la falsità di qualsivoglia posizione, fosse anche la più paradossale.
Questa estrema sapienza retorica apriva la strada ad un tipo di intellettuale totale, enciclopedico, in grado di praticare ad alto livello un nuovo
ideale culturale: quello della polimathía, o competenza universale, una prospettiva secondo cui proprio la conoscenza di ogni tipo di scienza (dalla
matematica alla geometria, dall’astronomia alla filosofia, dalla politica alla
musica) potesse essere utilizzata come fondamento dei più vari discorsi
persuasori.
D) Le accuse ai sofisti
Tutto ciò non poté non generare ben presto la duplice accusa ai sofisti
di essere da un lato dei «relativisti», cioè negatori dei valori e della verità
stessa (sono le critiche che ad essi rivolgeranno Socrate e Platone, come
vedremo); dall’altro dei puri «illusionisti» della parola, cavillatori inganne-
Estratto della pubblicazione
Lo sviluppo della paidéia: la Sofistica
17
voli pronti ad arricchirsi a danno dei più deboli. (Da ciò deriva peraltro il
carattere negativo che ancora oggi possiede il termine «sofisma»). Si tratta
di critiche che colgono solo in parte nel segno. Certamente appaiono giustificate se rivolte al punto cieco cui la pratica retorica ed eristica venne spinta
dai tardi rappresentanti della scuola (la cosiddetta «seconda Sofistica»: Cizico e Menone soprattutto). Ma sono sostanzialmente limitative se riferite
ai due esponenti maggiori: Protagora di Abdera (484-411 a.C.) e Gorgia
di Leontini (484-376 a.C.).
Al primo viene attribuita la celebre espressione «l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle
che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono», il cui significato, oltre
ad una attestazione di soggettivismo sul piano filosofico, implica un riconoscimento della
legittimità delle varie opinioni (dóxai), della mutevolezza e convenzionalità delle concezioni
etiche e implicitamente un impulso alla tolleranza nei confronti dell’altro, del diverso, dello
straniero. A Gorgia, più audace e corrosivo nei confronti del costume tradizionale di quanto
non fosse Protagora, viene generalmente ascritta una posizione nichilista dal punto di vista
teoretico («Nulla esiste; se anche esistesse non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile») e una concezione di estrema apertura culturale, secondo cui
non solo le credenze e le opinioni degli individui costituiscono un prodotto delle circostanze
storiche e ambientali, ma anche i suoi atti risultano spiegabili alla luce di eventi di cui non
sempre si è responsabili. Esemplare è in questo senso il suo Encomio di Elena, un testo volutamente paradossale e anticonformista, volto a sovvertire una delle più radicate convinzioni
della tradizione greca. In esso Gorgia tenta di dimostrare come Elena, l’adultera moglie di
Menelao – colpevole, secondo l’antica leggenda, di aver provocato con il suo tradimento la
guerra di Troia – in realtà fosse stata vittima della potenza persuasoria dei discorsi di Paride, il
suo seduttore, e pertanto moralmente incolpevole.
Possiamo dunque, in conclusione, sintetizzare in questo modo la portata
della rivoluzione sofistica. Essa, sia pur in misura controversa:
• contribuì alla democratizzazione della cultura e dell’istruzione;
• sviluppò in misura articolata un’ideale culturale basato sul potere della
parola e sulla conoscenza del linguaggio;
• favorì in misura decisiva la nascita della pedagogia, affermando l’importanza centrale e la funzione dell’insegnamento come processo tecnico e razionale mirato a trasmettere competenze specifiche rivolte a fini
determinati.
Con la Sofistica, in altri termini, comincia a venir meno l’assunto secolare che vedeva nel possesso della cultura un privilegio e un potere di pochi
eletti, e si fa strada invece, poco a poco, una visione del sapere come patrimonio di tutti.
CAPITOLO TERZO
L’EDUCAZIONE TRA DIALETTICA E RETORICA
Sommario: 1. Socrate: educazione come ricerca. - 2. Retorica ed etica in Isocrate.
