La paidéia filosofica (prima parte) La nascita della filosofia. In Grecia, intorno al VII secolo a.C., nasce la filosofia (dal greco, philéin = “amare” e sophía = “sapienza”, quindi “amore del sapere”. Il filosofo è “colui che ama il sapere”, chi ricerca con passione la conoscenza). La filosofia è una forma di riflessione e ricerca che, diversamente dalla religione e dal mito, cerca di spiegare la realtà servendosi della ragione. I filosofi diedero un contributo fondamentale alla formazione greca, soprattutto a partire dal V secolo a.C., con il rapido evolversi della società in senso democratico. Il modello democratico ateniese. Nel periodo che va dalla vittoria sui Persiani (478 a.C.) fino all’inizio della seconda guerra del Peloponneso (431 a.C.), l’intero mondo ellenico conosce una notevole fioritura sociale e culturale: l’economia agraria lascia il posto al nuovo modello artigianale e mercantile; alla società aristocratica chiusa (dove lo status sociale dipendeva dalla nascita) subentra una società dinamica e aperta (caratterizzata dalla mobilità di classe legata alla ricchezza e alla capacità individuale). Dal punto di vista politico, nel V secolo a.C., si afferma ad Atene e in altre città il modello della democrazia diretta assembleare, alla quale tutti coloro che hanno lo status di cittadino possono partecipare in prima persona (sebbene restino comunque esclusi sia le donne, sia gli schiavi e i meteci, cioè gli stranieri liberi). Queste trasformazioni determinano l’abbandono dei temi naturalistici (di cui si erano occupati i primi filosofi) e la centralità dell’interesse per l’uomo. I sofisti e Socrate, sono i maggiori rappresentanti di questo nuovo interesse: per entrambi, la filosofia ha come oggetto l’uomo e la società, e si realizza nella città, in una dimensione sociale e interpersonale1. È la democrazia lo spazio dei nuovi filosofi. L’esigenza della formazione politica viene posta per la prima volta con forza, affinché i cittadini possano partecipare attivamente alle discussioni per la risoluzione dei problemi della comunità, alla decisione delle soluzioni e alla loro conversione in leggi. I sofisti furono i primi a offrire un “saper fare” (l’arte di costruire discorsi persuasivi), adeguato alla nuova situazione e ai nuovi bisogni, fondamentale in una democrazia che ha come cuore l’assemblea. Socrate, in polemica con i sofisti, invitava i suoi concittadini ad andare oltre il linguaggio, la retorica, alla ricerca dei valori senza dei quali un uomo non sarebbe tale, né sarebbe un buon cittadino. Con i sofisti e con Socrate si assiste ad una svolta antropologica: lo sguardo filosofico non è più rivolto al mistero dell’universo, ma all’uomo e alla città, con lo scopo di contribuire a risolvere i problemi della comunità. Dalla centralità dell’universo si passa alla centralità dell’uomo, alla ricerca della felicità. L’educazione forma gli individui e ogni individuo forma il proprio destino. I sofisti maestri d’arte politica Nel V secolo a.C., con la trasformazione della pólis in senso democratico, si afferma una nuova categoria di intellettuali e di educatori: i sofisti, i quali furono “insegnanti di professione”, dediti, dietro pagamento, alla formazione dell’ “uomo politico”. La Città-Stato si regge sulle leggi fatte dagli uomini, e ogni cittadino può partecipare alla vita politica, battendosi per far prevalere la propria opinione. Pertanto diventa importante saper convincere gli altri e questo è ciò che i sofisti insegnavano. La verità non è accessibile all’uomo (contraddittorietà delle tesi, differenze fra i punti di vista e fra le culture). La filosofia deve occuparsi non delle verità assolute, ma dei problemi della comunità. Il linguaggio, liberato dal vincolo della verità, assume un ruolo fondamentale nella democrazia: far prevalere la proposta più utile e trasformarla in legge. Le leggi non hanno rapporto con la verità, ma sono semplici convenzioni umane. 1 Con l’inizio della seconda guerra del Peloponneso, il modello delle póleis si avvia a un rapido declino. Dopo il governo dei Trenta Tiranni imposto da Sparta, la restaurazione democratica ateniese pronuncia la condanna a morte di Socrate (399 a.C.). 1 Testo. Platone: Protagora e l’essenza dell’insegnamento sofistico (p. 79) In questo passo Protagora (uno dei maggiori rappresentanti della sofistica) parla con Socrate, illustrandogli le peculiarità del suo insegnamento. Protagora si proclama maestro di “accortezza” e di abilità nella vita politica, dicendosi in grado di formare “buoni cittadini” con la propria arte (tecnica). I sofisti si ritengono esperti nelle “tecniche” della dialettica e della retorica, il cui insegnamento (dietro pagamento) mettono a disposizione di chiunque voglia affermarsi sulla scena politica. La dialettica è l’abilità di prevalere sull’interlocutore, a prescindere dalle posizioni sostenute; la retorica è l’arte di persuadere il pubblico, esprimendosi con eleganza ed efficacia2. Secondo i sofisti, di qualunque questione si può sostenere efficacemente sia una posizione favorevole, sia una posizione contraria. Testo. Platone: Gorgia e l’importanza pedagogica della retorica (p. 80) In questo passo Gorgia si rivolge a Socrate, esaltando la retorica come arte della persuasione. Gorgia