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Investment Research
di Eric Chaney, Chief Economist AXA Group & Head of Research AXA IM
04 Gennaio 2016
Quando le prospettive non sono brillanti, basta poco
per far aumentare la volatilità
Prima di tutto, i miei migliori auguri di Buon Anno a tutti i nostri lettori.
Come abbiamo spiegato nell’Outlook 2016 di AXA IM Research, quest’anno non ci aspettiamo grandi sviluppi sul fronte
dei rendimenti finanziari: la crescita globale probabilmente resterà stagnante, di poco superiore al 3%, e la fase di rialzo
dei mercati azionari iniziata nel 2009 ha ormai esaurito il suo corso. Eppure il primo giorno di negoziazioni dell’anno è stato
un vero e proprio shock, l’indice cinese CSI 300 è sceso del 7,0%, il Nikkei del 3,1% e lo Stoxx50 del 2,4%. Nel momento
in cui scriviamo l’indice S&P 500 ha perso il 2,0%. Apparentemente questi ribassi sono stati provocati dal mercato cinese
in caduta libera che ha attivato le misure d’emergenza predisposte dalle autorità del paese. Ma cosa ha provocato la
correzione in Cina?
Tra i soliti sospetti ci sono l’indice PMI cinese (Caixin) sotto tono, la scadenza del divieto sulle vendite allo scoperto imposto
dalle autorità cinesi agli azionisti di maggioranza durante la fase di turbolenza dei mercati azionari dello scorso anno, e
l’intensificarsi delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente provocate dalla crisi tra Iran e Arabia Saudita. Il mio collega
Aidan Yao è scettico sui fattori idiosincratici cinesi. E lo sono anch’io. L’indice PMI Caixin è sceso leggermente dal 48,6 di
novembre al 48,2 di dicembre, ma il potere previsionale degli indici PMI Caixin e NBS ufficiale è stato pessimo dal 2012,
per esempio la crescita della produzione industriale si è attestata intorno al 6,2% a novembre nonostante entrambi gli indici
PMI sembrassero “in contrazione”. Inoltre, il divieto sulle vendite allo scoperto dovrebbe scadere venerdì (8 gennaio), e
questo si sapeva sin dall’inizio. La forte volatilità potrebbe convincere le autorità cinesi a prolungare il divieto per un altro
paio di mesi.
D’altra parte il riacutizzarsi delle tensioni tra Arabia Saudita e Iran, dopo l’esecuzione dell’imam sciita in Arabia Saudita e
l’attacco all’ambasciata saudita in Iran, indicano la possibilità di una destabilizzazione più profonda in Medio Oriente, con
probabili conseguenze sull’economia globale dato che questi paesi vantano le riserve di greggio (Arabia Saudita) e di gas
naturale (Iran) più vaste al mondo. Non serve essere un catastrofista per immaginare una pericolosa escalation del conflitto
tra i nemici giurati del mondo musulmano, ovvero i sunniti rappresentati dall’Arabia Saudita e gli sciiti in Iran. Guerra
convenzionale, attacchi terroristici e una repressione spietata contro le masse di civili potrebbero mettere a ferro e fuoco
l’intera regione se i leader di questi paesi venissero attirati in una spirale di violenza. Nel complesso, gli esportatori di
petrolio in Medio Oriente nel 2014 hanno generato il 35% delle esportazioni di greggio mondiali pertanto, nonostante la
diffusione del petrolio e del gas di scisto, il Medio Oriente resta il principale fornitore di idrocarburi dell’economia globale.
Un’interruzione su vasta scala nelle forniture di gas e petrolio provenienti dal Medio Oriente graverebbe su un’economia
globale già debole, a partire dai paesi in via di sviluppo importatori di petrolio fino all’Europa e al Giappone, anch’essi
dipendenti dall’oro nero.
Stranamente i mercati del petrolio non hanno reagito bruscamente alla notizia, e il barile di Brent ha toccato i 39 dollari per
poi tornare a quota 37 dollari. Eppure l’offerta sul mercato del petrolio è talmente eccessiva che la sua capacità di assorbire
ipotetici sviluppi è alquanto limitata, almeno finché non cambierà qualcosa negli equilibri tra domanda e offerta. Pertanto,
è sui mercati azionari, profondi, liquidi ed estremamente sensibili nei confronti della propensione al rischio, che si riflettono
più facilmente le cattive notizie. Quando le prospettive sono poco brillanti è più probabile assistere a continui cambiamenti
di rotta nella propensione al rischio. È interessante notare che il mercato dei Treasury ha registrato un rialzo, per quanto
modesto.
Qual è dunque la situazione dei mercati azionari? Se ipotizziamo che lo scenario peggiore che ho delineato sia assai poco
probabile (incrociamo le dita), torniamo ai fondamentali definiti dal collega Franz Wenzel nell’Outlook 2016. In breve:
* L’indice MSCI China scambia su multipli bassi (intorno o inferiori a 10), pertanto dal punto di vista delle valutazioni, il
mercato cinese sembra interessante. Eppure, la volatilità implicita e l’incertezza generata dai tentativi delle autorità di
arginare il problema dovrebbero scoraggiare gli investitori prudenti. Lasciamo che siano gli investitori molto audaci a
scommettere su una rivalutazione.
* I mercati azionari globali scambiano intorno a 19 volte gli utili, su valori elevati come il mercato americano (intorno a 20),
mentre l’Europa scambia intorno a 18 e il Giappone a 16. Risultano quindi favoriti i mercati azionari non americani.
* I mercati azionari globali sono solo leggermente costosi, ma le prospettive poco positive per gli utili societari e la previsione
di una stretta monetaria da parte della Federal Reserve delineano uno scenario nella migliore delle ipotesi neutrale per i
mercati azionari globali. Comunque, per gli investitori poco esposti, ogni correzione di rilievo può rappresentare un buon
momento per investire.
Cordiali saluti,
Eric Chaney
Chief Economist AXA Group, Head of Research AXA IM
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