1. SOCRATE: EDUCAZIONE COME RICERCA
A) Il metodo socratico
Secondo la tradizione, Socrate non scrisse nulla. Il suo insegnamento è
affidato alla testimonianza diretta dei discepoli e soprattutto all’opera di
Platone che fece di Socrate il protagonista della maggior parte dei suoi scritti.
Vi è tuttavia una certa distanza tra l’interpretazione che Platone ci lascia del
pensiero socratico e le testimonianze provenienti da altri discepoli, noti come
fondatori delle cosiddette «scuole socratiche minori»: i megarici (il cui
iniziatore fu Euclide di Megara) i cinici (con a capo Antistene di Atene) e i
cirenaici (seguaci di Aristippo di Cirene). Mentre infatti questi ultimi tendono ad avvicinare il pensiero del maestro alla pratica ed alla dottrina sofistica, secondo Platone Socrate fu al contrario il loro più temuto avversario.
Il nodo centrale della contrapposizione tra Socrate e i sofisti secondo la
ricostruzione di Platone (e, successivamente, anche di Aristotele) è ravvisabile nel fatto che egli avrebbe costantemente contrapposto all’ideale esclusivamente retorico dei sofisti la necessità (etica e razionale ad un tempo) di
raggiungere un sapere certo e scientifico. Ciò che infatti distinse nettamente la pratica pedagogico-filosofica di Socrate da quella sofistica (oltre al
fatto che egli non chiedeva compensi) attiene sostanzialmente al metodo
educativo e alle sue premesse logiche. Cerchiamo di schematizzare:
• Socrate, a differenza dei sofisti, non teneva lunghi discorsi, né ricorreva ai trucchi dell’eristica se non in senso ludico o ironico;
• la sua tecnica era centrata sull’interrogazione: il metodo socratico implica un fitto dialogo con l’interlocutore, costituito da continue domande e risposte.
La premessa metodologica consisteva nel fatto che Socrate, di nuovo in
contrapposizione alla pratica sofistica, non si mostrava padrone di un sapeEstratto della pubblicazione
L’educazione tra dialettica e retorica
19
re ben definito in partenza, di una techné: egli era solito affermare di «sapere di non sapere». Amava proporsi cioè come un individuo in costante ricerca della verità. La sapienza, secondo Socrate, è raggiungibile solo al
termine di un percorso lungo e difficoltoso, fatto di comunicazione e dialogo profondo con l’allievo. (Da ciò deriva anche l’importanza delle relazioni
affettive e sessuali che egli era solito intrecciare con i suoi allievi; nell’antica Grecia, peraltro, i rapporti tra individui dello stesso sesso erano piuttosto diffusi e non venivano percepiti in alcun senso come una forma di «devianza» psicologica o morale. Da un punto di vista storico è utile ricordare
infatti che la condanna dell’omosessualità verrà diffusa in Occidente principalmente in seguito all’imporsi della dottrina morale cattolica).
La professione socratica di ignoranza, il suo «sapere di non sapere»
diventa così paradossalmente la più intensa spinta alla parola di verità (parresía), alla ricerca del sapere autentico, dell’epistéme, della scienza, un perfetto esempio della filosofia nel senso etimologico del termine, cioè «amore», «ricerca» della sapienza. In questo senso, facendo suo l’antico motto
attribuito all’oracolo di Delphi (gnóti seautón, «conosci te stesso»), Socrate
intraprende un’azione educativa a vasto raggio diretta ai cittadini della pólis
ateniese e finalizzata alla liberazione dai pregiudizi e dalle false credenze. A
questo livello si situano le due tecniche fondamentali del metodo socratico:
• l’ironia, cioè l’arte di condurre sottilmente all’autocontraddizione i suoi
oppositori: fingendo di voler apprendere dal suo interlocutore, e sempre
attraverso una densa rete di domande e risposte, in realtà Socrate mira a
smascherare l’ignoranza e le false certezze dell’avversario;
• la maieutica, o «arte di far partorire». Socrate, giocosamente, sosteneva
di averla appresa dalla propria madre, di professione nutrice, con la differenza che mentre ella aiutava i corpi lui si rivolgeva alle anime. Si
tratta di un procedimento dialogico grazie a cui, con l’ausilio di una
tecnica accurata e razionale volta alla definizione precisa dei problemi e
dei concetti (molto lontana dai paradossi dei sofisti, spesso volutamente
finalizzati ad «aggirare» la logica del discorso) è possibile giungere a
verità incontrovertibili e universali. Definire esattamente un concetto
(ad esempio la «virtù» di cui parlavano i sofisti) significa per Socrate
conferire alla parola, al lógos, quella dimensione di verità anche etica
che l’abuso di retorica ed eristica sembrava averle negato (in questo
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Terzo
senso si è parlato di «intellettualismo etico» in Socrate, cioè di un legame inscindibile tra morale e razionalità). Esemplificativo della pratica
maieutica socratica è il caso riportato da Platone nel Menone, un dialogo in cui Socrate, attraverso domande mirate, riesce a far dimostrare un
complesso teorema di geometria ad uno schiavo privo di ogni cultura.