sostiene che un buon retore è in grado di parlare di qualsiasi argomento in modo da convincere e imporsi su qualunque avversario, anche più preparato e competente di lui. La retorica come arte della persuasione non è in sé negativa, egli sostiene: solo il suo cattivo uso è da biasimare. Accanto alla retorica e alla dialettica, tra i capisaldi del percorso formativo i sofisti propongono l’acquisizione di un sapere di carattere enciclopedico (una cultura vasta che tocchi un po’ tutti gli ambiti, detta in greco polymátheia3), che possa servire da solida base culturale per costruire discorsi efficaci. I sofisti pongono al centro della loro ricerca l’essere umano e la vita sociale. Essi considerano l’educazione molto importante, perché ogni individuo, se correttamente educato, può affermarsi nella vita politica, a prescindere dalla sua origine o condizione sociale. L’areté non è, per loro privilegio, dell’aristocrazia. In quanto la virtù si identifica con il sapere, essa è anche insegnabile, pertanto l’istruzione e l’educazione permettono di acquisire un grande potere. Paidéia, che più anticamente significava “allevamento e cura dei fanciulli”, ora, con i sofisti, diventa sinonima di “cultura” e di “educazione mediante la cultura”4. Socrate, educatore che “sa di non sapere” Socrate condivide l’interesse dei sofisti per l’uomo. Tuttavia, egli ritiene che costoro, pur dichiarandosi maestri di virtù, eludano la domanda su che cosa realmente essa sia. Secondo Socrate, l’areté non si conquista attraverso la cultura generale o l’acquisizione di una “tecnica” (come la retorica), ma attraverso una ricerca rigorosa e incessante, che può compiere solo chi ha le qualità morali per farlo (formazione intellettuale e formazione morale sono inscindibilmente legate). Socrate identifica la virtù con la conoscenza del vero Bene e ritiene che la si può raggiungere solo con la ricerca filosofica. Ciò non significa, tuttavia, che gli uomini che si dedicano alla filosofia siano “sapienti”, anzi l’unica cosa che Socrate dice di sapere è di “non spere”. Con questa espressione (“so di non sapere”) egli intende che il dovere dell’uomo è cercare incessantemente, senza adagiarsi sulle conoscenze già raggiunte come se fossero definitive: “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”. Socrate afferma che la sua “missione” consiste nella ricerca del Bene. Questa ricerca non avviene in modo isolato e individualmente, ma al contrario attraverso un continuo dialogo con gli altri cittadini. Nelle occasioni di dialogo che si svolgevano ad Atene nell’agorà (la piazza degli affari e della vita politica), Socrate conduceva i propri interlocutori a cercare di definire determinati concetti in maniera razionale e rigorosa, facendo loro domande del tipo: “Che cos’è il bene?”, “Che cos’è la giustizia?”, “Che cos’è la bellezza?”, “Che cos’è l’uomo?”, “Che cos’è l’amore?”, “Che cos’è l’anima?”. Queste domande incalzanti servivano a Socrate per avviare il dialogo educativo, il quale si basa su due momenti: 2 l’ironia, con la quale Socrate distrugge le false convinzioni dell’interlocutore; Per approfondimenti sulla retorica: http://it.wikipedia.org/wiki/Retorica 3 Le discipline insegnate dai sofisti sono quelle che all’inizio del Medioevo andranno a costituire il Trivio (grammatica, dialettica, retorica) e il Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) 4 Infatti per noi “pedagogia” (anche se deriva dalla parola greca páis = fanciullo) non si riferisce solo all’educazione del fanciullo ma all’educazione di tutti gli individui 2 la tecnica maieutica (in greco, téchne maieutiché, letteralmente “arte ostetrica”), con la quale Socrate incoraggia e aiuta il suo interlocutore a cercare la verità dentro di sé e a “portarla alla luce”. Pertanto il metodo Socratico non consiste nei lunghi discorsi dei sofisti, ai quali l’allievo assiste passivamente, ricevendo nozioni “dal di fuori”, ma in discorsi brevi, composti di tante domande mirate a far scoprire al discepolo la verità che abita dentro di lui. Testo. Platone: Socrate e l’ “arte dell’ostetrico” (p. 83) In questo passo, Platone delinea i tratti dell’arte maieutica di Socrate, il quale si paragona a una levatrice. Così come la levatrice aiuta le partorienti a dare alla luce i loro figli, così il filosofo aiuta i suoi interlocutori a partorire idee. L’ “ignoranza” di Socrate diviene stimolo educativo perché l’altro generi un proprio autonomo pensiero. Proprio grazie alla sua “ignoranza” Socrate può aiutare l’interlocutore a trovare da sé la conoscenza, la quale è già nell’individuo, va solo “tirata fuori”, “portata alla luce”5. Diversamente dai sofisti, Socrate non ha “allievi”, né si ritiene un “maestro”, non pretende compensi in denaro e si affida solo al dialogo vivo: per questo non scrive libri e non fonda scuole. Tutti i cittadini sono i suoi interlocutori e i dialoghi si tengono nella piazza, oppure in abitazioni private. La ricchezza della riflessione socratica sarebbe per noi perduta se non fosse per il suo geniale allievo Platone, che ne ha tramandato il pensiero, seppur modificandolo in parte, nei suoi Dialoghi (= le opere scritte pervenuteci di Platone). 5 Non a caso la parola italiana “educare” viene dal latino “ex-ducere”, che significa “portare fuori” 3