L’altra grande innovazione di Socrate nel campo educativo è a prima
vista meno evidente, ma probabilmente più decisiva. Abbiamo detto di come
tra le accuse rivoltegli ci fosse quella secondo cui egli avrebbe introdotto
nuove divinità. Probabilmente il riferimento era ad una sua costante abitudine, quella di far ricorso ad un non meglio precisato dáimon («demone»)
interiore come guida delle sue azioni educative. In realtà, dal punto di vista
storico-educativo, sotto questa figura simbolica del «demone» socratico probabilmente si cela la più complessa novità della sua prospettiva: la scoperta
dell’interiorità, della «psiche» nel senso moderno della parola e del suo
corollario, la coscienza morale intesa come caratteristica soggettiva, come
personale responsabilità di fronte alle scelte etiche e non come passiva sottomissione alle norme morali vigenti o ai precetti della tradizione.
2. RETORICA ED ETICA IN ISOCRATE
I problemi aperti dall’insegnamento socratico, cioè la necessità che l’educazione facesse centro verso la verità e il possesso di regole etiche universali, penetrarono in parte anche in una delle prime istituzioni educative specificamente dedicate all’apprendimento della retorica: la scuola fondata
attorno al 390 a.C. ad Atene da Isocrate (436-338 a.C.), che precede di
alcuni anni la fondazione della celebre Accademia platonica. Di Isocrate,
allievo dei sofisti ma in contatto anche con l’insegnamento socratico, ci
rimangono, oltre a numerose orazioni politiche e forensi, due trattati fondamentali: il primo, significativamente intitolato Contro i sofisti, costituisce una sorta di manifesto espositivo della sua scuola, redatto proprio al
fine di distinguere il proprio messaggio pedagogico da quello dei suoi antichi maestri; la seconda opera, l’Antídosis (Sullo scambio) è dedicata, similmente alla prima, ad una difesa dei propri presupposti educativi.
La scuola isocratica è sostanzialmente finalizzata alla formazione del
perfetto oratore. La didattica durava quattro anni e comprendeva l’insegnamento della dizione e dello stile, ma anche – e questo è l’elemento di
distinzione rispetto ai sofisti – ciò che egli definì una «filosofia generale
Estratto della pubblicazione
L’educazione tra dialettica e retorica
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della vita pratica» guidata da principi etici e non solo retorici. Isocrate è in
effetti probabilmente il primo tra gli studiosi e gli insegnanti di retorica che
opera una critica ai sofisti sul loro stesso terreno. In particolare:
• contesta loro un eccesso di tecnicismo e di professionismo fini a se stessi;
• critica la pretesa di voler costruire discorsi considerati validi soltanto
perché «armonicamente» composti o stilisticamente perfetti;
• sostiene la necessità, per il discorso retorico, di essere sempre legato o
aderente alla verità effettiva delle circostanze di cui tratta.
Poiché infatti per Isocrate la parola è un «dono divino», l’oratore dovrà
mostrarsi in primo luogo interessato alla verità profonda del suo «dire»:
accanto alle regole tecniche o interne di buona costruzione del discorso (arte
in cui, come abbiamo visto, eccellevano i sofisti), occorre sempre considerare la necessità di un ordine morale esterno al discorso. In questo senso si
spiega l’ampio corredo di nozioni che Isocrate prevedeva come sfondo culturale del perfetto oratore: l’esperto di retorica dovrà non solo conoscere le
molteplici téchnai di discorso anche, a fondo, la letteratura e la filosofia.
Da questo punto di vista, dobbiamo ad Isocrate la prima formulazione di quell’ideale di
cultura che nei secoli successivi verrà definito «umanistico» e che consiste nel porre alla base
di ogni sapere specialistico una formazione di carattere generale. Il programma culturale di
Isocrate propone una paidéia fondata sulla retorica non solo in quanto «tecnica del dire» o
«arte della persuasione», ma in quanto capacità di esprimere contenuti concettualmente ed
eticamente validi in forma appropriata: la paidéia diventa così lógos nel senso più alto, discorso di verità (parresía), parola in grado di generare una cultura e trasmettere sapere. La riconosciuta perfezione dello stile di Isocrate e la bellezza delle sue orazioni – motivi non certo
secondari del suo successo – vanno dunque considerate non tanto come un valore in sé quanto
come spinta ad una formazione del cittadino ampia e generale che colloca al vertice delle
discipline la dottrina della parola. L’influenza di Isocrate fu enorme: per tutta l’antichità, salvo
rarissime eccezioni, retorica divenne sinonimo stesso di cultura.
Estratto della pubblicazione
CAPITOLO QUARTO
I SISTEMI EDUCATIVI DI PLATONE E ARISTOTELE
Sommario: 1. Il contesto storico-culturale. - 2. Il sistema platonico. - 3. Politica e
pedagogia in Aristotele.
1. IL CONTESTO STORICO-CULTURALE
Per comprendere le caratteristiche del pensiero platonico, e le cause della sua enorme influenza sul pensiero occidentale, non si può prescindere
dalla crisi politico-culturale che ne determinò la genesi. L’epoca in cui visse
Platone (Atene 428-347 a.C.) è infatti segnata da eventi storici decisivi:
• il tramonto del periodo di splendore della Grecia di Pericle e i residui
della guerra del Peloponneso (404);
• il fallimento dell’esperienza aristocratica dei Trenta Tiranni ad essa
successiva (404-403);
• il tortuoso ritorno ad una democrazia fortemente diversa da quella precedente e subito drammaticamente macchiatasi della morte di Socrate.
Si tratta di aspetti che delineano un chiaro clima di decadenza civile e
politica. Tale situazione di crisi filtra anche nell’ambito culturale: si manifesta infatti sempre più spesso da un lato un’esasperazione delle pratiche
retoriche dei sofisti (sviluppate soprattutto dalla cosiddetta «seconda sofistica») dall’altro una visibile frammentazione e dissoluzione del grande insegnamento socratico in una serie di scuole «minori». Platone, il più notevole discepolo di Socrate, percepisce chiaramente l’enormità della crisi in
cui si trova a vivere. La sua reazione è duplice:
• come uomo politico, si dimostra fortemente interessato a perseguire il
raggiungimento di una stabilità politica sul modello della tradizionale
società aristocratica;
• come intellettuale, radicalizza invece la crisi stessa, facendone una questione generale dell’individuo nei confronti della realtà nella sua totalità.
I sistemi educativi di Platone e Aristotele
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Da questo punto di vista il problema di partenza di Platone è proprio nel
tentativo di comprendere le ragioni profonde della morte di Socrate: se è
stato possibile uccidere «l’uomo più giusto», forse il malessere sociale ha
raggiunto il suo culmine. Per contrastare tale degrado, Platone da un lato si
convince dell’insufficienza di un semplice mutamento di forme governative (e ciò si traduce nel suo abbandono della politica effettiva); dall’altro
della necessità di una riforma radicale dell’esistenza umana. Una riforma, o
meglio, una rivoluzione: culturale, etica, filosofica, politica e pedagogica
nello stesso tempo.
2. IL SISTEMA PLATONICO
A) I capisaldi filosofici
Di nobile origine, Platone ebbe presto un’educazione filosofica, nonostante i suoi scritti giovanili siano sostanzialmente di tipo letterario. Fu la
conoscenza di Socrate a spingerlo verso filosofia e dal momento in cui Platone ne divenne discepolo, l’intera sua produzione si sviluppa come un complesso, costante esame interpretativo della personalità e dell’insegnamento
del maestro (non a caso Socrate è anche il protagonista di tutte le opere
platoniche, redatte tutte in forma di dialogo tra uno o più partecipanti). Il
centro della filosofia platonica è la celebre teoria delle idee. La sua origine
è da vedersi da un lato nell’approfondimento del concetto di scienza (epistéme), dall’altro nell’intensificazione della polemica socratica contro i sofisti come assertori della pura opinione. Questi due elementi spingono Platone a alla ricerca di un fondamento oggettivo per la scienza e per la vita
politica. Possiamo sintetizzarne i presupposti in questo modo:
• assieme al momento critico dell’insegnamento socratico (l’ironia), occorre sviluppare l’aspetto costruttivo (la maieutica), ossia quella capacità di portare alla luce l’ordine universale sul quale dovrà fondarsi
sia la vita politica che quella filosofica;
• questo ordine e questo fondamento possiamo raggiungerlo praticando
una conoscenza interiore nel senso specifico di «reminiscenza» (anámnesis), cioè di ricordo dei contenuti universali presenti nell’anima.
Secondo uno dei miti più fondativi di Platone, la nostra anima, prima di
«cadere» nel corpo ha avuto la possibilità di contemplare le essenze
eterne della realtà, che lui definisce «idee» (in greco éidos significa con-
Estratto della pubblicazione
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Capitolo Quarto
temporaneamente «visione», «forma», «modello»). Discesa successivamente nel corpo, e divenutane prigioniera, le ha dimenticate e tuttavia
non dissolte: si tratta di recuperarle attraverso un procedimento maieutico, che è al tempo stesso logico, etico e psicologico.
Oggetto della scienza, secondo Platone, non può essere ciò che viene
esperito attraverso i sensi, in quanto essi sono mutevoli e imperfetti (costituiscono il regno della pura dòxa, cioè dell’opinione mutevole e soggettiva). Oggetto proprio della scienza sono soltanto le «idee». In senso moderno utilizziamo questo termine per delineare una rappresentazione o un prodotto concettuale della nostra mente. Platone intende invece l’idea, anzi
l’insieme delle idee, come entità immutabili e perfette che costituiscono
una zona d’essere altra dalla nostra: tale spazio soprasensibile Platone lo
definisce poeticamente e metaforicamente «iperuranio» (in greco, letteralmente, «al di là del cielo»). In questo senso:
• le forme, o idee, sono gli archetipi (o modelli) delle molteplici cose
sensibili;
• il mondo quotidiano (legato ai sensi, alle opinioni, alla corporeità) è
semplice copia di quello iperuranio che ospita il regno delle idee;
• oggetto della filosofia, cioè della scienza più alta, è la contemplazione
di tale dimensione superiore, che in ultima analisi coincide con l’idea
del Bene.
Su queste basi – e attraverso un insieme di temi elaborati nella parte
centrale della sua produzione che vertono su problemi specifici di metafisica, di etica e politica, ma anche di teoria dell’arte e della bellezza – nella
fase matura Platone giunge ad elaborare la sua grande prospettiva politica,
che è anche in diretta connessione con la sua proposta pedagogica.
B) La prospettiva politico-educativa
La forma e la struttura dello Stato teorizzate da Platone prevedono una
fondamentale tripartizione delle classi sociali, sostenute da una rigida gerarchia, definita in base alle capacità dei singoli cittadini: buléutes (o reggitori), ausiliari (o militari) e artigiani. La funzione sostanziale dello Stato
secondo Platone è infatti quella di assegnare a ciascun cittadino il mestiere
più adatto. L’educazione ha pertanto il valore fondamentale di scoprire e
valorizzare le diverse attitudini dei cittadini. L’ordine politico in effetti, secondo Platone, può considerarsi assicurato soltanto nel momento in cui cia-
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